Art. 463 – Codice civile – Casi di indegnità
È escluso dalla successione come indegno [306, 309 c.c.]:
1) chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale [575 c.p.];
2) chi ha commesso, in danno di una di tali persone, un fatto al quale la legge [penale] dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio [580 c.p.];
3) chi ha denunziato una di tali persone per reato punibile [con la morte], con l'ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale [368 c.p.]; ovvero ha testimoniato contro le persone medesime imputate dei predetti reati, se la testimonianza è stata dichiarata, nei confronti di lui, falsa in giudizio penale [372 c.p.];
3 bis) chi, essendo decaduto dalla responsabilità genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta a norma dell'art. 330, non è stato reintegrato nella responsabilità genitoriale alla data di apertura della successione medesima;
4) chi ha indotto con dolo [1439 c.c.] o violenza [1434 c.c.] la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare [679 c.c.] o mutare il testamento, o ne l'ha impedita;
5) chi ha soppresso, celato, o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata [684 c.c];
6) chi ha formato un testamento falso o ne ha fatto scientemente uso.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 11942/2025
Laddove la procedura di rinnovo della carica di direttore generale dell'ENAM non risulti perfezionata con la stipula del contratto e si verifichi, ai sensi dell'art. 7, comma 3-bis, d.l. n. 78 del 2010, la soppressione dell'ente con conseguente subentro dell'INPDAP, è legittima la determinazione di mancato rinnovo dell'incarico, giacché la normativa sopravvenuta determina l'impossibilità giuridica della prestazione oggetto del contratto e la sua conseguente risoluzione, per ragioni dovute alla diversa organizzazione dell'amministrazione subentrante e al venir meno della pregressa funzione apicale.
Cass. civ. n. 25517/2024
L'art. 35, comma 1, della l.r. Lazio n. 4 del 2013 ha previsto la cessazione degli organi dell'ASP (Agenzia di sanità pubblica) - tra i quali figura il direttore generale - alla data di insediamento del commissario liquidatore; ne consegue che il contratto di lavoro intervenuto tra il predetto ente e il direttore generale deve considerarsi risolto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, in applicazione dell'art. 1463 c.c. (Nella specie, confermando il rigetto del ricorso proposto dalla lavoratrice, la S.C. ha affermato che la soppressione del posto oggetto dell'incarico consegue alla complessiva ristrutturazione del servizio operata dal legislatore regionale, che ha previsto il trasferimento del solo personale a tempo indeterminato alle Istituzioni subentrate all'ASP).
Cass. civ. n. 13435/2024
La modifica urbanistica con la previsione di un vincolo preordinato all'esproprio, intervenuta successivamente alla stipula del contratto preliminare, abilita la parte acquirente a chiedere la risoluzione del contratto per il venir meno della causa in concreto, ovvero dell'istituto della presupposizione qualora si accerti che l'acquisto del terreno si fondava sull'attuale assetto urbanistico del bene promesso in vendita che ne consentiva una potenziale modifica da destinazione agricola ad area edificabile, considerato che successivamente alla stipula del contratto si è determinato oggettivamente un ulteriore e imprevedibile limite alla potenziale sua edificabilità, con il rischio di una futura perdita dello stesso diritto dominicale su parte del terreno promesso in vendita.
Cass. civ. n. 8286/2024
Nei contratti a prestazioni corrispettive, l'impossibilità temporanea sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore non determina la risoluzione, ma la sola sospensione del contratto, per la cui ripresa non è necessaria una messa in mora, pur occorrendo che sussista ancora l'interesse del debitore a conseguire la prestazione e che il contraente fosse a conoscenza della causa di impossibilità temporanea. (Fattispecie relativa all'interruzione temporanea della somministrazione di energia elettrica a causa del furto dei cavi elettrici perpetrato da terzi).
Cass. civ. n. 13266/2022
Il delitto di abbandono di minore o di persona incapace (art. 591 c.p.), anche nella sua forma aggravata dall'evento morte (art. 591, comma 3, c.p.), non può a priori farsi rientrare fra le ipotesi di indegnità a succedere previste dall'art. 463, n. 2, c.c., atteso che la legge penale non dichiara applicabili, a tale fattispecie criminosa, le disposizioni sull'omicidio; nondimeno, qualora l'abbandono sia stato realizzato con la volontà di cagionare la morte del soggetto passivo del reato, ovvero il soggetto agente si sia rappresentato tale evento come probabile o possibile conseguenza della propria condotta, accettando il rischio implicito della sua verificazione, il fatto può farsi rientrare nelle ipotesi previste dall'art. 463, n. 1, c.c..
Cass. civ. n. 1443/2022
Nell'azione di impugnazione del testamento per indegnità a succedere della persona designata come erede, sussiste il litisconsorzio necessario di tutti i successori legittimi, trattandosi di azione volta ad ottenere una pronuncia relativa ad un rapporto giuridico unitario ed avente ad oggetto l'accertamento, con effetto di giudicato, della qualità di erede che, per la sua concettuale unità, è operante solo se la decisione è emessa nei confronti di tutti i soggetti del rapporto successorio. Tuttavia, qualora tale azione si trovi in rapporto di pregiudizialità giuridica con un giudizio penale pendente, l'esistenza del litisconsorzio necessario non giustifica la sospensione totale o parziale del processo civile, se non vi è una perfetta coincidenza delle parti dei due giudizi, configurabile quando non solo l'imputato, ma anche il responsabile civile e la parte civile abbiano partecipato al processo penale.
Cass. civ. n. 37716/2022
Il datore di lavoro non può unilateralmente sospendere il rapporto di lavoro, salvo che ricorrano, ai sensi degli artt. 1463 e 1464 c.c., ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa totale o parziale, la esistenza delle quali ha l'onere di provare, senza che a questo fine possano assumere rilevanza eventi riconducibili alla stessa gestione imprenditoriale, compresa la diminuzione o l'esaurimento dell'attività produttiva. Ne consegue che il dipendente "sospeso" non è tenuto a provare d'aver messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto, per il solo fatto della sospensione unilaterale del rapporto di lavoro, la quale realizza un'ipotesi di "mora credendi", il prestatore, a meno che non sopravvengano circostanze incompatibili con la volontà di protrarre il rapporto suddetto, conserva il diritto alla retribuzione.
Cass. civ. n. 36329/2021
L'impossibilità sopravvenuta della prestazione, che derivi da causa non imputabile al debitore ai sensi dell'art. 1218 c.c., opera, paralizzandola, più propriamente in relazione ad una domanda di adempimento, determinando, essa, di diritto, nei contratti con prestazioni corrispettive, se definitiva, con la estinzione della relativa obbligazione, la risoluzione del contratto, ai sensi degli artt. 1463 e 1256, comma 1, c.c., con la conseguente applicazione delle norme generali sulla risoluzione ed in particolare di quella sulla retroattività, senza che si possa parlare di inadempimento colpevole.
Cass. civ. n. 19045/2020
In tema di successioni, la formazione o l'uso consapevole di un testamento falso è causa di indegnità a succedere se colui che viene a trovarsi nella posizione di indegno non provi di non aver inteso offendere la volontà del "de cuius", perché il contenuto della disposizione corrisponde a tale volontà e il "de cuius" aveva acconsentito alla compilazione della scheda da parte dello stesso nell'eventualità che non fosse riuscito a farlo di persona ovvero che il "de cuius" aveva la ferma intenzione di provvedervi per evitare la successione "ab intestato".
Cass. civ. n. 23987/2019
In caso di risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile alle parti (nella specie per lo stato di inagibilità dell'immobile conseguente ad evento sismico), non trova applicazione l'art. 1591 c.c. - non essendo configurabile il godimento, anche di mero fatto, dei beni già locati e la possibilità di una utilizzazione diretta o di un reimpiego da parte del locatore dei beni stessi nel periodo tra la cessazione del contratto e la effettiva riconsegna - ma la disciplina generale dettata dall'art. 1463 c.c. Ne consegue che il locatore è tenuto, per far valere il diritto alla restituzione del bene, a formulare apposita domanda - valendo essa a rendere imputabile al conduttore il ritardo - e, per ottenere il risarcimento del danno per ritardata restituzione, a dare prova di aver subito un effettivo pregiudizio dalla mancata disponibilità dell'immobile, non potendo tale pregiudizio ritenersi sussistente in re ipsa.
Cass. civ. n. 13960/2019
In tema di locazione finanziaria, il concedente che paghi al fornitore il prezzo del bene pur essendo a conoscenza del mancato adempimento, da parte di quest'ultimo, dell'obbligo di consegna, non può pretendere dall'utilizzatore il rimborso della somma versata atteso che, costituendo l'inadempimento del fornitore una causa di sopravvenuta impossibilità di adempiere ai sensi dell'art. 1463 c.c., il pagamento effettuato risulta privo di causa e non giustificabile in rapporto all'obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza che aveva ritenuto sussistente il diritto del concedente al recupero del corrispettivo, considerando priva di effetti, in quanto non giustificata da un interesse meritevole di tutela, la clausola del contratto di leasing che poneva comunque a carico dell'utilizzatore il rimborso del prezzo).
Cass. civ. n. 5411/2019
L'indegnità a succedere prevista dall'art. 463 c.c., pur essendo operativa "ipso iure", non è rilevabile d'ufficio, ma deve essere dichiarata su domanda dell'interessato, atteso che essa non è uno "status" del soggetto, né un'ipotesi di incapacità all'acquisto dell'eredità, ma una qualifica di un comportamento che si sostanzia in una sanzione civile di carattere patrimoniale avente un fondamento pubblicistico e dà luogo ad una causa di esclusione dalla successione; pertanto, essendo effetto di una pronuncia di natura costitutiva, può aversi per verificata soltanto al momento del passaggio in giudicato della relativa sentenza. Se tale giudicato si forma quando sia pendente in grado di appello un diverso giudizio avente ad oggetto la pretesa di un creditore del "de cuius", la negazione della qualità di erede operata dal convenuto, in ragione della suddetta indegnità, è una mera deduzione difensiva su un fatto costitutivo della domanda attrice, l'inammissibilità della quale va valutata ai sensi dell'art. 345, comma 2, c.p.c. (Nella specie, l'art. 345 citato era applicabile "ratione temporis" nella formulazione anteriore alla novella di cui all'art. 52 della l. n. 353 del 1990). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MESSINA, 21/11/2013).
Cass. civ. n. 17870/2019
Nel giudizio promosso per far dichiarare l'indegnità a succedere di colui che ha sottratto il testamento, l'attore ha l'onere di dimostrare il fatto della sottrazione ed il verosimile carattere testamentario del documento sottratto, mentre grava sul convenuto la prova dell'intrinseca natura del documento e del suo contenuto, specie se egli ne sia il detentore.
Cass. civ. n. 24752/2015
La formazione o l'uso sciente di un testamento falso è causa d'indegnità a succedere, se chi viene a trovarsi nella posizione d'indegno non provi di non aver inteso offendere la volontà del "de cuius", perché il contenuto della disposizione corrisponde a tale volontà e il "de cuius" aveva acconsentito alla compilazione della scheda da parte di lui nell'eventualità che non fosse riuscito a farla di persona ovvero che il "de cuius" aveva la ferma intenzione di provvedervi per evitare la successione "ab intestato". (Rigetta, App. Salerno, 28/09/2010).
Cass. civ. n. 12712/2012
Ai sensi degli artt. 2331 e 2463 c.c., nel testo modificato dal d.l.vo n. 6 del 2003, sono consentiti la vendita ed il preliminare di vendita delle quote della società a responsabilità limitata, prima dell'iscrizione nel registro delle imprese, essendo vietata soltanto - a tutela del mercato - l'offerta al pubblico delle quote stesse come prodotti finanziari, in conformità al divieto sancito dall'art. 2468 c.c.
Cass. civ. n. 10859/2010
È legittimamente configurabile, in base al principio dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c., un contratto atipico di cosiddetto `vitalizio alimentare", autonomo e distinto da quello, nominato, di rendita vitalizia di cui all'art. 1872 c.c., sulla premessa che i due negozi, omogenei quanto al profilo della aleatorietà, si differenziano perché nella rendita alimentare, le obbligazioni dedotte nel rapporto hanno ad oggetto prestazioni assistenziali di dare prevalentemente fungibili (e quindi, assoggettabili, quanto alla relativa regolamentazione, alla disciplina degli obblighi alimentari dettata dall'art. 433 c.c.), mentre nel vitalizio alimentare le obbligazioni contrattuali hanno come contenuto prestazioni (di fare e dare) di carattere accentuatamente spirituale e, in ragione di ciò, eseguibili unicamente da un vitaliziante specificatamente individuato alla luce delle sue proprie qualità personali, con la conseguenza che a tale negozio atipico è senz'altro applicabile il generale rimedio della risoluzione, espressamente esclusa, per converso, con riferimento alla rendita vitalizia dall'art. 1878 c.c. (Nella specie, la S.C. ha cassato, con rinvio, la sentenza di merito che aveva escluso la configurabilità della risoluzione del contratto di "vitalizio alimentare" per impossibilità sopravvenuta, ex art. 1463 c.c., della prestazione de) vitaliziante, colto da ictus celebrale che lo aveva invalidato in modo assoluto, non potendo a tal fine rilevare che la prestazione medesima potesse essere assicurata dai familiari dello stesso vitalizzante).
Cass. civ. n. 5402/2009
L'indegnità a succedere di cui all'art. 463 cod. civ pur essendo operativa "ipso iure", deve essere dichiarata con sentenza costitutiva su domanda del soggetto interessato, atteso che essa non costituisce un'ipotesi di incapacità all'acquisto dell'eredità, ma solo una causa di esclusione dalla successione.
Cass. civ. n. 26258/2008
La dichiarazione d'indegnità a succedere, ai sensi dell'art. 463, n. 4), c.c., per captazione della volontà testamentaria, richiede la dimostrazione dell'uso, da parte sua, di mezzi fraudolenti tali da trarre in inganno il testatore, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata.
Cass. civ. n. 9274/2008
L'ipotesi di indegnità a succedere prevista dall'art. 463, n. 5. c.c. rientra tra quelle dirette a ledere la libertà di testare e, conseguentemente, richiede un comportamento che abbia impedito il realizzarsi delle ultime volontà del testatore, contenute nella scheda celata. Deve, pertanto, escludersi l'applicazione della norma, quando l'esistenza del testamento non può essere occultata, perché redatto in forma pubblica, e quando colui contro il quale si rivolge l'accusa d'indegnità sia il successore legittimo e l'erede ivi designato.
Cass. civ. n. 26958/2007
La risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, con la conseguente possibilità di attivare i rimedi restitutori, ai sensi dell'art. 1463 c.c., può essere invocata da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico, e cioè sia dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile sia da quella la cui prestazione sia rimasta possibile. In particolare, l'impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l'esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l'utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell'obbligazione. (Nella fattispecie, relativa ad un contratto di soggiorno alberghiero prenotato da due coniugi uno dei quali era deceduto improvvisamente il giorno precedente l'inizio del soggiorno, la S.C., enunciando il riportato principio, ha confermato la sentenza di merito con cui era stato dichiarato risolto il contratto per impossibilità sopravvenuta invocata dal cliente ed ha condannato l'albergatore a restituire quanto già ricevuto a titolo di pagamento della prestazione alberghiera).
Cass. civ. n. 7266/2006
Ai sensi dell'art. 463 c.c. l'indegnità a succedere non integra un'ipotesi di incapacità all'acquisto dell'eredità, ma è causa di esclusione dalla successione; infatti, l'indegnità, come configurata nell'unica disposizione del codice che ne prevede le varie ipotesi, non è uno status connaturato al soggetto che si assume essere indegno a succedere, ma una qualificazione di un comportamento del soggetto medesimo, che deve essere data dal giudice a seguito dell'accertamento del fatto che integra quella determinata ipotesi di indegnità dedotta in giudizio, e che si sostanzia in una vera e propria sanzione civile di carattere patrimoniale avente un fondamento pubblicistico.
Cass. civ. n. 23618/2004
Mentre l'impossibilità giuridica dell'utilizzazione del bene per l'uso convenuto o per la sua trasformazione secondo le previste modalità, quando derivi da disposizioni inderogabili già vigenti alla data di conclusione del contratto, rende nullo il contratto stesso per l'impossibilità dell'oggetto, a norma degli artt. 1346 e 1418 c.c., nella diversa situazione in cui la prestazione sia divenuta impossibile per causa non imputabile al debitore ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c., l'obbligazione si estingue; con la conseguenza che colui che non può più rendere la prestazione divenuta, intanto, definitivamente impossibile, non può chiedere la relativa controprestazione, né può agire con l'azione di risoluzione allegando l'inadempimento della controparte. (Nella specie, relativa a contratto di fornitura di prodotti per l'industria farmaceutica, la Corte Cass. n. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la pretesa risarcitoria avanzata da produttrice di ferritina di origine animale nei confronti di azienda farmaceutica che, a seguito della sopravvenuta non commerciabilità del prodotto — derivante da provvedimento del Ministro della sanità aveva cessato di richiedere la fornitura).
Cass. civ. n. 1037/1995
La impossibilità sopravvenuta della prestazione, che derivi da causa non imputabile al debitore ai sensi dell'art. 1218 c.c., opera, paralizzandola, più propriamente in relazione ad una domanda di adempimento, determinando, essa, di diritto, nei contratti con prestazioni corrispettive, se definitiva, con la estinzione della relativa obbligazione, la risoluzione del contratto, ai sensi degli artt. 1463 e 1256, comma 1, c.c., con la conseguente applicazione delle norme generali sulla risoluzione ed in particolare di quella sulla retroattività, senza che si possa parlare di inadempimento colpevole, e, se temporanea, soltanto la sospensione del contratto stesso, naturalmente non oltre i limiti dell'interesse del creditore al conseguimento della prestazione, ai sensi dell'art. 1256, comma 2, c.c., senza responsabilità del debitore per il ritardo nell'inadempimento.
Cass. civ. n. 12249/1991
L'art. 1463 c.c., in base al quale l'impossibilità sopravvenuta (totale) della prestazione non imputabile a una delle parti a norma dell'art. 1256 c.c. opera anche con riguardo al contratto di lavoro, in cui può tradursi nel licenziamento collettivo per riduzione del personale o in licenziamento per giustificato motivo, ove l'impossibilità derivi da ragioni attinenti all'attività imprenditoriale. Ne consegue che, qualora, nelle more del giudizio promosso dal lavoratore per la declaratoria di illegittimità del licenziamento in precedenza intimatogli, sopravvenuta siffatta impossibilità (nella specie, per avvenuta cessazione totale dell'attività aziendale), con l'intimazione del licenziamento per giustificato motivo il giudice che accerti l'illegittimità del pregresso licenziamento non può disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, ma deve limitarsi ad accogliere la sola domanda di risarcimento del danno, con riguardo al periodo compreso fra la data del licenziamento e quella della sopravvenuta causa di risoluzione del rapporto, atteso il carattere autonomo della tutela cosiddetta risarcitoria, rispetto a quella ripristinatoria.
Cass. civ. n. 6669/1984
Al fine della sussistenza dell'indegnità a succedere di cui all'art. 463, n. 1, c.c., l'attentato alla vita del de cuius deve essere commesso volontariamente con la conseguenza che tale ipotesi di indegnità non è ravvisabile quando venga esclusa l'imputabilità dell'attentatore, in quanto questa costituisce il presupposto della volontarietà del fatto lesivo la cui realizzazione determina l'indegnità a succedere.
Cass. civ. n. 3309/1984
Affinché determini indegnità a succedere, il fatto della soppressione o dell'alterazione del testamento, ovvero del suo celamento (peraltro non ravvisabile nella violazione dell'obbligo ex art. 620 c.c. del possessore di testamento olografo di presentarlo ad un notaio per la pubblicazione appena avuta notizia della morte del testatore), deve incidere, non su un testamento invalido, ma su un atto destinato a regolare la successione, e cioè su uno scritto che per i suoi requisiti intrinseci ed estrinseci sia un testamento efficiente, diretto a stabilire o modificare o completare le ultime volontà del testatore sia in ordine alla chiamata a succedere, sia circa la disposizione dei beni.
Cass. civ. n. 2548/1982
La risoluzione per impossibilità sopravvenuta, analogamente a tutte le ipotesi (risoluzione per inadempimento, annullamento) in cui vengono meno dopo la costituzione del rapporto lo stesso fondamento e causa dell'obbligazione, è pur sempre caratterizzata da un elemento sopravvenuto alla formazione del vincolo obbligatorio, il quale, impedendone l'attuazione ed incidendo sul sinallagma funzionale del rapporto, è riconducibile, negli effetti, alle suindicate ipotesi di sopravvenuta mancanza di causa dell'obbligazione. Consegue che l'offerta del venditore di adempiere la propria prestazione, avente ad oggetto merce colpita da sequestro penale, risultando in aperto contrasto con l'inderogabile provvedimento del giudice penale, implicante l'assoluta incommerciabilità della merce ed escludente la facoltà dell'acquirente di disporne liberamente, non può considerarsi idonea - nel vigore di quel provvedimento, e sino alla sua revoca - per ritenere tuttora operante la causa del rapporto e quindi valida la pretesa del venditore stesso di ottenere l'adempimento della controprestazione, cui il compratore si era obbligato nella presupposta commerciabilità della merce compravenduta.
Cass. civ. n. 275/1976
La norma la quale stabilisce che, nell'ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione, il soggetto liberato dall'obbligazione non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già ricevuta, non esprime una disciplina di natura cogente e inderogabile, sicché le parti, nell'esercizio del loro potere di privata autonomia, possono dispone una diversa regolamentazione degli effetti dello scioglimento del contratto.
Cass. civ. n. 3066/1975
A seguito della impossibilità sopravvenuta della prestazione, importante l'estinzione del vincolo obbligatorio, è la stessa legge che prevede all'art. 1463 c.c., la restituzione della cosa ricevuta, in applicazione delle norme relative alla ripetizione di indebito, anche se, nella fattispecie, non si tratta di una vera e propria condictio ob causam finitam.