Cass. pen. n. 1622 del 4 luglio 1995
Testo massima n. 1
Le dichiarazioni della persona offesa dal reato sono — indipendentemente dalla eventuale concorrente qualifica di coindagato in procedimenti connessi o collegati del soggetto che le rende — assimilabili alla testimonianza, che il legislatore considera un mezzo di prova, attribuendole, ai fini dell'affermazione della responsabilità, una presunzione di attendibilità maggiore della semplice chiamata in correità o in reità, la quale, pur costituendo un «elemento» di prova, esige la concomitanza di altri elementi di eguale valenza, che la corroborino. (Fattispecie relativa a procedimento incidentale de libertate, relativamente al quale la S.C. ha ritenuto che la deposizione della vittima dell'azione criminosa, per quanto rappresenti un quid pluris rispetto all'indizio, ancorché grave, cui è subordinata la prognosi richiesta dall'art. 273 c.p.p., deve essere dal giudice sottoposta a un rigoroso vaglio, al fine di escludere che essa sia effetto di mire deviatrici).