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Cassazione civile Sez. II sentenza n. 6880 del 18 giugno 1991

Cassazione civile Sez. II sentenza n. 6880 del 18 giugno 1991

Testo massima n. 1

L’art. 1453 comma terzo non introduce per il convenuto un divieto assoluto di adempimento dopo la proposizione della domanda di risoluzione ma si limita a sancire l’inefficacia di un adempimento tardivo a sanare o a lenire le conseguenze del pregresso inadempimento posto a base della domanda nell’implicito presupposto che questo sia sussistente e che quindi il creditore non abbia più interesse all’adempimento. Ne consegue che se l’obbligazione debba, per accordo fra le parti, essere adempiuta a più riprese, abbia cioè più scadenze, e la domanda di risoluzione sia stata proposta quando non tutte le scadenze si siano verificate, il cennato disposto dell’art. 1453 si applica esclusivamente alle prestazioni già scadute, riguardo alle quali soltanto il giudice potrà accertare se vi sia stato inadempimento imputabile al debitore, e non alle prestazioni ancora da scadere, rispetto alle quali il comportamento del debitore non è ancora suscettibile di valutazione in termini di inadempimento, con la conseguenza che rispetto a queste ultime l’eventuale inadempienza sopravvenuta in corso di causa va anch’essa considerata e valutata dal giudice, se dedotta anche implicitamente dalla controparte, ai fini della pronuncia di risoluzione.

Testo massima n. 2

La declaratoria di risoluzione del contratto, pur importando per il suo effetto retrattivo espressamente sancito dall’art. 1458 c.c. l’obbligo di ciascuno dei contraenti di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere i relativi provvedimenti restitutori senza la domanda della parte interessata, la quale per altro non può proporsi per la prima volta in appello a pena di inammissibilità rilevabile anche di ufficio [ art. 345 c.p.c. ], trattandosi di domanda nuova rispetto a quella di risoluzione del contratto. Essa infatti trova fondamento nelle norme sulla ripetizione dell’indebito e dà luogo ad una pronuncia di condanna, diversamente dall’azione di risoluzione che ha natura costitutiva.

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