Art. 318 – Codice civile – Abbandono della casa del genitore
Il figlio, sino alla maggiore età o all'emancipazione, non può abbandonare la casa dei genitori o del genitore che esercita su di lui la responsabilità genitoriale né la dimora da essi assegnatagli. Qualora se ne allontani senza permesso, i genitori possono richiamarlo [358] ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare [344] [38].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 23010/2023
In tema di società in accomandita semplice, viola il divieto di concorrenza, previsto dall'art. 2301 c.c., l'accomandatario di una società di persone titolare di rapporto di agenzia di assicurazioni, che, dopo aver disdetto a nome della società il contratto di agenzia da essa intrattenuto, lo abbia poi assunto in proprio, procurando il trasferimento del portafoglio in capo ad una nuova società a lui riferibile, senza che il legittimo recesso dell'unico accomandatario, titolare del requisito della iscrizione all'albo degli agenti di assicurazione, possa in sé escludere l'esistenza di un danno, solo perché valido ed efficace.
Cass. civ. n. 8846/2023
Nel lavoro pubblico contrattualizzato, lo svolgimento della funzione di accomandatario di società in accomandita semplice costituisce incarico retribuito soggetto ad autorizzazione, ai sensi dell'art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, atteso che i proventi, quale che sia il "nomen" e la forma giuridica che assumono in ragione della disciplina societaria o fiscale, si producono in ragione dell'attività di amministrazione posta in essere, per lo svolgimento della quale la P.A. datrice di lavoro deve valutare la concedibilità dell'autorizzazione, verificando sia l'insussistenza di situazioni di conflitto d'interessi, sia l'impegno richiesto al dipendente in termini di energie intellettuali e lavorative.
Cass. civ. n. 26059/2022
In tema di amministrazione nella società in accomandita semplice, per effetto della regola per cui l'amministratore non può che essere un socio accomandatario, l'eventuale esclusione di questi dalla società, non diversamente da qualsiasi altra causa di scioglimento del rapporto sociale a lui facente capo, ne comporta "ipso iure" anche la cessazione dalla carica di amministratore.
Cass. civ. n. 18844/2016
In tema di società di persone, il ricorso all'autorità giudiziaria per ottenere una pronuncia di esclusione del socio è ammissibile, ex art. 2287, comma 3, c.c., esclusivamente ove la società sia composta soltanto da due soci, trovando altrimenti applicazione l'art. 2287, comma 1, c.c., ai sensi del quale detta esclusione può essere deliberata a maggioranza, senza che assuma alcun rilievo la circostanza che all'interno della compagine sociale siano eventualmente configurabili due gruppi di interesse omogenei e tra loro contrapposti e che il socio da escludere, in virtù del conflitto d'interessi nel quale versa, non possa esercitare il diritto di voto, dovendosi, in tal caso, la maggioranza necessaria computarsi non già sull'intero capitale sociale, bensì sulla sola parte che fa capo all'avente diritto al voto.
Cass. civ. n. 13805/2016
In tema di società in accomandita, la responsabilità del socio accomandatario per le obbligazioni contratte dalla società (nella specie relative ad IVA e IRAP) è illimitata e non circoscritta alle somme conferitegli in base al bilancio finale di liquidazione nonostante l'estinzione della società conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, atteso che tale evento non determina l'estinzione dell'obbligazione sociale, ma solo il suo trasferimento in capo ai soci, i quali ne rispondono secondo lo stesso regime di responsabilità vigente "pendente societate".
Cass. civ. n. 8982/1995
L'obbligazione contributiva in materia di previdenza e assistenza obbligatorie è indivisibile; pertanto, ai sensi dell'art. 1318 c.c., gli eredi del debitore sono tenuti singolarmente al pagamento dell'intero importo pecuniario dovuto dal loro dante causa.
Cass. civ. n. 9296/1994
Il potere di rappresentanza dell'amministratore di una Sas, in virtù del rinvio alle norme sulle società in nome collettivo contenuto nell'art. 2315 c.c., si estende, salve le limitazioni che risultano dall'atto costitutivo e dalla procura, a tutti gli «atti che rientrano nell'oggetto sociale» (art. 2298 c.c.) identificato nella attività imprenditoriale che i soci intendono svolgere per fine di lucro, e perciò agli atti, in cui si concreta tale attività; nell'ambito di questa, ove il potere di rappresentanza sia escluso o limitato dallo statuto o dalla procura per gli atti di straordinaria amministrazione, la distinzione di essi rispetto agli atti di ordinaria amministrazione non dipende dal carattere conservativo o dispositivo, ma dalla incidenza dell'atto sugli elementi costitutivi dell'impresa e dai suoi effetti sulla possibilità di esistenza della stessa. Ne consegue che, nel caso di società in accomandita semplice costituita per la costruzione e vendita di immobili, l'amministratore, anche se privato, dallo statuto, del potere di compiere atti di straordinaria amministrazione, può efficacemente concludere i contratti preliminari di compravendita degli immobili costruiti per la vendita perché questi non solo rientrano nell'oggetto sociale, in quanto negozi attuativi della stessa attività imprenditoriale oggetto della società, ma si configurano anche come atti di ordinaria amministrazione perché, pur avendo contenuto dispositivo, ineriscono alla normale attività di gestione della società.
Cass. civ. n. 6871/1994
Nella società in accomandita semplice il potere di amministrazione non costituisce requisito connaturale ed essenziale del socio accomandatario, dal momento che l'art. 2318, secondo comma, c.c., non prevedendo il necessario conferimento di detto potere a tutti gli accomandatari, ammette che il socio possa assumere i diritti e gli obblighi dell'accomandatario con la esclusione di quelli inerenti alla posizione di amministratore; ne consegue che le dimissioni da amministratore del socio accomandatario, che sia l'unico socio di tale categoria, non implicano, di per sé, né il recesso dalla società, né, la perdita della veste di accomandatario. In siffatta ipotesi la società viene a trovarsi in una posizione di stallo che, ove non risolta con l'immissione di un nuovo socio accomandatario o con una modifica dell'atto costitutivo, nel senso della trasformazione del socio accomandante in accomandatario, può essere eventualmente apprezzata come causa di scioglimento della società per sopravvenuta impossibilità di conseguire l'oggetto sociale, ovvero per il venir meno della pluralità dei soci, ai sensi, rispettivamente dei numeri 2 e 4 dell'art. 2272 c.c.