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Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 4636 del 27 aprile 1995

Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 4636 del 27 aprile 1995

Testo massima n. 1

Il delitto di maltrattamenti in famiglia [ art. 572 c.p. ] non costituisce reato permanente, bensì reato abituale. Ne consegue la inapplicabilità del principio secondo cui l’intrinseca idoneità del reato permanente a durare nel tempo, anche dopo l’avverarsi dei suoi elementi costitutivi, comporta che, quando nel capo di imputazione sia indicata soltanto la data iniziale e non quella della cessazione della permanenza, l’originaria contestazione si estende all’intero sviluppo della fattispecie criminosa, con la conseguenza che l’imputato è chiamato a difendersi, oltre che in ordine alla parte già realizzatasi di tale fattispecie, anche in ordine a quella successiva emergente dall’istruttoria dibattimentale, senza necessità di una ulteriore specifica contestazione da parte del pubblico ministero. Nel reato abituale, invece, i fatti nuovi acclarati in dibattimento, specialmente quando questo si svolga a distanza di anni dalla denuncia, devono essere sempre contestati all’imputato, sia che servano a perfezionare o ad integrare la fattispecie criminosa rispettivamente enunciata nel capo di imputazione, sia – e a maggior ragione – che costituiscano una serie autonoma unificabile alla precedente per vincolo di continuazione.

Testo massima n. 1

Il reato di maltrattamenti in famiglia [ art. 572 c.p. ] integra una ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili [ atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc. ] ovvero non perseguibili [ ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela ], ma acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo; esso si perfeziona allorché si realizza un minimo di tali condotte [ delittuose o meno ] collegate da un nesso di abitualità e può formare oggetto anche di continuazione ex art. 81 cpv. c.p., come nel caso in cui la serie reiterativa sia interrotta da una sentenza di condanna ovvero da un notevole intervallo di tempo tra una serie di episodi e l’altra.

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