Art. 647 – Codice penale – Appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito
[È punito, a querela della persona offesa [120], con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 309:
1) chiunque, avendo trovato denaro o cose da altri smarrite, se li appropria, senza osservare le prescrizioni della legge civile sull'acquisto della proprietà di cose trovate [927-929];
2) chiunque, avendo trovato un tesoro, si appropria, in tutto o in parte, la quota dovuta al proprietario del fondo [932];
3) chiunque si appropria cose, delle quali sia venuto in possesso per errore altrui o per caso fortuito.
Nei casi preveduti dai numeri 1 e 3, se il colpevole conosceva il proprietario della cosa che si è appropriata, la pena è della reclusione fino a due anni e della multa fino a euro 309.]
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 25180/2024
Il principio secondo cui l'autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione o quando quest'ultimo giudizio sia stato dichiarato estinto, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio.
Cass. civ. n. 17055/2024
Ai fini del rispetto del principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti riconosciuti al consumatore dalla Direttiva 93/13/CEE, se l'esecuzione è fondata su un decreto ingiuntivo non opposto e il giudice del monitorio ha omesso di esaminare l'eventuale abusività delle clausole contenute nel contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, la natura abusiva delle pattuizioni contrattuali dev'essere rilevata, anche d'ufficio, dal giudice dell'esecuzione, ma entro il limite dell'avvenuta vendita del bene (o dell'assegnazione del credito) pignorato , non potendo opporsi all'aggiudicatario vizi del processo esecutivo che non siano stati fatti valere con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi.
Cass. civ. n. 8260/2024
L'opponibilità al fallimento del decreto ingiuntivo non opposto decorre dalla data di emissione del provvedimento di esecutorietà di cui all'art. 647 c.p.c., atteso che con esso il giudice compie un'attività di natura giurisdizionale avente ad oggetto la verifica del contraddittorio e la regolarità della notificazione del decreto ingiuntivo, con conseguente passaggio in cosa giudicata formale e sostanziale del decreto medesimo, restando privi di rilievo disfunzioni dell'ufficio o ritardi nell'emissione del relativo provvedimento.
Cass. civ. n. 5279/2024
Qualora la domanda di concordato preventivo "con riserva" ex art. 161, comma 6, l.fall., sia stata dichiarata inammissibile ex art. 162 l.fall. e ne sia conseguita la dichiarazione di fallimento, è sufficiente, ai fini dell'opponibilità a quest'ultimo del decreto ingiuntivo, che il visto di esecutorietà di cui all'art. 647 c.p.c. sia stato apposto anteriormente alla declaratoria fallimentare, ma non anche alla domanda di concordato, atteso che il principio dell'unitarietà fra concordato preventivo e fallimento consecutivo è applicabile, quanto agli effetti del secondo all'apertura del primo, solo in relazione alle ipotesi in cui ciò sia specificamente previsto.
Cass. civ. n. 51/2023
Laddove il debitore, nel proporre opposizione al precetto intimatogli sulla base di un decreto ingiuntivo, deduca l'inesistenza della notificazione di quest'ultimo, la prova della tempestiva effettuazione della stessa incombe sul creditore, che deve assolvervi mediante la produzione dell'originale dell'ingiunzione corredato della relazione di notificazione, non essendo all'uopo sufficiente il mero deposito della copia del provvedimento monitorio munito del decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c.
Cass. pen. n. 18710/2017
La ricettazione di bene proveniente dal reato presupposto di cui all'art. 647 cod. pen. conserva rilevanza penale anche dopo la depenalizzazione, ad opera del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, del reato di appropriazione di cosa smarrita, atteso che nella ricettazione la provenienza da delitto dell'oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, per cui l'eventuale abrogazione di tale norma non assume rilievo ai sensi dell'art. 2 cod. pen., dovendo la rilevanza penale del fatto essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui ha avuto luogo la condotta tipica di ricezione della cosa.
Cass. pen. n. 20644/2016
La ricettazione di bene proveniente dal reato presupposto di cui all'art. 647 cod. pen. conserva rilevanza penale anche dopo la depenalizzazione, ad opera del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, del reato di appropriazione di cosa smarrita, atteso che nella ricettazione la provenienza da delitto dell'oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, per cui l'eventuale abrogazione di tale norma non assume rilievo ai sensi dell'art. 2 cod. pen., dovendo la rilevanza penale del fatto essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui ha avuto luogo la condotta tipica di ricezione della cosa.
Cass. pen. n. 18749/2013
L'acquisizione del possesso di un cane che si sia "smarrito" può essere fatta rientrare fra le ipotesi di "caso fortuito" di cui all'art. 647 c.p., dovendo tale ultima disposizione essere coordinata con l'art. 925 c.c. che prevede l'acquisto della "proprietà" dell'animale mansuefatto da parte di chi se ne sia impossessato qualora l'animale non sia stato reclamato entro venti giorni da quando il proprietario ha avuto conoscenza del luogo ove esso si trova.
Cass. pen. n. 24100/2011
Integra la condotta di furto, e non di appropriazione di cose smarrite, l'apprensione di assegni in bianco di un conto corrente bancario, o anche di carte di credito, che siano smarriti, perché tali oggetti conservano chiari e intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, sì che il venir meno della relazione materiale con il titolare non comporta la cessazione del potere di fatto da questi esercitato.
Cass. pen. n. 29956/2009
Il delitto di appropriazione indebita di cose smarrite si differenzia dal delitto di ricettazione perché postula sia il requisito obiettivo, per il quale la cosa sia stata effettivamente smarrita e sia, perciò, uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore, che quello subiettivo, per il quale occorre che colui, il quale la deteneva, non sia più in condizione di riacquistare il primitivo stato di fatto sulla cosa stessa.
Cass. pen. n. 5905/2006
Ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 647 c.p. (appropriazione di cose smarrite), è necessario che il legittimo detentore, al momento dell'appropriazione, si trovi nell'impossibilità di ricostituire sulla cosa smarrita il primitivo potere di fatto per ignoranza del luogo ove la stessa si trovi. Ne consegue che non può parlarsi di smarrimento nel caso in cui la cosa possa essere rintracciata dal detentore con relativa facilità, sulla base di uno sforzo di memoria che consenta una ricerca mirata nel luogo in cui è stata inavvertitamente lasciata. (In applicazione di tale principio, la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale del riesame che aveva ravvisato nell'appropriazione di scatoloni dimenticati da un autotrasportatore sul marciapiede la fattispecie di cui all'art. 647 c.p., anziché quella di rapina impropria, attribuendo valore dirimente alla circostanza che al momento dell'impossessamento non era certo nel detentore il ricordo del luogo dello smarrimento).
Cass. pen. n. 12922/2004
Ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 647 c.p., cosa smarrita è quella rispetto alla quale il possessore non ha di fatto alcun rapporto o potere materiale e psicologico; una volta accertato l'avvenuto smarrimento, ricorre, nell'appropriazione il predetto reato, e non quello di furto, indipendentemente dall'atteggiamento psicologico del «rinvenitore» che può anche essere a conoscenza dell'altruità della cosa. (Fattispecie in tema di appropriazione, a seguito di rinvenimento, del contrassegno di un ciclomotore recanti impressi numeri e lettere individuanti in via esclusiva le generalità del proprietario).
Cass. pen. n. 15124/2003
Integra il reato di peculato e non quello di appropriazione aggravata di cose smarrite l'apprensione, da parte di agente della polizia di Stato in servizio presso un aeroporto, di cose custodite in uno zaino rinvenuto presso lo scalo aeroportuale e a lui affidato per ragione del suo ufficio, non potendo considerarsi smarrite le cose lasciate in uno scalo navale, ferroviario o aeroportuale, per le quali sono predisposte particolari norme di tutela, né potendo comunque qualificarsi come tali le cose dimenticate in un luogo che il legittimo possessore sia in grado di ricordare, sia pure attraverso una ricostruzione logico-temporale dei suoi spostamenti, in modo da poterle colà ricercare e recuperare.
Cass. pen. n. 6951/2001
Il reato di appropriazione di «cose» avute per errore o per caso fortuito (art. 647, comma 1, n. 3, c.p.) è configurabile anche con riguardo all'appropriazione di denaro conformemente a quanto previsto dall'art. 646 c.p., rispetto al quale la norma in esame si pone in rapporto di specialità, a nulla rilevando che l'appropriazione del denaro sia invece espressamente prevista nel n. 1 del medesimo art. 647 c.p.
Cass. pen. n. 11148/2000
In tema di appropriazione di cosa smarrita, per l'affermazione della penale responsabilità, occorre accertare che il soggetto abbia manifestato nei confronti della cosa rinvenuta la volontà di comportarsi uti dominus; tale volontà va esclusa non solo quando venga attivata la speciale procedura di restituzione prevista dall'art. 927 ss. c.c., ma anche in presenza di ogni comportamento che dimostri inequivocabilmente l'assenza della volontà di appropriarsi della cosa, come nel caso che l'agente avverta del rinvenimento l'autorità mettendo la cosa a disposizione per la riconsegna al proprietario.
Cass. pen. n. 8109/2000
Nell'ipotesi di smarrimento di cose che, come gli assegni o le carte di credito, conservino chiari ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, il venir meno della relazione materiale fra la cosa ed il suo titolare non implica la cessazione del potere di fatto di quest'ultimo sul bene smarrito, con la conseguenza che colui che se ne appropria senza provvedere alla sua restituzione commette il reato di furto e non quello di appropriazione di cose smarrite (art. 647 c.p.).
Cass. pen. n. 3646/1999
Ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 647 c.p., cosa smarrita è quella rispetto alla quale il possessore non ha di fatto alcun rapporto o potere materiale e psicologico; una volta accertato l'avvenuto smarrimento, ricorre, nell'appropriazione, il predetto reato, e non quello di furto, indipendentemente dall'atteggiamento psicologico del «rinvenitore» che può anche essere a conoscenza dell'altruità della cosa. (Fattispecie in tema di assegno).
Cass. pen. n. 11860/1998
Ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 647 c.p. è richiesta la sussistenza di tre presupposti: che la cosa rinvenuta sia uscita dalla sfera di sorveglianza del detentore; che sia impossibile per il legittimo detentore ricostruire sulla cosa il primitivo potere di fatto per ignoranza del luogo ove la stessa si trovi; che siano assenti segni esteriori pubblicitari tali da consentire di identificare il legittimo possessore. (Nella fattispecie, relativa a una tessera bancomat che conteneva indicazioni, quali l'istituto bancario di riferimento ed il numero convenzionale, la Corte ha ritenuto la configurabilità del reato di furto).
Cass. pen. n. 5844/1997
L'assegno bancario deve considerarsi cosa smarrita a prescindere dai segni esteriori, percepibili dall'agente, di un precedente legittimo — ma oramai non più esistente — possesso altrui. L'appropriazione di un assegno smarrito integra perciò il reato di appropriazione di cose smarrite e non di furto, per la cui configurazione è necessaria la sussistenza attuale del possesso altrui al momento della lesione.
Cass. pen. n. 6417/1993
Quando a seguito di ricerche archeologiche abusive si rinvengano cose prive di interesse culturale ancorché appartenenti ad antiche civiltà, trattandosi di cose mobili di pregio, la loro appartenenza segue le regole del tesoro, appartiene cioè al proprietario del fondo (art. 932, secondo comma, c.c.), e il loro impossessamento costituisce furto ai danni del proprietario del fondo. Infatti, questi ha la detenzione del tesoro, ancorché non ne conosca l'esistenza, ai fini dell'art. 624 c.p., perché il tesoro è incorporato nel fondo del quale il proprietario ha il possesso e perché la legge penale punisce, quale figura di appropriazione indebita minore colui che, avendo trovato un tesoro, si appropria in tutto o in parte della quota dovuta al proprietario del fondo (art. 647, primo comma, n. 2, c.p.), purché sia stato scoperto per il solo effetto del caso (art. 932, secondo comma, c.c.): ciò conferma che se clandestinamente si sottrae dal fondo altrui un tesoro chi se ne impossessa risponde di furto.
Cass. pen. n. 17393/1989
L'assegno in bianco di conto corrente non può ritenersi cosa smarrita, agli effetti di cui all'art. 647 c.p., contenendo chiari e intatti i segni esteriori pubblicitari di un possesso legittimo altrui.
Cass. pen. n. 7059/1986
Commette furto aggravato dall'esposizione della merce alla pubblica fede e non già appropriazione indebita di res derelictae colui il quale si impossessi di materiale ferroso altrui, che si trova in luogo recintato e privo di una vigilanza continua.
Cass. pen. n. 4420/1985
L'ipotesi, di cui all'art. 647, n. 1, c.p., ricorre quando concorrono il requisito obiettivo, per il quale la cosa sia stata effettivamente smarrita e sia, perciò, uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore, e quello subiettivo, per il quale occorre che colui, il quale la deteneva, non sia più in condizione di riacquistare il primitivo stato di fatto sulla cosa stessa.
Cass. pen. n. 10761/1982
L'impossessamento al fine di trarne profitto di una patente di guida smarrita dal titolare costituisce furto e non appropriazione di cosa smarrita, in quanto la patente, mantenendo chiari ed intatti i segni esteriori pubblicistici del legittimo possesso del titolare (nome, cognome, fotografia, data di emissione), rimane sempre nella sfera di attività patrimoniale del predetto e l'impossessamento di essa, in caso di smarrimento, costituisce quell'atto di sottrazione in cui si concreta la materialità del delitto di furto.