Art. 410 – Codice di procedura civile – Tentativo di conciliazione
Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 può promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'articolo 413.
La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la Direzione provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore dell'ufficio stesso o da un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale.
Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore della Direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso per la validita' della riunione e' necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori.
La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall'istante, è consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno a cura della stessa parte istante alla controparte.
La richiesta deve precisare:
1) nome, cognome e residenza dell'istante e del convenuto; se l'istante o il convenuto sono una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, l'istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;
2) il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l'azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;
3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;
4) l'esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.
Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la commissione di conciliazione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, ciascuna delle parti è libera di adire l'autorità giudiziaria. Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi assistere anche da un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.
La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell'articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità, salvi i casi di dolo e colpa grave.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 28583/2024
L'ordinanza di archiviazione emessa dal giudice per le indagini preliminari in esito al rigetto dell'opposizione della persona offesa, non essendo affetta da abnormità né strutturale, né funzionale, non è impugnabile per cassazione e l'inammissibilità, ex art. art. 591, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., del ricorso eventualmente proposto può essere dichiarata con procedura "de plano", ai sensi dell'art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
Cass. civ. n. 24251/2024
Il provvedimento di apertura dell'amministrazione di sostegno, nella parte in cui estende al beneficiario le limitazioni previste per l'interdetto e l'inabilitato, deve essere sorretto da una specifica motivazione che giustifichi la ragione per la quale si comprime la sfera di autodeterminazione del soggetto e la misura di detta limitazione; inoltre, laddove il provvedimento disattenda le indicazioni del beneficiario, lo stesso deve fondarsi non soltanto sul rigoroso accertamento che la persona non sia capace di gestire in modo appropriato i propri interessi e di assumere decisioni adeguatamente protettive, ma anche sulla preventiva valutazione della possibilità di ricorrere a strumenti alternativi di supporto e non limitativi della capacità, in modo da proteggere gli interessi della persona senza mortificarla, preservandone la dignità, giacché solo ove questo non sia possibile può farsi luogo alla compressione della sua capacità.
Cass. civ. n. 16138/2024
In tema di archiviazione, l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari che, a seguito di richiesta del pubblico ministero di archiviazione per irrilevanza penale del fatto, disponga l'archiviazione ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. non è viziata da nullità purché nel provvedimento di fissazione dell'udienza camerale abbia espressamente informato le parti della necessità di valutare la possibilità di archiviazione per particolare tenuità del fatto.
Cass. civ. n. 15219/2024
La decadenza convenzionalmente stabilita dall'art. 35 del c.c.n.l. per l'industria edile, il quale prevede che qualsiasi reclamo sul salario e qualunque richiesta inerente al rapporto di lavoro devono essere presentati dall'operaio entro il termine perentorio di sei mesi dalla sua cessazione, è validamente impedita dalla tempestiva richiesta del tentativo di conciliazione, il cui espletamento integra il contenuto e la ratio della norma contrattuale, dovendosi detta richiesta intendere come vera ed inequivocabile manifestazione di volontà di far valere il proprio diritto, intervenuta la quale saranno operativi i soli ordinari principi in tema di prescrizione.
Cass. civ. n. 10065/2024
La conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell'art. 411, comma 3, c.p.c., non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest'ultima essere annoverata tra le sedi protette mancando del carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente all'assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore.
Cass. civ. n. 2939/2024
L'inammissibilità del ricorso avverso il provvedimento di rigetto dell'opposizione all'archiviazione proposto dal querelante non comporta la condanna di quest'ultimo a rifondere all'indagato, che ne abbia fatto richiesta, le spese processuali sostenute nel giudizio di legittimità. (In motivazione, la Corte ha evidenziato la pronuncia sulle spese in favore di una parte privata all'esito del procedimento camerale instaurato per la trattazione della opposizione alla richiesta di archiviazione, è circoscritta ai soli interessi civili, con esclusione di quelli instaurati esclusivamente agli effetti penali).
Cass. civ. n. 36468/2023
L'ordinanza di archiviazione per particolare tenuità del fatto emessa, ex art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., a seguito di opposizione dell'indagato, è impugnabile con ricorso per cassazione per violazione di legge, ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost. (In motivazione, la Corte ha precisato che tale ordinanza, pur non avendo forma di sentenza, ha carattere decisorio e capacità di incidere, in via definitiva, su situazioni di diritto soggettivo, sicchè, non essendo previsto alcun altro mezzo di impugnazione, è ricorribile per cassazione).
Cass. civ. n. 25796/2023
In tema di conciliazione in sede sindacale, ai fini dell'inoppugnabilità delle rinunce e delle transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, è necessario che l'accordo sia stato raggiunto con un'assistenza sindacale effettiva, tale da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura. (Nella specie la S.C. ha escluso, la riconducibilità al novero delle conciliazioni non impugnabili di cui all'art. 2113, ult. comma, c.c., di un accordo stipulato nella sede della Prefettura, nonostante la partecipazione di un rappresentante sindacale del lavoratore, avendo il giudice di merito, con valutazione insindacabile in sede di legittimità, escluso l'effettiva assistenza, anche alla luce della sede non prettamente sindacale di sottoscrizione dell'accordo e della mancanza di previsione di modalità contrattuali collettive cui parametrare la valutazione, senza tuttavia in astratto escludere la possibilità di sottoscrizione di detto atto anche in tale luogo).
Cass. civ. n. 611/2023
L'ordinanza di archiviazione per la particolare tenuità del fatto emessa, ai sensi dell'art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., a seguito di opposizione dell'indagato, per effetto delle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 122, che ne ha escluso l'iscrizione nel casellario giudiziario ove il relativo certificato sia richiesto dal privato, dal datore di lavoro, ovvero sia destinato a pubbliche amministrazioni, è ricorribile per cassazione per violazione di legge ex art. 111, comma settimo, Cost., a condizione che sia allegato un interesse concreto ed attuale alla rimozione del provvedimento.
Cass. civ. n. 29419/2019
La convocazione avanti alla competente commissione di conciliazione, all'esito della richiesta di svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione contenente la specificazione delle rivendicazioni avanzate costituisce una vera e propria messa in mora, valutabile ex art. 2943, comma 4, c.c., ai fini dell'interruzione della prescrizione, contenendo l'esplicitazione della pretesa e manifestando l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo. L'accertamento di tale requisito oggettivo costituisce indagine di fatto riservata all'apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici.
Cass. civ. n. 27948/2018
In tema di impugnativa del licenziamento individuale ex art. 6 della l. n. 604 del 1966, come modificato dall'art. 32, comma 1, della l. n. 183 del 2010, ove alla richiesta, effettuata dal lavoratore, di tentativo di conciliazione o arbitrato consegua un esplicito rifiuto datoriale - che si perfeziona senza necessità di una sua comunicazione alla DTL -, il lavoratore medesimo è tenuto a depositare, ai sensi dell'ultima parte del comma 2 del citato art. 6, il ricorso al giudice entro il termine di decadenza, decorrente dal rifiuto in questione, di 60 giorni, il quale assume, per la specifica regola che lo prevede, un evidente connotato di specialità che lo rende insensibile alla disciplina generale della sospensione dei termini di decadenza di cui all'art. 410, comma 2, c.p.c.; ne consegue che al predetto termine di sessanta giorni non possono sommarsi i venti giorni previsti in tale ultima disposizione.
Cass. civ. n. 21617/2018
L'art. 2113 c.c. è applicabile anche nell'ipotesi in cui il lavoratore abbia già intrapreso un'azione giudiziaria, in quanto la sua posizione di soggezione nei confronti del datore di lavoro non viene meno per il fatto che egli abbia azionato un diritto o sia assistito da un legale; ne consegue che, ai sensi del citato articolo, restano impugnabili nel termine di sei mesi tutte le rinunce e transazioni che non siano intervenute nella forma della conciliazione giudiziale o sindacale, a nulla rilevando che le suddette intervengano dopo che il lavoratore abbia già azionato il diritto in giudizio.
Cass. civ. n. 17253/2016
In tema di impugnativa di licenziamento individuale, il termine decadenziale previsto dall'art. 6, comma 2, della l. n. 604 del 1966, come modificato dall'art. 32, comma 1, della l. n. 183 del 2010, decorre anche qualora la comunicazione della richiesta stragiudiziale di tentativo di conciliazione o arbitrato sia inoltrata via fax, perché, non prescrivendo la norma specifiche modalità di comunicazione a pena di validità ed efficacia, la ricezione a mezzo fax è del tutto equipollente alle modalità di "consegna", previste dall'art. 410, comma 5, c.p.c.
Cass. civ. n. 14352/2015
L'art. 7, settimo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel prescrivere al datore, che abbia inflitto al prestatore di lavoro una sanzione disciplinare, di nominare un proprio rappresentante in seno al collegio di conciliazione ed arbitrato entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, impone al medesimo datore, che intenda declinare la competenza arbitrale e ricorrere al giudice ordinario, di promuovere, entro lo stesso termine di dieci giorni, il tentativo obbligatorio di conciliazione, di cui all'art. 410 cod. proc. civ., comminando una decadenza che viene impedita con la tempestiva consegna della lettera all'ufficio postale, restando irrilevante la data di ricezione della medesima.
Cass. civ. n. 19604/2014
La prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore è interrotta dalla comunicazione della sua richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione, ai sensi dell'art. 410, secondo comma, cod. proc. civ., spettando al datore di lavoro, che contesti l'efficacia interruttiva della richiesta, provarne le eventuali lacune o ambiguità.
Cass. civ. n. 12890/2014
Alla luce di una lettura costituzionalmente orientata (Corte cost. n. 276 del 2000 e n. 477 del 2002) delle norme applicabili in materia di decadenza dal potere di impugnare il licenziamento, non è necessario che l'atto di impugnazione del licenziamento giunga a conoscenza del destinatario - ovvero, in particolare, che esso pervenga all'indirizzo del datore di lavoro - nel termine di sessanta giorni previsto dall'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, per evitare la decadenza dalla facoltà di impugnare, in quanto, ai sensi dell'art. 410, secondo comma, cod. proc. civ. (così come modificato dall'art. 36 del d.lgs. del 31 marzo 1998, n. 80 e nella formulazione "ratione temporis" applicabile), il predetto termine (processuale con riflessi di natura sostanziale) si sospende a partire dal deposito dell'istanza di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l'impugnativa scritta del licenziamento, presso la commissione di conciliazione, divenendo irrilevante, in quanto estraneo alla sfera di controllo del lavoratore, il momento in cui l'ufficio provinciale del lavoro provveda a comunicare al datore di lavoro la convocazione per il tentativo di conciliazione.
Cass. civ. n. 15806/2010
In materia di diritti dei lavoratori, la transazione intervenuta innanzi al giudice straniero può essere qualificata transazione giudiziale, per gli effetti di cui all'art. 410 c.p.c., ove siano assicurate dinanzi all'autorità giudiziaria straniera le garanzie difensive sottese alla richiamata norma, secondo la valutazione - incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivata - operata dal giudice di merito, cui compete anche l'interpretazione di tale transazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito italiana che aveva definito la controversia attribuendo rilevanza ad una transazione tra lavoratore e datore di lavoro intervenuta in un giudizio tedesco, assicurando questo una tutela dei diritti delle parti analoga a quella garantita dall'ordinamento italiano).
Cass. civ. n. 6336/2009
La convocazione avanti alla competente commissione di conciliazione, all'esito della richiesta di svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione contenente la specificazione delle rivendicazioni avanzate (nella specie, l'accertamento dell'interposizione vietata e della sussistenza di un rapporto di lavoro con le Ferrovie dello Stato, oltre alle conseguenti differenze retributive) costituisce una vera e propria messa in mora, valutabile ex art. 2943, comma quarto c.c., ai fini dell'interruzione della prescrizione, contenendo l'esplicitazione della pretesa e manifestando l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo. L'accertamento di tale requisito oggettivo costituisce indagine di fatto riservata all'apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici.
Cass. civ. n. 14087/2006
Alla luce di una lettura costituzionalmente orientata (v. Corte cost. n. 276 del 2000 e n. 477 del 2002) delle norme applicabili in materia di decadenza dal potere di impugnare il licenziamento, non è necessario che l'atto di impugnazione del licenziamento giunga a conoscenza del destinatario nel predetto termine, ovvero, in particolare, che esso pervenga all'indirizzo del datore di lavoro entro i sessanta giorni previsti dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966 per evitare la decadenza dalla facoltà di impugnare, in quanto, ai sensi dell'art. 410 c.p.c., secondo comma (così come modificato dall'art. 36 del D.L.vo n. 80 del 1998), il predetto termine (processuale con riflessi di natura sostanziale) si sospende a partire dal deposito dell'istanza di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l'impugnativa scritta del licenziamento, presso la Commissione di conciliazione e divenendo irrilevante, in quanto estraneo alla sfera di controllo del lavoratore, il momento in cui l'ufficio provinciale del lavoro provveda a comunicare al datore di lavoro la convocazione per il tentativo di conciliazione.
Cass. civ. n. 13046/2006
Il disposto del secondo comma dell'art. 410 c.p.c. distingue, in base al suo inequivoco tenore letterale, tra gli effetti che il tentativo obbligatorio di conciliazione preventivo previsto per le controversie di lavoro esplica ai fini dell'interruzione della prescrizione dalle conseguenze da esso scaturenti con riferimento alla sospensione dei termini decadenziali, con la conseguenza — anche in virtù del carattere tassativo riconducibile alle ipotesi di sospensione della prescrizione risultanti dagli artt. 2941 e 2942 c.c. — che la comunicazione della richiesta di espletamento di tale tentativo non comporta anche la sospensione del termine di prescrizione del diritto azionato sino al termine di venti giorni successivi alla conclusione della procedura conciliativa.
Cass. civ. n. 11116/2006
L'atto di impugnazione del licenziamento ha natura di negozio giuridico unilaterale recettizio, ex art. 1335 c.c., e come tale deve giungere a conoscenza del destinatario per produrre i suoi effetti; in particolare, deve pervenire all'indirizzo del datore di lavoro entro i sessanta giorni previsti dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966 per evitare la decadenza dalla facoltà di impugnare; ne consegue che il deposito dell'istanza di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l'impugnativa scritta del licenziamento, presso la Commissione di conciliazione, non è sufficiente ad impedire la decadenza, ma è necessario a tal fine che la comunicazione della convocazione pervenga al datore di lavoro prima del termine di sessanta giorni previsto dalla legge, ovvero che il lavoratore provveda autonomamente a notificargli tale richiesta, senza attendere la comunicazione dell'ufficio, onde evitare il rischio del maturarsi della decadenza.
Cass. civ. n. 11025/2006
Il principio per cui l'atto di riassunzione del processo può contenere una nuova domanda in aggiunta a quella originaria, valendo in tal caso l'atto di riassunzione come atto di introduzione di un giudizio ex novo, non si applica alla sospensione del processo del lavoro per mancato previo esperimento del tentativo di conciliazione, il quale deve proseguire negli stessi termini della domanda di cui al ricorso introduttivo del giudizio e del tentativo di conciliazione.
Cass. civ. n. 5311/2006
Il tentativo obbligatorio di conciliazione, introdotto dall'art. 410 c.p.c., novellato dall'art. 36 del D.L.vo n. 80 del 1998, riguarda solo le controversie di cui all'art. 409 e non può essere esteso alle controversie previdenziali per effetto del disposto di cui all'art. 442 dello stesso codice; del resto, per le controversie previdenziali (anche se solo per quelle che riguardano le domande proposte dall'assicurato per conseguire prestazioni previdenziali o assistenziali), opera lo specifico istituto dell'improcedibilità di cui all'art. 443 c.p.c., improcedibilità rilevabile d'ufficio, peraltro, solo nella prima udienza di discussione.
Cass. civ. n. 20153/2005
Il quarto comma dell'art. 7 della legge n. 604 del 1966 - che disponeva la sospensione del termine di sessanta giorni, di cui all'art. 6, dal giorno della richiesta del tentativo di conciliazione all'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione fino (fra l'altro) alla data del verbale di fallimento del detto tentativo - è stato sicuramente abrogato a seguito della nuova formulazione dell'art. 410 c.p.c., come operata con i decreti legislativi n. 80 del 1998 (art. 36) e n. 387 del 1998 (art. 19). In particolare, il secondo comma dell'attuale art. 410 dispone che la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza. Attesa, inoltre, la natura ricettizia degli atti interruttivi della prescrizione e considerato che il legislatore parla di interruzione e non di sospensione della prescrizione, deve ritenersi che la comunicazione che interrompe la prescrizione e sospende il decorso di ogni termine di decadenza è quella fatta al datore di lavoro.
Cass. civ. n. 6326/2004
Nel rito del lavoro, dal mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall'art. 410 c.p.c., nel termine fissato dal giudice, discende non l'estinzione del giudizio — difetto di una espressa previsione di legge in tal senso — bensì l'improcedibilità della domanda, da dichiararsi con sentenza.