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Art. 2112 — Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda

Art. 2112 — Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda

In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.

Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido [ 1292 ], per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.

Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivinazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. L’effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.

Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti [ 2118, 2119 ], il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all’articolo 2119, primo comma [ 2558 ].

Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.

Nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all’articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 11420/2018

In caso di trasferimento di azienda o di un suo ramo, nel giudizio promosso dal lavoratore illegittimamente licenziato prima della vicenda traslativa sussiste la legittimazione passiva del cedente che ha intimato il recesso, la cui posizione, in tema di responsabilità, non è inscindibile da quella del cessionario, che, tuttavia, può essere chiamato in causa dal cedente, in quanto soggetto effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dal lavoratore, con effetto di estensione automatica della domanda nei suoi confronti.(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che, ricorrendo i presupposti della tutela obbligatoria, aveva ritenuto la legittimazione passiva della società cedente, con riferimento ai crediti riconosciuti di spettanza della lavoratrice).

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Cass. civ. n. 11410/2018

In caso di cessione d’azienda, l’alienante conserva il potere di recesso attribuitogli dalla normativa generale, sicché il trasferimento, sebbene non possa esserne l’unica ragione giustificativa, non può impedire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sempre che abbia fondamento nella struttura aziendale autonomamente considerata e non nella connessione con il trasferimento o nella finalità di agevolarlo; né deve ritenersi – qualora, nell’imminenza del trasferimento dell’azienda, l’imprenditore alienante receda dal rapporto di lavoro nei casi in cui detta facoltà gli sia attribuita – che nel suo esercizio in concreto l’imprenditore ponga in essere un atto emulativo o in frode alla legge, oppure in violazione dei principi di correttezza e buona fede a norma degli artt. 1175 e 1375 c.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva ritenuto prescritta l’azione di impugnativa del licenziamento, proposta a distanza di otto anni dalla relativa intimazione ad opera dell’azienda cedente, sul presupposto della annullabilità del recesso e non della sua nullità ex art. 2112, comma 4 c.c.).

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Cass. civ. n. 6184/2018

La validità della cessione dell’azienda non è condizionata alla prognosi della continuazione dell’attività produttiva e, di conseguenza, all’onere del cedente di verificare le capacità e potenzialità imprenditoriali del cessionario, poiché, se il legislatore ha predisposto, a garanzia dei lavoratori, una serie di cautele che vanno dalla previsione della responsabilità solidale del cedente e del concessionario in relazione ai crediti maturati dai dipendenti all’intervento delle organizzazioni sindacali, nondimeno, nessun limite, neppure implicito, sanzionato con l’invalidità e inefficacia dell’atto, è stato posto alla libertà dell’imprenditore di dismettere l’azienda, nel rispetto dell’art. 41 Cost..

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Cass. civ. n. 29422/2017

Costituisce trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., anche in base al testo precedente le modificazioni introdotte dall’art. 1 del d.lgs. n. 18 del 2001, qualsiasi operazione che comporti il mutamento della titolarità di un’attività economica qualora l’entità oggetto del trasferimento conservi, successivamente allo stesso, la propria identità, da accertarsi in base al complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano la specifica operazione (tra cui il tipo d’impresa, la cessione o meno di elementi materiali, la riassunzione o meno del personale, il trasferimento della clientela, il grado di analogia tra le attività esercitate). Né osta, alla configurabilità del trasferimento, la mancanza di un fine di lucro, purché sussista un’organizzazione di mezzi produttivi idonei a fornire un prodotto o un servizio obiettivamente caratterizzati ed economicamente valutabili quanto meno sotto il profilo dei mezzi di produzione e delle prestazioni lavorative necessari per il loro conseguimento, dovendosi ritenere irrilevante, alla luce della giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte di giustizia CE, sentenza 26 settembre 2000, C-175/99, Mayeur e con riferimento a vicende diverse dal trasferimento d’impresa, sentenza 16 ottobre 2003, Commissione c. Italia, C-32/02) che, ai fini dell’applicabilità della direttiva CE 77/187, l’attività sia esercitata non a fini di lucro e nell’interesse pubblico.

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Cass. civ. n. 13994/2017

In tema di pubblico impiego privatizzato, il passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse, in mancanza di espresse disposizioni normative sul contenuto e sulle modalità del relativo trasferimento, è disciplinato dal principio, espresso dall’art. 2112 c.c., dell’inerenza del rapporto contrattuale al complesso aziendale (o all’attività di competenza di un soggetto pubblico), in tutti i casi in cui questo, pur cambiando la titolarità, resti immutato nella sua struttura organizzativa e nell’attitudine all’esercizio dell’impresa (o della funzione perseguita), in quanto i due termini utilizzati dall’art. 31 del d.lgs. n. 165 del 2001, ai fini dell’applicazione del suddetto articolo, cioè quelli di trasferimento o di conferimento di attività, esprimono la volontà del legislatore di comprendere nello spettro applicativo di tale disposizione ogni vicenda traslativa riguardante l’attività dell’ente cedente. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che la neo istituita Azienda Policlinico Umberto I fosse succeduta nei rapporti di lavoro del personale ASL, in servizio presso il soppresso policlinico universitario, pur in assenza di norme che ne disciplinassero il passaggio)

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Cass. civ. n. 12720/2017

Nei settori in cui l’attività si fonda essenzialmente sulla mano d’opera, come nell’ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, è configurabile un trasferimento d’azienda qualora il nuovo imprenditore non si limiti a proseguire l’attività, ma riassuma anche una parte essenziale, in termini di numero e di competenza, del personale specificamente destinato dal predecessore a tali compiti, potendo corrispondere ad un’entità economica, idonea a conservare la sua identità al di là del trasferimento, un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente un’attività comune.

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Cass. civ. n. 7794/2017

In tema di “aliunde perceptum”, le somme percepite dal lavoratore a titolo d’indennità di mobilità non possono essere detratte da quanto egli abbia ricevuto come risarcimento del danno per il mancato ripristino del rapporto ad opera del cedente a seguito di dichiarazione di nullità della cessione di azienda o di ramo di essa, atteso che detta indennità opera su un piano diverso dagli incrementi patrimoniali che derivano al lavoratore dall’essere stato liberato, anche se illegittimamente, dall’obbligo di prestare la sua attività, dando luogo la sua eventuale non spettanza ad un indebito previdenziale, ripetibile nei limiti di legge.

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Cass. civ. n. 24817/2016

Nell’ipotesi di cessione di ramo d’azienda dichiarata illegittima, le erogazioni patrimoniali, eventualmente commisurate alle mancate retribuzioni, cui è obbligato il datore di lavoro cedente che non proceda al ripristino del rapporto lavorativo, vanno qualificate come risarcitorie, con conseguente detraibilità dell’”aliunde perceptum” che il lavoratore possa aver conseguito svolgendo una qualsiasi attività lucrativa.

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Cass. civ. n. 13791/2016

In caso di cessione di ramo d’azienda, l’azione diretta a far dichiarare l’invalidità della cessione per violazione dell’art. 2112 c.c. si configura come azione di nullità ex art. 1418 c.c. per contrasto con norme imperative, per sua natura imprescrittibile, senza che rilevi l’inerzia del lavoratore atteso che il il tempo trascorso (nella specie, tre anni) tra il trasferimento del ramo d’azienda e la sua impugnazione giudiziale, e quindi dal momento in cui il diritto alla tutela giurisdizionale è sorto alla sua concreta attivazione, costituisce un elemento di per sé neutro se non accompagnato da altre circostanze significative di una chiara e certa volontà di rinunciarvi.

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Cass. civ. n. 11247/2016

Ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall’art. 32 del d.l.vo n. 276 del 2003, costituisce elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati nell’ambito dell’impresa cedente, indipendentemente dal contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti. Incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall’art. 2112 c.c., che derogano al principio del necessario consenso del contraente ceduto ex art. 1406 c.c., fornire la prova dell’esistenza dei relativi requisiti di operatività.

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Cass. civ. n. 7655/2015

In caso di dichiarazione di nullità della cessione di ramo d’azienda, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno ove non sia stato ammesso a riprendere il lavoro nell’impresa cedente, salvo che egli non abbia accettato l’estinzione dell’unico rapporto di lavoro, di fatto proseguito con l’impresa cessionaria, sottoscrivendo insieme a quest’ultima un verbale di messa in mobilità.

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Cass. civ. n. 4598/2015

L’art. 2112, secondo comma, cod. civ., che prevede la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento d’azienda a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario, presuppone la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento d’azienda, sicché non è applicabile ai crediti relativi ai rapporti di lavoro esauritisi o non ancora costituitisi a tale momento, salva in ogni caso l’applicabilità dell’art. 2560 cod. civ. che contempla, in generale la responsabilità dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta, ove risultino dai libri contabili obbligatori. (Omissis).

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Cass. civ. n. 23473/2014

Nell’ipotesi di cessione di azienda, ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, e dell’art. 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, con trasferimento parziale dei lavoratori dipendenti al cessionario, la rinuncia alla solidarietà di quest’ultimo per le obbligazioni anteriori al trasferimento, quale condizione per la prosecuzione del rapporto di lavoro, costituisce deroga consentita all’art. 2112 cod. civ. ove prevista dall’accordo concluso ai sensi dell’art. 47 della legge n. 428 del 1990.

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Cass. civ. n. 21565/2014

Nel caso di cessione di azienda, il cessionario acquista gli obblighi gravanti sul cedente in favore del lavoratore, in forza del disposto dell’art. 2112, primo comma, cod. civ., rispondendo di tutti i debiti non ancora estinti per prescrizione.

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Cass. civ. n. 18955/2014

In caso di dichiarazione di nullità della cessione di ramo di azienda, il cedente, che non provveda al ripristino del rapporto di lavoro, è tenuto a risarcire il danno secondo le ordinarie regole civilistiche, sicché la retribuzione, corrisposta dal cessionario al lavoratore, deve essere detratta dall’ammontare del risarcimento.

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Cass. civ. n. 13617/2014

In tema di trasferimento d’azienda, il lavoratore ha interesse ad accertare in giudizio la non ravvisabilità di un ramo d’azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento, e, quindi, in difetto del suo consenso, l’inefficacia nei suoi confronti del trasferimento stesso, non essendo per lui indifferente, quale creditore della prestazione retributiva, il mutamento della persona del debitore-datore di lavoro, che può offrire garanzie più o meno ampie di tutela dei suoi diritti. Tale interesse non viene meno né per lo svolgimento, in via di mero fatto, di prestazioni lavorative per il cessionario, che non integra accettazione della cessione del contratto di lavoro, né per effetto dell’eventuale conciliazione intercorsa tra lavoratore e cessionario all’esito del licenziamento del primo, né, in genere, in conseguenza delle vicende risolutive del rapporto con il cessionario.

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Cass. civ. n. 9461/2014

In tema di trasferimento di azienda, il frazionamento e la cessione di parte di uno specifico settore aziendale, destinato a fornire il supporto logistico sia al ramo ceduto che all’attività della società cessionaria, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 2112 cod. civ., purché presenti, all’interno della più ampia struttura aziendale oggetto della cessione, una propria organizzazione di beni e persone al fine della fornitura di particolari servizi per il conseguimento di obiettive finalità produttive. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell’anzidetto principio, ha ritenuto correttamente ravvisabile il trasferimento di ramo d’azienda con riguardo alla cessione di un servizio dotato di una propria autonomia, di proprie strutture e personale, consistente nella gestione di tutti gli adempimenti amministrativi del personale Telecom, preesistente, sin dal luglio 1999, alla cessione stessa).

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Cass. civ. n. 9361/2014

Per “ramo d’azienda”, come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità e (come affermato anche dalla Corte di Giustizia, sentenza 24 gennaio 2002, in C-51/00) consenta l’esercizio di una attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo. Il relativo accertamento presuppone la valutazione complessiva di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell’eventuale trasferimento di elementi materiali o immateriali e del loro valore, nell’avvenuta riassunzione in fatto della maggior parte del personale da parte della nuova impresa, dell’eventuale trasferimento della clientela, nonché del grado di analogia tra le attività esercitate prima o dopo la cessione, in ciò differenziandosi dalla cessione del contratto ex art. 1406 cod. civ. che attiene alla vicenda circolatoria del solo contratto e comporta la mera sostituzione di uno dei soggetti contraenti, nonché il consenso del lavoratore ceduto. (Nella specie, è stata escluso la ravvisabilità di un ramo d’azienda nella cessione di un servizio di gestione e manutenzione di strutture informatiche privo di una struttura aziendale autonoma, non identificabile sulla base di interventi del cessionario successivi alla cessione ed anzi esclusa dai criteri di designazione dei lavoratori trasferiti, i quali erano provvisti di competenze professionali non omogenee ed ancora interagenti con l’impresa cedente).

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Cass. civ. n. 8757/2014

Per “ramo d’azienda”, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ. (come sostituito dalla prima parte dell’art. 32 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276), deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile, la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, il che presuppone, comunque, una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma (potendo conservarsi solo qualcosa che già esiste), e non anche una struttura produttiva creata “ad hoc” in occasione del trasferimento o come tale unicamente identificata dalle parti del negozio traslativo, dovendosi ritenere preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici ovvero di articolazioni non autonome (nella specie, il servizio di manutenzione degli impianti ad uso ufficio e dei servizi ambientali da parte della Telecom), unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità

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Cass. civ. n. 8756/2014

In tema di trasferimento di azienda, sussiste l’interesse del lavoratore a far accertare in giudizio che un determinato complesso di beni, oggetto di trasferimento, non integra un ramo di azienda e, dunque, a far dichiarare, in assenza del proprio consenso, l’inefficacia della cessione nei suoi confronti in quanto il mutamento della persona del debitore non è indifferente per il creditore, dal momento che la solidarietà tra cedente e cessionario prevista dall’art. 2112 cod. civ. ha per oggetto solo i crediti del lavoratore ceduto “esistenti” al momento del trasferimento dell’azienda e non quelli futuri, onde è configurabile un pregiudizio a carico del lavoratore in caso di cessione dell’azienda a soggetto meno solvibile.

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Cass. civ. n. 14208/2013

Nel caso di trasferimento di azienda, il riconoscimento, in favore dei lavoratori dell’azienda ceduta, dell’anzianità maturata presso il cedente non implica che il cessionario debba corrispondere gli scatti in riferimento a tale anzianità, ove presso il datore di lavoro precedente non esistesse il diritto a percepire gli scatti periodici di anzianità, essendo questi dovuti solo a partire dal periodo lavorativo regolato dalla contrattazione applicata presso il cessionario.

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Cass. civ. n. 11918/2013

Ai fini del trasferimento d’azienda, la disciplina di cui all’art. 2112 cod. civ. postula soltanto che il complesso organizzato dei beni dell’impresa – nella sua identità obiettiva – sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, potendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione. Tuttavia, non può ravvisarsi un trasferimento d’azienda in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, ove non sia dimostrato un passaggio di beni di non trascurabile entità, e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa.

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Cass. civ. n. 6131/2013

Il trasferimento del pacchetto azionario di maggioranza di una società di capitali non integra gli estremi del trasferimento di azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., in quanto non determina la sostituzione di un soggetto giuridico ad un altro nella titolarità dei rapporti pregressi, ma solo modifica gli assetti azionari interni sotto il profilo della loro titolarità, ferma restando la soggettività giuridica di ogni società anche se totalmente eeterodiretta.

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Cass. civ. n. 20422/2012

In tema di trasferimento di azienda, l’art. 2112 c.c. presuppone che il trasferimento dei beni, materiali ed immateriali, destinati all’esercizio dell’impresa, – nella loro funzione unitaria e strumentale e non nella loro autonoma individualità – sia effettivo e reale, sicché non vi è un legittimo trasferimento di ramo d’azienda ove vi sia la sua creazione fittizia proprio in vista della cessione. (Nella specie, la corte territoriale aveva escluso l’effettività del trasferimento evidenziando non soltanto l’inconsistenza dei beni materiali ceduti, sostanzialmente inidonei a consentire lo svolgimento dell’attività produttiva del cessionario, ma anche la mancanza di autonomi rapporti tra fornitori e cessionario, la mancata attribuzione di software e di strumentazione informatica autonoma allo stesso – come dimostrato dalla circostanza che per accedere al sistema del preteso cessionario bisognava prima accedere alla rete intranet del cedente -, nonché infine la circostanza che nemmeno i lavoratori coinvolti dal trasferimento risultavano costituire un gruppo coeso per professionalità, legami organizzativi preesistenti alla cessione e specifico know how tale da individuarli come una struttura unitaria funzionalmente idonea e non come una mera sommatoria di dipendenti).

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Cass. civ. n. 16641/2012

In tema di diritti del lavoratore nel trasferimento d’azienda, perché possano ravvisarsi i presupposti per l’applicazione dell’art. 2112 c.c., che comporta la continuazione dei rapporti di lavoro tra la cedente e la subentrante, il giudice deve verificare, secondo la volontà dei contraenti, l’oggetto specifico del contratto ossia la funzione unitaria e strumentale dei beni ceduti, che permette di ravvisare il detto trasferimento, restando invece esclusa l’applicazione della norma, nel caso di esercizio successivo, da parte di due imprese, della medesima attività produttiva, senza alienazione del complesso dei beni.

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Cass. civ. n. 12771/2012

La fattispecie del trasferimento di azienda regolata dall’art. 2112 c.c. ricorre tutte le volte che, rimanendo immutata l’organizzazione aziendale, vi sia soltanto la sostituzione della persona del titolare, indipendentemente dallo strumento tecnico-giuridico adottato (nella specie, locazione e non affitto d’azienda) essendo sufficiente, ai fini dell’integrazione delle condizioni per l’operatività della tutela del lavoratore, il subentro nella gestione del complesso dei beni organizzati ai fini dell’esercizio dell’impresa, ossia la continuità nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, restando immutati il complesso di beni organizzati dell’impresa e l’oggetto di quest’ultima, costituendo un indice probatorio di tale continuità l’impiego del medesimo personale e l’utilizzo dei medesimi beni aziendali.

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Cass. civ. n. 19291/2011

In caso di cessione d’azienda assoggettata al regime di cui all’art. 2112 c.c., posto il carattere retributivo e sinallagmatico del trattamento di fine rapporto che costituisce istituto di retribuzione differita, il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente, il cui rapporto sia proseguito con il datore di lavoro cessionario, per la quota di trattamento di fine rapporto maturata durante il periodo di lavoro svolto fino al trasferimento aziendale, mentre il datore cessionario è obbligato per la stessa quota solo in ragione del vincolo di solidarietà, e resta l’unico obbligato quanto alla quota maturata nel periodo successivo alla cessione.

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Cass. civ. n. 19282/2011

L’art. 47, Quinto comma, della legge n. 428 del 1990, consente modificazioni peggiorative del trattamento dei lavoratori, in deroga all’art. 2112 c.c., allo scopo di conservare i livelli occupazionali, quando venga trasferita l’azienda di un’impresa insolvente, purché l’accordo collettivo idoneo a costituire norma derogatoria della fattispecie risulti essere stato concluso, altrimenti restando applicabile la disciplina legale non derogata. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva evidenziato come nessun accordo collettivo derogatorio era stato perfezionato, trattandosi, al contrario, di un’intesa generica che faceva riferimento a una futura consultazione sindacale e a un futuro accordo da stipulare).

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Cass. civ. n. 16255/2011

L’art. 2112 c.c., nel regolare i rapporti di lavoro in caso di trasferimento d’azienda, trova applicazione in tutte le ipotesi in cui il cedente sostituisca a sé il cessionario senza soluzione di continuità, anche nel caso di affitto d’azienda; ne deriva che l’obbligazione dell’azienda affittuaria, come avviene per gli altri casi di cessione, si risolve in un impegno “sine die” di mantenimento dell’occupazione dei dipendenti trasferiti, che, una volta assunto, non può essere eluso semplicemente con la formale restituzione dell’azienda, per cessazione del rapporto di affitto, quando risulti che invece l’attività della impresa cedente era definitivamente cessata, mentre quella dell’azienda affittuaria era continuata. Gli effetti dell’art. 2112 c.c., che regola i rapporti di lavoro in caso di trasferimento d’azienda, si applicano anche nell’ipotesi di retrocessione dell’azienda affittata, nel senso che il cedente assume, a sua volta, gli obblighi di mantenimento dell’occupazione derivanti dalla predetta norma, ma ciò presuppone che l’impresa retrocessionaria (cioè originariamente cedente) prosegua, mediante la immutata organizzazione dei beni aziendali, l’attività già esercitata in precedenza, vanificandosi, altrimenti, l’intento perseguito dal legislatore.

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Cass. civ. n. 8465/2011

In tema di trasferimento d’azienda, l’art. 2112 c.c., nel testo (applicabile “ratione temporis”) modificato dall’art. 47 della legge n. 428 del 1990 e antecedente alla novella introdotta con il d.l.vo n. 18 del 2001, comprendeva espressamente – in linea con la direttiva 77/187/CEE del 14 febbraio 1977, come ripetutamente interpretata dalla Corte di giustizia CE e poi trasfusa nella direttiva 99/50/CE e, infine, razionalizzata, senza innovazioni sostanziali, nella direttiva 2001/23/ CE – la possibilità che il trasferimento riguardasse unità produttive. Ne consegue che, in caso di licenziamento disposto dalla società cedente, i successivi atti (nella specie, l’atto di precetto e il pignoramento) sono legittimamente notificati alla società cessionaria del ramo d’azienda, al quale era addetto il lavoratore al momento, anteriore alla cessione, della risoluzione del rapporto.

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Cass. civ. n. 21278/2010

L’art. 2112 c.c., nel testo modificato dall’art. 47, legge 29 dicembre 1990, n. 428, che ha recepito la direttiva comunitaria 77/187/CE (successivamente modificato dall’art. 1, d.l.vo 2 febbraio 2001, n. 18, in applicazione del canone dell’inter¬pretazione adeguatrice della norma di diritto nazionale alla norma di diritto comunitario ed in considerazione dell’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee con le sentenze 20 novembre 2003, C- 340-01, 25 gennaio 2001, C-172/99, 26 settembre 2000, C-175/99 e 14 settembre 2000, C-343/98), deve ritenersi applicabile anche nei casi in cui il trasferimento dell’azienda non derivi dall’esistenza di un contratto tra cedente e cessionario ma sia riconducibile ad un atto autoritativo della P.A., con conseguente diritto dei dipendenti dell’impresa cedente alla continuazione del rapporto di lavoro subordinato con l’impresa subentrante, purché si accerti l’esistenza di una cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di merito che aveva ritenuto applicabile l’art. 2112 c.c. ai dipendenti di una società concessionaria di trasporto i quali, fallita la società datrice di lavoro, avevano costituito una cooperativa avente ad oggetto lo svolgimento del medesimo servizio ed erano poi passati sostanzialmente senza soluzione di continuità, dopo essere stati messi in mobilità dalle cooperative alle dipendenze di una nuova società, continuando a svolgere le stesse mansioni, tanto da maturare il diritto, loro riconosciuto dalla Corte territoriale, all’inquadramento nel 5° livello del CCNL a seguito del compimento di “sedici anni di guida effettiva”).

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Cass. civ. n. 19000/2010

In caso di fusione per incorporazione di una società in un’altra ai sensi degli artt. 2501 e 2504 bis c.c., sussiste il diritto alla reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato, già dipendente della società incorporata, nella società incorporante quando per effetto dell’incorporazione l’intera impresa o una ramo di essa venga trasferita ad altro soggetto (cessionario) conservando la propria identità in conformità alle condizioni previste dalla normativa comunitaria (direttiva n. 77/187/CE e successive modifiche e integrazioni) determinandosi in tale ipotesi il trasferimento di azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c..

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Cass. civ. n. 8641/2010

In tema di trasferimento d’azienda, l’effetto estintivo del licenziamento illegittimo intimato in epoca anteriore al trasferimento medesimo, in quanto meramente precario e destinato ad essere travolto dalla sentenza di annullamento, comporta che il rapporto di lavoro ripristinato tra le parti originarie si trasferisce, ai sensi dell’art. 2112 c.c., in capo al cessionario, dovendosi escludere che osti a tale soluzione l’applicazione della direttiva 77/187/CE, la quale prevede – secondo l’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia CE – che i lavoratori licenziati in contrasto con la direttiva debbono essere considerati dipendenti alla data del trasferimento, senza pregiudizio per la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha ritenuto che, a seguito del-l’annullamento del licenziamento, sussisteva la legittimazione passiva anche del cessionario per le richieste del lavoratore relative al ripristino del rapporto di lavoro, escludendo la necessità di una pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia).

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Cass. civ. n. 7517/2010

La disciplina posta dal secondo comma dell’art. 2112 c.c., che prevede la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento d’azienda a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario, presuppone – al pari di quella prevista dal primo e terzo comma della medesima disposizione quanto alla garanzia della continuazione del rapporto e dei trattamenti economici e normativi applicabili – la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento d’azienda, con la conseguenza che non è applicabile ai crediti relativi ai rapporti di lavoro esauritisi o non ancora costituitisi a tale momento, salva in ogni caso l’applicabilità dell’art. 2560 c.c. che contempla, in generale la responsabilità dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta, ove risultino dai libri contabili obbligatori. (Fattispecie relativa a rapporto di lavoro, non ancora costituitosi al momento della cessione di azienda, a seguito di giudicato mai attuato, di condanna della società cedente all’assunzione del lavoratore e al risarcimento del danno).

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Cass. civ. n. 5882/2010

L’incorporazione di una società in un’altra è assimilabile al trasferimento d’azienda di cui all’art. 2112 c.c., con la conseguente applicazione del principio statuito dalla citata norma secondo il quale ai lavoratori che passano alle dipendenze dell’impresa incorporante si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso l’azienda cedente solamente nel caso in cui l’impresa cessionaria non applichi alcun contratto collettivo, mentre, in caso contrario, la contrattazione collettiva dell’impresa cedente è sostituita immediatamente ed in tutto da quella applicata nell’impresa cessionaria anche se più sfavorevole. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto applicabile ai dipendenti della società incorporata il premio di rendimento previsto dal contratto integrativo aziendale della società bancaria incorporante, benché inferiore rispetto a quello previsto dal contratto integrativo aziendale della banca incorporata).

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Cass. civ. n. 16198/2009

In presenza di un intervento legislativo volto a disciplinare cessioni di aziende o di loro rami (nella specie, il D.L.vo n. 79 del 1999, cosiddetto “decreto Bersani”) trovano applicazione, nel silenzio della legge, i principi informatori e la disciplina dettata dalla norma civilistica in tema di trasferimento d’azienda, salvo che l’inapplicabilità della norma codicistica sia espressamente prevista o dall’intero contesto dell’intervento normativo si evinca, con certezza, la volontà disapplicatrice, o infine, sia ravvisabile un’oggettiva e totale incompatibilità tra la nuova L. e la norma codicistica. Ne consegue che, avuto riguardo alla disciplina dettata con il D.L.vo n. 79 del 1999, va esclusa l’inapplicabilità dei generali principi in tema di trasferimento d’azienda o di un suo ramo, non potendosi considerare sufficiente il solo richiamo al disposto di cui all’art. 2112 c.c. contenuto nel D.P.C.M. 4 agosto 1999 (di approvazione del piano della cessione dell’ENEL ai sensi dell’art. 8, comma 1, del citato D.L.vo n. 79), al quale non pub assegnarsi – al di là del suo contenuto – una generale forza disapplicativa della norma civilistica.

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Cass. civ. n. 15820/2009

Le disposizioni contenute nell’art. 2112 c.c., relativo al trasferimento dell’azienda, costituiscono il frutto di un equilibrato bilanciamento tra contrapposti interessi a copertura costituzionale, ravvisabili da un lato nella libertà di iniziativa imprenditoriale, e dall’altro nel diritto dei lavoratori alla conservazione del posto di lavoro. Esse, pertanto, trovano applicazione anche in presenza di interventi legislativi diretti a disciplinare cessioni di aziende o di loro rami, a meno che la loro inapplicabilità sia espressamente prevista o dall’intero contesto dell’intervento legislativo si ricavi con certezza una volontà disapplicatrice, ovvero, infine, sia ravvisabile una oggettiva e totale incompatibilità tra la nuova L. e la disciplina codicistica. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che la norma codicistica dovesse trovare applicazione nell’ambito del processo di organizzazione del settore elettrico attuato con D.P.C.M. 4 agosto 1999 di approvazione del piano per la cessione dell’ENEL, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del D.L.vo 16 marzo 1999, n. 79, non solo mancando ogni riscontro a favore di una disapplicazione dell’art. 2112 c.c., ma anche tenuto conto che l’attività era stata accompagnata da un intenso intervento sindacale proprio in materia di trasferimento del personale alle nuove società).

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Cass. civ. n. 14583/2009

In tema di tutela della lavoratrice madre, la deroga al divieto di licenziamento di cui all’art. 2, secondo comma, lett. b), legge 30 dicembre 1971, n. 1204, dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino, non si applica alla cessione d’azienda, che non comporta la cessazione dell’attività dell’impresa,ma la prosecuzione del rapporto di lavoro con l’acquirente.

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Cass. civ. n. 13171/2009

In materia di trasferimento di parte (c.d. ramo) di azienda, tanto la normativa comunitaria (direttive CE nn. 98/50 e 2001/23) quanto la legislazione nazionale (art. 2112, comma Quinto, c.c., sostituito dall’art. 32 del D.L.vo 10 settembre 2003, n. 276) perseguono il fine di evitare che il trasferimento si trasformi in semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità sia dell’attitudine a proseguire con continuità l’attività produttiva. La citata direttiva del 1998 richiede, pertanto, che il ramo d’azienda oggetto del trasferimento costituisca un’entità economica con propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati per un’attività economica, essenziale o accessoria, e, analogamente, l’art. 2112, Quinto comma, c.c. si riferisce alla “parte d’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata”. Deve, quindi, trattarsi di un’entità economica organizzata in modo stabile e non destinata all’esecuzione di una sola opera, ovvero di un’organizzazione quale legame funzionale che renda le attività dei lavoratori interagenti e capaci di tradursi in beni o servizi determinati, là dove, infine, il motivo del trasferimento ben può consistere nell’intento di superare uno stato di difficoltà economica. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva riconosciuto la liceità dell’atto di trasferimento previo accertamento dell’esistenza, prima del trasferimento, di un ramo d’azienda denominato “Costruzioni terra Italia”, destinato alla progettazione, fabbricazione e posa a terra di tubi di grande diametro, a cui erano assegnati, tra gli altri, i lavoratori ricorrenti; accertamento, questo, non infirmato dall’essere state tali attività ostacolate dalla crisi delle commesse).

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Cass. civ. n. 9012/2009

L’art. 2112 c.c., nel regolare la sorte dei rapporti di lavoro in caso di trasferimento di azienda, trova applicazione in tutte le ipotesi in cui il cedente sostituisca a sè il cessionario senza soluzione di continuità e, pertanto, sia nel caso di restituzione dell’azienda da parte del cessionario all’originario cedente per cessazione del rapporto di affitto, sia nel caso di nuova azienda costituita dal conduttore di bene immobile con pertinenze, atteso che in ogni ipotesi di ritrasferimento, in applicazione del secondo comma della norma citata, il concedente è corresponsabile per tutti i debiti dell’affittuario verso i dipendenti correlati al rapporto di lavoro, ivi incluso quello attinente al regolare versamento dei contributi assicurativi o al risarcimento del danno conseguente all’omessa o irregolare contribuzione.

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Cass. civ. n. 7202/2009

La garanzia apprestata dell’art. 2112 c.c. ai diritti derivanti dal rapporto di lavoro non implica anche la parificazione a tutti gli effetti con i dipendenti già in servizio presso l’impresa cessionaria, cosicché non è precluso alla disciplina contrattuale operante presso quest’ultima di accordare rilevanza, ai fini della regolamentazione di sviluppi di carriera previsti presso questa realtà aziendale, all’esperienza professionale, intesa non come mera anzianità di servizio, ma in termini di professionalità acquisita nella medesima organizzazione aziendale e valutata insindacabilmente in sede di accordi negoziali collettivi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto nei confronti di Alitalia s.p.a. la domanda dei comandanti piloti provenienti, a seguito di trasferimento d’azienda, da Ati s.p.a. di vedersi riconosciuto, in base all’anzianità maturata presso l’azienda ceduta, il diritto ad essere utilizzati su aeromobili di livello superiore laddove la disciplina collettiva applicabile presso la cessionaria Alitalia operava una valutazione preferenziale della professionalità dei piloti di Alitalia stessa).

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Cass. civ. n. 6452/2009

In materia di trasferimento d’azienda, la direttiva CE 77/187, come ripresa nel contenuto dalla direttiva CE 98/50 e, infine, razionalizzata nel testo mediante sostituzione con la direttiva CE 2001/23 (all’origine della rinnovata versione dell’art. 2112 cod. civ.), nell’ambito del fenomeno della circolazione aziendale, persegue lo scopo di garantire ai lavoratori – assicurando la continuità dell’inerenza del rapporto di lavoro all’azienda, o alla parte di essa, trasferita ed esistente al momento del trasferimento – la conservazione dei diritti in caso di mutamento dell’imprenditore. Ne consegue che per “ramo d’azienda”, come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità e (come affermato anche dalla Corte di Giustizia, sentenza 24 gennaio 2002, C-51/00 Temco) consenta l’esercizio di una attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obbiettivo, il cui accertamento presuppone la valutazione complessiva di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell’eventuale trasferimento di elementi materiali o immateriali e del loro valore, nell’avvenuta riassunzione in fatto della maggior parte del personale da parte della nuova impresa, dell’eventuale trasferimento della clientela, nonché del grado di analogia tra le attività esercitate prima o dopo la cessione, in ciò differenziandosi dalla cessione del contratto
ex art. 1406 cod. civ. che attiene alla vicenda circolatoria del solo contratto, comportando la sola sostituzione di uno dei soggetti contraenti e necessitando, per la sua efficacia, del consenso del lavoratore ceduto.

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Cass. civ. n. 5709/2009

Ai sensi dell’art. 2112 c.c., applicabile al trasferimento che un ente pubblico faccia delle proprie attività ad altro soggetto, è configurabile il trasferimento di un ramo di azienda, anche prima delle modifiche introdotte con il D.L.vo n. 18 del 2001, nel caso in cui un servizio (nella specie di mensa scolastica), costituente un’ entità autonoma dotata di autonomia organizzativa, sia oggetto di un’operazione di dismissione e di trasferimento ad un diverso soggetto, senza che assuma alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che il servizio fosse assolto da una sola lavoratrice, non essendo tale circostanza incompatibile con l’autonomia organizzativa di una qualsiasi attività e, anzi, rappresentando un sintomo palese dell’assenza di specifici collegamenti con le altre strutture ed attività dell’ente pubblico.

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Cass. civ. n. 19740/2008

Mentre nell’ipotesi della cessione di ramo di azienda si realizza la successione legale nel rapporto di lavoro del cessionario senza bisogno di consenso dei contraenti ceduti, nel caso della mera esternalizzazione di servizi ricorre la fattispecie della cessione dei contratti di lavoro, che richiede per il suo perfezionamento il consenso dei lavoratori ceduti. Ne consegue, con riferimento a tale ultimo caso, che i lavoratori ceduti senza il loro consenso hanno diritto a richiedere il risarcimento del danno per l’illegittima cessione del rapporto secondo le norme civilistiche dell’illecito contrattuale, ex art. 1218 cod. civ., e non già secondo la disciplina speciale posta dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. (Nella specie, la S.C., rilevato che il rapporto dei lavoratori illegittimamente ceduti era in concreto proseguito con il cessionario con conservazione dei diritti derivanti dal rapporto con il cedente, ha escluso la ricorrenza di un danno da licenziamento illegittimo in capo ai lavoratori, non essendoci stato allontanamento degli stessi dal posto di lavoro).

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Cass. civ. n. 15495/2008

Il preavviso di licenziamento non ha efficacia reale, bensì obbligatoria, con la conseguenza che, nell’ipotesi in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva. Ne consegue che, in caso di trasferimento di azienda, ove il cedente receda dal rapporto per giustificato motivo, l’effetto estintivo si produce immediatamente, senza che sia ipotizzabile il trasferimento del rapporto al cessionario. In tema di trasferimento di azienda, l’art. 2112, Quarto comma, c.c., nel disporre che il trasferimento non può essere di per sé ragione giustificativa di licenziamento, aggiunge che l’alienante conserva il potere di recesso attribuitogli dalla normativa generale; ne consegue che il trasferimento di azienda non può impedire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sempre che questo abbia fondamento nella struttura aziendale, e non nella connessione con il trasferimento o nella finalità di agevolarlo. (Nella specie, in cui era stata revocata l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria e conseguente cessazione dell’attività della banca cedente, la S.C., nell’affermare il principio su esteso, ha ritenuto legittimo il licenziamento intimato al lavoratore da parte della cedente).

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Cass. civ. n. 5932/2008

Per ramo d’azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c. (cosi come modificato dalla legge 2 febbraio 2001, n. 18, in applicazione della direttiva CE n. 98/50), come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entità economica autonoma ed organizzata in maniera stabile, la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, senza che sia necessaria anche la completezza materiale e l’autosufficienza del gruppo. (Nella specie, la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, ha ritenuto che la cessione del servizio esattoriale, operata da un istituto di credito, integrasse una ipotesi di cessione di ramo d’azienda, non rilevando — ai fini della sussistenza dei requisiti di autonomia funzionale ed organizzativa che il 5%, dei dipendenti svolgesse compiti promiscui (bancari ed esattoriali) e che il settore si avvalesse di alcuni servizi operativi — il centralino, il servizio paghe, supporti informatici — della banca).

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Cass. civ. n. 5929/2008

L’art. 47, Quinto comma, della legge n. 428 del 1990, interpretato privilegiandone il significato maggiormente conforme al diritto comunitario in materia di salvaguardia dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda (direttiva 14 febbraio 1977 n. 77/187, a sua volta interpretata in base alle sentenze della Corte di giustizia della Comunità europea 25 luglio 1991, n. C — 362/89, D’Urso, e 7 dicembre 1995, n. C — 472/93, Spano, e direttiva 29 giugno 1998 n. 98/50), consente modificazioni peggiorative del trattamento dei lavoratori, in deroga all’art. 2112 c.c., allo scopo di salvaguardare le opportunità occupazionali, quando venga trasferita l’azienda di un’impresa insolvente, purché — ferma restando la continuazione dei rapporti di lavoro —, il potere modificativo dell’imprenditore cessionario sia esercitato nei modi e nei limiti di cui ai principi dell’ordinamento interno, e quindi non in maniera unilaterale ma solo sulla base di un nuovo e regolare contratto, collettivo o individuale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva evidenziato, da un lato, che i lavoratori messi in cassa integrazione non erano iscritti alle organizzazioni stipulanti e che, dall’altro, la stessa intesa non escludeva dal trasferimento d’azienda i lavoratori di cui la società si era impegnata a revocare il licenziamento collettivo).

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Cass. civ. n. 2609/2008

In tema di trasferimento di azienda, ai lavoratori che passano alle dipendenze dell’impresa cessionaria si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso l’azienda cedente solamente nel caso in cui l’impresa cessionaria non applichi alcun contratto collettivo; in caso contrario, la contrattazione collettiva dell’impresa cedente è sostituita immediatamente ed in tutto da quella applicata nell’impresa cessionaria anche se contenga condizioni peggiorative per i lavoratori rispetto alla prima.

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Cass. civ. n. 20221/2007

In tema di trasferimento di azienda, deriva dall’art. 2112 c.c. che i mutamenti nella titolarità dell’azienda non interferiscono con rapporti di lavoro già intercorsi con il cedente, che continuano a tutti gli effetti con il cessionario, con la conseguenza che questi subentra in tutte le posizioni attive e passive facenti capo al cedente. Ne consegue che il cessionario può esercitare i poteri disciplinari inerenti il rapporto di lavoro per fatti precedenti la cessione dell’azienda. (Nella specie, la S.C., affermando il principio su esteso, ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato dall’impresa cessionaria, escludendo che la stessa fosse priva di legittimazione o interesse a coltivare il procedimento disciplinare per la circostanza che i fatti contestati al dipendente erano precedenti la cessione).

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Cass. civ. n. 17434/2007

Il trasferimento di un ramo di azienda che costituisca, prima del trasferimento, un’entità dotata di autonomia ed unitaria organizzazione è configurabile come trasferimento aziendale ai sensi dell’art. 2112 c.c., mentre non è riconducibile alla nozione di cessione di azienda il contratto con il quale viene realizzata la c.d. esternalizzazione dei servizi, ove questi non integrino un ramo o parte di azienda nei sensi ora indicati. Ne consegue che, mentre nell’ipotesi della cessione di ramo di azienda si realizza la successione legale nel rapporto di lavoro del cessionario senza bisogno di consenso dei contraenti ceduti, nel caso della mera esternalizzazione di servizi ricorre la fattispecie della cessione dei contratti di lavoro, che richiede per il suo perfezionamento il consenso dei lavoratori ceduti. (Nel caso di specie, in cui un gruppo di lavoratori contestava la cessione dei propri rapporti di lavoro ad un nuovo datore, la Corte di merito, con motivazione ritenuta congrua dalla S.C., accertato che era stato ceduto un ramo di azienda di per sé autonomo consistente nei beni — materiali ed immateriali — funzionali alla gestione del parco automezzi già appartenenti ad una società telefonica, e che il trasferimento era avvenuto nel rispetto della procedura di infor¬mazione sindacale prevista dall’art. 47 della legge n. 428 del 1990 — che ha recepito la direttiva CEE n. 77 del 1987 — ha ritenuto, in applicazione dell’enunciato principio, che il trasferimento dei rapporti di lavoro non richiedeva il previo consenso dei lavoratori trasferiti).

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Cass. civ. n. 14642/2006

Ai sensi dell’art. 2112 c.c. (nel testo modificato dall’art. 47 della legge n. 428 del 1990) per la configurabilità del trasferimento di azienda, che può aver luogo anche in riferimento agli studi professionali tutte le volte in cui al profilo professionale dell’attività svolta si affianchi una organizzazione di mezzi e di strutture, un numero di titolari e di dipendenti, una ampiezza di locali adibiti ad attività professionale tali che il rapporto organizzativo e l’entità dei mezzi impiegati sovrastino l’attività del titolare, — il cui accertamento compete al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se fondato su una motivazione adeguata e immune da errori — è necessario il concorso di due requisiti: uno, obiettivo, rappresentato dalla continuità dell’azienda come entità economica organizzata dall’imprenditore e uno, soggettivo, consistente nella sostituzione dell’imprenditore. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto esaurientemente e congruamente motivata la sentenza di merito che aveva ravvisato una successione nella medesima attività professionale di commercialista tra padre e figlio, che giustificava la condanna di quest’ultimo al pagamento dei crediti lavorativi maturati da una dipendente per il rapporto di lavoro intercorso con il padre).

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Cass. civ. n. 8017/2006

Per «ramo d’aziende», ai sensi dell’art. 2112 c.c. (così come modificato dalla legge 2 febbraio 2001, n. 18, in applicazione della direttiva CE n. 98/50), come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, il che presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente, e non anche una struttura produttiva creata
ad hoc in occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata in quanto, pur avendo enunciato i criteri giurisprudenziali su menzionati per individuare il ramo di azienda, non ne aveva poi fatto corretta applicazione in motivazione, avendo omesso di considerare adeguatamente sia il profilo oggettivo della nozione di trasferimento di azienda, sia il profilo soggettivo della intenzione dei contraenti — eventualmente anche a mezzo dell’intervento del sindacato — trattandosi della cessione di un «reparto» la cui produzione continuava ad essere sottoposta al collaudo finale da parte della società cedente).

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Cass. civ. n. 26668/2005

Premesso che la disciplina dettata dall’art. 2112 c.c. (in ordine alla successione dell’imprenditore cessionario all’imprenditore cedente nel rapporto di lavoro) trova applicazione non solo nel caso di trasferimento dell’intera azienda, ma anche quando sia trasferito un singolo ramo di essa, purchè abbia una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attività di produzione di beni e servizi, si considerano fare parte del ramo d’azienda — e quindi anche i loro rapporti vengono trasferiti dal cedente al cessionario, ai sensi dell’art. 2112 c.c., senza necessità di un loro consenso — non solo i dipendenti che prestano la loro attività esclusivamente per la produzione di beni e servizi del ramo, ma anche quelli che prestano una attività lavorativa prevalente in favore di detto ramo.

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Cass. civ. n. 15371/2004

A norma dell’art. 2112 c.c. nel testo vigente anteriormente alla modifica di cui all’art. 32 del D.L.vo n. 276 del 2003 (ed applicabile nella specie ratione temporis ), in caso di trasferimento d’azienda e di prosecuzione dei rapporti di lavoro dei dipendenti col cessionario, quest’ultimo deve considerarsi unico debitore del trattamento di fine rapporto, anche per il periodo passato alle dipendenze del precedente datore di lavoro, atteso che solo al momento della risoluzione del rapporto matura il diritto del lavoratore al suddetto trattamento, del quale la cessazione del rapporto è fatto costitutivo.

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Cass. civ. n. 14670/2004

L’art. 2112 c.c., relativo alla successione dell’imprenditore cessionario all’imprenditore cedente nel rapporto di lavoro, non prevede che il lavoratore ceduto debba prestare il proprio consenso per il trasferimento del suo rapporto di lavoro, con conseguente inapplicabilità dell’art. 1406 c.c., dovendosi ritenere, sotto questo profilo, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2112 cit., in quanto esso da un lato tutela il diritto del lavoratore all’esercizio della propria professionalità, nonostante le vicende traslative che possano involgere beni in cui la stessa è connessa, e dall’altro è coerente con le esigenze di ristrutturazione aziendale, rispetto alle quali gli adempimenti normalmente richiesti dall’art. 1406 c.c. in caso di cessione del contratto e la necessità del consenso del contraente ceduto concretizzano una serie di disposizioni che, per la loro rigidità, sarebbero incompatibili con le esigenze dei processi di ristrutturazione aziendale, di riconversione industriale e di delocalizzazione delle imprese, ai quali è finalizzata la normativa contenuta nell’art. 2112 c.c.

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Cass. civ. n. 9031/2004

Si ha trasferimento di azienda in tutti i casi in cui, ferma restando l’organizzazione del complesso di beni destinati all’esercizio dell’attività economica, ne muta il titolare; in questo caso, i rapporti di lavoro preesistenti al trasferimento proseguono con il nuovo titolare senza necessità del consenso da parte dei lavoratori, con la conseguenza che ogni lavoratore può far valere nei confronti del nuovo titolare solo i diritti già maturati in precedenza ed esercitabili nei confronti del cedente; pertanto, qualora i lavoratori ceduti assumano (come nella specie) l’inefficacia della cessione nei loro confronti per essersi il cedente obbligato a trasferirli, prima della cessione, in unità produttiva esclusa dalla suddetta cessione, potrebbero ottenere dal cessionario (come avrebbero potuto ottenere dal cedente) solo il risarcimento del danno per il denunciato inadempimento contrattuale, non certo l’esecuzione in forma specifica del suddetto trasferimento.

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Cass. civ. n. 206/2004

L’art. 2112 c.c., anche nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.L.vo n. 18 del 2001, attuativo della direttiva comunitaria n. 50 del 1998, consente, letto in linea con la giurisprudenza comunitaria formatasi in merito alla interpretazione della direttiva n. 187 del 1977 e con le esplicite indicazioni fornite dalla direttiva n. 50 del 1998, di ricondurre, ai fini da esso considerati, alla cessione di azienda anche il trasferimento di un ramo della stessa; purché si tratti di un insieme di elementi produttivi organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un’attività, che si presentino prima del trasferimento come una entità dotata di autonoma ed unitaria organizzazione, idonea al perseguimento dei fini dell’impresa e che conservi nel trasferimento la propria identità. In presenza di tali condizioni, può configurarsi un trasferimento aziendale che abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare
know how (o, comunque, dell’utilizzo di copyright, brevetti, marchi, etc.), realizzandosi in tale ipotesi una successione legale di contratto non bisognevole del consenso del contraente ceduto, ex art. 1406 e ss. c.c. Requisito indefettibile della fattispecie legale tipica delineata dal diritto comunitario e dall’art. 2112 resta comunque, anche in siffatte ipotesi, l’elemento della organizzazione, intesa come legame funzionale che rende le attività dei dipendenti appartenenti al gruppo interagenti tra di esse e capaci di tradursi in beni o servizi ben individuabili, configurandosi altrimenti la vicenda traslativa come cessione del contratto di lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso del contraente ceduto.

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Cass. civ. n. 19105/2003

In caso di cessione di ramo di azienda, la garanzia della continuazione del rapporto di lavoro dei dipendenti addetti al ramo ceduto, assicurata dall’art. 2112 c.c. e dall’art. 47 della legge n. 428 del 1990, ben può attuarsi, nel rispetto della procedura di consultazione sindacale di cui al citato art. 47, con il mantenimento, da parte della impresa cedente, nelle attività aziendali non interessate dalla cessione, dei rapporti di lavoro con i dipendenti, già addetti all’attività oggetto di cessione, senza che la esclusione del passaggio dei predetti dipendenti alla cessionaria comporti una lesione del diritto di costoro.

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Cass. civ. n. 15105/2002

La disciplina dettata dall’art. 2112 c.c. e dall’art. 47 legge 428/1990 (in ordine alla successione dell’imprenditore cessionario all’imprenditore cedente nel rapporto di lavoro) trova applicazione non solo nel caso di trasferimento dell’intera azienda, ma anche quando sia trasferito un ramo di azienda, da intendere come un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni e servizi. Tale disposizione, anche nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.L.vo 18/2001, pur non impedendo la cessione di singole funzioni o servizi (c.d. esternalizzazione), impone che essi si presentino, prima del trasferimento, funzionalmente autonomi, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ravvisato la cessione di un ramo di azienda nella dismissione, c.d. outsourcing, della gestione diretta dei servizi generali e nella stipula con il Consorzio cessionario di un contratto di fornitura di servizi e manutenzioni generali).

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Cass. civ. n. 11622/2002

Perché si abbia trasferimento d’impresa, ai fini della direttiva comunitaria 77/187 e succ. mod. come interpretata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, l’entità oggetto di trasferimento deve, successivamente al medesimo, conservare la propria identità da accertarsi in base al complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano la specifica operazione (tra cui, il tipo d’impresa, la cessione o meno di elementi materiali, la riassunzione o meno del personale, il trasferimento della clientela, il grado di analogia tra le attività esercitate); non osta alla configurabilità del trasferimento la mancanza di un fine di lucro purché sussiste un’organizzazione di mezzi produttivi idonei a fornire un prodotto o un servizio obiettivamente caratterizzati ed economicamente valutabili quanto meno sotto il profilo dei mezzi di produzione e delle prestazioni lavorative necessari per il loro conseguimento; l’attività di un sindacato non è riconducibile a tale ampia nozione di attività economica organizzata e pertanto, quando intervenga una riorganizzazione delle strutture periferiche di una confederazione sindacale, dotate di propria soggettività giuridica e di autonomia d’azione, e si verifichi un passaggio di operatori sindacali e di elementi materiali dall’organizzazione che si scioglie ad altre preesistenti, non è in via di principio configurabile un trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c.

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Cass. civ. n. 10193/2002

Si ha trasferimento di azienda – anche in base alla nozione indicata dalla giurisprudenza comunitaria e dalla Direttiva CE n. 50 del 1998 – ogni volta che venga ceduto un insieme di elementi costituenti un complesso organico e funzionalmente adeguati a conseguire lo scopo in vista del quale il loro coordinamento è stato posto in essere, essendo necessario e sufficiente che sia stata ceduta un’entità economica ancora esistente, la cui gestione sia stata effettivamente proseguita o ripresa dal nuovo titolare con le stesse o analoghe attività economiche; pertanto, può configurarsi come trasferimento di azienda anche la cessione di singole unità produttive della medesima azienda, purché abbiano una propria autonomia organizzativa e funzionale, anche se una volta inserite nell’impresa cessionaria restino assorbite, integrate e riorganizzate nella più ampia struttura di quest’ultima, dovendosi accertare quale sia stato, secondo la volontà dei contraenti, l’oggetto specifico del contratto, e cioè se i beni ceduti siano stati considerati nella loro autonoma individualità o non piuttosto nella loro funzione unitaria e strumentale.

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Cass. civ. n. 7120/2002

In tema di trasferimento d’azienda, l’art. 47, comma Quinto, della legge n. 428 del 1990 che l’art. 2 del D.L.vo n. 18 del 2001 ha lasciato inalterato e che la Corte di giustizia, nella sentenza 7 dicembre 1995, in causa C472/1993, ha ritenuto in contrasto con la direttiva comunitaria n. 187 del 1977 deve essere interpretato nel senso che l’accordo sindacale di deroga all’art. 2112 c.c., per un verso, e la dichiarazione dello stato di crisi aziendale, la omologazione del concordato preventivo o gli altri eventi menzionati dalla norma, per altro verso, concretano due condizioni che devono congiuntamente sussistere nel momento in cui diviene operativo il trasferimento di azienda dal cedente al cessionario, ferma restando l’insussistenza di una rigida sequenza temporale tra l’accordo sindacale e la richiesta di dichiarazione dello stato di crisi e gli altri eventi previsti, nel senso della non necessaria posteriorità dell’accordo. La suddetta interpretazione risulta conforme alla lettera e alla ratio della disposizione in oggetto, ma, altresì, rispettosa del principio più volte affermato dalla Corte di giustizia (v. per tutte sentenza 24 settembre 1998, n. 111 ) secondo cui il giudice nazionale ha l’obbligo di adottare, tra diverse possibili letture di una norma interna, quella maggiormente aderente al diritto comunitario. (Nella specie la S.C., cassando con rinvio la sentenza impugnata, ha affermato l’inapplicabilità del citato art. 47, comma Quinto, della legge n. 428 del 1990 in un caso in cui il trasferimento di azienda era stato attuato, con la strumento del contratto di affitto, prima della omologazione del concordato preventivo ).

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Cass. civ. n. 3469/2002

Ai fini della configurabilità del trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c. (nel testo modificato dall’art. 47 legge n. 428 del 1990, attuativo della direttiva del Consiglio CEE n. 187 del 1977), è necessario accertare, oltre che i dati effettuati (quali l’eventuale collegamento economico-funzionale fra le imprese e la continuità delle prestazioni di uno o più lavoratori alle dipendenze prima di una determinata impresa e successivamente di un’altra), anche la volontà dei contraenti, dovendosi indagare, in particolare, se i beni ceduti siano stati considerati nella loro autonoma individualità o non piuttosto nella loro funzione unitaria e strumentale.

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Cass. civ. n. 8617/2001

Ai sensi dell’art. 2119, secondo comma, c.c., la cessazione del rapporto di lavoro non deriva automaticamente dal fallimento dell’imprenditore o dalla liquidazione coatta amministrativa dell’azienda, ma può aversi o per effetto del licenziamento operato dal curatore o dal liquidatore ovvero a causa della dissoluzione della realtà aziendale, la quale a sua volta non si riconnette necessariamente alla mancata continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa, ben potendo il bene giuridico aziendale sopravvivere alla mera cessazione dell’attività per un periodo più o meno lungo; ne consegue che, in caso di trasferimento dell’azienda insolvente, è applicabile l’art. 2112 c.c., che sancisce, imperativamente, la continuità dei rapporti di lavoro in corso con l’azienda ceduta, non ostandovi la circostanza che si sia in presenza di un trasferimento coattivo, atteso che la fattispecie «trasferimento» prescinde dall’esistenza di un rapporto contrattuale, assumendo esclusivo rilievo non il mezzo giuridico in concreto impiegato, ma soltanto il fatto che il nuovo imprenditore diventi titolare del complesso organizzativo e funzionale di beni. (Fattispecie relativa alla liquidazione coatta amministrativa di una Banca popolare con subentro del Monte dei Paschi di Siena; la Suprema Corte, nell’affermare il principio di cui in massima, ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva accertato l’avvenuto trasferimento dell’azienda, e non soltanto di singoli beni, sulla base dei seguenti elementi: l’utilizzo da parte del Monte subentrante degli stessi sportelli dell’impresa insolvente, la cessione di tutti gli elementi attivi e passivi dell’azienda, compreso l’avviamento, e il mantenimento in servizio degli stessi dipendenti).

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Cass. civ. n. 8179/2001

In caso di trasferimento di azienda, i debiti contratti dall’afienante nei confronti degli istituti previdenziali per l’omesso versamento dei contributi obbligatori, esistenti al momento del trasferimento, costituiscono debiti inerenti all’esercizio dell’azienda e restano soggetti alla disciplina dettata dall’art. 2560 c.c., senza che possa operare l’automatica estensione di responsabilità all’acquirente ex art. 2112, secondo comma, c.c., sia perché la solidarietà è limitata ai soli crediti di lavoro del dipendente e non è estesa ai crediti di terzi, quali devono ritenersi gli enti previdenziali, sia perché il lavoratore non ha diritti di credito verso il datore di lavoro per l’omesso versamento dei contributi obbligatori (oltre il diritto al risarcimento dei danni nell’ipotesi prevista dall’art. 2116, secondo comma, c.c.), restando estraneo al rapporto contributivo, che intercorre fra l’ente previdenziale e il datore di lavoro.

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Cass. civ. n. 3512/2001

L’istituto del trasferimento di azienda, cui consegue la tutela dei lavoratori, ai sensi dell’art. 2112 c.c. e secondo le finalità protettive indicate dalla Direttiva del Consiglio delle comunità europee 14 febbraio 1977, n. 187, presuppone che, a seguito di contratto fra le parti o per altra causa, diversa persona subentri alla precedente, senza soluzione di continuità, nella gestione della identica azienda da quest’ultima condotta, identità che va riferita non solo all’oggetto dell’attività ma anche all’azienda intesa come complesso dei beni dell’impresa, venendo questa a diversificarsi per il solo mutamento soggettivo del titolare, ferma restando l’azienda e persistendo i rapporti di lavoro con i dipendenti; ne consegue che, in difetto di tali presupposti, la mera conservazione della denominazione aziendale non è idonea a configurare il detto trasferimento. (Nella specie, cessata l’attività di un’azienda alberghiera per finita locazione, dopo un lungo periodo di stasi era iniziata un’analoga attività da parte di una società costituita dai figli del proprietario dell’immobile, che, pur conservando la denominazione aziendale, aveva del tutto diversificato il complesso aziendale ed il personale dipendente; la sentenza di merito, confermata dalla Suprema Corte in base agli enunciati principi, aveva escluso la sussistenza di un trasferimento aziendale rigettando le pretese creditorie avanzate ex art. 2112 c.c. da alcuni dipendenti della precedente azienda).

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Cass. civ. n. 11422/2000

In caso di trasferimento di un ramo di azienda, l’art. 47 della L. n. 428 del 1990 e l’art. 2112 c.c. (in parte modificato dal citato art. 47, terzo comma) garantiscono la continuazione del rapporto e la salvaguardia dei diritti acquisiti (salva la facoltà dell’alienante, prevista dall’art. 47, Quarto comma, di esercitare il recesso, nel rispetto della normativa sui licenziamenti), ma non il passaggio alle dipendenze dell’impresa cessionaria di tutti i lavoratori già addetti al ramo ceduto, sicché l’esclusione di taluni lavoratori dal passaggio alla impresa cessionaria, prevista nell’accordo concluso dalle imprese interessate a seguito dell’espletamento a norma di legge della procedura di consultazione sindacale,, non può ritenersi lesiva dei diritti dei suddetti lavoratori. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto non rilevante l’interpretazione della direttiva comunitaria in materia, stante la non configurabilità di una sua efficacia — cosiddetta orizzontale — sugli specifici rapporti).

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Cass. civ. n. 11272/2000

In tema di trasferimento d’azienda, il subentro del cessionario nei rapporti di lavoro dei dipendenti dell’azienda ceduta non si verifica soltanto se tale rapporto si sia legittimamente risolto in tempo anteriore al trasferimento medesimo; in caso contrario invece il rapporto prosegue ope legis con l’acquirente ed il lavoratore conserva tutti i diritti derivanti.

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Cass. civ. n. 4710/2000

In tema di trasferimento d’azienda, il mantenimento formale — in capo all’impresa ceden¬te — della titolarità dei rapporti di lavoro con i dipendenti, in esecuzione di una clausola contrattuale di gradualità dei trasferimenti (clausola invalida per violazione della norma inderogabile di cui all’art. 2112 c.c.), non vale ad escludere per l’impresa cessionaria la sussistenza degli obblighi retributivi derivanti dal trasferimento in base alla disciplina dello stesso art. 2112 c.c.; né può assumere il valore negoziale di una risoluzione tacita dei rapporti di lavoro con l’impresa cessionaria (o di una rinuncia ai relativi diritti) la circostanza che i lavoratori abbiano ratificato gli accordi sindacali stipulati con l’impresa cedente in ordine alla attuazione della predetta clausola di gradualità dei trasferimenti, trattandosi di comportamento tenuto esclusivamente nei confronti del datore di lavoro apparente e non di quello effettivo.

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Cass. civ. n. 2521/1998

Il trasferimento d’azienda — in qualunque forma realizzato e quindi anche, indirettamente, attraverso la restituzione dei beni aziendali dall’imprenditore affittuario al proprietario e la cessione in affitto da questo ad altro datore di lavoro — fa sì che il rapporto prosegua con l’acquirente (anche se non imprenditore ma associazione senza scopo di lucro) e che il lavoratore conservi tutti i diritti derivanti. Ne consegue che il licenziamento, fondato unicamente sul fatto del trasferimento, è affetto da nullità, che va dichiarata dal giudice, il quale emette una sentenza di mero accertamento della prosecuzione del rapporto ed eventualmente condanna il datore, o i datori succedutisi, a risarcire al prestatore il danno, derivato dall’allontanamento dal posto di lavoro, secondo le norme codicistiche sull’illecito contrattuale (art. 1218 c.c. e ss.) e non già secondo la disciplina speciale posta dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori ovvero dall’art. 8 della legge n. 604 del 1966.

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