Art. 384 – Codice civile – Rimozione e sospensione del tutore
Il giudice tutelare può rimuovere [43, 45] dall'ufficio il tutore che si sia reso colpevole di negligenza [382] o abbia abusato dei suoi poteri, o si sia dimostrato inetto nell'adempimento di essi, o sia divenuto immeritevole dell'ufficio per atti anche estranei alla tutela, ovvero sia divenuto insolvente [393].
Il giudice non può rimuovere il tutore se non dopo averlo sentito o citato; può tuttavia sospenderlo dall'esercizio della tutela nei casi che non ammettono dilazione.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 14706/2024
Per la valutazione della manifesta eccessività della clausola penale ai fini dell'art. 1384 c.c., il criterio di riferimento per il giudice è costituito dall'interesse del creditore all'adempimento e, cioè, dell'effettiva incidenza dell'inadempimento sullo squilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale nel corso di rapporto, sicché non può prescindersi da una comparazione con il danno che sarebbe stato ipoteticamente risarcibile in mancanza della clausola, la quale è una predeterminazione forfettaria di tale pregiudizio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in relazione ad una penale pattuita a titolo di anticipata liquidazione del danno da demansionamento, ne aveva negato la riduzione senza valutare la circostanza del pensionamento del lavoratore a distanza di pochi mesi dalla modifica in peius delle mansioni).
Cass. civ. n. 3297/2024
Il potere di riduzione della penale ad equità, attribuito al giudice dall'art. 1384 c.c., può essere esercitato d'ufficio anche quando la penale è stata spontaneamente pagata perché i rimedi contrattuali sono esperibili anche dopo che il contratto è stato eseguito, salva la prescrizione. (In applicazione del principio la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che, avendo ridotto la penale prevista per la anticipata risoluzione del contratto, aveva condannato la parte che ne aveva ricevuto il pagamento spontaneo a restituire l'eccesso).
Cass. civ. n. 28037/2023
Nel leasing traslativo risoltosi in data anteriore al fallimento e prima dell'entrata in vigore della l. n. 124 del 2017, come tale sottoposto all'applicazione dell'art. 1526 c.c. anziché dell'art. 72-quater l.fall., la penale contrattuale non può essere ridotta a zero per la sostanziale inesistenza di un pregiudizio al quale parametrarla, perché la pattuizione della pena prescinde dal danno e dalla sua prova; ai fini dell'art. 1384 c.c. il criterio fondamentale per valutare l'eccessività della penale coincide con il dato oggettivo dello squilibrio tra le posizioni delle parti con riferimento alla valutazione dell'interesse del creditore all'adempimento alla data di stipulazione del contratto; tuttavia il riferimento all'interesse del creditore, avendo la funzione di indicare lo strumento per mezzo del quale giungere a stabilire se la penale sia o meno manifestamente eccessiva presuppone una motivata valutazione della situazione esistente al momento della sua applicazione, perché l'ammontare, che pur potrebbe essere eccessivo rispetto al momento della stipulazione, potrebbe non esserlo più rispetto a quello di applicazione, cosa che varrebbe semplicemente a testimoniare l'esistenza di un irrilevante errore di previsione del contratto, ma non l'iniquità della clausola in rapporto alla sua funzione.
Cass. civ. n. 16632/2023
In caso di leasing traslativo risolto prima dell'entrata in vigore della l. n. 124 del 2017, non operando quest'ultima disciplina retroattivamente, trova applicazione analogica l'art. 1526 c.c., con conseguente validità della clausola di confisca che preveda la detrazione, in favore dell'utilizzatore, del prezzo effettivamente ricavato dalla vendita del bene oggetto di riconsegna, senza che sia necessario - nel caso in cui la ricollocazione del bene sia già avvenuta - far riferimento al valore di mercato, bensì al prezzo effettivamente incassato, spettando all'utilizzatore dedurre e dimostrare che la liquidazione sia stata effettuata dall'impresa in modo non diligente o abusivamente aggravando la posizione debitoria.
Cass. civ. n. 9150/2023
In caso di stipula di plurimi contratti di appalto relativi ad un'unica opera, ciascuna impresa, pur conservando la propria autonoma soggettività giuridica, può contrarre un'obbligazione unitaria con riferimento all'assunzione di responsabilità per il ritardo nei confronti del comune committente convenendo la pattuizione di una penale. Sicché a fronte dell'obbligazione assunta non rileva l'imputazione del ritardo, avendo questo attinenza ai soli rapporti interni tra gli appaltatori.
Cass. civ. n. 7367/2023
Ai contratti di leasing traslativo risolti anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 124 del 2017, in assenza di una regolazione legislativa, si applica in via analogica la disciplina dell'art. 1526 c.c.; di conseguenza, la clausola che, in ipotesi di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, attribuisce al concedente il diritto di trattenere i canoni pagati ed impone all'utilizzatore di corrispondere quelli scaduti non è, di per sé, affetta da nullità, atteso che l'utilizzatore, una volta pagato il dovuto e restituito il bene, ha diritto di vedersi restituiti i canoni versati corrispondendo l'equo compenso, fermo restando il potere officioso del giudice di ridurre l'indennità ai sensi del secondo comma dell'art. 1526 c.c. in caso di definitiva acquisizione al concedente delle rate corrisposte.
Cass. civ. n. 5379/2023
La clausola penale e la convenzione di interessi moratori hanno funzioni diverse, poiché, per il caso di inadempienza o di ritardo nell'adempimento, la prima ha una finalità sanzionatoria e risarcitoria del danno, che viene predeterminato pattiziamente col limite della manifesta eccessività, mentre la seconda ha uno scopo di corrispettivo o retribuzione per il creditore, entro il limite inderogabile del cd. "tasso soglia" di cui alla l. n. 108 del 1996; ne consegue che anche i rimedi di tutela sono differenti, dato che alla clausola penale non si applica la disciplina in tema di usurarietà dei tassi di interesse, bensì la "reductio ad aequitatem" ex art. 1384 c.c., non predeterminata dalla legge, ma affidata all'apprezzamento del giudice secondo equità, la quale va fondata non già sulla valutazione della prestazione, bensì sulla considerazione dell'interesse all'adempimento della parte creditrice e sulle ripercussioni del ritardo o dell'inadempimento sull'effettivo equilibrio sinallagmatico del rapporto.
Cass. civ. n. 5379/2023
La clausola penale e la convenzione di interessi moratori hanno funzioni diverse, poiché, per il caso di inadempienza o di ritardo nell'adempimento, la prima ha una finalità sanzionatoria e risarcitoria del danno, che viene predeterminato pattiziamente col limite della manifesta eccessività, mentre la seconda ha uno scopo di corrispettivo o retribuzione per il creditore, entro il limite inderogabile del cd. "tasso soglia" di cui alla l. n. 108 del 1996; ne consegue che anche i rimedi di tutela sono differenti, dato che alla clausola penale non si applica la disciplina in tema di usurarietà dei tassi di interesse, bensì la "reductio ad aequitatem" ex art. 1384 c.c., non predeterminata dalla legge, ma affidata all'apprezzamento del giudice secondo equità, la quale va fondata non già sulla valutazione della prestazione, bensì sulla considerazione dell'interesse all'adempimento della parte creditrice e sulle ripercussioni del ritardo o dell'inadempimento sull'effettivo equilibrio sinallagmatico del rapporto.
Cass. civ. n. 10249/2022
E' dunque la legge ad affidare al giudice l'esercizio del potere correttivo della volontà contrattuale delle parti, al fine di ristabilire in via equitativa un congruo contemperamento dei loro interessi contrapposti (Cass. n. Sez. U, 2061/2021, 18128/2005), naturalmente a condizione che la penale sia stata dedotta - in via di azione o di eccezione (in senso stretto) - nel rispetto delle preclusioni di rito (Cass. n. Sez. U, 2061/2021; Cass. n. 19272/2014), mentre l'omesso esercizio del potere di riduzione della penale da parte del giudice di appello - cui spetta appunto il potere officioso di applicare l'art. 1384 c.c. - può essere non solo dedotto dalla parte interessata, ma anche, integrando un'eccezione in senso lato, rilevato d'ufficio da parte del giudice di legittimità, sempre che non siano necessari accertamenti di fatto (Cass. n. 26531/2021).
Cass. civ. n. 11439/2020
Il potere di riduzione della penale ad equità, attribuito al giudice dall'art. 1384 c.c., in quanto volto a tutelare l'interesse generale dell'ordinamento di assicurare l'equilibrio contrattuale, può essere esercitato d'ufficio, anche quando la penale è prevista a favore della P.A. da disposizioni di capitolati generali, richiamate e recepite nel contratto stipulato con il privato; in tal caso, la disapplicazione delle stesse, quali clausole contrattuali, per contrasto con la norma primaria ed inderogabile dettata dalla indicata disposizione, è subordinata all'assolvimento degli oneri di allegazione e prova incombenti sulle parti circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell'eccessività della penale.
Cass. civ. n. 11908/2020
Ai fini dell'esercizio del potere di riduzione della penale, il giudice non deve valutare l'interesse del creditore con esclusivo riguardo al momento della stipulazione della clausola - come sembra indicare l'art. 1384 c.c., riferendosi all'interesse che il creditore "aveva" all'adempimento - ma tale interesse deve valutare anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita o è rimasta definitivamente ineseguita, poiché anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui agli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c., conformativi dell'istituto della riduzione equitativa, dovendosi intendere, quindi, che la lettera dell'art. 1384 c.c., impiegando il verbo "avere" all'imperfetto, si riferisca soltanto all'identificazione dell'interesse del creditore, senza impedire che la valutazione di manifesta eccessività della penale tenga conto delle circostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto.
Cass. civ. n. 17715/2020
Il potere del giudice di ridurre la penale, previsto dall'art. 1384 c.c., non può essere esercitato per la caparra confirmatoria, sia a cagione del carattere eccezionale della norma in questione, che ne preclude l'applicazione analogica, sia per le differenze strutturali intercorrenti tra i due istituti, in quanto la caparra pur assolvendo, come la clausola penale, alla funzione di liquidare preventivamente il danno da inadempimento, svolge l'ulteriore funzione di anticipato parziale pagamento per l'ipotesi di adempimento.
Cass. civ. n. 33159/2019
Il potere officioso di riduzione della penale eccessiva, a norma dell'art. 1384 c.c., può essere esercitato anche qualora le parti ne abbiano convenuto l'irriducibilità, trattandosi di un potere funzionale a un interesse generale dell'ordinamento. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO BARI, 27/08/2014).
Cass. civ. n. 34021/2019
Il potere di riduzione della penale ad equità, attribuito al giudice dall'art. 1384 c.c., a tutela dell'interesse generale dell'ordinamento, può essere esercitato d'ufficio, ma l'esercizio di tale potere è subordinato all'assolvimento degli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla parte, circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell'eccessività della penale, che deve risultare "ex actis", ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, senza che il giudice possa ricercarlo d'ufficio. (Nella specie la S.C., ha confermato la sentenza di merito, evidenziando che dal materiale probatorio acquisito agli atti doveva desumersi la eccessiva onerosità di una penale corrispondente alla metà del corrispettivo). (Rigetta, CORTE D'APPELLO LECCE, 17/09/2015).
Cass. civ. n. 18536/2019
Le limitazioni dei poteri di rappresentanza degli amministratori di società di capitali, risultanti dall'atto costitutivo o dallo statuto, ai sensi dell'art. 2384, comma 2, c.c., non sono opponibili ai terzi di buona fede, non solo quando si tratti di limitazioni alla rappresentanza processuale, ma anche per le limitazioni alla rappresentanza sostanziale poiché la norma, che si riferisce ai poteri degli amministratori in via generale, prendendo in esame gli effetti della buona fede della controparte, si attaglia più appropriatamente all'ambito della rappresentanza negoziale.
Cass. civ. n. 17104/2019
È inammissibile il ricorso per cassazione, proposto ai sensi dell'art. 111 Cost., avverso il decreto con il quale il tribunale decida in sede di reclamo avverso il provvedimento del giudice tutelare che ha rigettato la richiesta di sostituzione di un tutore, trattandosi di provvedimento che, adottato nell'ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione, è privo del carattere della decisorietà, configurandosi come intervento di tipo ordinatorio ed amministrativo, insuscettibile di passare in cosa giudicata, essendo sempre revocabile e modificabile per la sopravvenienza di nuovi elementi di valutazione. (Dichiara inammissibile, TRIBUNALE TORINO, 08/02/2017).
Cass. civ. n. 20840/2018
In tema di "leasing" traslativo, in caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, la clausola penale che attribuisca al concedente, oltre all'intero importo del finanziamento, anche la proprietà e il possesso del bene è manifestamente eccessiva in quanto attribuisce vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, dovendo il giudice effettuare, ai fini della sua riducibilità ex art. 1384 c.c., una valutazione comparativa tra il vantaggio che detta clausola assicura al contraente adempiente e il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto.
Cass. civ. n. 19320/2018
In tema di clausola penale, la relativa domanda di riduzione può essere proposta per la prima volta in appello, potendo anzi il giudice provvedervi anche d'ufficio, sempre che siano state dedotte e dimostrate dalle parti le circostanze rilevanti al fine di formulare un giudizio di manifesta eccessività della penale stessa.
Cass. civ. n. 8147/2018
In tema di clausola statutaria che prescrive la firma congiunta dei rappresentanti della società, l'inopponibilità ai terzi delle limitazioni ai poteri di rappresentanza di cui all'art. 2384, comma 2, c.c., riguarda unicamente il contenuto e non l'esistenza stessa del potere di rappresentanza, e ciò trova fondamento nel combinato disposto di cui agli artt. 2383, comma 6, e 2457 ter c.c., atteso che con tali disposizioni il legislatore ha mostrato di volersi avvalere della facoltà attribuitagli dall'art. 9, n. 3, della direttiva comunitaria n. 151/68 (che consente agli Stati membri di rendere opponibili ai terzi la disposizione statutaria che attribuisce la rappresentanza congiuntamente a più persone, sempre che siano rispettati gli adempimenti di pubblicità previsti dall'art. 3 della stessa direttiva); non potrebbe altrimenti trovare spiegazione la duplice pubblicità (iscrizione nel registro delle imprese e menzione nel bollettino ufficiale delle s.p.a. e delle s.r.l., quest'ultima prima della abrogazione del comma 5) cui viene sottoposta l'indicazione della titolarità (congiunta o disgiunta) della rappresentanza pluripersonale.
Cass. civ. n. 9839/2018
In tema di amministrazione di sostegno, solo i provvedimenti a carattere decisorio che la dispongono, o revocano, sono suscettibili di sindacato in sede di legittimità, e non anche i provvedimenti di designazione o sostituzione dell'amministratore, in quanto aventi natura amministrativa e gestoria.
Cass. civ. n. 17761/2016
Ai fini della valutazione della pertinenza di un atto degli amministratori di una società di capitali all'oggetto sociale, e della conseguente efficacia dello stesso ai sensi dell'art. 2384 c.c., il criterio da seguire è quello della strumentalità, diretta o indiretta, dell'atto rispetto all'oggetto sociale, inteso come la specifica attività economica (di produzione o scambio di beni o servizi) concordata dai soci nell'atto costitutivo in vista del perseguimento dello scopo di lucro proprio dell'ente. Non sono invece sufficienti, al predetto fine, né il criterio della astratta previsione, nello statuto, del tipo di atto posto in essere (la cui elencazione non potrebbe mai essere completa, data la serie infinita di atti, di vario tipo, funzionali all'esercizio di una determinata attività, né assicurando l'espressa previsione statutaria di un atto tipico che lo stesso sia, in concreto, rivolto allo svolgimento di quella attività), né il criterio della conformità dell'atto all'interesse della società (in quanto l'oggetto sociale costituisce, ai sensi dell'art. 2384 c.c., un limite al potere rappresentativo degli amministratori, i quali non possono perseguire l'interesse della società operando indifferentemente in qualsiasi settore economico, ma devono rispettare la scelta del settore in cui rischiare il capitale fatta dai soci nell'atto costitutivo).
Cass. civ. n. 2985/2016
È inammissibile il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti emessi in sede di reclamo in tema di designazione o nomina di un amministratore di sostegno che sono emanati in applicazione dell'art. 384 c.c. (richiamato dal successivo art. 411, comma 1, c.c.) e restano logicamente e tecnicamente distinti da quelli che dispongono l'amministrazione, dovendosi limitare la facoltà di ricorso ex art. 720 bis, ultimo comma, c.p.c., ai soli decreti di carattere decisorio, quali quelli che dispongono l'apertura o la chiusura dell'amministrazione, assimilabili, per loro natura, alle sentenze di interdizione ed inabilitazione, senza estendersi ai provvedimenti a carattere gestorio.
Cass. civ. n. 18449/2015
La capacità giuridica delle società, in mancanza di specifiche limitazione stabilite dalla legge, è generale, sicché possono porre in essere qualsiasi atto o rapporto giuridico, inclusa la donazione, ancorché esuli od ecceda od, anche, tradisca lo scopo lucrativo perseguito, dovendosi ritenere che l'oggetto sociale costituisca solamente un limite al potere deliberativo e rappresentativo degli organi societari, la cui violazione non determina la nullità dell'atto, né la sua inefficacia, ma, eventualmente, la responsabilità degli amministratori che lo hanno compiuto.
Cass. civ. n. 17731/2015
In caso di riduzione giudiziale della penale convenzionalmente stabilita dalle parti, il giudice deve esplicitare le ragioni che lo hanno indotto a ritenerne eccessivo l'importo come originariamente determinato, soprattutto con riferimento alla valutazione dell'interesse del creditore all'adempimento alla data di stipulazione del contratto, tenendo conto dell'effettiva incidenza dell'adempimento sullo squilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, a prescindere da una rigida ed esclusiva correlazione con l'effettiva entità del danno subito.
Cass. civ. n. 888/2014
In tema di "leasing" immobiliare, al fine di accertare se sia manifestamente eccessiva, agli effetti dell'art. 1384 cod. civ., la clausola penale che attribuisca al concedente, nel caso di inadempimento dell'utilizzatore, l'intero importo del finanziamento ed in più la proprietà del bene, occorre considerare se detta pattuizione attribuisca allo stesso concedente vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, tenuto conto che, anche alla stregua della Convenzione di Ottawa sul leasing internazionale 28 maggio 1988, recepita con legge 14 luglio 1993, n. 259, il risarcimento del danno spettante al concedente deve essere tale da porlo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l'utilizzatore avesse esattamente adempiuto.
Cass. civ. n. 25296/2013
In tema di limiti derivanti ai poteri degli amministratori delle società di capitali dall'oggetto sociale, la buona fede cui fa riferimento l'art. 2384 bis cod. civ. (nel testo anteriore al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) consiste nell'ignoranza dell'estraneità dell'atto all'oggetto sociale e, dunque, la mala fede nella semplice conoscenza di tale estraneità.
Cass. civ. n. 22747/2013
Il potere del giudice di ridurre l'importo della penale prevista in un contratto, ex art. 1384 cod civ., può essere esercitato solo se la parte obbligata al pagamento abbia correttamente allegato e provato i fatti dai quali risulti l'eccessività della penale stessa.
Cass. civ. n. 8768/2013
Giustifica l'esercizio del potere equitativo di riduzione della penale, ai sensi dell'art. 1384 cod. civ., anche quando le parti l'abbiano escluso negozialmente, la sussistenza di elementi d'incertezza nei rapporti commerciali delle parti (nella specie, rapporti di agenzia reciproca), qualora gli aspetti d'ambiguità siano tali da incidere sull'equilibrio della regolazione negoziale.
Cass. civ. n. 21994/2012
Ai fini dell'esercizio del potere di riduzione della penale, il giudice non deve valutare l'interesse del creditore con esclusivo riguardo al momento della stipulazione della clausola - come sembra indicare l'art. 1384 c.c., riferendosi all'interesse che il creditore "aveva" all'adempimento - ma tale interesse deve valutare anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita o è rimasta definitivamente ineseguita, poiché anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui agli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c., conformativi dell'istituto della riduzione equitativa, dovendosi intendere, quindi, che la lettera dell'art. 1384 c.c., impiegando il verbo "avere" all'imperfetto, si riferisca soltanto all'identificazione dell'interesse del creditore, senza impedire che la valutazione di manifesta eccessività della penale tenga conto delle circostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto.
Cass. civ. n. 7180/2012
In tema di clausola penale, il criterio che il giudice deve utilizzare per valutarne l'eccessività, a norma dell'art. 1384 c.c., ha natura oggettiva, dovendosi tener conto non della situazione economica del debitore e del riflesso che la penale possa avere sul suo patrimonio, ma solo dello squilibrio tra le posizioni delle parti, avendo il riferimento all'interesse del creditore la funzione di indicare lo strumento per mezzo del quale valutare se la penale sia, o meno, manifestamente eccessiva, e dovendo la difficoltà del debitore riguardare l'esecuzione stessa della prestazione risarcitoria (ove, ad esempio, venga a mancare una proporzione tra danno, costo ed utilità), senza che occorrano ragioni di pubblico interesse che ne giustifichino l'ammontare.
Cass. civ. n. 11019/2010
È inammissibile il ricorso per cassazione proposto ai sensi dell'art. 111 Cost. contro il decreto con il quale il tribunale provveda in sede di reclamo avverso il provvedimento del giudice tutelare di revoca di un tutore, trattandosi di provvedimento che, adottato nell'ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione, è privo del carattere della decisorietà, configurandosi come intervento di tipo ordinatorio ed amministrativo, insuscettibile di passare in cosa giudicata, essendo sempre revocabile e modificabile per la sopravvenienza di nuovi elementi di valutazione.
Cass. civ. n. 5152/2010
In tema di determinazione dei poteri attribuiti agli amministratori delle società di capitali, non trova applicazione la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione prevista con riguardo ai beni degli incapaci dagli artt. 320, 374 e 394 c.c., dovendosi invece fare riferimento agli atti che rientrano nell'oggetto sociale - qualunque sia la loro rilevanza economica e natura giuridica - pur se eccedano i limiti della cosiddetta ordinaria amministrazione, con la conseguenza che, salvo le limitazioni specificamente previste nello statuto sociale, rientrano nella competenza dell'amministratore tutti gli atti che ineriscono alla gestione della società, mentre eccedono i suoi poteri quelli di disposizione o alienazione, suscettibili di modificare la struttura dell'ente e perciò esorbitanti (e contrastanti con) l'oggetto sociale. (In applicazione di tale principio, e con riferimento ad una fattispecie anteriore al d.l.vo 17 gennaio 2003, n. 6, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che, nell'interpretare una clausola statutaria che limitava i poteri degli amministratorí al compimento degli atti di ordinaria amministrazione, aveva ritenuto che essa si riferisse esclusivamente agli atti estranei all'oggetto sociale, in quanto essa sarebbe risultata priva di senso logico e giuridico ove riferita agli atti ricompresi nell'oggetto sociale, che coincidono già con tutti quelli che l'amministratore ha il potere di compiere quali atti di ordinaria amministrazione).
Cass. civ. n. 24458/2007
La riduzione della penale pattuita ex contractu ove invocata dalla parte interessata non in via di azione ma in via di eccezione, può essere proposta per la prima volta anche nel giudizio di appello; peraltro il relativo potere del giudice, essendo posto a tutela dell'interesse generale dell'ordinamento, può essere esercitato anche d'ufficio pur se le parti abbiano contrattualmente convenuto l'irriducibilità della penale.
Cass. civ. n. 18574/2007
Lo speciale regime ex art. 2384 c.c., di inopponibilità delle limitazioni del potere rappresentativo degli amministratori di una società per azioni ai terzi che non versino in situazione di dolo, per aver intenzionalmente stipulato un atto con il rappresentante sfornito di poteri in danno della società, trova applicazione in ogni caso in cui tale potere sussiste sia perché previsto dall'atto costitutivo o dalla delibera di nomina, sia perché derivante dalla stessa carica di amministratore. L'inciso «anche se pubblicate», enunciato nel secondo comma della menzionata disposizione codicistica, elimina in radice la possibilità che eventuali limitazioni del potere rappresentativo possano essere opposte al terzo contraente, allorché siano state adempiute le formalità ex lege per la pubblicazione degli atti societari. Conseguentemente, in coerenza con la ratio del menzionato art. 2384 c.c., ai fini dell'applicazione del principio enunciato non vi è ragione di distinguere le limitazioni contenute nell'atto costitutivo e nello statuto, da quelle risultanti in atti sociali, per i quali è prevista, dall'art. 29 della legge n. 266 del 1997, la pubblicazione mediante iscrizione o deposito nel registro delle imprese. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che, con motivazione immune da censure, aveva escluso nella condotta del lavoratore, all'atto della sottoscrizione del verbale di conciliazione della controversia insorta con il datore di lavoro, la consapevolezza della carenza del potere rappresentativo del Presidente della società, di cui era dipendente, stipulando la conciliazione con un rappresentante sfornito di poteri, atteso il conflitto ingeneratosi, al cospetto della Commissione di conciliazione, tra le personalità che rivendicavano la legittimazione alla trattazione della vertenza di in nome della società, e al compimento dei relativi atti, sì da ingenerare il convincimento, sia pur erroneo, della piena titolarità dei poteri rappresentativi della persona conosciuta in qualità di Presidente del consiglio di amministrazione ed esponente di massimo livello della società e, nell'ottica semplice del lavoratore, gerarchicamente sovraordinata ad un consigliere delegato per gli affari del personale, si da assorbirne le competenze).
Cass. civ. n. 18191/2007
In tema di rappresentanza, l'applicabilità del principio dell'apparenza del diritto richiede che il rappresentato abbia tenuto un comportamento colposo tale da ingenerare nel terzo il ragionevole convincimento che al rappresentante apparente fosse stato effettivamente conferito il relativo potere e che il terzo abbia in buona fede fatto affidamento sulla esistenza di detto potere, non potendosi in ogni caso invocare in via analogica il diverso principio ricavabile dall'art. 2384 c.c., dettato per le società. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello la quale aveva escluso che una società assicuratrice avesse indotto nel terzo alcun affidamento in ordine al potere rappresentativo dei coagenti per la stipula di contratti di assicurazione nel ramo vita, essendo stata data idonea pubblicità con trascrizione alla procura, che escludeva la facoltà di concludere proprio tali contratti e che comunque sottopone va i contratti autorizzati all'impiego di formulari a stampa predisposti, salvo deroghe da consentire dalla direzione della compagnia).
Cass. civ. n. 26325/2006
In tema di società di capitali, poiché l'inefficacia dell'atto estraneo all'oggetto sociale è prevista quale conseguenza del regime della rappresentanza, ove il rappresentato previamente o successivamente, con la ratifica faccia proprio l'atto del rappresentante, non sussiste lesione dell'interesse tutelato e non si pone il problema dell'inefficacia dell'atto nei confronti del terzo. Ciò implica, peraltro, che vi sia una delibera dell'assemblea fornita dei necessari poteri, mentre deve escludersi che una delibera dell'organo gestorio, ancorché assunta in forma collegiale, possa incidere sui limiti dei poteri rappresentativi dell'amministratore.
Cass. civ. n. 24166/2006
In tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall'art. 1384 c.c. a tutela dell'interesse generale dell'ordinamento, può essere esercitato d'ufficio, ma l'esercizio di tale potere è subordinato all'assolvimento degli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla parte, circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell'eccessività della penale, che deve risultare ex actis ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, senza che il giudice possa ricercarlo d'ufficio. (Nella specie la S.C. nel confermare la sentenza di merito, che aveva rilevato l'omessa indicazione degli elementi indispensabili per giudicare dell'eccessività della penale, ha osservato che il ricorrente anche in sede di legittimità aveva insistito esclusivamente sulla mancanza di danno in concreto, profilo estraneo alla struttura della clausola penale, la cui stipulazione esonera il creditore dall'onere di provare il danno).