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Art. 1236 — Dichiarazione di remissione del debito

Art. 1236 — Dichiarazione di remissione del debito

La dichiarazione del creditore di rimettere il debito estingue l’obbligazione quando è comunicata al debitore salvo che questi dichiari in un congruo termine di non volerne approfittare.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 36072/2007

Non viola il disposto di cui all’art. 42, comma primo, c.p.p., secondo cui, in caso di avvenuto accoglimento della dichiarazione di astensione o di ricusazione, il giudice non può compiere alcun atto del procedimento, il fatto che, essendo stata accolta la ricusazione del presidente del tribunale, questi, esercitando le prerogative proprie della sua funzione, abbia poi provveduto alla nomina del collegio davanti al quale deve proseguire il giudizio nell’ambito del quale la ricusazione è stata proposta.

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Cass. civ. n. 10293/2007

In tema di remissione del debito, il carattere neutro della causa remissoria, secondo la previsione tipica dell’art. 1236 c.c., comporta che la relativa ricostruzione è devoluta alla cognizione esclusiva del giudice di merito, perché si fonda sulla valutazione di elementi fattuali. Ne consegue che, in difetto di specifiche censure, diverse dalla semplice contrapposizione di una lettura diversa da quella data dal giudice di merito, va confermata la sentenza che abbia qualificato come remissione di debito a titolo gratuito, come tale inefficace nei confronti del fallimento, la lettera con cui il creditore fallito abbia dispensato il debitore dal pagamento del saldo della cessione di azienda.

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Cass. civ. n. 11749/2006

La remissione del debito non richiede una forma solenne, in difetto di un’espressa previsione normativa, e può quindi essere desunta anche da una manifestazione tacita di volontà o da un comportamento concludente, purché siano tali da manifestare in modo univoco la volontà abdicativa del creditore, in quanto risultino da circostanze logicamente incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto di credito.

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Cass. civ. n. 13169/2000

La natura negoziale della remissione, quale atto abdicativo, esige e postula che il diritto di credito si estingua conformemente alla volontà remissoria e nei limiti da questa fissati, ossia che l’estinzione si verifichi solo se ed in quanto voluta dal creditore. La volontà di remissione presuppone dunque anche, ed in primo luogo, la consapevolezza dell’esistenza del debito da parte del creditore, non potendo configurasi la remissione di un debito che lo stesso remittente reputasse, a torto o a ragione, inesistente. La remissione del debito, pur non potendosi presumere, può tuttavia ricavarsi da una manifestazione tacita di volontà, ma in tal caso è indispensabile che la volontà abdicativa risulti da una serie di circostanze concludenti e non equivoche, assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto di credito.

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Cass. pen. n. 3166/1998

È abnorme il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, richiesto dal pubblico ministero di convalidare l’arresto e di applicare una misura custodiale, respinga la seconda richiesta e disponga la scarcerazione dell’arrestato prima della udienza di convalida. Il sistema codicistico (artt. 389 c.p.p. e 121 att. c.p.p.), infatti, consentono esclusivamente al pubblico ministero di rimettere in libertà l’arrestato al di fuori dell’iter procedimentale che consiste nella fissazione dell’apposita udienza da parte del giudice. Una prematura scarcerazione dell’arrestato da parte del giudice finisce per precludere all’organo di accusa la possibilità di acquisire e offrire al giudice, sia pure nei ristretti termini previsti per la convalida, ulteriori elementi a conforto della sollecitata misura cautelare.

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Cass. civ. n. 2921/1995

In tema di remissione del debito, il carattere neutro della causa remissoria, secondo la previsione tipica dell’art. 1236 c.c., rende conciliabile la figura con un particolare assetto di interessi di più ampia portata perseguito pattiziamente dal creditore e dal debitore del rapporto, in cui la remissione si inserisca, e ciò indipendentemente da qualsiasi ipotesi transattiva. In tale configurazione, sia che l’atto remissorio si inserisca in una trattativa in corso, sia che attenga, come componente, ad un contratto concluso, nulla preclude al remittente di condizionare sospensivamente l’efficacia estintiva del rapporto obbligatorio originario o alla conclusione del contratto o alla realizzazione dell’esecuzione del contratto stesso in tutte le sue componenti.

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Cass. civ. n. 2021/1995

Nell’ambito dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, mentre l’accordo remissorio, diretto ad estinguere il debito verso il pagamento, da parte del debitore, di una quota di esso, costituendo un tipico negozio a struttura bilaterale (o plurilaterale), si perfeziona con il consenso manifestato da entrambe le parti, la remissione del debito, ai sensi dell’art. 1236 c.c., è strutturata quale negozio unilaterale recettizio relativamente al quale la dichiarazione a parte creditoris si presume accettata dal debitore, e diventa pertanto operativa dei suoi tipici effetti estintivi dal momento in cui la comunicazione perviene a conoscenza della persona alla quale è destinata (art. 1334 c.c.), a meno che questa, avuto conoscenza della manifesta volontà remissiva, non dichiari entro un proprio termine di ricusarla e, quindi, di non volerne profittare.

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Cass. pen. n. 1015/1994

Sulla richiesta formulata per la cancellazione di nastri relativi ad intercettazioni telefoniche – ai sensi dell’art. 269 c.p.p. – il Gip non può decidere de plano ma deve fissare l’udienza camerale a norma del citato articolo; nel caso di decisione adottata dal giudice direttamente senza l’osservanza della procedura camerale prevista dall’art. 127 c.p.p., trattasi di provvedimento che – pur se irritualmente incluso in un provvedimento complesso (comprendente, ad esempio, anche l’archiviazione) – non può essere definito «abnorme» (tale essendo solo un provvedimento che debba considerarsi completamente avulso dall’ordinamento giuridico), ma è ricorribile per cassazione ai sensi degli artt. 269 secondo comma e 127 nn. 1, 3, 5, 7 c.p.p

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Cass. civ. n. 5646/1994

La remissione del debito, pur non richiedendo forma solenne e formule particolari, deve peraltro contenere la inequivoca manifestazione di volontà del creditore volta alla rinuncia della prestazione. Pertanto, in mancanza di una manifestazione espressa, non è possibile ravvisare tale volontà nell’assunzione dell’obbligo di restituzione del titolo, se non accompagnata dalla effettiva restituzione, posto che una simile obbligazione potrebbe integrare anche un mero pactum de non petendo, comportante soltanto rinuncia ad azionare il titolo in giudizio, ma non rinuncia estintiva della obbligazione di pagamento.

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Cass. civ. n. 5260/1983

La remissione del debito — la quale, oltre che parziale, ben può essere condizionata — costituisce un negozio unilaterale recettizio, neutro quoad causam (con conseguente irrilevanza dell’assenza di vantaggi per il creditore) e non soggetto a particolari requisiti di forma nemmeno ad probationem, i cui effetti non possono essere disconosciuti dal creditore, ai sensi dell’art. 1236 c.c., una volta manifestato l’intento abdicativo al debitore, il quale soltanto può paralizzare l’efficacia di tale negozio, ovvero determinarne la risoluzione per l’avverarsi di una conditio iuris, mediante la tempestiva opposizione prevista dall’ultima parte della norma citata.

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Cass. civ. n. 4090/1978

La remissione di debito ben può avere ad oggetto una parte soltanto del debito stesso, ovvero, in un rapporto obbligatorio continuativo, alcune partite residue, incerte o contestate. L’accertamento circa l’estensione della remissione spetta al giudice del merito, ed è incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato. Poiché l’errore è causa di annullamento del contratto solo se riconoscibile dall’altra parte, non può essere annullata la remissione del debito per errore del creditore remittente, ove il giudice del merito accerti che l’errore stesso è stato causato dal modo di tenuta della contabilità del creditore, sì che il debitore non poteva venirne a conoscenza.

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Cass. civ. n. 3559/1976

La tipica remissione del debito, di cui all’art. 1236 c.c., è un negozio unilaterale recettizio, il cui effetto si verifica in conseguenza della sola comunicazione al debitore; l’accettazione del debitore ha, nella fattispecie, il semplice effetto di rendere irrevocabile il negozio. Una volta intervenuta, in difetto di accettazione, la remissione diviene definitiva ed irrevocabile col decorso del congruo termine, previsto nella norma citata per la dichiarazione del debitore di non volerne profittare. Per la validità della remissione del debito non è richiesto l’
animus donandi del remittente.

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Cass. civ. n. 1100/1974

La remissione di debito, pur non richiedendo formule sacramentali, deve consistere nella dichiarazione recettizia del creditore, comunicata al debitore, di rinunziare alla prestazione da questo dovutagli. Non può considerarsi valida remissione del debito degli interessi l’espressione «senza interessi» contenuta nel ricorso per decreto ingiuntivo riguardante il capitale, se il ricorso sia sottoscritto dal solo procuratore ad litem, che trae i suoi poteri da un separato mandato a compiere l’atto processuale e non a rinunziare parzialmente alla pretesa sostanziale.

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Cass. civ. n. 1752/1972

La remissione del debito può essere anche tacita, ma deve in tal caso risultare da un comportamento che manifesta in modo univoco la volontà di rinunziare al credito. La remissione della querela in sede penale non può mai, da sola, integrare tale univoca manifestazione di volontà, perché non esprime niente di più della volontà di revocare quella domanda di punizione in essa contenuta.

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Cass. civ. n. 1322/1969

L’accordo remissorio diretto ad estinguere il debito verso pagamento da parte del debitore di una quota di esso si perfeziona col consenso manifestato dalle parti (laddove la dichiarazione unilaterale di remissione si presume accettata soltanto se in congruo termine il debitore non dichiari di ricusarla). Pertanto, qualora sia concluso a mezzo di mandatario del creditore nessun effetto può attribuirsi alla successiva revoca del mandato anche se intervenuta prima dell’esecuzione (consegna materiale dei titoli) del negozio.

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