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Art. 1453 — Risolubilità del contratto per inadempimento

Art. 1453 — Risolubilità del contratto per inadempimento

Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.

La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento; ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione.

Dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 15993/2018

La costituzione in mora di regola non è necessaria ai fini della risoluzione per inadempimento, salvo quando la risoluzione si basi sulla mora in senso stretto, cioè su di un inadempimento non definitivo relativo ad una prestazione da eseguire al domicilio del debitore; in tali casi la mancata costituzione in mora prima del giudizio di risoluzione non impedisce l’esecuzione della prestazione, in deroga al principio generale dettato dall’art.1453, ultimo comma, c.c. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in un giudizio instaurato da un professionista per il pagamento dell’onorario, aveva ritenuto sufficiente l’eccezione di inadempimento della cliente in mancanza della costituzione in mora e di una dichiarazione scritta del debitore di non volere adempiere, trattandosi di una prestazione da eseguire al domicilio del debitore).

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Cass. civ. n. 14314/2018

Il giudice adito con contrapposte domande di risoluzione per inadempimento del medesimo contratto, può accogliere l’una e rigettare l’altra, ma non anche respingere entrambe e dichiarare l’intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, implicando ciò una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, mediante una regolamentazione del rapporto stesso difforme da quella perseguita dalle parti.

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Cass. civ. n. 6675/2018

In presenza di reciproche domande di risoluzione contrattuale fondate da ciascuna parte sugli inadempimenti dell’altra, il giudice che accerti l’inesistenza di singoli specifici addebiti, non potendo pronunciare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell’impossibilità dell’esecuzione del contratto per effetto della scelta di entrambi i contraenti ex art. 1453, comma 2, c.c., e pronunciare comunque la risoluzione del contratto, con gli effetti di cui all’art. 1458 c.c., essendo le due contrapposte manifestazioni di volontà dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale.

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Cass. civ. n. 24947/2017

La volontà di risolvere un contratto per inadempimento non deve necessariamente risultare da una domanda espressamente proposta dalla parte in giudizio, ben potendo essere implicitamente contenuta in un’altra domanda, eccezione o richiesta, sia pure di diverso contenuto, che presupponga una domanda di risoluzione. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di appello che aveva ritenuto non proposta la domanda di risoluzione per grave inadempimento dell’intermediario in quanto la parte aveva chiesto la restituzione del controvalore dell’investimento effettuato per il tramite dell’intermediario).

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Cass. civ. n. 19914/2017

Dopo il fallimento del debitore, il creditore non può proporre domanda di risoluzione del contratto, neanche nell’ipotesi diretta ad accertare – con riferimento ad inadempimento anteriore – l’avveramento di una condizione risolutoria, a meno che la domanda non sia stata introdotta prima della dichiarazione di fallimento, atteso che la relativa pronuncia produrrebbe altrimenti effetti restitutori e risarcitori lesivi del principio di paritario soddisfacimento di tutti i creditori e di cristallizzazione delle loro posizioni giuridiche. Ne consegue che la domanda di risoluzione del contratto, quand’anche finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno, è attratta dal foro fallimentare ex art. 24 l. fall., e può anche essere proposta incidentalmente in sede di opposizione allo stato passivo.

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Cass. civ. n. 15641/2017

In materia di risoluzione del contratto per inadempimento, in caso di accoglimento della sola domanda di risoluzione, con rigetto di quella risarcitoria sul presupposto – errato in diritto – della non imputabilità dell’inadempimento, il giudice di appello innanzi al quale sia impugnato unicamente il diniego del richiesto risarcimento non può esaminare la statuizione relativa al difetto di imputabilità dell’inadempimento e, conseguentemente, non può rigettare l’appello sulla domanda risarcitoria condividendo l’erronea affermazione del giudice di prime cure, ma deve decidere rilevando l’esistenza di un giudicato interno sul carattere imputabile dell’inadempimento, trattandosi di presupposto della pronuncia di risoluzione del contratto.

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Cass. civ. n. 7108/2017

La rinuncia ad esercitare un diritto può risultare da fatti incompatibili con la volontà di avvalersene. In tal caso, al fatto diverso dalla dichiarazione espressa di rinunzia ad un diritto può essere attribuito valore di rinuncia tacita al medesimo diritto ove tra il fatto posto in essere e la volontà di esercitare il diritto sussista un rapporto di contraddizione. Ne consegue che ove una parte, in presenza dell’inadempimento dell’altra a lei noto, abbia tenuto un comportamento incompatibile con la volontà di ottenere la risoluzione del contratto, deve ritenersi che essa abbia tacitamente rinunciato al diritto di domandarla, esprimendo la volontà che il contratto continui ad avere esecuzione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, reiettiva della domanda di risoluzione del contratto di appalto proposta dall’impresa appaltatrice in seguito a condotte inadempienti imputabili all’ente appaltante, in quanto, successivamente al loro accertamento, le parti avevano concluso uno schema di atto contrattuale aggiuntivo).

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Cass. civ. n. 18932/2016

Nei contratti con prestazioni corrispettive, il giudicato formatosi sulla risoluzione del contratto per inadempienze reciproche di pari gravità non consente l’attribuzione di un inadempimento colpevole, che costituisce l’elemento fondante del giudizio di responsabilità, ed impedisce, quindi, l’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni che ciascuna delle parti abbia proposto nei confronti dell’altra.

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Cass. civ. n. 15461/2016

In tema di risoluzione del contratto per inadempimento, la facoltà di “mutatio libelli” di cui all’art. 1453, comma 2, c.c. si estende alla domanda consequenziale e accessoria di restituzione, purché la stessa sia stata proposta contestualmente o, in ogni caso, nel medesimo grado di giudizio rispetto alla domanda risolutoria.

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Cass. civ. n. 2984/2016

Il giudice adito con contrapposte domande di risoluzione per inadempimento del medesimo contratto, può accogliere l’una e rigettare l’altra, ma non anche respingere entrambe e dichiarare l’intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, implicando ciò una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, mediante una regolamentazione del rapporto stesso difforme da quella perseguita dalle parti.

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Cass. civ. n. 14648/2013

Nei contratti con prestazioni corrispettive non è consentito al giudice del merito, in caso di inadempienza reciproche, di pronunciare la soluzione, ai sensi dell’art. 1453 c.c., o di ritenere la legittimità del rifiuto di adempire, a norma dell’art. 1460 c.c., in favore di entrambe le parti, in quanto la valutazione della colpa dell’inadempimento ha carattere unitario, dovendo lo stesso addebitarsi escluisivamente a quel contraente, che con il proprio comportamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell’altra parte.

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Cass. civ. n. 870/2012

Il secondo comma dell’art. 1453 c.c. deroga alle norme processuali che vietano la “mutatio libelli” nel corso del processo, nel senso di consentire la sostituzione della domanda di adempimento del contratto con quella di risoluzione per inadempimento, ma tale deroga non si estende alla domanda ulteriore di risarcimento del danno consequenziale a quelle di adempimento e risoluzione, trattandosi di domanda del tutto diversa per “petitum” e “causa petendi” rispetto a quella originaria. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva statuito sulla domanda risarcitoria, per danni relativi al pagamento di oneri condominiali straordinari, avanzata dagli attori unitamente a quella di risoluzione del contratto di compravendita immobiliare proposta nel corso di un giudizio inizialmente intentato per ottenere il trasferimento dell’immobile ex art. 2932 c.c., con connesso risarcimento da ritardo nel conseguimento del bene stesso).

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Cass. civ. n. 15659/2011

In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento, perché l’eccezione si fonda sull’allegazione dell’inadempimento di un’obbligazione, al quale il debitore di quest’ultima dovrà contrapporre la prova del fatto estintivo costituito dall’esatto adempimento.

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Cass. civ. n. 15290/2011

In materia contrattuale, il diritto di scelta tra domanda di adempimento e domanda di risoluzione attribuito, dal primo comma dell’art. 1453 cod. civ., alla parte adempiente non si consuma all’esito della pronunzia di condanna del debitore all’esecuzione della prestazione. Ne consegue che, ove la parte inadempiente sia stata condannata all’adempimento con sentenza passata in giudicato e l’inadempimento permanga, l’altra parte può chiedere la risoluzione del contratto, senza che si possa configurare un contrasto di giudicati tra loro incompatibili.

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Cass. civ. n. 8505/2011

Ove un contratto preliminare abbia ad oggetto la compravendita di un bene appartenente a più proprietari, è possibile che il medesimo non costituisca un ”
unicum” inscindibile, perché ciascuno dei comproprietari può vendere la propria quota a prezzo diverso e stabilendo date diverse per la stipulazione del contratto definitivo; ne consegue, in tal caso, che, verificatosi l’inadempimento del promissario acquirente, ciascun promittente venditore può legittimamente chiedere la risoluzione della singola promessa di vendita contenuta in un documento più complesso, dovendosi ritenere ammissibile la risoluzione parziale.

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Cass. civ. n. 6492/2011

La circostanza che una delle parti del contratto, nell’esecuzione degli obblighi assunti, abbia violato norme imperative, se può: comportarne la nullità, tuttavia non ne giustifica, di per sé, la risoluzione ai sensi dell’art. 1453 c.c., la quale può essere pronunciata soltanto ove si accerti che la suddetta violazione abbia concretamente e decisivamente inciso sull’interesse della controparte e, di conseguenza, sul sinallagma contrattuale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della corte territoriale che aveva respinto l’impugnazione di nullità di un lodo arbitrale anche in riferimento alla doglianza del rigetto della domanda di risoluzione del contratto di appalto, proposta dal committente, per aver gli arbitri escluso che integrasse grave inadempimento dell’appaltatore la violazione da parte di quest’ultimo delle norme sulla regolare assunzione dei lavoratori).

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Cass. civ. n. 26152/2010

Il divieto, posto dall’articolo 1453 c.c., di chiedere l’adempimento, una volta domandata la risoluzione del contratto, viene meno e non ha più ragion d’essere quando la domanda di risoluzione venga rigettata, rimanendo in vita in tal caso il vincolo contrattuale e risorgendo l’interesse alla esecuzione della prestazione, con inizio del nuovo termine prescrizionale del diritto di chiedere l’adempimento.

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Cass. civ. n. 13248/2010

Nelle locazioni di immobili ad uso diverso dall’abitazione, alle quali non si applica la disciplina di cui all’art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392, l’offerta o il pagamento del canone (che, se effettuati dopo l’intimazione di sfratto, non consentono l’emissione, ai sensi dell’art. 665 c.p.c., del provvedimento interinale di rilascio con riserva delle eccezioni, per l’insussistenza della persistente morosità di cui all’art. 663, terzo comma, c.p.c.), nel giudizio susseguente a cognizione piena, non comportano l’inoperatività della clausola risolutiva espressa, in quanto, ai sensi dell’art. 1453, terzo comma, c.c., dalla data della domanda – che è quella già avanzata ex art. 657 c.p.c. con 1’intimazione di sfratto, introduttiva della causa di risoluzione del contratto – il conduttore non può più adempiere.

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Cass. civ. n. 13003/2010

La facoltà, di cui all’art. 1453, secondo comma, c.c., di poter mutare nel corso del giudizio di primo grado, nonché in appello, e persino in sede di rinvio la domanda di adempimento in quella di risoluzione in deroga al divieto di “mutatio libelli” sancito dagli artt. 183, 184 e 345 c.p.c., sempreché si resti nell’ambito dei fatti posti a base della inadempienza originariamente dedotta, senza introdurre un nuovo tema di indagine, comporta che, in tema di contratto preliminare di compravendita, qualora sia sostituita la domanda di adempimento con quella di risoluzione, possa essere chiesta la restituzione della somma versata a titolo di prezzo, quale domanda consequenziale a quella di risoluzione, implicando l’accoglimento di questa, per l’effetto retroattivo espressamente previsto dall’art. 1458 c.c., l’obbligo di restituzione della prestazione ricevuta, onde di tale domanda il giudice può decidere anche se su di essa non vi sia stata accettazione del contraddittorio.

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Cass. civ. n. 9504/2010

Qualora le parti, nell’ambito dell’autonomia privata, abbiano previsto l’inadempimento di una di esse alle obbligazioni contrattuali quale condizione risolutiva, una volta verificatosi tale inadempimento, lo stesso non può essere invocato dalla controparte quale illecito contrattuale e fonte di obbligazione risarcitoria ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., trattandosi del legittimo esercizio di una potestà convenzionalmente attribuita, in quanto costituente l’evento espressamente dedotto in condizione risolutiva potestativa per concorde volontà dei contraenti.

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Cass. civ. n. 20623/2009

Nella cessione di cubatura si è in presenza di una fattispecie a formazione progressiva in cui confluiscono, sul piano dei presupposti, dichiarazioni private nel contesto di un procedimento di carattere amministrativo; a determinare il trasferimento di cubatura, tra le parti e nei confronti dei terzi, è esclusivamente il provvedimento concessorio, discrezionale e non vincolato, che, a seguito della rinuncia del cedente, può essere emanato dall’ente pubblico a favore del cessionario, non essendo configurabile tra le parti un contratto traslativo. Ne consegue che, qualora il cedente, con la stipulazione dell’atto unilaterale di vincolo avente come destinatario immediato la P.A., si sia prestato al compimento di tutti gli atti necessari per far ottenere al cessionario la concessione per una volumetria maggiore, il mancato rilascio della concessione edilizia maggiorata determina l’inefficacia del negozio concluso dai proprietari dei fondi limitrofi e non già la sua risoluzione per inadempimento del cedente.

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Cass. civ. n. 18515/2009

L’azione di risoluzione del contratto per inadempimento e la relativa azione risarcitoria hanno differenti presupposti applicativi, perché la prima esige che l’inadempimento di una delle parti non sia di scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra, mentre l’azione risarcitoria presuppone che l’inesatta esecuzione della prestazione abbia prodotto al creditore un danno; ne consegue che, in tema di mediazione, la condanna del mediatore al risarcimento del danno nei confronti di una delle parti per inadempimento del proprio dovere di informazione non implica automaticamente che il contratto debba essere risolto e che il mediatore perda il diritto alla provvigione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che – dopo aver condannato il mediatore al risarcimento del danno nei confronti del cliente per non averlo informato dell’esistenza di una locazione ultranovennale, regolarmente trascritta, sull’immobile che questi aveva poi acquistato – aveva nel contempo stabilito che al mediatore spettasse il pagamento della provvigione, poiché l’avvenuta conclusione del contratto dimostrava la scarsa importanza dell’inadempimento).

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Cass. civ. n. 13874/2009

Non è accoglibile la domanda di risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare relativo alla compravendita di un, immobile parzialmente abusivo per il quale il promittente venditore abbia presentato legittimamente la domanda di sanatoria ai sensi dell’art. 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (provvedendo alla rituale oblazione) in un termine antecedente a quello di scadenza per la stipula del contratto definitivo, sulla quale si sia poi venuto a formare il silenzioassenso della P.A., ai sensi dell’art. 40 della legge stessa, anteriormente alla proposizione della domanda giudiziale di risoluzione, non sussistendo ostacoli alla stipula del contratto definitivo in conseguenza dell’equiparazione prevista dal citato art. 40, secondo comma, tra l’intervenuto silenzio-assenso sulla richiesta di concessione in sanatoria e il rilascio della concessione stessa, ai fini della regolarità della stipula dell’atto definitivo.

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Cass. civ. n. 26325/2008

La facoltà di mutare la domanda di adempimento in quella di risoluzione, consentita dall’art. 1453, comma secondo, c.c. in deroga al divieto della mutatio libelli si estende anche alla conseguente domanda di risarcimento del danno, nonché a quella di restituzione del prezzo, essendo tali domande accessorie alla domanda sia di risoluzione che di adempimento.

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Cass. civ. n. 10631/2007

La domanda di risoluzione del contratto preliminare di vendita di un suolo ad un Comune, per inadempimento consistito nell’abusiva occupazione del suolo e costruzione di un’opera, e di risarcimento del danno, comprensivo dell’occupazione del terreno, e la domanda subordinata di esecuzione del contratto, attengono ad una vicenda contrattuale di diritto comune, assolutamente diversa, per causa petendi e petitum dalla domanda di risarcimento per occupazione appropriativa, costituente istituto del diritto pubblico, e presupponente lo svolgimento di una procedura ablatoria, sicché non può il giudice esimersi dall’accertare l’inadempimento, pur costituito dall’indebita trasformazione del fondo, e liquidare i danni sofferti dal proprietario, rimasto tale.

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Cass. civ. n. 9941/2006

La regola posta dall’art. 1453, secondo comma, c.c., in forza della quale la parte può sostituire la domanda di adempimento del contratto con quella di risoluzione, trova applicazione anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, comportando la possibilità che il creditore che abbia chiesto in via monitoria la prestazione pattuita domandi, nel successivo giudizio di opposizione, la risoluzione del contratto per inadempimento.

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Cass. civ. n. 5100/2006

La domanda di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale può essere proposta congiuntamente o separatamente da quella di risoluzione, poiché l’art. 1453 c.c., facendo salvo, in ogni caso, il diritto al risarcimento, esclude che la relativa azione presupponga il necessario esperimento dell’azione di risoluzione, che costituisce un rimedio a tutela dell’equilibrio sinallagmatico del contratto e non ha funzione accertativa dell’inadempimento, il quale sussiste o meno – con tutte le conseguenze sul piano del diritto al risarcimento del creditore della prestazione inadempiuta – indipendentemente dall’eventuale pronuncia di risoluzione. Ne consegue che, ai sensi dell’art. 2935 c.c., il termine di prescrizione, in relazione al risarcimento di ogni danno da inadempimento, inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, indipendentemente dalla data della pronuncia risolutiva.

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Cass. civ. n. 10927/2005

L’art. 1453 c.c., derogando ai principi di ordine processuale che vietano la mutatio libelli in corso di causa, consente di sostituire in qualsiasi fase e grado del giudizio alla originaria domanda di adempimento in forma specifica quella di risoluzione, ma tale facoltà è attribuita solamente alla parte che abbia chiesto l’adempimento e non anche a quella che in giudizio ad essa si opponga, la quale è pertanto tenuta a spiegare tempestivamente eventuale domanda di risoluzione.

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Cass. civ. n. 9926/2005

La stipulazione di un contratto a prestazioni corrispettive e l’inadempimento di uno dei contraenti sono, ai sensi dell’art. 1453 c.c., i fatti costitutivi del diritto dell’altro contraente ad ottenere la risoluzione del contratto, ovvero l’adempimento, ed in ogni caso il risarcimento del danno; questi diritti, benché abbiano in comune gli stessi fatti costitutivi (l’obbligazione e l’inadempimento), sono tuttavia diversi, in quanto permettono al titolare di conseguire utilità differenti, e diverse sono anche le azioni proponibili per ottenerne il soddisfacimento, con la conseguenza che la rinuncia all’una non equivale a rinuncia alle altre e, pertanto, in riferimento al contratto di compravendita di beni mobili, la rinuncia da parte del compratore all’azione di risoluzione del contratto non impedisce l’esperimento dell’azione di risarcimento dei danni per i vizi della cosa.

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Cass. civ. n. 6733/2005

La categoria dell’accertamento costitutivo in via incidentale si può considerare categoria generale, in quanto le norme degli artt. 1442 Quarto comma, e 1449, secondo comma, c.c., che espressamente la prevedono, sono suscettibili di applicazione analogica, non potendo qualificarsi come norme eccezionali. Ne consegue che, in tema di azione costitutiva non necessaria (quale deve ritenersi quella avanzata ai sensi dell’art. 1453 c.c., in relazione alla quale l’effetto giuridico della risoluzione del rapporto negoziale non necessariamente deve verificarsi per via giudiziale, potendo trovare realizzazione anche attraverso un accordo di scioglimento del contratto), l’effetto giuridico della risolubilità del contratto per inadempimento può essere invocato anche in via di eccezione dalla parte non inadempiente che sia stata convenuta in giudizio dall’altra per la tutela di un qualche effetto giuridico che debba ricollegarsi alla vigenza attuale o pregressa del contratto, realizzandosi in tal modo un fenomeno per cui l’accertamento incidentale della risolubilità per via di eccezione è funzionale alla elisione dell’effetto giuridico del negozio (principio affermato dalla S.C. in relazione ad un giudizio di opposizione a precetto, nel quale l’opponente, per paralizzare gli effetti del titolo esecutivo giudiziale azionato nei suoi confronti, aveva invocato una intervenuta transazione e l’opposto aveva dedotto in appello in via di azione riconvenzionale la risolubilità della transazione non avente carattere novativo ed il giudice d’appello aveva dichiarato inammissibile, perché nuova, la riconvenzionale e non aveva esaminato la risolubilità sub specie di eccezione, come tale ammissibile, trattandosi di processo pendente al 30 aprile 1995 e, quindi, soggetto all’art. 345 c.p.c. nel testo previgente alla riforma di cui alla legge n. 353 del 1990). La categoria dell’accertamento costitutivo in via incidentale si può considerare categoria generale, in quanto le norme degli artt. 1442 Quarto comma, e 1449, secondo comma, c.c., che espressamente la prevedono, sono suscettibili di applicazione analogica, non potendo qualificarsi come norme eccezionali. Ne consegue che, in tema di azione costitutiva non necessaria (quale deve ritenersi quella avanzata ai sensi dell’art. 1453 c.c., in relazione alla quale l’effetto giuridico della risoluzione del rapporto negoziale non necessariamente deve verificarsi per via giudiziale, potendo trovare realizzazione anche attraverso un accordo di scioglimento del contratto), l’effetto giuridico della risolubilità del contratto per inadempimento può essere invocato anche in via di eccezione dalla parte non inadempiente che sia stata convenuta in giudizio dall’altra per la tutela di un qualche effetto giuridico che debba ricollegarsi alla vigenza attuale o pregressa del contratto, realizzandosi in tal modo un fenomeno per cui l’accertamento incidentale della risolubilità per via di eccezione è funzionale alla elisione dell’effetto giuridico del negozio (principio affermato dalla S.C. in relazione ad un giudizio di opposizione a precetto, nel quale l’opponente, per paralizzare gli effetti del titolo esecutivo giudiziale azionato nei suoi confronti, aveva invocato una intervenuta transazione e l’opposto aveva dedotto in appello in via di azione riconvenzionale la risolubilità della transazione – non avente carattere novativo – ed il giudice d’appello aveva dichiarato inammissibile, perché nuova, la riconvenzionale e non aveva esaminato la risolubilità sub specie di eccezione, come tale ammissibile, trattandosi di processo pendente al 30 aprile 1995 e, quindi, soggetto all’art. 345 c.p.c. nel testo previgente alla riforma di cui alla legge n. 353 del 1990).

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Cass. civ. n. 1664/2005

Nel caso di proposizione congiunta della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento e di risarcimento dei danni il giudice è tenuto, in ogni caso, a pronunciare sulla prima domanda e, solo se la rigetta, può ritenersi esonerato dal pronunciare espressamente sull’altra, dovendosi la medesima considerare implicitamente rigettata.

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Cass. civ. n. 1077/2005

Il principio dell’inammissibilità della domanda di adempimento proposta successivamente a quella di risoluzione (art. 1453 c.c.) deve ritenersi applicabile alla duplice condizione: 1) che la domanda di risoluzione sia stata proposta senza riserve, in quanto, alla luce del principio di buona fede oggettiva, il comportamento del contraente che chieda incondizionatamente la risoluzione è valutato dalla legge come manifestazione di carenza di interesse al conseguimento della prestazione tardiva — sicché l’esercizio dello ius variandi deve, per converso, ritenersi consentito quando la domanda di risoluzione e quella di adempimento siano proposte nello stesso giudizio in via subordinata; 2) che esista un interesse attuale dell’istante alla declaratoria di risoluzione del rapporto negoziale — di talchè, quando tale interesse venga meno per essere stata la domanda di risoluzione rigettata o dichiarata inammissibile, la preclusione de qua non opera, essendo venuta meno la ragione del divieto di cui al ricordato art. 1453 c.c.

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Cass. civ. n. 21179/2004

In tema di contratto preliminare di vendita il promissario acquirente il quale ignori che il bene, all’atto del preliminare, appartenga in tutto o in parte ad altri, non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la stipula del contratto definitivo in quanto il promittente venditore fino a tale momento può adempiere all’obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, o acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest’ultimo a trasferirgliela.

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Cass. civ. n. 13079/2004

Nei contratti a prestazione continuata o periodica, la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento è alternativa alla domanda di accertamento dell’esercizio del recesso, atteso che, mirando essa a una pronuncia di carattere costitutivo che faccia risalire la risoluzione al momento dell’inadempimento, il suo accoglimento preclude l’esame delle altre cause di scioglimento del medesimo rapporto contrattuale; le due domande non sono tuttavia incompatibili, poiché l’attore può proporle entrambe nello stesso giudizio, di guisa che il giudice, in caso di rigetto della prima, dovrà esaminare se sia fondata la domanda di declaratoria di legittimo esercizio del diritto di recesso, potendo inoltre in detta ipotesi essere fatte valere, indipendentemente dalla gravità dell’inadempimento, anche le ragioni di danno — relative al rapporto — sorte anteriormente ma non quelle conseguenti all’estinzione del contratto per recesso, poiché queste ultime non trovano causa nell’inadempimento del debitore. (Fattispecie relativa al contratto atipico di concessione di vendita). 

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Cass. civ. n. 11967/2004

In un contratto a prestazioni corrispettive, qualora la rinunzia all’azione di risoluzione venga ravvisata in un comportamento di effettiva esecuzione del contratto, posto in essere dal rinunziante ed accettato dall’altra parte, non assume rilievo la regola prevista dall’art. 1453, terzo comma, c.c., secondo cui il debitore inadempiente non può più adempiere dopo che sia stata chiesta la risoluzione, poiché si tratta di norma a carattere dispositivo. Pertanto, nulla vieta che il creditore, nell’ambito delle facoltà connesse all’esercizio dell’autonomia privata, possa accettare l’adempimento della prestazione, successivo alla domanda di risoluzione, rinunciando agli effetti della stessa, anche quando questa si sia già verificata per una delle cause previste dalla legge (artt. 1454, 1455, 1457 c.c.), o per effetto di pronuncia giudiziale (art. 1453 c.c.).

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Cass. civ. n. 10490/2004

In caso di proposizione della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento prima che si verifichi l’esigibilità della prestazione, se questa diviene esigibile nel corso del giudizio e il convenuto non adempia, egli non si sottrae ad una pronuncia di risoluzione, essendo l’inadempimento una condizione dell’azione che può maturare in corso di causa e fino al momento della sentenza.

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Cass. civ. n. 6450/2004

L’esecutività della sentenza del tribunale amministrativo regionale di annullamento del provvedimento presupposto del contratto ad evidenza pubblica già stipulato (nella specie, di nomina a direttore generale di ASL) determina immediatamente l’inefficacia dell’atto negoziale, con la conseguenza che, riformata in appello la sentenza di primo grado, non è configurabile, in relazione alla mancata esecuzione del contratto nelle more, un inadempimento imputabile all’ente pubblico (che è parte vittoriosa nel giudizio amministrativo), fonte di danno risarcibile per il contraente privato, dovendosi il pregiudizio ricondurre all’esercizio del potere giurisdizionale, non suscettibile di ristoro fuori delle ipotesi specificamente contemplate dall’ordinamento.

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Cass. civ. n. 6161/2004

Il secondo comma dell’art. 1453 c.c. deroga alle norme processuali che vietano la mutatio libelli nel corso del processo nel senso di consentire la sostituzione della domanda di adempimento del contratto con quella di risoluzione per inadempimento, non già anche con quella di risarcimento del danno (fatto “salvo in ogni caso” dal primo comma), la quale integra un’azione del tutto diversa per petitum dalle altre due, con la conseguenza che urta contro tale divieto, e quindi è inammissibile, la domanda di risarcitoria introdotta in corso di causa, in luogo di quella (iniziale) di adempimento. (Fattispecie relativa alla domanda di alcuni piloti di declaratoria della costituzione del rapporto dalla data di ammissione al corso di addestramento, ovvero da quella di sei mesi da essa, e al pagamento delle connesse differenze retributive, mutata in corso di causa nella richiesta del risarcimento del danno per l’incidenza della retrodatazione della costituzione del rapporto sull’anzianità di servizio).

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Cass. civ. n. 5964/2004

In tema di inadempimento contrattuale, l’eccezione di improponibilità della domanda in tema di adempimento ai sensi dell’art. 1453 c.c. (per essere stata in precedenza chiesta la risoluzione del contratto), essendo fondata su una norma posta nell’esclusivo interesse dell’altra parte contraente, può essere sollevata solo da quest’ultima e nel rispetto delle previste preclusioni, dovendo pertanto escludersi che possa essere rilevata d’ufficio ovvero dedotta per la prima volta in sede di legittimità.

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Cass. civ. n. 4415/2004

Nell’ambito del contratto preliminare, qualora la promessa di vendita sia sottoposta alla condizione sospensiva del rilascio di un benestare da parte di una autorità amministrativa, finché l’evento dedotto in condizione non si verifica l’obbligazione di trasferire la proprietà del bene rimane sospesa, ed il relativo lasso di tempo non può essere considerato ritardo imputabile ai fini del giudizio sulla sussistenza o dell’inadempimento e sulla gravità. (Nel caso di specie, la società autostrade aveva promesso in vendita alcuni terreni ma prima della conclusione del contratto definitivo era necessario il placet da parte dell’Anas).

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Cass. civ. n. 3378/2004

Anche quando la parte convenuta in giudizio per la risoluzione di un contratto per inadempimento risulti, con riferimento all’epoca della domanda giudiziale, non essere adempiente per inesigibilità, a quella data, della prestazione dedotta in giudizio, la sopravvenuta esigibilità di questa in corso di causa, senza che il convenuto l’adempia, comporta la rilevanza della sopravvenuta inadempienza ai fini della pronuncia di risoluzione, costituendo l’inadempimento, agli effetti della risoluzione del contratto, una condizione dell’azione che, in quanto tale, è sufficiente che sussista al momento della sentenza.

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Cass. civ. n. 2992/2004

Deve escludersi che costituisca requisito essenziale per l’accoglimento della domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento, a prescindere dalla difesa del convenuto, l’aver l’attore eseguito la prestazione a suo carico, o l’aver offerto l’esecuzione della prestazione, in quanto tale requisito non è previsto dall’art. 1453 c.c.; soltanto ove fi convenuto sollevi eccezione di inadempimento o proponga a sua volta domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento della controparte, ampliando il thema decidendum, occorrerà accertare, nell’ambito di una valutazione comparativa degli inadempimenti reciprocamente dedotti dalle parti, s e colui che ha introdotto in giudizio la domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. sia a sua volta inadempiente rispetto agli obblighi contrattualmente assunti. Nel valutare la sussistenza o meno di un inadempimento contrattuale, occorre interpretare le clausole contrattuali e valutare il comportamento delle parti nell’esecuzione del contratto anche in relazione al rispetto da parte dei contraenti dei doveri di correttezza e buona fede. (Nel caso di specie, in particolare, la S.C. ha ritenuto che la corte di merito non avesse adeguatamente indagato se l’obbligo della alienante di procurare la cancellazione dei vincoli gravanti sull’immobile, previsto nel contratto come coincidente al più tardi con la data del rogito notarile, avrebbe dovuto in realtà essere adempiuto in epoca precedente, e comunque in tempo utile per consentire l’eventuale concessione ed erogazione del mutuo fondiario in favore dei promittenti acquirenti, essendo tale concessione subordinata alla possibilità di iscrivere garanzia ipotecaria sul predetto bene).

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Cass. civ. n. 12644/2003

Ove il ricorrente proponga mia domanda di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale e alleghi fatti rilevanti ai fini sia di una pronuncia dichiarativa dell’avvenuta risoluzione automatica ai sensi dell’art. 1454 c.c., sia di una pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 1453 c.c., la menzione esclusiva, nel ricorso introduttivo del giudizio, dell’art. 1454 c.c. non preclude al giudice il potere-dovere di delibare la domanda ex art. 1453 c.c., trattandosi di domanda minore contenuta in quella più ampia ex art. 1454 c.c.

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Cass. civ. n. 7829/2003

In tema di risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la parte adempiente abbia proposto domanda di risoluzione e di risarcimento dei danni da inadempimento, non limitandosi a chiedere la condanna generica, il danno può essere liquidato esclusivamente se la parte che si assume danneggiata fornisca la prova della sua effettiva esistenza.

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Cass. civ. n. 5313/2003

In tema di contratti, le domande giudiziali di annullamento e di risoluzione possono essere proposte in via alternativa perché, sebbene entrambe aventi ad oggetto lo scioglimento di un vincolo giuridico, sono affidate ad azioni distinte e basate su presupposti diversi, tuttavia non possono essere considerate tra loro incompatibili in base al principio logico di non contraddizione. Ne consegue che la scelta tra l’azione di annullamento e quella di risoluzione di un contratto o anche del loro esercizio alternativo nel processo rientra nel potere discrezionale della parte.

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Cass. civ. n. 940/2003

Il divieto di premi in danaro in concorsi banditi da privati, posto dall’art. 51 del R.D.L. 19 ottobre 1938, n. 1933, convertito in legge 5 giugno 1939, n. 973, opera soltanto sul piano della necessaria autorizzazione amministrativa e non svolge alcuna influenza sul rapporto fra il soggetto che ha bandito il concorso ed il soggetto vincitore, sicché a tale rapporto si applicano tutte le norme ed i principi in tema di obbligazioni e, in particolare, quelli in tema di risarcimento del danno in forma pecuniaria, in caso di inadempimento dell’obbligazione di consegna, a titolo di premio, di beni mobili determinati. La reintegrazione del diritto leso mediante il risarcimento in danaro rappresenta infatti, alla luce dei principi posti dall’art. 24 Cost., un naturale e necessario mezzo per assicurare, in via giurisdizionale, la tutela dell’interesse sostanziale che non ha ottenuto, o non può ottenere, soddisfacimento attraverso la prestazione cui il soggetto si era originariamente obbligato, di talché la sua negazione si traduce nell’esclusione della pienezza della tutela del diritto, la quale va assicurata non solo con gli strumenti processuali, ma anche, e soprattutto, sul piano sostanziale.

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Cass. civ. n. 16291/2002

Ai fini della risoluzione del contratto, l’art. 1453 c.c. richiede chela responsabilità del debitore per il ritardo nell’adempimento sia imputabile a dolo o colpa, non essendo sufficiente che lo stesso sia stato diffidato ad adempiere ex art. 1454 c.c. mediante richiesta fatta per iscritto dal creditore. Ne consegue che, ove ricorrano circostanze obiettivamente apprezzabili, idonee a far escludere l’elemento psicologico, l’inadempimento deve essere ritenuto incolpevole e non può pronunziarsi la risoluzione del contratto.

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Cass. civ. n. 14744/2002

In caso di inadempimento del contratto, la parte adempiente può chiedere, oltre alla risoluzione dello stesso, anche il risarcimento del danno, fermo rimanendo che, se lo scioglimento anticipato del rapporto è di per sé un evento potenzialmente generatore di danno, occorre, tuttavia, che la parte adempiente ne provi l’esistenza. Peraltro, le spese erogate in adempimento di un obbligo contrattuale non possono rappresentare, in caso di risoluzione, un danno, trovando la loro causa non già nell’inadempimento, ma unicamente nel contratto, salvo il caso in cui dette spese, per effetto dell’inadempimento di controparte e della risoluzione, si rivelassero, in tutto o in parte, inutili e non suscettibili di un qualunque proficuo risultato.

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Cass. civ. n. 13925/2002

Nell’azione di adempimento, qualora il creditore eccepisca non un inesatto adempimento ma un integrale inadempimento, è tenuto soltanto a provare l’esistenza del titolo, mentre incombe sul debitore l’onere di fornire la prova di avere adempiuto e, quindi, anche la corrispondenza dell’oggetto della prestazione resa, a quello pattuito.

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Cass. civ. n. 27/2002

Nei contratti con prestazioni corrispettive non è consentito al giudice del merito di pronunciare la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453 c.c. odi ritenerne la legittimità del rifiuto di adempiere a norma dell’art. 1460 stesso codice, in favore di entrambe le parti, perché la valutazione della colpa nell’inadempimento ha carattere unitario e l’inadempimento deve essere addebitato esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento colpevole prevalente, abbia alterato il nesso di reciprocità che lega le obbligazioni assunte con il contratto, dando causa al giustificato inadempimento dell’altra parte.

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Cass. civ. n. 13533/2001

In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’inadempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento. (Nell’affermare il diritto di principio che precede, le SS.UU. della Corte hanno ulteriormente precisato che esso trova un limite nell’ipotesi di inadempimento delle obbligazioni negative, nel qual caso la prova dell’inadempimento stesso è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l’adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento).

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Cass. civ. n. 4123/2001

Il principio dettato dall’art. 1453 c.c. che riconosce al creditore il diritto di domandare la risoluzione del contratto per inadempimento del debitore anche quando sia stato domandato l’adempimento, non soffre eccezioni neppure nel caso in cui il creditore, prima di agire per la risoluzione, abbia agito in executivis contro il debitore sulla base di titoli rilasciati da costui, non essendo l’azione esecutiva quale risulta delineata dagli artt. 2740 e 2910 c.c. un’azione di adempimento (ovvero di esecuzione specifica del contratto), ma soltanto un’azione che, sulla base di uno specifico titolo, mira a far conseguire al creditore, attraverso l’aggressione immediata del patrimonio del debitore inadempiente, quel risultato che egli non ha potuto direttamente conseguire dal debitore attraverso l’esatto adempimento.

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Cass. civ. n. 1457/2000

Nel giudizio di risarcimento danni da inadempimento contrattuale, qualora il convenuto sollevi eccezione d’inadempimento, per stabilire il riparto dell’onere della prova occorre distinguere: a) se il convenuto eccepisca l’integrale inadempimento delle proprie obbligazioni da parte dell’attore (excpetio inadimpleti contractus), quest’ultimo ha l’onere di provare di avere esattamente adempiuto; b) se, invece, il convenuto si limiti ad eccepire un inadempimento soltanto parziale (exceptio non rite adimpleti contractus), è l’eccipiente stesso che ha l’onere di dimostrare l’inesattezza dell’altrui adempimento. 

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Cass. civ. n. 4164/1999

La previsione del secondo comma dell’art. 1453 c.c., in forza della quale è possibile, in deroga alle norme processuali che dispongono il divieto della mutatio libelli nel corso del processo, la sostituzione — anche in appello ed eventualmente in sede di giudizio di rinvio — della domanda di risoluzione per inadempimento a quella originaria di adempimento del contratto, non può essere estesa al caso in cui la domanda originaria abbia avuto ad oggetto il risarcimento del danno, che integra un’azione avente un petitum del tutto diverso sia dalla domanda di adempimento che da quella di risoluzione. Ne consegue che l’introduzione della domanda di risoluzione nel corso del giudizio, in aggiunta all’originaria domanda risarcitoria, urta contro il suddetto divieto e la domanda di risoluzione dev’essere dichiarata inammissibile, non rilevando, peraltro, in contrario che all’atto della proposizione della domanda risarcitoria si fosse fatta espressa riserva di chiedere la risoluzione del contratto, equivalendo tale riserva a mancata proposizione della relativa domanda.

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Cass. civ. n. 2382/1999

Lo scioglimento del contratto conseguente al legittimo esercizio della relativa facoltà da parte di uno dei contraenti ha efficacia soltanto “ex nunc”, e produce, pertanto, la caducazione delle obbligazioni scaturenti dal contratto ormai non più esistente con riguardo alla prosecuzione del rapporto, ma non anche ad eventuali aspetti di responsabilità derivanti dal non corretto adempimento di prestazioni in precedenza già eseguite, le quali, attesane la indiscutibile autonomia funzionale, sono idonee ad incidere, ”
ex se”, su specifici interessi (di ciascuno dei contraenti) diversi da quello cui tende l’effetto finale del contratto. Ne consegue, con riguardo ad un preliminare di vendita immobiliare, che, ove l’obbligo di consegna dell’immobile, previsto per un’epoca precedente la stipula del contratto definitivo, sia stato adempiuto con ritardo, ma anteriormente all’esercizio della facoltà di sciogliersi dal contratto da parte del promissario acquirente (cui era, nella specie, subentrato il curatore fallimentare), tale inadempimento deve ritenersi di per sé idoneo a produrre un danno, con conseguente insorgenza del diritto all’eventuale risarcimento.

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Cass. civ. n. 12396/1998

L’istanza di risoluzione di un contratto di compravendita per inadempimento dell’acquirente non trova ostacolo nella sopravvenienza del fallimento del convenuto qualora essa risulti «quesita», prima della sentenza dichiarativa del fallimento stesso, attraverso la trascrizione della relativa domanda giudiziale, non potendosi essa legittimamente iscrivere, ex art. 24 legge fallimentare, nel novero delle «azioni derivanti dal fallimento» assoggettate alla vis actrativa della relativa procedura. L’eventuale (e connessa) domanda di accertamento del diritto al risarcimento del danno, avendo ad oggetto una pretesa necessariamente assoggettata alla regola del concorso, non può, per converso, sopravvivere, in sede ordinaria, alla dichiarazione di fallimento, e deve essere fatta valere, previa separazione delle cause, nelle forme di cui agli artt. 93 seguenti della legge fallimentare, mentre la domanda principale di risoluzione prosegue, del tutto legittimamente, con il rito ordinario per la relativa decisione nel merito.

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Cass. civ. n. 5870/1998

E inadempiente il promissario compratore che, invocando il principio inadimplenti non est adimplendum, rifiuta la stipula del contratto definitivo di acquisto di un appartamento in un edificio di nuova costruzione perché non è previsto il contestuale trasferimento del diritto reale di uso per il parcheggio, in quanto da un lato il promittente venditore non perciò è inadempiente agli impegni assunti con il contratto, né a suo carico sorge il relativo obbligo di trasferimento ex lege; dall’altro il preliminare non è radicalmente nullo, bensì in parte qua, e la sostituzione di diritto della clausola nulla con la norma imperativa, che trasferisce il reclamato diritto reale di uso sull’area destinata a parcheggio, avviene non automaticamente, ma per effetto dell’accertamento giudiziale della nullità relativa per contrasto con la individuata norma imperativa, integrativa del contratto.

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Cass. civ. n. 4361/1998

L’esercizio dello jus variandi di cui all’art. 1453 è consentito quando la domanda di risoluzione e quella d’adempimento sono proposte nello stesso giudizio in via subordinata. Non altrettanto può dirsi quando la manifestazione di volontà del contraente che agisce per la risoluzione e per l’adempimento avviene non contestualmente ma in separati giudizi. Infatti, la manifestazione di volontà diretta alla risoluzione del contratto è dalla legge valutata come mancanza in chi la emette di un interesse a conseguire la prestazione tardiva, e, per l’affidamento che essa determina, non può vincolare l’altra parte ad attendere l’esito anche delle azioni successivamente proposte nei suoi confronti.

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Cass. civ. n. 2072/1998

In tema di contratti e prestazioni corrispettive, ove la domanda di adempimento sia stata rigettata con sentenza passata in giudicato, non è preclusa la possibilità di agire nuovamente in giudizio chiedendo la risoluzione del medesimo contratto, sempre che a fondamento di detta domanda sia dedotto un inadempimento diverso da quello fatto valere con la domanda di adempimento.

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Cass. civ. n. 376/1998

È inaccoglibile la domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento di un contratto a prestazioni corrispettive proposta nei confronti della controparte inadempiente che sia stata, nelle more, dichiarata fallita, potendo conseguire, ad una eventuale pronuncia di accoglimento, effetti restitutori e risarcitoci lesivi del generale principio della par condicio imposta, al contrario, dalla procedura concorsuale previa cristallizzazione delle posizioni giuridiche di ciascun creditore. Non è idonea a costituire eccezione a tale principio la domanda di risoluzione contrattuale fondata su di una clausola risolutiva espressa riferita ad un inadempimento verificatosi in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, se la domanda medesima risulti proposta dopo l’apertura della procedura fallimentare.

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Cass. civ. n. 7480/1997

L’eccezione inadimpleti contractus consente non solo di paralizzare la domanda di adempimento della controparte, ma pure di escludere il diritto della controparte di fare accertare o di domandare la risoluzione del contratto.

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Cass. civ. n. 4013/1995

In tema di preliminare di compravendita di cosa di proprietà del promittente venditore al momento della conclusione del preliminare, il sopravvenire dell’altruità della cosa per effetto di successiva vendita della stessa ad opera del promittente medesimo costituisce definitivo e totale inadempimento di quest’ultimo tale da legittimare la domanda di risoluzione del promissario acquirente, il quale in detta ipotesi risulta altresì privato della possibilità di chiedere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto ossia di ottenere una sentenza con effetti immediatamente traslativi ex art. 2932 c.c.

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Cass. civ. n. 2347/1995

Nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche è necessario far luogo ad un giudizio di comparazione in ordine al comportamento di ambo le parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma; tale accertamento, prendendo le mosse dalla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato.

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Cass. civ. n. 1457/1995

Il divieto posto dall’art. 1453 c.c. di chiedere l’adempimento una volta domandata la risoluzione del contratto, non può essere inteso in senso assoluto, ma è operante soltanto nei limiti in cui esiste l’interesse attuale del contraente, che ha chiesto la risoluzione, alla cessazione del rapporto, per modo che, quando tale interesse viene meno, per essere stata rigettata o dichiarata inammissibile la domanda di risoluzione, la preclusione non opera, essendo cessata la ragione del divieto. Da ciò consegue che le due domande, di risoluzione e di adempimento, possono essere proposte, in via subordinata, anche nello stesso giudizio.

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Cass. civ. n. 10217/1994

In presenza di reciproche domande di risoluzione, fondate da ciascuna parte su addebiti di determinati adempimenti dell’altra, al giudice — il quale accerti l’infondatezza di tali scambievoli addebiti e non possa, quindi, pronunciare la risoluzione per colpa di nessuna delle parti — non resta altro che dare atto dell’impossibilità di esecuzione del contratto per effetto della scelta, operata ex art. 1453, comma 2, c.c. da entrambi i contraenti, e decidere, di conseguenza, quanto agli effetti risolutori di cui all’art. 1458 c.c. ed, in particolare, alla restituzione della caparra.

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Cass. civ. n. 9802/1994

La violazione del dovere di buona fede in sede di stipulazione del contratto, che ricorre anche nel caso di omessa comunicazione di circostanze significative rispetto alla economia del contratto e può dar luogo a responsabilità precontrattuale, ai sensi degli artt. 1337-1338-1427 c.c., non può essere dedotta a fondamento della domanda di risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, la quale, ai sensi dell’art. 1453 c.c., si lega solo all’inadempimento di una specifica obbligazione negoziale e presuppone, quindi, un regolamento negoziale che astringa la parte a tenere una determinata condotta ed una successiva violazione delle obbligazioni nascenti da questo contratto.

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Cass. civ. n. 6887/1994

Il contraente adempiente ha diritto di chiedere il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento o all’inesatto adempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto, ai sensi dell’art. 1453, comma 1, ultima parte, c.c., «in ogni caso» e, cioè, sia quando egli chieda anche la risoluzione del contratto sia quando rivendichi la relativa esecuzione ed anche quando le conseguenze dell’inadempimento siano ancora eliminabili o fattualmente eliminate, per cui la pretesa risarcitoria è accoglibile solo in relazione al pregiudizio realizzato nel tempo dell’inadempimento e fino alla cessazione di questo.

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Cass. civ. n. 4830/1994

La disposizione dell’art. 1453 comma secondo c.c. la quale in deroga agli artt. 183, 184, 345 c.p.c. consente di sostituire all’originaria domanda di esecuzione del contratto quella di risoluzione per inadempimento, trova applicazione anche nel caso in cui la condanna all’adempimento sia stata pronunciata con sentenza passata in giudicato, sempre che questa non abbia avuto esecuzione per essere proseguito l’inadempimento.

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Cass. civ. n. 8192/1993

La disposizione dell’art. 1453, secondo comma, c.c. secondo cui nei contratti con prestazioni corrispettive la risoluzione può essere domandata anche quando inizialmente sia stato chiesto l’adempimento, fissa un principio di contenuto processuale in virtù del quale sono derogate le norme che vietano la mutatio libelli nel corso del processo e quindi la parte che ha invocato la condanna dell’altra ad adempiere ben può sostituire a tale pretesa quella di risoluzione, non solo per tutto il giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio d’appello, sempre che non alleghi distinti fatti costitutivi, cioè degli inadempimenti diversi da quelli posti a base della pretesa originaria.

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Cass. civ. n. 6906/1993

La domanda di risoluzione di un contratto, costituendo legittimo esercizio del potere di chiedere al giudice la tutela giurisdizionale di una situazione giuridica nascente dal contratto stesso, non manifesta, di per sé, il proposito della parte di non adempiere la propria obbligazione e non può, conseguentemente, giustificare, in mancanza di effettivo inadempimento, la risoluzione per fatto a questa imputabile.

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Cass. civ. n. 5838/1993

Posto che il secondo comma dell’art. 1453 c.c., per cui non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione, è posto nell’interesse della parte convenuta inadempiente, cui vuole evitare di dover programmare insieme la restituzione della prestazione ricevuta (effetto derivante dalla pronuncia di risoluzione, ex art. 1458 c.c.) e l’adempimento di quella corrispettiva fin lì mancata, la violazione di tale disposizione non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere eccepita da parte convenuta.

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Cass. civ. n. 1698/1993

Il mutamento della domanda di adempimento in quella di risoluzione, costituendo esercizio di una facoltà riconosciuta dalla legge (art. 1453 comma secondo c.c.), non richiede l’accettazione del contraddittorio della controparte né, per altro verso, la sottoscrizione, da parte del soggetto interessato o del suo speciale procuratore, della relativa domanda, che rientra nei poteri del procuratore alle liti; tale mutamento preclude la successiva domanda di adempimento dato che il comportamento del contraente che chiede senza riserve la risoluzione del contratto per l’inadempienza della controparte è valutato dall’art. 1453 comma secondo c.c. come manifestazione della mancanza di interesse al conseguimento della prestazione tardiva, con la conseguenza che, qualora il giudice non pronunci la risoluzione del contratto, l’obbligazione del contraente convenuto deve ritenersi comunque estinta.

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Cass. civ. n. 1595/1993

Nei contratti a prestazioni corrispettive (nella specie, vendita) l’adempimento tardivo di una parte può essere legittimamente rifiutato dall’altra parte adempiente anche nel caso in cui quest’ultima non abbia ancora proposto la domanda per conseguire la risoluzione del contratto, salva la valutazione da parte del giudice della non scarsa importanza dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c., dovendosi escludere che l’opposto principio possa farsi derivare dalla disposizione dell’art. 1453 ultimo comma (secondo cui l’inadempiente non è più ammesso ad adempiere dopo la domanda di risoluzione), perché in tal modo si consentirebbe alla parte inadempiente di modificare a suo arbitrio e senza il concorso dell’altra parte la situazione a lei sfavorevole da essa stessa determinata.

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Cass. civ. n. 8199/1991

La formale costituzione in mora del debitore è prescritta dalla legge per determinati effetti, tra cui preminente è quello del carico al debitore medesimo del rischio della sopravvenuta impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile, ma non già al fine della risoluzione del contratto per inadempimento, essendo sufficiente per ciò il fatto obiettivo dell’inadempimento di non scarsa importanza.

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Cass. civ. n. 6880/1991

L’art. 1453 comma terzo non introduce per il convenuto un divieto assoluto di adempimento dopo la proposizione della domanda di risoluzione ma si limita a sancire l’inefficacia di un adempimento tardivo a sanare o a lenire le conseguenze del pregresso inadempimento posto a base della domanda nell’implicito presupposto che questo sia sussistente e che quindi il creditore non abbia più interesse all’adempimento. Ne consegue che se l’obbligazione debba, per accordo fra le parti, essere adempiuta a più riprese, abbia cioè più scadenze, e la domanda di risoluzione sia stata proposta quando non tutte le scadenze si siano verificate, il cennato disposto dell’art. 1453 si applica esclusivamente alle prestazioni già scadute, riguardo alle quali soltanto il giudice potrà accertare se vi sia stato inadempimento imputabile al debitore, e non alle prestazioni ancora da scadere, rispetto alle quali il comportamento del debitore non è ancora suscettibile di valutazione in termini di inadempimento, con la conseguenza che rispetto a queste ultime l’eventuale inadempienza sopravvenuta in corso di causa va anch’essa considerata e valutata dal giudice, se dedotta anche implicitamente dalla controparte, ai fini della pronuncia di risoluzione.

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Cass. civ. n. 4762/1991

In tema di risoluzione per inadempimento non è ammissibile una caducazione parziale del contratto quanto all’oggetto, ossia per una sola parte della prestazione, salvo che il contratto stesso sia ad esecuzione continuata o periodica (nel qual caso trova applicazione l’art. 1458, comma primo, c.c.). Il contratto, infatti, è unico, e l’impossibilità di restituire l’oggetto nel suo stato originario esclude la risoluzione, non solo quando l’impossibilità sia totale, ma anche quando sia parziale non essendo più possibile l’esatta rimessione in pristino. In tale caso ne consegue che il contratto permane in toto, salvo, per la parte adempiente, di chiedere — ove non si siano verificate preclusioni di ordine sostanziale o processuale — la riduzione della propria prestazione, ed il risarcimento del danno nel caso di colpa della controparte.

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Cass. civ. n. 8955/1990

Il divieto per il debitore di adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda di risoluzione (art. 1453, terzo comma, c.c.) — divieto che si basa sulla mancanza di interesse del creditore ad ottenere l’adempimento — non è assoluto, presupponendo la fondatezza di tale domanda in base ai fatti dedotti, con la conseguenza che nel caso in cui la domanda non sia fondata, per cui il comportamento del debitore anteriore alla domanda non giustifichi il disinteresse del creditore all’adempimento, lo stesso debitore non è esonerato dall’obbligo di adempiere (o di farne congrua offerta), potendo il suo persistente atteggiamento negativo trasformare il suo precedente inadempimento non grave in inadempimento grave, e perciò tale da legittimare l’accoglimento della domanda di risoluzione.

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Cass. civ. n. 7875/1990

Nei contratti con prestazioni corrispettive, ove sottoposti a condizione risolutiva, la rilevanza del comportamento dei contraenti con riguardo all’inadempimento delle prestazioni a carico di ciascuno di essi ed al conseguente diritto della parte adempiente ad ottenere in giudizio la risoluzione del contratto medesimo, resta subordinata al mancato verificarsi dell’evento condizionante, con la conseguenza che avveratosi tale evento il venir meno ex tunc dell’efficacia interinalmente prodotta dal contratto preclude al giudice di prendere in considerazione le imputate inadempienze ai fini della domanda di risoluzione e di pronunciarsi sulla stessa, ancorché la domanda di accertamento dell’avveramento della condizione risolutiva apposta al contratto sia stata avanzata in giudizio subordinatamente rispetto a quelle di risoluzione per inadempimento.

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Cass. civ. n. 962/1989

L’art. 1453 secondo comma c.c., il quale consente alla parte adempiente di chiedere la risoluzione del contratto anche quando il giudizio sia stato promosso per ottenere l’adempimento della controparte, introduce una deroga al divieto della mutatio libelli nel corso del processo e, quindi, anche al divieto di domanda nuova in appello, limitatamente al petitum, non anche alla causa petendi. Detta risoluzione, pertanto, al pari del risarcimento dei danni conseguenziali, non può essere richiesta per la prima volta nel giudizio di gravame, sulla base di un distinto fatto costitutivo, cioè di un inadempimento diverso da quello posto a base della pretesa originaria.

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Cass. civ. n. 6959/1988

Nei contratti a prestazioni corrispettive (nella specie: vendita) l’adempimento tardivo di una delle parti non pregiudica il diritto dell’altra parte non inadempiente di chiedere successivamente la risoluzione del contratto, salva in ogni caso la valutazione del giudice in ordine alla non scarsa importanza dell’inadempimento.

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Cass. civ. n. 2435/1988

Qualora un contraente comunichi la dichiarazione di recesso con contestuale richiesta di restituzione della somma versata a titolo di anticipo (o caparra) e di rimborso delle spese sostenute ed il contraente asserito inadempiente comunichi anch’esso la volontà di recedere – pur attribuendo l’inadempimento all’altra parte – e la disponibilità alla restituzione delle somme richieste, si verifica la risoluzione del contratto atteso che le due dichiarazioni di recesso – pur non determinando un accordo negoziale risolutorio, come nell’ipotesi del mutuo consenso, in quanto muovono da premesse contrastanti – sono tuttavia dirette all’identico scopo dello scioglimento del contratto e della restituzione delle somme versate, con la conseguenza che resta preclusa la domanda di adempimento successivamente proposta da uno dei contraenti.

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Cass. civ. n. 4325/1987

Il mutamento in corso di giudizio della domanda di adempimento in quella di risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 1453 c.c., ove resti nell’ambito dei fatti posti a base dell’inadempienza dedotta non introduce un nuovo tema di indagine, onde ai fini dell’accoglimento della domanda di risoluzione ben possono trarsi elementi dalla mancata risposta della parte all’interrogatorio formale, ancorché tale mezzo istruttorio sia stato formulato con riferimento all’iniziale domanda di adempimento.

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Cass. civ. n. 20/1987

L’accettazione, da parte del creditore, dell’adempimento parziale — che, a norma dell’art. 1181 c.c., egli avrebbe potuto rifiutare — non estingue il debito, ma semplicemente lo riduce, non precludendo conseguentemente al creditore stesso di azionare la risoluzione del contratto, né al giudice di dichiararla, ove la parte residuale del credito rimasta scoperta sia tale da comportare ugualmente la gravità dell’inadempimento.

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Cass. civ. n. 2500/1986

Al fine della risoluzione del contratto a norma dell’art. 1453 c.c., la costituzione in mora della parte inadempiente, mentre può essere necessaria, in presenza di un inadempimento temporaneo, per escludere una presunzione di tolleranza della controparte a fronte dell’inosservanza di un termine non essenziale, non è richiesta nel caso di inadempimento di tipo definitivo (salva la sua rilevanza al diverso scopo, oltre che del risarcimento del danno, dell’assunzione del rischio per la sopravvenuta impossibilità della prestazione, ai sensi dell’art. 1221 c.c.). Poiché nella fase di esecuzione del contratto le parti, al fine di conservare integre le reciproche ragioni, devono comportarsi con correttezza e secondo buona fede, anche la mera inerzia cosciente e volontaria, che sia di ostacolo al soddisfacimento del diritto della controparte, ripercuotendosi negativamente sul risultato finale avuto di mira nel regolamento contrattuale degli opposti interessi, contrasta con i doveri di correttezza e di buona fede e può configurare inadempimento. (Nella specie, la S.C., in applicazione del surriportato principio, ha ritenuto che correttamente la corte del merito aveva ravvisato l’inadempimento del promittente venditore, che aveva omesso di espletare tempestivamente le pratiche amministrative richieste per il rilascio della licenza edilizia, necessaria per la costruzione dell’edificio in cui era compreso l’appartamento oggetto del preliminare di vendita, tenendo conto che, pur in difetto di un termine convenzionale per il compimento di quelle pratiche, la suddetta inerzia aveva superato congrui limiti di tolleranza).

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Cass. civ. n. 1588/1986

L’art. 1453 terzo comma c.c., il quale prevede che dopo la domanda di risoluzione per inadempimento il convenuto non può più adempiere, riguarda il caso in cui il convenuto medesimo sia già inadempiente al momento della domanda, e, pertanto, non osta a che possa essere eseguita la prestazione non ancora scaduta a detta data, restando in proposito irrilevante che l’attore abbia espresso il proprio sopravvenuto disinteresse all’adempimento.

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Cass. civ. n. 394/1986

Il principio per cui la parte che abbia prestato completa acquiescenza alla violazione di un obbligo contrattuale, continuando a dare piena attuazione al rapporto, non può addurre tale violazione come causa di inadempimento, per avervi sostanzialmente rinunziato, trova applicazione anche in presenza di una clausola e provoca la risoluzione del contratto quando abbia con il suo stesso comportamento rinunziato alla rigorosa e puntuale osservanza dei patti concordati od a determinate modalità inserite nel contratto.

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Cass. civ. n. 3516/1985

In tema di risoluzione del contratto per inadempimento (nella specie: di contratto di locazione per mutata destinazione della cosa locata), la sussistenza o meno dell’elemento soggettivo va accertata specificamente, sulla scorta delle risultanze processuali ed in base alle deduzioni delle parti, con riferimento alla natura ed all’oggetto del contratto, alle modalità del concreto svolgimento del rapporto ed all’interesse delle parti stesse. Conseguentemente l’inadempimento può essere ritenuto incolpevole solo ove emergano concrete e precise circostanze idonee ad escludere l’elemento qualificante la condotta dell’obbligato, a termini. dell’art. 1218 c.c. non bastando al riguardo il mero convincimento dello stesso senza alcun riscontro nella realtà accertata.

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Cass. civ. n. 3058/1985

L’art. 1453 ultimo comma c.c., il quale non consente alla parte inadempiente di eseguire la prestazione dopo che l’altra parte abbia proposto domanda di risoluzione, postula che l’inadempienza sia colposa e grave, sì da giustificare la risoluzione, e, pertanto, non vale ad escludere la possibilità di un adempimento tardivo quando la risoluzione stessa sia stata chiesta senza il concorso dei predetti requisiti.

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Cass. civ. n. 4020/1984

L’inadempimento, affinché possa avere effetto risolutorio, deve essere valutato non soltanto in ordine all’elemento obiettivo in cui si concreta la violazione contrattuale, ma anche in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo, che qualifica la stessa violazione e consiste nell’effettiva volontà del debitore di sottrarsi ingiustamente alla prestazione dovuta. Ma perché tale volontà manchi, rendendo l’inadempimento non imputabile al debitore, è necessario che questi abbia usato la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176 c.c.), senza essere sufficiente la sola buona fede circa l’apprezzamento della propria condotta se questa non coincida con l’esaurimento di tutte le possibilità di adempiere l’obbligazione secondo la normale diligenza potendo la colpa, a differenza del dolo, sussistere anche in caso di errore, per non avere usato la diligenza che avrebbe preservato dal cadere nell’errore.

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Cass. civ. n. 7078/1983

Al fine della proponibilità della domanda di adempimento del contratto a prestazioni corrispettive, l’ostacolo costituito del precedente esperimento di azione per la risoluzione del contratto medesimo (art. 1453 secondo comma c.c.) viene meno a seguito della declaratoria d’estinzione del giudizio inerente a tale domanda risolutoria.

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Cass. civ. n. 3328/1983

La colpa dell’inadempiente, quale presupposto per la risoluzione del contratto, è presunta sino a prova contraria e tale presunzione è destinata a cadere solo a fronte di risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che quest’ultimo, nonostante l’uso della normale diligenza, non sia stato in grado di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per causa a lui non imputabili. (Principio enunciato in tema di inadempimento del pagamento del canone locatizio).

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Cass. civ. n. 3827/1982

La materiale impossibilità di specifica reintegrazione delle posizioni giuridiche anteriori al contratto non pregiudica l’esperibilità e il favorevole esito dell’azione di risoluzione per inadempimento, potendo ciò comportare soltanto che la reintegrazione patrimoniale avvenga per equivalente pecuniario, secondo il principio pretium succedit in locum rei, attraverso una sostituzione oggettiva sancibile anche d’ufficio qualora – dall’accertamento riservato al giudice del merito risulti l’obiettiva impossibilità della restituzione specifica.

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Cass. civ. n. 385/1982

Ai fini della risoluzione del contratto per inadempimento, è necessaria la costituzione in mora allorché la relativa domanda si basi sulla mora in senso stretto, e cioè su un inadempimento temporaneo del debitore, il quale, pur non avendo fornito la sua prestazione entro il termine non essenziale contrattualmente fissato, si appresti tuttavia a fornirla.

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Cass. civ. n. 6635/1981

La tolleranza del creditore non può in alcun caso giustificare l’inadempimento e non comporta, per sé stessa, modificazione della disciplina contrattuale voluta dalle parti, non essendo possibile desumere una completa acquiescenza alla violazione di un obbligo contrattuale posta in essere dall’altro contraente né un consenso alla modificazione suddetta da un comportamento equivoco, come è normalmente quello di non avere preteso in passato l’osservanza dell’obbligo stesso, in quanto tale comportamento può essere ispirato da benevolenza piuttosto che essere determinato dalla volontà di modificazione del patto.

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Cass. civ. n. 6553/1981

La parte che presti acquiescenza all’inadempimento della controparte (nella specie: fissando un nuovo termine di adempimento, in luogo di quello originario, inutilmente decorso) non può chiedere la risoluzione del contratto, dovendosi ritenere che vi abbia tacitamente rinunciato.

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