Art. 306 – Codice civile – Revoca per indegnità dell’adottato
La revoca dell'adozione [307] può essere pronunziata dal tribunale [35] su domanda dell'adottante, quando l'adottato abbia attentato alla vita di lui o del suo coniuge, dei suoi discendenti o ascendenti, ovvero si sia reso colpevole verso loro di delitto punibile con pena restrittiva della libertà personale [18 c.p.] non inferiore nel minimo a tre anni.
Se l'adottante muore in conseguenza dell'attentato, la revoca dell'adozione può essere chiesta da coloro ai quali si devolverebbe l'eredità in mancanza dell'adottato e dei suoi discendenti [309, 463, 536].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 25271/2024
La solidarietà ex art. 68 r.d.l. n. 1578 del 1933 richiede un giudizio bonariamente definito senza soddisfare le competenze del professionista, in modo che al giudice sia sottratto il potere di pronunciare sul processo; ciò si verifica anche quando le parti hanno previsto l'abbandono della causa dal ruolo o hanno rinunciato agli atti del processo, con conseguente estinzione di questo, purché i difensori non abbiano rinunciato alla solidarietà passiva delle parti ovvero, intervenendo nella transazione, non abbiano liberato il cliente dalla relativa obbligazione, accettando che, nei loro confronti, resti tenuta solo l'altra parte, a carico della quale la transazione abbia posto le spese giudiziali.
Cass. civ. n. 14172/2024
La presenza in giudizio di più difensori della stessa parte non autorizza i medesimi a moltiplicare gli atti tipici previsti dalla legge per la difesa dell'assistito, in quanto il potere di compiere l'atto si riferisce al diritto della parte di difendersi e contraddire, che è unico anche se la parte è assistita da più avvocati. (Nella specie, la S.C. ha considerato validamente espressa la rinuncia agli atti formulata da uno solo dei difensori della parte ricorrente).
Cass. civ. n. 13636/2024
La rinuncia all'azione, ovvero all'intera pretesa azionata dall'attore nei confronti del convenuto, costituisce un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede, in capo al difensore, un mandato ad hoc, senza che sia a tal fine sufficiente quello ad litem, in ciò differenziandosi dalla rinuncia ad una parte dell'originaria domanda, che rientra fra i poteri del difensore quale espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva rigettato l'appello ritenendo valida la rinuncia all'intera domanda effettuata dal difensore della ricorrente a verbale nel giudizio di primo grado).
Cass. civ. n. 8759/2024
Nel giudizio di cassazione, tanto nell'ipotesi di estinzione per rinunzia (accettata), quanto nel caso di declaratoria di cessazione della materia del contendere, deve essere giudizialmente ordinata la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale, essendo siffatte pronunzie sostanzialmente assimilabili all'ipotesi di estinzione del processo per rinunzia all'azione, espressamente regolata dal comma 2 dell'art. 2668 c.c..
Cass. civ. n. 34025/2023
In tema di impugnazioni, l'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non trova applicazione in caso di rinuncia al ricorso per cassazione in quanto tale misura si applica ai soli casi - tipici - del rigetto dell'impugnazione o della sua declaratoria d'inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, "lato sensu" sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica.
Cass. civ. n. 30251/2023
La cessazione della materia del contendere si ha per effetto della sopravvenuta carenza d'interesse della parte alla definzione del giudizio, postulando che siano accaduti nel corso del giudizio fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e da rendere incontestato l'effettivo venir meno dell'interesse sottostante alla richiesta pronuncia di merito, senza che debba sussistere un espresso accordo delle parti anche sulla fondatezza (o infondatezza) delle rispettive posizioni originarie nel giudizio, perché altrimenti non vi sarebbero neppure i presupposti per procedere all'accertamento della soccombenza virtuale ai fini della regolamentazione delle spese che, invece, costituisce il naturale corollario di un tal genere di pronuncia, quando non siano le stesse parti a chiedere congiuntamene la compensazione delle spese.
Cass. civ. n. 26970/2023
La mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell'art. 393 c.p.c., l'estinzione dell'intero processo, con conseguente caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle già passate in giudicato in quanto non impugnate, non essendo applicabile al giudizio di rinvio l'art. 338 dello stesso codice, che regola gli effetti dell'estinzione del procedimento di impugnazione.