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Art. 2120 — Disciplina del trattamento di fine rapporto

Art. 2120 — Disciplina del trattamento di fine rapporto

In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto a un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni.

Salvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua, ai fini del comma precedente, comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.

In caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell’anno per una delle cause di cui all’articolo 2110, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l’integrazione salariale, deve essere computato nella retribuzione di cui al primo comma l’equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro.

Il trattamento di cui al precedente primo comma, con esclusione della quota maturata nell’anno, è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5 per cento in misura fissa e dal 75 per cento dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.

Ai fini dell’applicazione del tasso di rivalutazione di cui al comma precedente per frazioni di anno, l’incremento dell’indice ISTAT è quello risultante nel mese di cessazione del rapporto di lavoro rispetto a quello di dicembre dell’anno precedente. Le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero.

Il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70 per cento sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta.

Le richieste sono soddisfatte annualmente entro i limiti del 10 per cento degli aventi titolo, di cui al precedente comma, e comunque del 4 per cento del numero totale dei dipendenti.

La richiesta deve essere giustificata dalla necessità di:

  1. a) eventuali spese sanitarie per terapie o interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;
  2. b) acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato con atto notarile.

L’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro e viene detratta, a tutti gli effetti, dal trattamento di fine rapporto.

Nell’ipotesi di cui all’articolo 2122 la stessa anticipazione è detratta dall’indennità prevista dalla norma medesima.

Condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali. I contratti collettivi possono altresì stabilire criteri di priorità per l’accoglimento delle richieste di anticipazione.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 15217/2016

Il trattamento estero ha natura retributiva, tanto in presenza di una funzione compensativa della maggiore gravosità del disagio morale e ambientale, quanto nel caso in cui sia correlato alle qualità e condizioni personali concorrenti a formare la professionalità indispensabile per prestare lavoro fuori dai confini nazionali, mentre ha natura riparatoria il rimborso spese per la permanenza all’estero, che costituisce la reintegrazione di una diminuzione patrimoniale derivante da una spesa effettiva sopportata dal lavoratore nell’esclusivo interesse del datore, restando normalmente collegato ad una modalità della prestazione lavorativa richiesta per esigenze straordinarie, priva dei caratteri della continuità e determinatezza (o determinabilità) e fondata su una causa autonoma rispetto a quella retributiva.

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Cass. civ. n. 4286/2016

L’art. 2120, comma 2, c.c., nella formulazione attualmente vigente, nel definire la nozione di retribuzione ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, non richiede, a differenza del vecchio testo della norma, la ripetitività regolare e continua e la frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, disponendo che questi ultimi vanno esclusi dal suddetto calcolo solo in quanto sporadici ed occasionali, per tali dovendosi intendere solo quelli collegati a ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite, e dovendosi all’opposto computare gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto la computabilità, ai fini del suddetto calcolo, delle somme corrisposte a titolo di festività non fruite in quanto cadenti di domenica).

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Cass. civ. n. 4684/2015

Per il periodo anteriore alla riforma di cui al d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, i versamenti del datore di lavoro nei fondi di previdenza complementare – sia che il fondo abbia personalità giuridica autonoma, sia che consista in una gestione separata del datore stesso – hanno natura previdenziale, non retributiva, sicché non rientrano nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro.

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Cass. civ. n. 11579/2014

Il diritto al trattamento di fine rapporto sorge alla cessazione del rapporto di lavoro e solo da questa data decorre il termine di prescrizione, mentre concorrono a determinarne l’ammontare anche gli accantonamenti relativi a retribuzioni per le quali il diritto sia ormai prescritto, poiché quelle retribuzioni rilevano solo come base di computo del t.f.r. e non come componenti del relativo diritto.

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Cass. civ. n. 27643/2013

Ai fini della computabilità o meno dell’indennità di trasferta nel calcolo dell’indennità di anzianità e del t.f.r., nella nozione di “trasferisti” rientrano i lavoratori subordinati destinati a svolgere sistematicamente e professionalmente la propria attività quasi interamente al di fuori della sede aziendale, sempre in luoghi diversi, senza alcuna sede lavorativa fissa e predeterminata, percependo la retribuzione indipendentemente dalla effettiva effettuazione della trasferta, secondo un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo in presenza di vizi logici e giuridici.

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Cass. civ. n. 16636/2012

Nella nozione di retribuzione deve farsi rientrare qualsiasi utilità corrisposta al lavoratore dipendente che proviene dal datore di lavoro se causalmente collegata al rapporto di lavoro, anche ove si tratti di somme materialmente erogate da un soggetto diverso dal datore di lavoro, ed anche se l’attribuzione patrimoniale costituisca la prestazione di un contratto diverso da quello di lavoro, ove tale contratto costituisca lo strumento per conseguire il risultato pratico di arricchire il patrimonio del lavoratore in correlazione con lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato. (Nella specie, la corte territoriale aveva riscontrato un accordo tra le parti secondo cui il dipendente, nell’adempimento degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro, doveva svolgere anche attività come amministratore o liquidatore delle società del gruppo, ricevendo per tali attività un compenso aggiuntivo corrisposto talora direttamente dal datore, talaltra per il tramite delle società del gruppo; la S.C. ha confermato la decisione, affermando il principio su esteso). Il concetto di retribuzione recepito dagli artt. 2118, comma secondo, c.c. (ai fini del calcolo dell’indennità di preavviso in caso di licenziamento) e 2120 c.c. (ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto) è ispirato al criterio dell’onnicomprensività, nel senso che in detti calcoli vanno compresi tutti gli emolumenti che trovano la loro causa tipica e normale nel rapporto di lavoro cui sono istituzionalmente connessi, anche se non strettamente correlati alla effettiva prestazione lavorativa, mentre ne vanno escluse solo quelle somme rispetto alle quali il rapporto di lavoro costituisce una mera occasione contingente per la relativa fruizione, quand’anche essa trovi la sua radice in un rapporto obbligatorio diverso ancorché collaterale e collegato al rapporto di lavoro. (In base al suddetto principio, la S.C. ha ritenuto di ricomprendere nel calcolo degli emolumenti citati il controvalore dell’uso dell’autovettura di proprietà del datore di lavoro utilizzata anche per motivi personali, le relative spese di assicurazione e accessorie nonché le polizze assicurative stipulate dal datore di lavoro a favore del lavoratore).

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Cass. civ. n. 4708/2012

La contrattazione collettiva può derogare al principio della omnicomprensività della retribuzione agli effetti della determinazione del trattamento di fine rapporto, limitando la base di calcolo, anche con modalità indirette, purché con volontà chiara, ed è libera di stabilire il parametro retributivo per le mensilità aggiuntive, in ordine alle quali neppure sussiste un criterio legale tendenzialmente omnicomprensivo; pertanto, con riferimento al personale dipendente delle aziende grafiche ed editoriali (nella specie, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato), riferendosi l’art. 21 del c.c.n.l. del 1° novembre 1992 alla retribuzione per “orario normale”, il trattamento di fine rapporto e la tredicesima mensilità vanno determinati, per il periodo successivo alla decorrenza del medesimo c.c.n.l., con esclusione dei compensi per lavoro straordinario.

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Cass. civ. n. 709/2012

In tema di trattamento di fine servizio per i pubblici dipendenti già assunti alla data del 31 dicembre 1995, è demandata alla contrattazione collettiva soltanto la definizione delle modalità applicative della disciplina in materia di trattamento di fine rapporto (art. 2, comma 7, della legge n. 335 del 1995) e la “nuova regolamentazione contrattuale della materia”, destinata a superare la previgente disciplina ex art. 72, comma 3, del d.l.vo n. 29 del 1993, ora trasfuso nell’art. 69, comma 2, del d.l.vo n. 165 del 2001, va riferita ad un intervento complessivo di modifica del quadro normativo e non a meri interventi specifici su taluni punti, quale l’inclusione di voci retributive nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita. Pertanto, attesa l’inderogabilità della normativa previdenziale, nel cui ambito rientra l’indennità di buonuscita, in difetto di specifiche disposizioni, all’autonomia collettiva è preclusa l’inclusione di ulteriori elementi retributivi nella relativa base di calcolo. (Nella specie, per un dipendente in servizio alla data del 31 dicembre 1995, è stata esclusa la computabilità della retribuzione di posizione di cui al c.c.n.l. 2002/2005 del comparto università).

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Cass. civ. n. 19917/2011

In tema di trattamento di fine rapporto, gli accordi aziendali possono derogare al principio di onnicomprensività della retribuzione di cui all’art. 2120, secondo comma, c.c. (anche nel testo novellato dalla legge n. 297 del 1982) solo in modo chiaro ed univoco. Ne consegue l’inidoneità della clausola contrattuale di cui all’art. 4 dell’accordo aziendale del 24 maggio 1986 per il personale delle ferrovie ad escludere l’indennità di presenza ai fini del computo del TFR, limitandosi la disposizione a prevedere che l’erogazione degli importi di cui all’accordo “non possono comportare oneri riflessi sugli istituti contrattuali e di legge vigenti”.

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Cass. civ. n. 542/2011

In tema di lavoro straordinario, il compenso forfettario della prestazione resa oltre l’orario normale di lavoro accordato al lavoratore per lungo tempo, ove non sia correlato all’entità presumibile della prestazione straordinaria resa, costituisce attribuzione patrimoniale che, con il tempo, assume funzione diversa da quella originaria, tipica del compenso dello straordinario, e diviene un superminimo che fa parte della retribuzione ordinaria e non è riducibile unilateralmente dal datore di lavoro.

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Cass. civ. n. 23622/2010

L’accertamento della natura retributiva o risarcitoria del trattamento economico aggiuntivo riconosciuto al lavoratore che presti la propria opera all’estero è riservato al giudice di merito, gravando sul lavoratore – ove il contratto giustifichi l’erogazione delle somme in riferimento non al valore professionale della prestazione ma ai maggiori esborsi che il lavoratore deve sopportare per trasferirsi o per soggiornare all’estero insieme alla famiglia – l’onere di provare che esse non siano riconducibili alla funzione di rimborso spese, ed al giudice di merito, che ne riconosca la natura retributiva, di indicare le specifiche ragioni del suo convincimento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con riguardo alle somme corrisposte per le spese di vitto, alloggio e trasporti durante il soggiorno lavorativo in Francia, aveva ritenuto – ai fini del computo del TFR – la loro natura risarcitoria e non retributiva con motivazione ritenuta congrua e logicamente plausibile pure in ordine alla mancata valutazione della determinazione del fisco francese, fatto da ritenere privo del requisito della decisività, in quanto le qualificazioni ai fini tributari sono ininfluenti fuori del settore specifico).

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Cass. civ. n. 3894/2010

Il diritto al trattamento di fine rapporto sorge, a norma dell’art. 2120 c.c., al momento della cessazione del rapporto ed in conseguenza di essa, essendo irrilevante, al fine di ipotizzare una diversa decorrenza, l’accantonamento annuale della quota del trattamento, che costituisce una mera modalità di calcolo dell’unico diritto che matura nel momento anzidetto, ovvero l’anticipazione sul trattamento medesimo, che è corresponsione di somme provvisoriamente quantificate e prive del requisito della certezza, atteso che il diritto all’integrale prestazione matura, per l’appunto, solo alla fine del rapporto lavorativo. Ne consegue che la prescrizione del diritto al t.f.r. decorre soltanto dalla cessazione del rapporto lavorativo.

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Cass. civ. n. 3684/2010

Nell’indennità di trasferta prevista in favore del lavoratore che si trasferisce in un luogo di lavoro diverso da quello abituale possono ravvisarsi due componenti, quella risarcitoria e quella residuale retributiva, la cui rispettiva determinazione quantitativa (rilevante nella specie al fine di stabilirne la computabilità per il calcolo dell’indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto), discende dalla interpretazione delle specifiche pattuizioni contrattuali, essendo quindi devoluta al giudice di merito. (Nella specie, la S.C. ha cassato, con rinvio, la sentenza della corte territoriale che, nell’escludere l’indennità di trasferta dal computo dell’indennità di anzianità e del T.F.R. sul rilievo della sua natura risarcitoria, aveva omesso di accertare se in essa fosse presente, e in quale percentuale, anche una componente retributiva, tanto più che la stessa indennità risultava essere connessa all’impossibilità per i lavoratori operanti fuori dalla cinta daziaria del Comune di Roma di usufruire del servizio di mensa aziendale).

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Cass. civ. n. 365/2010

In tema di determinazione del trattamento di fine rapporto, il principio secondo il quale la base di calcolo va di regola determinata in relazione al principio della onnicomprensività della retribuzione di cui all’art. 2120 c.c., nel testo novellato dalla legge n. 297 del 1982, è derogabile dalla contrattazione collettiva, che può limitare la base di calcolo anche con modalità indirette purché la volontà risulti chiara pur senza l’utilizzazione di formule speciale od espressamente derogatorie. Ne consegue che, con riferimento al personale dipendente delle aziende grafiche e affini e delle aziende editoriali (nella specie, del¬l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato), a partire dal c.c.n.l. del 1 novembre 1992, la quota annuale di cui all’art. 1 della legge n. 297 del 1982 per il calcolo del trattamento di fine rapporto concerne la retribuzione indicata, con definizione non onnicomprensiva, nell’art. 21 del c.c.n.l medesimo sulla nomenclatura, ossia quella “complessivamente percepita dal quadro, dall’impiegato e dall’operaio per la sua prestazione lavorativa, nell’orario normale”, con esclusione delle prestazioni di lavoro straordinario. (Interpretazione diretta per la prima volta,
ex art. 360, n. 3 c.p.c., da parte della S.C. delle disposizioni contrattuali collettive relative al TFR per il personale dipendente delle aziende grafiche).

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Cass. civ. n. 9695/2009

Il diritto al trattamento di fine rapporto (TFR) sorge con la cessazione del rapporto di lavoro e a quel momento può essere azionato, non essendo di ostacolo a tal fine la sussistenza, di una controversia tra le parti in ordine all’ammontare delle retribuzioni spettanti al lavoratore (la cui pendenza può, semmai, determinare soltanto la sospensione del giudizio diretto al conseguimento nel TFR). Ne consegue che il termine iniziale di decorso della prescrizione del diritto al TFR va individuato nel momento in cui il rapporto di lavoro subordinato è cessato, e non già in quello in cui sia stato accertato giudizialmente l’effettivo ammontare delle retribuzioni spettanti.

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Cass. civ. n. 6963/2009

Il carattere della continuatività di un determinato compenso non può essere concepito in modo assoluto, ma deve essere valutato in relazione alla particolare natura di ciascun compenso, attraverso un’indagine volta ad accertare, oggettivamente e in concreto, i requisiti dell’obbligatorietà, della continuatività e della determinatezza (o determinabilità) del compenso stesso. Pertanto, anche l’emolumento il quale, astrattamente, presenti il carattere dell’eventualità, siccome collegato alle modalità di espletamento della prestazione lavorativa e alla relativa valutazione della parte datoriale, perde tale caratteristica laddove, attraverso un’indagine di fatto (come tale riservata al giudice del merito e insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata), risulti la sua avvenuta continuativa erogazione nel tempo ai dipendenti in misura pressoché totale, tanto che l’eventualità della mancata erogazione si configuri in termini di mera residualità e, sostanzialmente, di eccezionalità; ne consegue ulteriormente che detto emolumento spetta anche per i periodi di mancata prestazione del servizio. (Principio affermato in controversia concernente il premio annuale di rendimento
ex art. 60 CCNL A.C.R.I. del 1980 per i dipendenti e funzionari delle Casse di Risparmio).

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Cass. civ. n. 4069/2009

Il principio secondo cui la determinazione del t.f.r. va fatta secondo i criteri previsti dall’art. 2120 c.c. è del tutto inderogabile dalle parti, con la conseguenza che vanno inclusi nella base di calcolo tutti gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro, e quindi tutte le voci erogate con l’imputazione “retribuzione” o equivalente, che abbiano carattere di controprestazione compensativa, anche se siano in sé disponibili. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto necessaria l’inclusione nella base di calcolo del t.f.r. dell’indennità estero corrisposta al dipendente, pur trattandosi di emolumento disponibile dal lavoratore per la parte eccedente il minimo previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva).

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Cass. civ. n. 27806/2008

Ove i contratti colletti non contengano diverse previsioni, la continuità di un compenso, ai fini della sua computabilità nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto, sussiste quando esso non abbia carattere occasionale, per essere reso in relazione a prestazioni di carattere continuativo e non si risolva in un rimborso spese. Ne consegue la non computabilità dell’indennità di trasferta prevista dagli accordi aziendali per sopperire al disagio di quei dipendenti che, a causa dell’attività prestata fuori sede, non potevano usufruire dei servizi di mensa aziendale, non avendo natura retributiva.

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Cass. civ. n. 15080/2008

Il secondo comma dell’art. 2120 c.c. vigente, nel definire la nozione di retribuzione, ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, non richiede, a differenza del vecchio testo della norma codicistica, la ripetitività regolare e continua e la frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, disponendo che questi ultimi vanno esclusi dal suddetto calcolo solo in quanto sporadici ed occasionali, per tali dovendosi intendere solo quelli collegati a ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite, e dovendosi all’opposto computare, ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto, gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro.

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Cass. civ. n. 6743/2008

Ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto e della pensione aziendale – che il datore di lavoro ha equiparato al trattamento pensionistico dei dipendenti degli enti locali – vanno inclusi nella base di calcolo anche gli emolumenti istituiti dalla contrattazione aziendale (dovendosi ritenere che i contratti aziendali possano rientrare tra i contratti collettivi di lavoro cui fa riferimento l’art. 15 della legge n. 1077 del 1959), in quanto corrisposti in modo fisso e continuativo in relazione alla natura del compenso, benché essi non siano previsti dalla contrattazione nazionale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza che aveva ammesso la computabilità, nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto e della pensione aziendale prevista dal contratto aziendale per i dipendenti dell’ARIN – azienda risorse idriche di Napoli della retribuzione in natura corrisposta al lavoratore ragguagliata al valore locativo dei beni immobili concessigli in godimento).

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Cass. civ. n. 21239/2007

In tema di accantonamenti utili ai fini del trattamento di fine rapporto, occorre distinguere fra l’azione di mero accertamento dell’entità della quota da accantonare, da quella strumentale intesa ad ottenere concreta attuazione di un particolare diritto, quale quello al computo di una determinata voce; per questa seconda fattispecie, non è configurabile la prescrizione dell’azione fino a quando perduri la situazione di incertezza, che legittima il lavoratore a richiedere l’accertamento giudiziale del diritto, e che non è esclusa dalle comunicazioni datoriali relative alla misura degli accantonamenti utili. (Nella specie la S.C. ha ritenuto corretta la decisione della corte territoriale che aveva rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto al computo dello straordinario sulle competenze di fine rapporto ).

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Cass. civ. n. 18289/2007

Con riferimento a controversia promossa da dipendente in quiescenza dell’Istituto Poligrafico dello Stato per ottenere il ricalcalo del trattamento di fine rapporto con inserimento del compenso per lavoro straordinario nella base di calcolo, la nozione legale di cui all’art. 2120 c.c., come sostituito dall’art. 1 legge 29 maggio 1982 n. 297, può trovare una deroga solo nei contratti collettivi successivi all’istituzione di tale trattamento, non mediante una generica conferma di precedenti disposizioni contrattuali, ma attraverso una chiara ed univoca volontà delle parti contraenti, non potendosi ravvisare tale intento in una clausola che abbia il mero scopo di esplicitare la nozione contrattuale di alcuni termini ricorrenti, fra i quali quello di T.F.R. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva escluso che gli artt. 34 e 21 del contratto collettivo per il settore grafico ed editoriale del novembre 1992, relativi alla disciplina rispettivamente del trattamento di fine rapporto della cosiddetta «nomenclatura», ossia la definizione di alcune nozioni, fra cui quella di retribuzione, avessero apportato una deroga al principio dell’onnicomprensività della «quota di retribuzione» quale parametro di calcolo del trattamento di fine rapporto, previsto dall’art. 2120 c.c.).

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Cass. civ. n. 17614/2007

In tema di determinazione del trattamento di fine rapporto, il principio, secondo il quale la baie di calcolo va di regola determinata in relazione al principio della onnicomprensività della retribuzione di cui all’art. 2120 c.c., nel testo novellato dalla legge n. 297 del 1982, è derogabile dalla contrattazione collettiva, che può limitare la base di calcolo, purché tale deroga sia espressa in modo chiaro ed univoco, secondo l’interpretazione del contratto collettivo sul punto riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione. (Nella specie, la S.C., cassando la sentenza di merito, ha ritenuto che il c.c.n.l., per i dipendenti pendenti dalle aziende grafiche 31 ottobre 1992, nella specie applicabile, — che richiama quanto percepito dal lavoratore in relazione all’orario normale ai fini della definizione della retribuzione — si riferisse a vari istituti contrattuali ma non prendesse espressa deroga al principio legale di onnicomprensività previsto ai fmi della determinazione del trattamento di fine rapporto, con la conseguente computabilità nella base di calcolo di questo istituto dei compensi percepiti per lavoro straordinario obbligatorio e continuo).

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Cass. civ. n. 8191/2006

La prescrizione del diritto ad ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro e tale diritto non va confuso col diritto, maturante anche nel corso del rapporto, all’accertamento della quota temporaneamente maturata: l’uno ha per oggetto una condanna mentre l’altro ha per oggetto un mero accertamento. La diversità di contenuto e maturazione temporale dei due diritti soggettivi comporta il diverso regime della prescrizione, senza che la diversità stessa possa essere esclusa dalla loro connessione, data dalla parziale comunanza di elementi costitutivi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato l’eccezione di prescrizione relativa al diritto dei lavoratori ad ottenere la riliquidazione del t.f.r., includendo nella base di calcolo di esso alcune voci straordinario e indennità di guida non previste dal datore di lavoro ).

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Cass. civ. n. 2640/2006

Ai fini della configurazione della trasferta del lavoratore (da cui consegue il suo diritto a percepire la relativa indennità ) che si distingue dal trasferimento (il quale comporta l’assegnazione definitiva del lavoratore ad altra sede diversa dalla precedente ), è necessaria la sussistenza del permanente legame del prestatore con l’originario luogo di lavoro, mentre restano irrilevanti, a tal fine, la protrazione dello spostamento per un lungo periodo di tempo e la coincidenza del luogo della trasferta con quello di un successivo trasferimento, anche se disposto senza soluzione di continuità al termine della trasferta medesima. L’accertamento degli inerenti presupposti è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. (Omissis ).

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Cass. civ. n. 24875/2005

Affinché un compenso sia incluso nella base di calcolo della indennità di anzianità (
ex art. 2121 c.c.) o del trattamento di fine rapporto (
ex art. 1 legge n. 297 del 1982), non è necessario il carattere di definitività del compenso stesso, ma è sufficiente che di esso (nella specie indennità di servizio estero) il dipendente abbia goduto in modo normale nel corso ed a causa del rapporto di lavoro, non avendo rilievo l’elemento temporale di percezione del compenso stesso, ove questo sia da considerare come corrispettivo della prestazione normale perché inerente al valore pro-fessionale delle mansioni espletate.

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Cass. civ. n. 15889/2004

Per l’art. 2120 c.c., ove i contratti collettivi non contengano diversa previsione, la retribuzione annua comprende tutte le somme corrisposte a titolo non occasionale e non di rimborso spese. L’esclusione di una o più voci dalla base retributiva, costituendo deroga all’indicato principio, presuppone in primo luogo una volontà della norma collettiva che neghi espressamente l’inclusione, ed esige, poi, una specifica prova di questa negazione da parte di colui che l’invochi. (Nella specie, la S.C., con riferimento al contratto per i dipendenti ACEA, ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto rientranti, nella base retributiva annua, l’assegno ad personam e l’indennità di presenza del 9 per cento, respingendo la tesi dell’ACEA che si era limitata a menzionare un accordo siglato il 10 marzo 1983, ove erano indicate le voci retributive da prendere in considerazione ai fini della determinazione del T.F.R., senza includere le indennità controverse, senza neppure produrre tale accordo).

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Cass. civ. n. 10172/2004

Ai fini della configurabilità del carattere costante e sistematico del lavoro straordinario, computabile nella indennità di anzianità ai sensi degli artt. 2120 e 2121 c.c. (nel testo originario), devono concorrere due condizioni, dovendosi verificare, da un lato, la regolarità o frequenza o periodicità della prestazione, da valutarsi con riguardo al suo ripetersi con costanza e uniformità per un apprezzabile periodo di tempo, così da divenire abituale nel quadro dell’organizzazione del lavoro perché funzionale al normale fabbisogno dell’impresa, e, dall’altro, la ragionata insussistenza dei caratteri di occasionalità, transitorietà o saltuarietà della prestazione stessa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato, per vizio di motivazione, la sentenza impugnata che aveva desunto il carattere di continuità del lavoro straordinario dal rapporto di consequenzialità tra funzionalità del servizio pubblico di erogazione dell’energia elettrica e le esigenze aziendali che avrebbero reso strutturalmente e stabilmente necessario lo straordinario, senza peraltro accertare quali fossero le mansioni del lavoratore e il rapporto esistente tra queste e la concreta organizzazione dell’attività del datore di lavoro).

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Cass. civ. n. 1124/2004

Ai fini della qualificazione di un compenso come occasionale, e quindi escluso, ai sensi dell’art. 2120 c.c., dalla base di calcolo del trattamento di fine rapporto, rileva la riconducibilità dell’evento, al quale è collegato il compenso, alla astratta previsione normativa, mentre è irrilevante la frequenza con la quale la prestazione venga svolta e il compenso venga corrisposto. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che il compenso corrisposto per le prestazioni lavorative svolte da un lavoratore turnista in occasione della festività infrasettimanale non potesse ritenersi occasionale, giacché corrisposto per una prestazione normale in quanto resa in attuazione del turno).

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Cass. civ. n. 15841/2003

La cosiddetta indennità estero alla quale va riconosciuta natura retributiva tanto nel caso in cui abbia una funzione compensativa della maggiore gravosità e del disagio morale ed ambientale dell’attività lavorativa prestata all’estero, quanto nel caso in cui essa sia correlata all’insieme delle qualità e condizioni personali che concorrono a formare la professionalità eventualmente indispensabile per prestare lavoro in territorio straniero la cui corresponsione sia continuativa e non occasionale, è computabile sia ai fini dell’indennità di anzianità sia ai fini del trattamento di fine rapporto. In relazione alla cosiddetta «indennità estero» che concorre a determinare l’ammontare della indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto qualora sia ritenuta dal giudice di merito con motivazione esente da censure avente natura retributiva il requisito della continuità, necessario secondo il vecchio testo degli artt. 2120 e 2121 c.c. ai fini della determinazione della indennità di anzianità, va inteso in senso relativo e non equivale a definitività, ma all’attitudine a continuare per un periodo di durata indeterminata e corrispondente a periodicità ed ordinarietà della prestazione, in contrapposto alla saltuarietà ed occasionalità della stessa.

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Cass. civ. n. 13010/2003

La nozione legale di retribuzione — da porre a base nel calcolo del trattamento di fine rapporto (ai sensi dell’art. 2120 c.c., come novellato dall’art. 1 della legge n. 297 del 1982) — comprende tutti gli emolumenti corrisposti in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale, e con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese — fatta salva la diversa previsione eventualmente contenuta nei contratti collettivi successivi alla legge istitutiva di detto trattamento, che possono derogare anche
in pejus, la nozione legale di retribuzione.

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Cass. civ. n. 12851/2003

Nella retribuzione sulla quale va computato l’accantonamento delle quote annuali ai lini del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’ari. 2120, comma primo c.c. (nel testo sostituito dall’art. 1 della legge 20 maggio 1982 n. 297) vanno incluse, secondo la formulazione del comma secondo dello stesso art. 2120, tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale e con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese. In tale nozione di retribuzione rientrano pertanto, prescindendo dalle ripetitività e dalla frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, anche gli emolumenti per lavoro straordinario che non siano corrisposti occasionalmente, ossia per ragioni del tutto eventuali, imprevedibili e fortuite. Ne consegue che qualora il contratto attribuisca al datore di lavoro il potere di pretendere la protrazione dell’orario di lavoro normale, il relativo compenso non può essere reputato occasionalmente e concorre al computo del t.f.r.

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Cass. civ. n. 96/2003

L’individuazione della retribuzione annua utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto deve operarsi, ai sensi dell’art. 2120 c.c., facendo riferimento alla normativa legale o contrattuale in vigore al momento dei singoli accantonamenti e non a quella in vigore al momento della cessazione del rapporto. Infatti il TFR costituisce un istituto di retribuzione differita che matura anno per anno attraverso il meccanismo dell’accantonamento e della rivalutazione. (Nella specie la S.C. ha ritenuto congruamente e correttamente motivata la sentenza di merito secondo cui l’esclusione del compenso per il lavoro straordinario dal calcolo del TFR contenuta nel contratto collettivo dei metalmeccanici del 1994 era relativa ai soli accantonamenti successivi al 1994 e non a quelli precedenti).

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Cass. civ. n. 17418/2002

In tema di indennità di fine rapporto, il confronto tra la disciplina legale e quella convenzio-nale, agli effetti previsti dall’art. 1419 c.c., impone la considerazione unitaria, nell’unico istituto dell’indennità stessa, di tutte le disposizioni che incidono sia sulla determinazione della base di calcolo sia sulla previsione delle varie maggiorazioni aggiuntive, dato che anche queste, sebbene collegate a specifiche previsioni di attribuzione, concorrono ugualmente a comporre quell’unica liquidazione alla quale deve contrapporsi la valutazione, parimenti unitaria, derivante dalla integrale applicazione della norma di legge. Tale principio è tuttavia applicabile solo se, all’esito dell’operazione di ermeneutica contrattuale, che deve compiere il giudice del merito, si giunga a qualificare la maggiorazione aggiuntiva come componente del trattamento di fine rapporto, mentre l’individuazione di un titolo diverso e autonomo conduce alla conseguenza che il datore di lavoro deve corrispondere sia il trattamento di fine rapporto (calcolato ai sensi di legge), che l’erogazione aggiuntiva, senza decurtazioni di sorta. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con riferimento all’istituto delle quattro mensilità aggiuntive previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro dei dipendenti elettrici dell’Enel, aveva, con motivazione sufficientemente e logicamente argomentata, ritenuto che l’erogazione aggiuntiva corrisposta ai sensi dell’art. 43 del citato CCNL fosse istituto non ricollegato in via generale alla risoluzione del rapporto, ma collegato a casi particolari individuati dal medesimo art. 43, ed aveva in tali casi rinvenuto il. titolo autonomo necessario per ricondurre l’erogazione stessa nell’ambito delle previsioni dell’art. 4, comma Quinto, della legge n. 297 del 1982, che fa salve le indennità corrisposte alla cessazione del rapporto di lavoro aventi natura e funzioni divrse da quelle dell’indennità di anzianità, di fine lavoro, di buonuscita, comunque denominate).

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Cass. civ. n. 4222/2002

Gli interessi e la rivalutazione sul t.f.r. spettante al lavoratore decorrono dalla data di cessazione del rapporto lavorativo, con la quale — secondo la disciplina risultante dagli artt. 2120 c.c. e 429 c.p.c. (non derogabile neanche dalla contrattazione collettiva) — coincide il momento di maturazione del credito, a prescindere dalla sua liquidità; né rileva che, a tale data, il datore di lavoro abbia eseguito pagamenti parziali in base alle componenti del t.f.r immediatamente quantificabili, posto che, anche in tali ipotesi, in sede di determinazione complessiva e definitiva delle spettanze del lavoratore devono comunque computarsi gli interessi e la rivalutazione sull’integrale ammontare del t.f.r. dalla medesima data di cessazione del rapporto (fattispecie relativa alla decorrenza del t.f.r. corrisposto ai dipendenti della Fiat Auto ex art. 23 C.C.N.L. del 5 luglio 1994).

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Cass. civ. n. 4251/2001

Il principio dell’omnicomprensività della retribuzione, adottato dal secondo comma dell’art. 2120 c.c., nel testo novellato dalla legge n. 297 del 1982, benché derogabile, comporta che se la prestazione di lavoro non è occasionale, la relativa retribuzione debba essere compresa nel trattamento di fine rapporto, salvo che la contrattazione collettiva — la cui interpretazione compete al giudice del merito e non è censurabile in cassazione se rispettosa delle regole di ermeneutica contrattuale e immune da vizi logici — apporti una eccezione a tale regola in modo chiaro e univoco. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto che l’art. 58 del C.C.N.L. 16 luglio 1987 peri dipendenti degli istituti di vigilanza aveva chiaramente escluso la computabilità dei compensi per ìl lavoro straordinario non occasionale ai fmi del calcolo del TFR).

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Cass. civ. n. 1211/2001

La computabilità del compenso per lavoro straordinario ai fini della determinazione della indennità di anzianità, ai sensi dell’art. 2121 (testo originario) c.c., presuppone la continuità di tale prestazione, ravvisabile quando la stessa, pur variandone l’entità nel tempo, risponda ad un criterio di regolarità e di frequenza, e anche di mera periodicità, restando esclusa dal calcolo solo quella effettuata in via occasionale, transitoria e saltuaria. La non occasionalità e saltuarietà della prestazione di lavoro straordinario risultano sufficientemente dimostrate dalle buste paga dei lavoratori, senza che assuma rilevanza in contrario la fissazione, concordata in sede di contrattazione tra le parti, del numero di unità di personale, che non implica di per sé l’esclusione della necessità di ricorrere allo straordinario in virtù di una programmata predeterminazione delle esigenze aziendali.

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Cass. civ. n. 7488/2000

La nozione di retribuzione accolta dal secondo comma dell’art. 2120 c.c. vigente è più rigorosa, in favore del lavoratore, di quella precedente, in quanto prescinde dalla ripetitività regolare e continua e dalla frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, i quali vanno esclusi dal calcolo del trattamento di fine rapporto solo in quanto sporadici ed occasionali; prestazione occasionale, infatti, è solo quella collegata a ragioni aziendali del tutto eventuali, imprevedibili e fortuite, mentre, all’opposto, la prestazione espletata con frequenza, ma non necessariamente con periodicità assoluta, e che sia connessa alla particolare organizzazione del lavoro, rileva ai fmi del calcolo suddetto.

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Cass. civ. n. 11815/1998

I compensi per il lavoro straordinario prestato in maniera non occasionale rientrano nella base retributiva utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto, a meno chela disciplina collettiva ne abbia escluso, ai sensi dell’art. 2120, secondo comma, c.c. (nel testo sostituito dall’art. 1 della L. n. 297 del 1982) la computabilità, derogando — come le è consentito — al principio dell’onnicomprensività della retribuzione. Qualora ciò si verifichi resta salva la questione dell’eventuale contrasto delle clausole contrattuali con l’art. 36 della Costituzione e/o con il principio di equità. A tale riguardo va, tuttavia, precisato che da un lato esiste una presunzione di rispetto dei due citati parametri in presenza di una norma di un contratto collettivo che è il risultato di un accordo delle parti sociali in ordine alla regolamentazione da adottare circa un determinato istituto nel reciproco interesse dei soggetti stipulanti e di quelli che da essi sono rappresentati, dall’altro lato l’art. 36 cit. regola l’assetto complessivo della retribuzione e non può considerarsi violato — in linea di principio — dalla negazione di una singola componente della retribuzione a determinati fini, tanto più ove essa sia dalla legge consentita. (Nella specie l’impugnata sentenza — confermata dalla S.C. — aveva ritenuto che l’art. 58 del C.C.N.L. 16 luglio 1987 per i dipendenti degli istituiti di vigilanza, escludendo la computabilità dei compensi per il lavoro straordinario non occasionale ai fini del calcolo per il Tfr, non si ponesse in contrasto né con l’art. 2120 c.c. né con l’art. 36 Cost.).

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Cass. civ. n. 11002/1998

Per quanto concerne il trattamento di fine rapporto, la L. 29 maggio 1982, da una parte, ha stabilito (art. 1 trasfuso nel secondo comma dell’art. 2120) che, salva diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione annua comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese; dall’altra, ha sancito la nullità, con conseguente sostituzione di diritto, di tutte le clausole dei contratti collettivi regolanti la materia del trattamento di fine rapporto. Le due disposizioni vanno intese nel senso che, mentre è libera l’autonomia collettiva sia nel determinare l’ammontare della retribuzione, sia nell’individuarne le componenti, resta invece riservato alla legge, in coerenza con le finalità perequative e livellatrici del trattamento di fine rapporto, l’individuazione dell’indennità di fine servizio, con l’esclusione di ogni forma di integrazione ulteriore che non costituendo l’effetto contabile diretto dell’incremento della base retributiva, si pone quale elemento aggiuntivo al trattamento di fine rapporto, già predeterminato per legge, con funzione sostanzialmente uguale. Consegue l’impossibilità per l’autonomia collettiva di introdurre o conservare trattamenti di fine rapporto aventi, sia pure con diversa struttura, una funzione di integrazione o di mera duplicazione del trattamento legale (nel caso di specie la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza del tribunale che aveva ritenuto l’invalidità degli artt. 38 del Ceni 31 maggio 1989 e 42 del Ceni 12 novembre 1983 degli spedizionieri che contenevano la previsione di una forma di indennità in contrasto con la nuova disciplina del tfr).

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Cass. civ. n. 1546/1998

La nuova disciplina dei trattamento di fine rapporto, introdotta dalla legge n. 297 del 1982, non soltanto si applica a tutte le indennità di fine rapporto comunque denominate e da «qualunque fonte disciplinate» (e quindi anche agli accordi individuali), ma è dotata di efficacia assolutamente inderogabile, sia in melius sia in
peius. Ciò vale non soltanto nell’ambito dell’autonomia collettiva — alla quale è lasciata ampia discrezionalità solo nella determinazione della retribuzione utile ai fini del calcolo del tfr — ma anche in quello dell’autonomia individuale. Conseguentemente tutti i patti o le condizioni che prevedono indennità delle quali non risulta un’autonoma causa che possa consentire il riconoscimento di una funzione diversa dal tfr restano comunque travolti dalla nullità disposta in via generale dall’art. 4 della legge n. 297 cit. (Fattispecie relativa ad una indennità, priva di autonoma causa, corrisposta in un primo momento come incentivo all’esodo, in adempimento di accordi sindacali, e successivamente in spontanea osservanza di una prassi aziendale).

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Cass. civ. n. 7177/1996

Per il computo dell’indennità di anzianità, prevista dall’art. 2120 c.c. nel testo previgente, e del Tfr, previsto dall’art. 2120 c.c. nel testo vigente, il legislatore ha assunto come parametro di riferimento una nozione di retribuzione omnicomprensiva. Perciò nella predetta base di calcolo va incluso il compenso per lavoro straordinario anche se di ammontare variabile; infatti il carattere continuativo di cui all’art. 2121 primo comma c.c., o quello non occasionale introdotto nel nuovo testo dell’art. 2120 secondo comma c.c., si riferisce all’esistenza della prestazione straordinaria e non alla sua cadenza temporale, che può essere anche periodica (e non in senso assoluto), perché espletata per organizzazione del lavoro e quindi non imprescindibile o fortuita. Per il computo del suddetto compenso, in assenza di norme collettive, il giudice è svincolato da rigidi criteri di calcolo (come quello dell’importo minimo costantemente percepito dal lavoratore o quello dell’ultimo compenso prima della cessazione del rapporto o quello della media dei compensi dell’ultimio triennio, applicando analogicamente il criterio previsto dall’art. 2121 secondo comma c.c.) e può procedere ad una valutazione equitativa ai sensi dell’art. 432 c.p.c. scegliendo eventualmente medie aritmetiche riferite non necessariamente ad un arco di tempo triennale se non rilevante per il riconoscimento del requisito della continuità della prestazione.

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Cass. civ. n. 9737/1995

La clausola di un contratto collettivo stipulato anteriormente all’entrata in vigore della L. 29 maggio 1982, n. 297, la quale, escludendo dal computo dell’indennità di anzianità il compenso per il lavoro straordinario sia affetta da nullità per contrasto con l’art. 2120 c.c. nel testo allora vigente, non rivive a seguito della eliminazione di tale contrasto disposta dalla stessa L. n. 297, essendo una tale reviviscenza incompatibile con la radicale inidoneità. del negozio nullo a produrre effetti (dal che consegue, altresì, l’inapplicabilità del principio di conservazione del negozio) e richiedendosi, al fine di rimuovere la suddetta nullità, una nuova dichiarazione di volontà resa nel vigore della nuova legge e produttiva di effetti solo dal momento della sua manifestazione.

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Cass. civ. n. 9627/1995

L’art. 2120 c.c. nel testo modificato dall’art. 1, L. 29 maggio 1982, n. 297, ha sostituito per la determinazione del trattamento di fine rapporto, alla nozione di retribuzione onnicomprensiva della normativa precedente, fondata sulla continuità, quella diversa e più ampia della non occasionalità, che, attenendo non alla frequenza dell’erogazione ma all’omogeneità del relativo titolo rispetto al normale svolgimento del rapporto di lavoro consente di comprendere anche indennità non continuative, purché non occasionali.

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Cass. civ. n. 4872/1995

Le clausole della contrattazione collettiva nulle per contrasto con gli artt. 2120 e 2121 c.c. (testo previgente) devono ritenersi inefficaci anche a seguito dell’entrata in vigore della legge 29 maggio 1982, n. 297, benché questa espressamente abiliti l’autonomia collettiva a derogare alla nozione legale di retribuzione da prendersi a base per il calcolo del trattamento di fine rapporto (T.F.R.), sia in base al dato letterale della statuizione, da parte della nuova legge, della nullità delle pattuizioni collettive in materia e della sostituzione di diritto delle stesse con la nuova disciplina legale, sia in base alla considerazione che la legge, nel consentire alle parti sociali di derogare alla nuova normativa, muove dal presupposto che esse, nel convenire la disciplina difforme da quella legale, abbiano presente proprio tale sua funzione derogatoria.

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Cass. civ. n. 5399/1994

Con riguardo ad un rapporto di lavoro proseguito nella vigenza della L. 29 maggio 1982, n. 297 — relativamente al quale la determinazione dell’indennità di anzianità per il periodo sino al 31 maggio 1982 deve essere effettuata in base al principio dell’onnicomprensività, confluendo poi il risultato di tale calcolo nel trattamento di fine rapporto previsto dalla legge citata —, ove occorra stabilire se tale trattamento, determinato convenzionalmente, sia più favorevole di quello legale, devono considerarsi comprese nel primo anche quelle erogazioni collegate, ai sensi della contrattazione collettiva, a condizioni venute ad esistenza non già alla data sopra indicata, bensì ad un momento successivo, e cioè nel vigore della nuova normativa, in quanto anche esse concorrono a comporre, in via integrativa, il trattamento convenzionale di fine rapporto rientrando nella previsione di cui all’art. 4, comma 5, della L. n. 297 del 1982. (Nella specie l’impugnata sentenza aveva ritenuto fondata la pretesa del lavoratore concernente la determinazione legale dell’indennità di anzianità con il computo delle indennità di trasferta forfettaria, e auto-moto nonché del compenso per lavoro straordinario; la Suprema Corte ha cassato la decisione osservando che nel confronto fra trattamento legale e trattamento convenzionale doveva considerarsi in quest’ultimo l’erogazione di quattro mensilità di retribuzione collegata alle dimissioni del lavoratore intervenute nel vigore della L. n. 297 del 1982).

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Cass. civ. n. 3888/1993

Il servizio mensa — il quale (sia nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’art. 6 del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359, che in quello da tale norma espresso, che assume, pertanto, il valore di disposizione «confermativa», senza porsi in contrasto con gli artt. 3, 24, 36, 39, 101, 102 e 104 Cost.) ancorché obbligatoriamente apprestato dal datore di lavoro, in adempimento di quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, non ha natura di retribuzione in natura, difettando del requisito della corrispettività, in quanto la sua fruizione non è causalmente correlata al solo fatto della prestazione lavorativa, ma presuppone un ulteriore atto volontario del lavoratore — può nondimeno assumere siffatta natura allorché le clausole di previsione stabiliscano altresì l’erogazione di una indennità sostitutiva (rispetto alla quale si configura una obbligazione facoltativa del datore di lavoro, con scelta della prestazione rimessa al creditore) a quanti non fruiscano del servizio stesso, ma tale assunzione non può che avvenire nei limiti risultanti dalle dette clausole e perciò con riguardo al solo valore convenzionale dell’indennità e non anche al valore reale, con la conseguenza che, ai fini del computo del relativo emolumento in istituti retributivi indiretti o differiti, deve farsi riferimento esclusivamente al detto valore convenzionale, venendo in rilievo, per la differenza rispetto al valore reale, la natura «ontologicamente» non retributiva del servizio e, quindi, la non computabilità a tali fini. Le maggiorazioni retributive e le indennità erogate in corrispettivo di prestazioni di lavoro notturno, non occasionali, ma continuative ed organizzate secondo regolari turni periodici, costituiscono parte integrante della ordinaria retribuzione globale di fatto giornaliera e, come tali concorrono alla composizione della base di computo non solo dell’indennità di anzianità o del trattamento di fine rapporto – ai sensi della nozione omnicomprensiva di retribuzione, recepita dagli artt. 2120 e 2121 c.c., sia nel testo anteriore che in quello successivo all’entrata in vigore della L. 29 maggio 1982, n. 297 – ma anche di quegli istituti retributivi per la cui liquidazione la legge (come, l’art. 5 della L. 27 maggio 1949, n. 260, per il compenso del lavoro prestato durante le festività) o la contrattazione collettiva (come, con riguardo alla gratifica natalizia, l’art. 17 dell’Accordo interconfederale 27 ottobre 1946, per i dipendenti da imprese industriali private, reso efficace erga omnes con D.P.R. n. 1070 del 1960 ed efficace anche oltre la sua scadenza, fino alla sostituzione, o alla deroga in melius, con altro contratto collettivo) facciano riferimento a siffatta nozione di retribuzione globale di fatto.

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Cass. civ. n. 1341/1992

La computabilità del compenso per lavoro straordinario ai fini della determinazione dell’indennità di anzianità presuppone la continuità di tale lavoro, che deve essere provata dal lavoratore, ma non ne implica una preventiva pattuizione né la predeterminazione o predeterminabilità secondo parametri prefissati; restando esclusi dalla detta computabilità i compensi per quelle prestazioni a carattere saltuario o non continuativo, i quali, pertanto, nell’ipotesi in cui il compenso globale per il lavoro straordinario riguardi sia prestazioni continuative che prestazioni non continuative (nella specie, cosiddetti picchi anomali), debbono essere scorporati dal compenso per straordinario computabile al fine della determinazione dell’indennità di anzianità. La computabilità, a tale scopo, del compenso per lavoro straordinario continuativo riguarda detto compenso nella sua interezza, e non già la sola percentuale di maggiorazione per lo stesso straordinario, essendo nulle eventuali clausole derogatrici del principio di onnicomprensività adottato dagli artt. 2120, comma terzo, e 2121, comma primo, c.c. (nel testo anteriore alla L. n. 297 del 1982).

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Cass. civ. n. 1778/1976

Gli elementi integrativi della retribuzione, per essere computabili nell’indennità di anzianità e in quella sostitutiva del preavviso, debbono rappresentare per il datore di lavoro una controprestazione obbligatoria, che costituisca il corrispettivo, determinato o determinabile nel suo ammontare, di una prestazione di lavoro ed avere carattere continuativo; pertanto il compenso per il lavoro domenicale non costituisce ai fini predetti, elemento integrante della retribuzione quando — come di frequente avviene — tale prestazione lavorativa sia soltanto eventuale, occasionale ed episodica; quando, invece, nell’ambito del rapporto di lavoro — ed, in ispecie, in quello intercorrente tra l’editore di un quotidiano e un giornalista, che è caratterizzato da speciali esigenze di conti¬nuità del servizio — siasi pattuita tra le parti, sia pure tacitamente, l’abituale prestazione del lavoro domenicale quale parte integrante della normale attività costitutiva dell’obbligazione di lavoro, il compenso per tale specifica prestazione — sia stato esso convenuto o meno a forfait — deve essere, anche esso, compreso nel calcolo delle suddette indennità ai sensi dell’art. 2121 c.c.

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Cass. civ. n. 4010/1975

Il compenso per il lavoro svolto nelle domeniche e nelle festività infrasettimanali in modo ininterrotto va calcolato, a norma dell’art. 2121 c.c., nelle indennità di fine rapporto, presentando, oltre ai requisiti della determinatezza e della continuità, anche quello della obbligatorietà, poiché, nel mentre l’accordo relativo allo svolgimento della prestazione lavorativa nelle suddette festività, non è invalido, l’invalidità di quello avente ad oggetto la rinunzia del riposo settimanale non esclude, ai sensi dell’art. 2126 secondo comma c.c., l’obbligo dell’imprenditore di corrispondere la retribuzione del lavoro effettivamente svolto di domenica. Il suddetto compenso, ove sia commisurato ad una retribuzione mensile fissa e predeterminata e presenti, quindi, un carattere di variabilità, dipendente soltanto dal fatto, puramente estrinseco, della diversa distribuzione delle domeniche e delle festività nei vari mesi dell’anno, deve essere computato nel calcolo delle indennità di fine rapporto in base alla media dell’ultimo anno di servizio e non a quella dell’ultimo triennio, come, invece, prescritto dall’art. 2121 c.c. con esclusivo riferimento ai compensi, la cui variabilità abbia carattere intrinseco.

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