Cass. civ. n. 15496 del 11 giugno 2008

Testo massima n. 1


Il licenziamento di un dirigente (non soggetto alla disciplina delle leggi nn. 604 del 1966 e 300 del 1970), per dar luogo ad un danno risarcibile secondo il diritto comune deve concretarsi per la forma o per le modalità del suo esercizio e per le conseguenze morali e sociali che ne derivano in un atto «ingiurioso» cioè lesivo della dignità e dell'onore del lavoratore licenziato, connotazione che non s'identifica, né va confusa con la mancanza di giustificazione e che non può essere presunta dovendo essere rigorosamente provata, ex art. 2697 c.c., da chi l'alleghi come causa del lamentato pregiudizio (di cui vanno parimenti dimostrati l'an e il quantum).

Testo massima n. 2


La nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente, per la particolare configurazione del rapporto di lavoro dirigenziale, non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo ex art. 1 della legge n. 604 dei 1966, potendo rilevare qualsiasi motivo, purché apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore. Ne consegue che anche la semplice inadeguatezza del dirigente rispetto ad aspettative riconoscibili ex ante o una importante deviazione del dirigente dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro, o un comportamento extralavorativo incidente sull'immagine aziendale possono, a seconda delle circostanze, costituire ragione di rottura del rapporto fiduciario e quindi giustificarne il licenziamento sul piano della disciplina contrattuale dello stesso, con valutazione rimessa al giudice di merito sindacabile, in sede di legittimità, solo per vizi di motivazione.

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