Art. 383 – Codice civile – Esonero dall’ufficio
Il giudice tutelare [344] può sempre esonerare [43, 45] il tutore dall'ufficio, qualora l'esercizio di esso sia al tutore soverchiamente gravoso e vi sia altra persona atta a sostituirlo [352].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 5651/2023
In tema di contratto preliminare di compravendita di bene immobile, in caso di risoluzione per inadempimento del promissario acquirente, ai sensi dell'art. 1383 c.c., è legittimo il cumulo tra la penale per l'inadempimento e l'indennità di occupazione, svolgendo le due somme funzioni diverse: la prima, predetermina il danno da risoluzione del preliminare, il quale comprende l'interesse negativo, ossia quello a non essere coinvolti in una vicenda contrattuale che poi non ha esito e, dunque, il danno da tempo e occasioni perdute, nonché le spese sostenute; la seconda ripaga da altri pregiudizi, ossia quelli derivanti dalla circostanza che il proprio bene è goduto senza titolo da altri, e ciò a maggior ragione se la restituzione non è avvenuta o non deve avvenire, non essendovi stata domanda.
Cass. civ. n. 4586/2023
La revoca dell'amministratore di società a responsabilità limitata può essere disposta in ogni tempo dall'assemblea dei soci, anche in assenza di giusta causa ma, essendo il rapporto di amministrazione riconducibile quale "species" a sé stante al "genus" del mandato, l'amministratore revocato "ante tempus" senza giusta causa ha diritto al risarcimento del danno, per il principio posto dall'art. 1725, comma 1, c.c., salvo espressa pattuizione statutaria o convenzionale in senso contrario.
Cass. civ. n. 5651/2023
In tema di contratto preliminare di compravendita di bene immobile, in caso di risoluzione per inadempimento del promissario acquirente, ai sensi dell'art. 1383 c.c., è legittimo il cumulo tra la penale per l'inadempimento e l'indennità di occupazione, svolgendo le due somme funzioni diverse: la prima, predetermina il danno da risoluzione del preliminare, il quale comprende l'interesse negativo, ossia quello a non essere coinvolti in una vicenda contrattuale che poi non ha esito e, dunque, il danno da tempo e occasioni perdute, nonché le spese sostenute; la seconda ripaga da altri pregiudizi, ossia quelli derivanti dalla circostanza che il proprio bene è goduto senza titolo da altri, e ciò a maggior ragione se la restituzione non è avvenuta o non deve avvenire, non essendovi stata domanda.
Cass. civ. n. 4586/2023
La revoca dell'amministratore di società a responsabilità limitata può essere disposta in ogni tempo dall'assemblea dei soci, anche in assenza di giusta causa ma, essendo il rapporto di amministrazione riconducibile quale "species" a sé stante al "genus" del mandato, l'amministratore revocato "ante tempus" senza giusta causa ha diritto al risarcimento del danno, per il principio posto dall'art. 1725, comma 1, c.c., salvo espressa pattuizione statutaria o convenzionale in senso contrario.
Cass. civ. n. 10660/2022
L'art. 1383 c.c., che vieta il cumulo tra la domanda della prestazione principale e quella diretta ad ottenere la penale per l'inadempimento, non esclude che si possa chiedere tale prestazione insieme con la penale per il ritardo e, nella ipotesi di risoluzione del contratto, il risarcimento del danno da inadempimento e la penale per la mancata esecuzione dell'obbligazione nel termine stabilito ovvero, cumulativamente, la penale per il ritardo e quella per l'inadempimento, salva, nel caso di cumulo di penale per il ritardo e prestazione risarcitoria per l'inadempimento, la necessità di tenere conto, nella liquidazione di quest'ultima, della entità del danno ascrivibile al ritardo che sia stato già autonomamente considerato nella determinazione della penale, al fine di evitare un ingiusto sacrificio del debitore.
Cass. civ. n. 22351/2022
In caso di cessazione dalla carica di amministratore per messa in liquidazione della società non sono dovuti i danni per revoca senza giusta causa, atteso che la nomina dei liquidatori non dà luogo ad una revoca (tacita o implicita) riconducibile al disposto dell'art. 2383, comma 3, c.c., venendo meno l'organo gestorio e la continuità dell'amministrazione.
Cass. civ. n. 21207/2021
L'art. 1383 cod. civ. vieta il cumulo tra la domanda della prestazione principale e quella diretta ad ottenere la penale per l'inadempimento, ma non esclude che si possa chiedere tale prestazione insieme con la penale per il ritardo e, nella ipotesi di risoluzione del contratto, il risarcimento del danno da inadempimento e la penale per la mancata esecuzione dell'obbligazione nel termine stabilito ovvero, cumulativamente, la penale per il ritardo e quella per l'inadempimento, salva, nel caso di cumulo di penale per il ritardo e prestazione risarcitoria per l'inadempimento, la necessità di tenere conto, nella liquidazione di quest'ultima, della entità del danno ascrivibile al ritardo che sia stato già autonomamente considerato nella determinazione della penale, al fine di evitare un ingiusto sacrificio del debitore.
Cass. civ. n. 21495/2020
In tema di revoca dell'amministratore di società per azioni, le ragioni che integrano la giusta causa, ai sensi dell'art. 2383, comma 3, c.c., devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare che adotta tale decisione senza che sia possibile la successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto priva di giusta causa la revoca dell'amministratore per motivi non erano stati descritti neanche nel corso della discussione su di essa). (Rigetta, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 11/05/2016).
Cass. civ. n. 31660/2019
In tema di società di capitali, è ammessa la revoca dall'incarico di presidente o di vice presidente del consiglio di amministrazione anche in assenza di una giusta causa, spettando in quest'ultimo caso soltanto una tutela risarcitoria in favore del soggetto ingiustificatamente revocato in applicazione analogica dell'art. 2383 c.c.; tuttavia, quando la revoca costituisca la risposta ad un'attività di difesa del principio di parità di trattamento indipendentemente dalla razza e origine etnica, posta in essere con buona fede e correttezza dal soggetto revocato, quest'ultimo, essendo a sua volta vittima di condotta discriminatoria, ha anche diritto ad essere reintegrato nella propria carica ai sensi dell'art. 28 del d.lgs. n. 150 del 2011.
Cass. civ. n. 22050/2019
La penale stabilita per l'inadempimento è ontologicamente diversa da quella pattuita per il semplice ritardo, posto che quest'ultima, per espressa previsione di legge, concorre con l'adempimento dell'obbligazione - cui è collegata - in quanto avvenuto, benché in ritardo. Di conseguenza è necessaria un'apposita pattuizione per ciascuno dei due tipi di penale, posto che la funzione della stessa risulta essere la preventiva forfetizzazione del ristoro del danno in relazione alla puntuale ipotesi prevista dalle parti e, cioè, o per il ritardo o per l'inadempimento. (Nella specie, la S.C. ha censurato la decisione della corte d'appello, che aveva utilizzato per due volte la medesima e unica previsione pattizia di penale, correlandola tanto all'inadempimento - come espresso dal tenore letterale della clausola del contratto - quanto al ritardo, ritenendo essersi in presenza di una pattuizione implicita).
Cass. civ. n. 27994/2018
L'art. 1383 c.c. vieta il cumulo tra la domanda della prestazione principale e quella diretta ad ottenere la penale per l'inadempimento, ma non esclude che si possa chiedere tale prestazione insieme con la penale per il ritardo e, nella ipotesi di risoluzione del contratto, il risarcimento del danno da inadempimento e la penale per la mancata esecuzione dell'obbligazione nel termine stabilito ovvero, cumulativamente, la penale per il ritardo e quella per l'inadempimento, salva, nel caso di cumulo di penale per il ritardo e prestazione risarcitoria per l'inadempimento, la necessità di tenere conto, nella liquidazione di quest'ultima, della entità del danno ascrivibile al ritardo che sia stato già autonomamente considerato nella determinazione della penale, al fine di evitare un ingiusto sacrificio del debitore.
Cass. civ. n. 2037/2018
In tema di revoca dell'amministratore di società di capitali, le ragioni che integrano la giusta causa, ai sensi dell'art. 2383, comma 3, c.c. devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori. In tale ambito spetta alla società l'onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, trattandosi di un fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie.
Cass. civ. n. 14695/2017
In tema di società di capitali, atteso che la norma che riserva all'assemblea la nomina e la revoca degli amministratori è inderogabile, in quanto di ordine pubblico per la sua incidenza su interessi generali della collettività, e che le deliberazioni dell'assemblea debbono essere inderogabilmente prese con l'osservanza del metodo collegiale, non può ammettersi che, attraverso singole clausole contrattuali, le parti possano giungere, di fatto, a svuotare la portata di tali principi.
Cass. civ. n. 7587/2016
In tema di società di capitali, e nel silenzio dell'art. 2381 c.c., la revoca della delega all'amministratore delegato, decisa dal consiglio di amministrazione, deve essere assistita da "giusta causa", sussistendo, in caso contrario, il diritto del revocato al risarcimento dei danni eventualmente patiti. Tanto in applicazione analogica dell'art. 2383, comma 3, c.c., disciplinante la revoca degli amministratori da parte dell'assemblea, norma di cui ricorre la stessa "ratio", in base alla quale, pur nella libertà del conseguimento degli interessi e degli obiettivi societari, occorre, in assenza di "giusta causa", tenere conto del sacrificio economico e sociale dell'amministratore conseguente alla revoca, soprattutto quando la delega comporti un'attività remunerata suscettibile di valutazioni professionali nel mercato dei "manager".
Cass. civ. n. 23381/2013
La giusta causa per la revoca dell'amministratore, prevista dall'art. 2383, terzo comma, c.c., può consistere non solo in fatti integranti un significativo inadempimento degli obblighi derivanti dall'incarico, ma anche in fatti che minino il "pactum ficuciae", elidendo l'affidamento riposto al momento della nomina sulle attitudini e capacità dell'amministratore, sempre che essi siano oggettivamente valutabili come capaci di mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell'amministratore revocato, e non costituiscano, invece, il mero inadempimento ad una inesistente soggezione dell'amministratore stesso alle direttive del socio di maggioranza, pur se pubblico. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale aveva escluso la giusta causa in una vicenda in cui l'assemblea dei soci di una società per azioni, partecipata in via maggioritaria da un Comune, aveva deliberato di revocare l'amministratore sulla base di atti risultati, in realtà, coerenti con i doveri dallo stesso assunti con il mandato ad amministrare la società, come, in particolare, l'iniziativa giudiziaria promossa contro il Comune inadempiente rispetto agli obblighi assunti contrattualmente con la società ed il rifiuto opposto all'indebito accesso alla contabilità sociale da parte di alcuni consiglieri comunali).
Cass. civ. n. 8221/2012
Anche prima della riforma del diritto societario approvata col d.l.vo n. 6 del 2003 - che ha introdotto l'art. 2380 bis c.c., secondo il quale la gestione dell'impresa sociale spetta "esclusivamente" agli amministratori - vigeva, nella società per azioni, il principio di esclusività delle competenze gestorie degli amministratori. Ne consegue che, anche qualora la nuova norma sia inapplicabile "ratione temporis", costituisce giusta causa di revoca dell'amministratore di una società per azioni, agli effetti dell'art. 2383, terzo comma, c.c., la sua adesione ad un patto parasociale che rimette le scelte gestorie alla volontà maggioritaria dei relativi contraenti (cosiddetto sindacato di gestione).
Cass. civ. n. 7425/2012
La revoca assembleare per giusta causa dell'amministratore di società per azioni, che può discendere dal venir meno del rapporto di fiducia con la compagine societaria, non costituisce una sanzione, e, pertanto, non richiede la preventiva contestazione dei comportamenti legittimanti la revoca stessa. (Fattispecie relativa a società a prevalente partecipazione pubblica, regolata dal d.l. 20 maggio 1993, n. 150, non convertito e di cui al successivo d.l. 16 maggio 1994, n. 293, convertito dalla legge 15 luglio 1994, n. 444).
Cass. civ. n. 27512/2008
Allorché una società di capitali abbia deliberato la riduzione del numero dei componenti del consiglio di amministrazione, la riconducibilità di tale atto ad una più ampia direttiva generale emessa nell'ambito del gruppo societario di appartenenza, non vale ad escludere che sia configurabile una revoca dell'amministratore in esubero, in quanto le iniziative, anche legittime, dell'assemblea, che incidano, direttamente od indirettamente, sul termine originariamente fissato nella nomina, determinano il diritto al risarcimento del danno, allorchè la revoca sia avvenuta senza giusta causa.
Cass. civ. n. 591/2005
In tema di clausola penale, volta al rafforzamento del vincolo contrattuale e alla liquidazione preventiva del danno, l'art. 1383 c.c., nel vietare il cumulo della penale pattuita per l'inadempimento con la prestazione principale, non esclude che la penale per il ritardo possa cumularsi, nel caso di risoluzione del contratto con il risarcimento del danno da inadempimento ; in tale ipotesi peraltro, per evitare un ingiusto sacrificio dell'obbligato ed il correlativo indebito arricchimento del creditore, dovrà tenersi conto, nella liquidazione della prestazione risarcitoria, dell'entità del danno per il ritardo, che sia stato già autonomamente considerato nella determinazione della penale.
Cass. civ. n. 12826/2004
L'art. 1383 c.c. vieta il cumulo tra la domanda di condanna all'adempimento della prestazione principale e quella di condanna al pagamento della penale per inadempimento della stessa prestazione, ma non esclude che la parte possa domandare cumulativamente l'adempimento della prestazione principale e la corresponsione della penale se questa è stata stipulata per il danno da ritardo nell'adempimento della medesima (fattispecie in cui il venditore non aveva consegnato nel termine pattuito il bene venduto, obbligazione per la quale era stata pattuita una penale per il ritardo).
Cass. civ. n. 8813/2003
In tema di contratti, l'art. 1383 c.c. vieta il cumulo tra la domanda della prestazione principale e quella diretta ad ottenere la penale per l'inadempimento, ma non esclude che le parti possano, nell'ambito della loro autonomia contrattuale, convenire, secondo la previsione dell'art. 1382 c.c., una penale sia per l'ipotesi di inadempimento sia per l'ipotesi di ritardo nell'adempimento, e quindi contemplare per lo stesso rapporto due diverse penali, anche cumulativamente tra loro per tali due ipotesi. In tal caso, in presenza cioè di richiesta di risarcimento per il ritardo e per l'inadempimento, il giudice ha il potere, esercitabile solo su istanza della parte interessata, di ridurre ad equità la penale, per manifesta eccessività o sopravvenuta onerosità.
Cass. civ. n. 16692/2002
Ai sensi degli artt. 2383 e 2385 c.c., richiamati dal successivo art. 2487, in tema di organi di una società a responsabilità limitata, la nomina e la revoca degli amministratori devono essere iscritte nel registro di cancelleria (art. 100 att. c.c. e pubblicate nel bollettino ufficiale delle società per azioni ed a responsabilità limitata, divenendo opponibili ai terzi, ai sensi dell'art. 2457 ter c.c. (richiamato dal successivo art. 2497 bis), solo dopo tale pubblicazione, a meno che la società non provi che i terzi ne fossero comunque a conoscenza, con la conseguenza che, anche ai fini della notifica nelle mani del legale rappresentante della società al di fuori della sua sede legale (art. 145 u.c. c.p.c.) il mutamento soggettivo intervenuto in seno alla società, non reso pubblico nelle forme predette, non è opponibile al terzo notificante, salva prova - a carico della società - che quegli, prima di eseguire la notifica nelle mani del rappresentante così come risultante dal detto sistema di pubblicità, abbia avuto conoscenza del mutamento dell'organo rappresentativo.
Cass. civ. n. 6928/2001
L'accettazione della nomina ad amministratore di una società necessaria, avendo i poteri degli amministratori, fonte contrattuale non richiede l'osservanza di specifiche formalità e può essere anche tacita, prescindendo dall'adempimento degli oneri pubblicitari di cui all'art. 2383, quarto comma c.c.; in tal caso, l'accettazione può essere desunta da atti positivi incompatibili con la volontà di rifiutare la nomina e il relativo accertamento, investendo una questione di fatto, è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato.
Cass. civ. n. 5887/2001
L'art. 1383 c.c. vieta il cumulo tra la domanda della prestazione principale del contratto e quella diretta ad ottenere il pagamento della penale prevista per l'inadempimento; pertanto, nel caso in cui il creditore abbia adito l'autorità giudiziaria con due distinte domande, il giudice deve ritenere che, in analogia a quanto previsto per le obbligazioni alternative, l'attore con la proposizione della prima domanda ha operato la scelta, con la preclusione della possibilità di chiedere successivamente l'altra prestazione. Nell'ipotesi, invece, di proposizione delle due domande nello stesso giudizio da parte del creditore, queste vanno rigettate, non potendo il giudice effettuare una scelta che compete alla parte.
Cass. civ. n. 9482/1999
L'art. 2383 c.c., che prevede il diritto al risarcimento dei danni in favore dell'amministratore di una società per azioni revocato dall'incarico senza giusta causa, non si applica indiscriminatamente, nonostante il richiamo ad esso contenuto nell'art. 2487 c.c., agli amministratori di società a responsabilità limitata. Esso, infatti, va inquadrato nel sistema normativo della società per azioni, che non prevede la nomina di amministratori a tempo indeterminato, ipotesi nella quale l'applicazione della suddetta regola comporterebbe la impossibilità, per tutta la durata della vita dell'amministratore, di una revoca in assenza di giusta causa senza obbligo di risarcimento del danno, in aperta contraddizione con il carattere fiduciario dell'incarico di cui si tratta. Pertanto, la revoca di un amministratore di una società a responsabilità limitata nominato a tempo indeterminato non trova la sua disciplina nel predetto art. 2382 c.c., bensì nell'ari. 1725 c.c., il cui secondo comma prevede che, in assenza di giusta causa, la revoca del mandato a titolo oneroso a tempo indeterminato attribuisce al mandatario (figura la cui somiglianza con quella dell'amministratore di società di capitali giustifica l'applicazione analogica a quest'ultimo della relativa disciplina, in assenza di una normativa specifica) il diritto al risarcimento del danno solo se essa non sia stata comunicata con congruo preavviso.
Cass. civ. n. 11801/1998
La giusta causa della revoca dell'amministratore societario, quale ragione di disconoscimento al mandatario del danno prodotto dall'anticipato scioglimento del rapporto (art. 2383, terzo comma c.c.), può derivare anche da fatti non integranti inadempimento, ma richiede pur sempre un quid pluris, rispetto al mero dissenso (alla radice di ogni recesso ad nutum), ossia esige situazioni sopravvenute (provocate o meno dall'amministratore stesso) che minino il pactum fiduciae, elidendo l'affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e le capacità dell'organo di gestione.
Cass. civ. n. 4971/1998
Una volta attribuito sia pure con delibera viziata i poteri di rappresentanza ad un soggetto includenti capacità gestionali ed attuative delle decisioni assunte in sede collegiale, sono inopponibili ai terzi in buona fede le eventuali cause di nullità o annullabilità della delibera medesima. Più in particolare, il D.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127, attuativo della direttiva CEE del 9 marzo 1968, n. 151, ha ampliato la tutela dei terzi nei confronti degli atti societari, introducendo il settimo comma dell'art. 2383 c.c., per cui le cause di annullabilità o di nullità della nomina degli amministratori non sono opponibili ai terzi in buona fede, una volta avvenuta la pubblicazione delle relative delibere sul Bollettino Ufficiale delle società.
Cass. civ. n. 7078/1995
Salva diversa volontà delle parti, la penale prevista per l'inadempimento non può essere applicata anche per il semplice ritardo solo perché nel contratto è stato previsto un termine (non essenziale) di adempimento della obbligazione perché, attesa la tendenziale incompatibilità tra il diritto alla penale ed il conseguimento della prestazione principale (art. 1383 c.c.), si renderebbe, altrimenti, più gravosa, per il debitore, la responsabilità derivante dall'inadempimento meno grave, costituito da quel ritardo che non faccia perdere all'obbligazione la sua utilità e che, quindi, consenta anche l'inadempimento tardivo, rispetto alla responsabilità derivante dall'inadempimento definitivo, in cui, salva diversa pattuizione, la clausola ha l'effetto di limitare il risarcimento del danno alla penale convenuta.
Cass. civ. n. 3181/1990
L'art. 2383 c.c., che riserva all'assemblea la nomina e la revoca degli amministratori della società, e l'art. 2386 dello stesso codice, che affida agli altri amministratori la sostituzione dell'amministratore venuto a mancare nel corso dell'esercizio, costituiscono norme inderogabili, in quanto di ordine pubblico per la loro incidenza su interessi generali della collettività. E pertanto nullo il contratto che, in contrasto con dette norme, preveda che la nomina di un consigliere di amministrazione sia effettuata da un organo (nella specie, presidente della società) diverso da quelli suindicati. (Principio affermato in fattispecie nella quale l'impugnata sentenza cassata dalla S.C. aveva ritenuto che il contratto fra il presidente di una società per azioni ed un professionista, avente ad oggetto la prestazione dell'opera coordinata e continuativa del secondo per la riorganizzazione gestionale e la conduzione della società e delle sue collegate, contenesse anche il conferimento al professionista dei poteri di amministratore delegato necessari per lo svolgimento dei compiti predetti).
Cass. civ. n. 1300/1986
La clausola penale, la quale configura una concordata e preventiva liquidazione del danno in favore del creditore, può essere stipulata, secondo la previsione dell'art. 1382 c.c., per il caso d'inadempimento, ovvero per il caso di ritardo nell'adempimento (ferma restando la possibilità di contemplare per lo stesso rapporto due diverse penali, per l'uno e per l'altro degli indicati casi). Qualora la penale venga fissata per il solo ritardo, il creditore, esigendola, non perde il diritto di pretendere la prestazione pur dopo il verificarsi di tale ritardo (art. 1383 c.c.), né quindi il diritto, a fronte di un inadempimento definitivo, di essere risarcito del danno ulteriore e diverso rispetto a quello coperto dalla penale medesima.
Cass. civ. n. 4120/1984
L'art. 1383 c.c. vieta il cumulo tra la domanda della prestazione principale e quella diretta ad ottenere la penale per l'inadempimento, ma non esclude che si possa chiedere tale prestazione insieme con la penale per il ritardo e, nell'ipotesi di risoluzione del contratto, il risarcimento del danno da inadempimento e la penale per la mancata esecuzione dell'obbligazione nel termine stabilito, ovvero, cumulativamente, la penale per il ritardo e quella per l'inadempimento, salva, nel caso di cumulo di penale per il ritardo e prestazione risarcitoria per l'inadempimento, la necessità di tener conto, nella liquidazione di quest'ultima, dell'entità del danno ascrivibile al ritardo che sia stato già autonomamente considerato nella determinazione della penale al fine di evitare un ingiusto sacrificio del debitore (che altrimenti dovrebbe eseguire due esborsi per lo stesso titolo) e, correlativamente, un indebito arricchimento del creditore.
Cass. civ. n. 936/1974
Atteso che il pagamento della penale per il ritardo non è per se stesso incompatibile con la domanda di adempimento della prestazione, come precisato dall'art. 1383 c.c., e che non vi sono ragioni per escludere che il principio valga anche in tema di risoluzione del contratto e di conseguente risarcimento del danno, occorre tuttavia considerare che, in quest'ultima ipotesi, la risoluzione viene ad assorbire il ritardo e che, pertanto, con il risarcimento del danno ben può essere liquidata anche quella particolare voce di danni costituita dal ritardo stesso. Quanto innanzi implica che, per esaminare se il danno sia o meno cumulabile con la penale, occorre accertare, caso per caso, se nella liquidazione dei danni è stata compresa e liquidata la voce relativa al ritardo: in tal caso non è ovviamente dovuta la penale, poiché ciò comporterebbe un duplice indennizzo per lo stesso titolo; mentre, se quella voce non fu considerata in sede di liquidazione del danno, non sussistono né motivi concettuali né principi giuridici che escludano il diritto a percepire la penale unitamente al risarcimento degli altri danni. In questa ipotesi coesiste una liquidazione giudiziale (quanto alla condotta a danni in base alle norme generali nell'ambito delle prove in atti) con quella convenzionale (quanto alla penale per il ritardo).