Art. 2110 – Codice civile – Infortunio, malattia, gravidanza, puerperio
In caso di infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge [o le norme corporative] non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un'indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali [dalle norme corporative], dagli usi o secondo equità [38 Cost.].
Nei casi indicati nel comma precedente, l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell'articolo 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge [dalle norme corporative], dagli usi o secondo equità.
Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere computato nell'anzianità di servizio [2120, 2752, n. 4].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 12293/2025
In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, la previsione dell'obbligo datoriale di informare il lavoratore un mese prima della scadenza del termine, contenuta nell'art. 58, lett. b), del c.c.n.l. addetti all'industria delle calzature, conforma - al pari dell'arco temporale massimo di comporto - l'esercizio del potere di licenziamento, dovendosi interpretare il silenzio della norma collettiva per l'ipotesi della tardività di tale comunicazione nel senso della equiparazione del ritardo alla omissione dell'informazione, in quanto il superamento del termine concordemente pattuito dalle parti sociali in relazione all'obbligo di tenere una condotta o compiere un determinato atto deve essere inteso come valutazione di intrinseca inadeguatezza a soddisfare detto obbligo.
Cass. civ. n. 12272/2025
In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, il divieto di computo delle assenze stabilito dall'art. 26, comma 1, del d.l. n. 18 del 2020, conv. con modif. dalla l. n. 27 del 2020, opera oggettivamente, a prescindere dalla conoscenza che il datore di lavoro abbia della causa dell'assenza, sia in quanto l'esistenza di una siffatta condizione per l'applicabilità dello scomputo introdurrebbe surrettiziamente un requisito aggiuntivo non previsto dalla legge, sia in quanto il legislatore, tacendo sulla conoscenza soggettiva del datore, ha evidentemente ritenuto - nel bilanciamento degli opposti interessi - di dare prevalenza a quello del lavoratore ammalato per ragioni riconducibili alla situazione eccezionale di emergenza pandemica, considerando, per converso, recessiva la tutela dell'affidamento datoriale.
Cass. civ. n. 11429/2025
Il divieto di recesso del datore di lavoro nel "periodo Covid" non si applica al licenziamento per superamento del periodo di comporto, in quanto le norme che regolano le due fattispecie sono in rapporto di specialità reciproca, essendo ispirato l'art. 46 del d.l. n. 18 del 2020, conv. con modif. dalla l. n. 27 del 2020, alla specifica ratio di tutela dei lavoratori rispetto alle conseguenze negative sull'occupazione derivanti dal blocco o dalla riduzione dell'attività produttiva conseguente all'emergenza Covid-19, e attenendo, invece, l'art. 2110, comma 2, c.c., ad ipotesi particolari, di modo che quest'ultimo prevale sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa sia su quella limitativa dei licenziamenti individuali.
Cass. civ. n. 11154/2025
Lo svolgimento di altre attività da parte del dipendente durante l'assenza per malattia, se da un lato mette in pericolo l'adempimento dell'obbligazione principale del lavoratore, per la possibile o probabile protrazione dello stato di malattia, dall'altro integra violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà e dei doveri di correttezza e buona fede; la relativa valutazione, trattandosi di illecito di pericolo e non di danno, è costituita da un giudizio ex ante, riferito al momento in cui è stato tenuto il comportamento contestato, e ha per oggetto la potenzialità del pregiudizio, con conseguente irrilevanza della tempestiva ripresa del lavoro. (In applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza che aveva dichiarato illegittimo - per sproporzione tra la sanzione e l'infrazione disciplinare - il licenziamento comminato, a un lavoratore infortunatosi al braccio, in ragione dello svolgimento di un'attività ludica durante l'assenza per malattia, sulla scorta dell'accertamento che la serie variegata di attività compiute senza alcun tutore o fasciatura ne aveva esposto a rischio di peggioramento le condizioni di salute, tenuto conto delle prescrizioni mediche che indicavano il riposo e l'immobilizzazione dell'arto).
Cass. civ. n. 24052/2024
In tema licenziamento per superamento del periodo di comporto, la contrattazione collettiva, per sottrarsi al rischio di trattamenti discriminatori a danno dei lavoratori con handicap, deve prendere in specifica considerazione la posizione di svantaggio del disabile, poiché non è sufficiente ad elidere detto rischio una disciplina negoziale che tiene conto solo del profilo oggettivo dell'astratta gravità o particolarità delle patologie senza valorizzare anche l'aspetto soggettivo della disabilità, in relazione al quale vanno adottati gli accorgimenti ragionevoli prescritti dalla direttiva 2000/78/CE e dall'art. 3, comma 3-bis, d.lgs. n. 216 del 2006. (Principio affermato in relazione al c.c.n.l. Associazione nazionale strutture territoriali 2017-2019, che prevede l'esclusione dal computo del comporto solo dei giorni di ricovero ospedaliero, dei day hospital, dei giorni di assenza per malattia dovuti a sclerosi multipla o connessi alla somministrazione di terapie salvavita, non anche dei giorni di assenza per malattie, anche non gravi, ma cagionate dalla disabilità).
Cass. civ. n. 15845/2024
In tema di malattia del lavoratore, l'art. 70 del c.c.n.l. Carta Industria del 30.11.2016 deve essere interpretato nel senso che i giorni di accesso al pronto soccorso sono esclusi dal computo nel periodo di comporto.
Cass. civ. n. 15604/2024
Il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze del lavoratore per malattia od infortunio, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all'art. 2110, comma 2, c.c., né la riconduzione alla categoria della nullità è impedita dalla collocazione di detta violazione fra quelle a regime reintegratorio attenuato ex art. 18, comma 7, st.lav. (novellato dalla l. n. 92 del 2012), perché, anche in presenza del medesimo vizio di nullità, il legislatore può graduare diversamente il rimedio ripristinatorio in ragione di un giudizio di minore riprovazione; conseguentemente, la previsione del citato comma 7 è speciale rispetto a quella di cui al comma 1 dello stesso art. 18 st.lav., che disciplina le altre ipotesi di nullità previste dalla Legge. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, la quale aveva qualificato come nullo il licenziamento intimato alla lavoratrice che - per evitare il superamento del periodo di comporto - aveva chiesto di fruire di un periodo di ferie, negato senza la sussistenza di ragioni obiettive di carattere organizzativo).
Cass. civ. n. 15568/2024
La richiesta del lavoratore, anteriore alla scadenza del periodo di comporto, di fruire dell'aspettativa senza stipendio di cui all'art. 51 del c.c.n.l. personale servizi di pulizia del 31 maggio 2011 determina il naturale prolungamento del comporto oltre il previsto termine di dodici mesi, con la conseguenza che nessun licenziamento può essere validamente intimato in detto periodo.
Cass. civ. n. 14316/2024
In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, la conoscenza dello stato di disabilità del lavoratore - o la possibilità di conoscerlo secondo l'ordinaria diligenza - da parte del datore di lavoro fa sorgere l'onere datoriale - a cui non può corrispondere un comportamento ostruzionistico del lavoratore - di acquisire, prima di procedere al licenziamento, informazioni circa l'eventualità che le assenze per malattia del dipendente siano connesse allo stato di disabilità, al fine di individuare possibili accorgimenti ragionevoli imposti dall'art. 3, comma 3-bis, d.lgs. n. 216 del 2003, la cui adozione presuppone l'interlocuzione ed il confronto tra le parti, che costituiscono una fase ineludibile della fattispecie complessa del licenziamento de quo.
Cass. civ. n. 13491/2024
In tema di licenziamento per superamento del comporto, nel regime successivo all'entrata in vigore dell'art. 1, comma 42, della l. n. 92 del 2012, l'inadempimento dell'obbligo, previsto dal contratto collettivo, di comunicare al lavoratore l'imminente scadenza del periodo di comporto determina l'illegittimità del licenziamento e l'applicazione del regime sanzionatorio della tutela reintegratoria c.d. debole, secondo l'espressa previsione dei commi 7 e 4 del novellato art. 18 della l. n. 300 del 1970.
Cass. civ. n. 33016/2023
Nei rapporti a tempo determinato, come in quelli a tempo indeterminato, il licenziamento intimato durante la malattia del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto, è nullo ed improduttivo di effetti, stante il fondamento garantistico - la conservazione del posto di lavoro - della previsione di cui all'art. 2110 c.c., che ne impone l'applicazione anche ai rapporti temporanei, per definizione meno tutelati, ogni interpretazione in senso contrario ponendosi in aperto contrasto con il principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dell'Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato, recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE.
Cass. civ. n. 27980/2023
In tema di superamento del periodo di comporto si deve tener conto anche dei giorni non lavorativi che cadono nel periodo di assenza per malattia, dovendosi presumere la continuità dell'episodio morboso.
Cass. civ. n. 26993/2023
L'art. 42 del c.c.n.l. Aiop del 2002-2005, nella parte in cui prevede che "il datore di lavoro può recedere dal rapporto allorquando il lavoratore si assenti oltre il limite dei diciotto mesi complessivi nell'arco di un quadriennio mobile", va interpretato nel senso della non cumulabilità delle assenze per malattia con quelle per infortunio, in quanto le parti collettive - come si evince dal chiaro tenore della complessiva regolamentazione contenuta nel predetto articolo - hanno previsto e disciplinato il comporto con esclusivo riferimento alle assenze per malattia.
Cass. civ. n. 22755/2023
In tema di pubblico impiego contrattualizzato, la sussistenza dei requisiti, previsti dalla contrattazione collettiva per il prolungamento del periodo di comporto, non fa sorgere un diritto soggettivo alla protrazione dell'assenza, essendo rimessa all'amministrazione pubblica la valutazione discrezionale degli opposti interessi, di cui deve, però, dare conto, motivando, esplicitando e comunicando all'interessato le ragioni per le quali, ritenuta l'insussistenza dei presupposti per il prolungamento, intima il licenziamento. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, secondo cui l'obbligo di motivazione era stato assolto attraverso il solo richiamo alla durata dell'assenza, al periodo indicato nell'art. 36 del c.c.n.l. comparto funzioni locali del 21 maggio 2018).
Cass. civ. n. 9095/2023
In tema di licenziamento, costituisce discriminazione indiretta l'applicazione dell'ordinario periodo di comporto al lavoratore disabile, perché la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, trasmuta il criterio, apparentemente neutro, del computo del periodo di comporto breve in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto in quanto in posizione di particolare svantaggio. (Principio affermato in relazione al periodo di comporto previsto dall'art. 42, lettera b), del c.c.n.l. Federambiente del 17 giugno 2011).
Cass. civ. n. 5288/2023
L'art. 175 del c.c.n.l. del 18 luglio 2008 per i dipendenti delle aziende del settore terziario - ove è tra l'altro previsto che "durante la malattia, il lavoratore non in prova ha diritto alla conservazione del posto per un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare, trascorso il quale, perdurando la malattia, il datore di lavoro potrà procedere al licenziamento" - deve essere interpretato nel senso che esso non contempla una ipotesi di comporto cd. secco, non contenendo alcun riferimento al carattere consecutivo, cioè ininterrotto, delle assenze.
Cass. civ. n. 4332/2023
L'art. 51 del c.c.n.l. 31 maggio 2011 per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia e servizi integrati/multi servizi - che prevede un limite massimo di conservazione del posto in caso di assenze per infermità e, nel contempo, quanto agli operai, il diritto alle retribuzioni fino a guarigione nel caso di infortunio sul lavoro - va interpretato nel senso della non computabilità delle assenze per infortunio nel periodo di comporto, stante la inequivoca previsione di diversità degli effetti determinati dai distinti eventi patologici della malattia e dell'infortunio nell'ambito del rapporto di lavoro nella sua integralità; infatti, in caso di malattia, il superamento dei limiti di conservazione del posto comporta la cessazione ovvero, eventualmente, la sospensione del rapporto, mentre, in caso di infortunio, la corresponsione integrale della retribuzione fino alla guarigione clinica determina la continuità giuridica del rapporto stesso.
Cass. civ. n. 16382/2021
Il trattamento di cassa integrazione guadagni - sia ordinario che straordinario - non è escluso rispetto ai lavoratori assenti per malattia od infortunio con diritto alla conservazione del posto (art. 2110 c.c.), ma il loro credito, in deroga all'art. 2110 citato (che prevede la liberazione del datore di lavoro dalla obbligazione di corrispondere anche a tali lavoratori la retribuzione solo ove siano predisposte equivalenti forme previdenziali, con conseguente permanenza di un'obbligazione integrativa nel caso che forme siffatte diano luogo a trattamenti di minore entità rispetto al tetto massimo della retribuzione stessa), si riduce nei limiti del suddetto trattamento, con la conseguenza che la legittima ammissione alla cassa integrazione comporta il subingresso dell'ente erogatore delle relative prestazioni in tali obbligazioni del datore di lavoro (il quale rimane tenuto alle anticipazioni quale "adiectus solutionis causa"), previa corrispondente riduzione delle medesime, nel senso che quest'ultimo è tenuto ad anticipare anche ai menzionati lavoratori o l'intero trattamento di cassa integrazione o l'importo pari alla differenza fra questo e l'inferiore trattamento di natura previdenziale o assistenziale.
Cass. civ. n. 11697/2020
In tema di licenziamento per giusta causa, le disposizioni dell'art. 5 st.lav., che vietano al datore di lavoro di svolgere accertamenti sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e lo autorizzano a effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l'insussistenza della malattia o la non idoneità di quest'ultima a determinare uno stato d'incapacità lavorativa rilevante e, quindi, a giustificare l'assenza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento del lavoratore che, all'esito di un'indagine demandata dal datore di lavoro a un'agenzia investigativa, risultava aver svolto con assiduità, durante il periodo di riposo per malattia, attività sportiva e ludica attestante l'intervenuta guarigione non comunicata al datore). (Rigetta, CORTE D'APPELLO GENOVA, 08/06/2018).
Cass. civ. n. 12568/2018
Il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia od infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dagli usi o secondo equità, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all'art. 2110, comma 2, c.c..
Cass. civ. n. 25535/2018
A differenza del licenziamento disciplinare, che postula l'immediatezza del recesso a garanzia della pienezza del diritto di difesa all'incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia, l'interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale va contemperato con quella del datore di lavoro a disporre di un ragionevole "spatium deliberandi", in cui valutare convenientemente la sequenza di episodi morbosi del lavoratore, ai fini di una prognosi di sostenibilità delle sue assenze in rapporto agli interessi aziendali; ne consegue che, in tale caso, il giudizio sulla tempestività del recesso non può conseguire alla rigida applicazione di criteri cronologici prestabiliti, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice deve compiere caso per caso, apprezzando ogni circostanza al riguardo significativa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, che aveva evinto la volontà abdicativa del diritto di recesso da parte del datore, oltre che dal ritardo nella comunicazione del licenziamento, dall'accettazione del rientro in servizio e della prestazione lavorativa per un breve lasso di tempo, nonché dal riconoscimento di un ulteriore periodo di ferie e dalla fissazione della visita di sorveglianza sanitaria del dipendente).
Cass. civ. n. 21042/2018
In tema di licenziamento per superamento del comporto, non assimilabile a quello disciplinare, il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, tuttavia, anche sulla base del novellato art. 2 della l. n. 604 del 1966 che impone la comunicazione contestuale dei motivi, la motivazione deve essere idonea ad evidenziare il superamento del comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, dando atto del numero totale di assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l'onere, nell'eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, ritenendo priva di sufficiente specificazione la mera indicazione del termine finale di maturazione del comporto).
Cass. civ. n. 23596/2018
In relazione alla cd. eccessiva morbilità, il comporto per sommatoria, ove la contrattazione non lo preveda e non vi siano usi utilmente richiamabili, va determinato dal giudice con impiego della cd. equità integrativa. In tal caso le determinazioni del giudice circa i termini cd. interni ed esterni del comporto - durata complessiva delle assenze tollerate e ampiezza del relativo periodo di riferimento - sono censurabili in sede di legittimità solo sotto il profilo della logicità e della congruità della motivazione. (Nel caso di specie, avente ad oggetto il c.c.n.l. del settore commercio, è stata ritenuta immune da censure la sentenza di merito con la quale il limite interno del comporto per sommatoria era stato individuato in 180 giorni - pari a quello del comporto secco - e quello esterno nell'anno solare di 365 giorni, calcolati a ritroso dall'ultimo episodio morboso, con conseguente diritto alla conservazione del posto di lavoro in caso di assenze per malattia fino a 180 giorni in un anno).
Cass. civ. n. 19927/2018
Per la computabilità nel periodo di comporto delle assenze successive alla scadenza del periodo di aspettativa per malattia previsto dal contratto collettivo è necessario accertare, anche in via presuntiva, che il mancato rientro in servizio del lavoratore - o la sua successiva assenza - siano dovuti ad una condizione di malattia, non essendo invece rilevanti le assenze imputabili ad una scelta volontaria, fattispecie suscettibile, ove del caso, di valutazione sul diverso piano disciplinare. (Nella specie, era rimasto accertato che le assenze erano ascrivibili alla volontà del lavoratore di non riprendere servizio per mancata accettazione della proposta di trasferimento).
Cass. civ. n. 27392/2018
Il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie, senza che a tale facoltà corrisponda comunque un obbligo del datore di lavoro di accedere alla richiesta, ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa; in un'ottica di bilanciamento degli interessi contrapposti, nonché in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede, è necessario, tuttavia, che le dedotte ragioni datoriali siano concrete ed effettive. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva ritenuto privo di giustificazione, in quanto fondato su ragioni vaghe ed inconsistenti, il rifiuto di concessione delle ferie motivato dalla società datrice con un generico riferimento a non meglio precisate esigenze organizzative dell'ufficio).
Cass. civ. n. 20761/2018
In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), la risoluzione del rapporto costituisce la conseguenza di un caso di impossibilità parziale sopravvenuta dell'adempimento, in cui il dato dell'assenza dal lavoro per infermità ha una valenza puramente oggettiva; non rileva, pertanto, la mancata conoscenza da parte del lavoratore del limite cd. esterno del comporto e della durata complessiva delle malattie e, in mancanza di un obbligo contrattuale in tal senso, non costituisce violazione da parte del datore di lavoro dei principi di correttezza e buona fede nella esecuzione del contratto la mancata comunicazione al lavoratore dell'approssimarsi del superamento del periodo di comporto, in quanto tale comunicazione servirebbe in realtà a consentire al dipendente di porre in essere iniziative, quali richieste di ferie o di aspettativa, sostanzialmente elusive dell'accertamento della sua inidoneità ad adempiere l'obbligazione.
Cass. civ. n. 3046/2017
In tema di trattamento economico in caso di malattia, ove manchino disposizioni di legge o di fonte collettiva che consentano al lavoratore di fruirne, quel trattamento resta a carico del datore di lavoro, nella misura e per il tempo determinati o determinabili alla stregua dei criteri di cui alla seconda parte dell'art. 2110, comma 1, c.c.. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva rigettato la domanda di una lavoratrice, impiegata del settore industria, secondo la classificazione INPS delle imprese esercenti attività di elaborazione dati, cui non competeva alcuna indennità di malattia ai sensi del d.l.vo lgt. n. 213 del 1946 né dell'art. 76, comma 4, del c.c.n.l. di settore del 1 giugno 2001).
Cass. civ. n. 7676/2017
In tema di comporto, al fine di verificare se sia stato superato o meno il periodo contrattuale (e dunque anche l'aspettativa collegata al comporto stesso), le regole di computo secondo il calendario comune, di cui agli artt. 2963 c.c. e 155 c.p.c., trovano applicazione soltanto in assenza di clausole contrattuali di diverso contenuto. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., ha ritenuto che l'art. 42, lett. d), comma 2, del c.c.n.l. Federambiente, stabilendo un periodo di aspettativa della durata massima di 270 giorni "calendariali", deroghi al criterio legale della non computabilità del "dies a quo", quale termine di tolleranza di un'astensione dal lavoro che è piena sin dal primo giorno di concessione dell'aspettativa stessa).
Cass. civ. n. 8834/2017
Il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie - maturate e non godute - allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, ma deve formulare l’istanza in epoca anteriore alla sua scadenza, non potendosi, in ogni caso, configurare un obbligo del datore di lavoro di accedere a tale richiesta qualora il lavoratore abbia la possibilità di fruire di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto nell’ipotesi di superamento del periodo di comporto.
Cass. civ. n. 15972/2017
Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell’art. 2110 c.c., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinché l’assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un’origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c..
Cass. civ. n. 15687/2016
I giorni di malattia di cui il lavoratore abbia fruito dopo un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dichiarato illegittimo in sede giudiziale, non possono essere utilmente computati ai fini del superamento del periodo di comporto per giustificare un ulteriore recesso datoriale atteso che, per effetto del provvedimento espulsivo, il lavoratore non era più tenuto all'obbligo di presenza, ricostituito soltanto dalla statuizione giudiziale ripristinatoria della funzionalità del rapporto.
Cass. civ. n. 10852/2016
Alla malattia del lavoratore consegue di diritto la sospensione del rapporto, compreso il decorso del preavviso, per tutto il suo protrarsi, a prescindere dalla dichiarazione aziendale di volersene avvalere, e, ugualmente, il sinallagma funzionale del rapporto riprende senza alcuna sollecitazione datoriale dopo la cessazione dello stato morboso, sicché va escluso operino al riguardo, in attuazione dei principi di correttezza e buona fede, obblighi d'informazione datoriali, trattandosi di effetti giuridici previsti direttamente dalla legge. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di appello, proposto da lavoratrice licenziata per giusta causa dopo che era stata in malattia, con sospensione del preavviso relativo ad un primo licenziamento per giustificato motivo oggettivo, e non era rientrata al lavoro, senza giustificazioni per l'assenza, allo scadere del periodo coperto da certificazione medica).
Cass. civ. n. 12563/2014
Nel rapporto di lavoro i principi di correttezza e buone fede rilevano, come norme di relazione con funzione di fonti integrative del contratto (art. 1374 cod. civ.), ove ineriscano a comportamenti dovuti in relazione ad obblighi di prestazione imposti al datore di lavoro dal contratto collettivo o da altro atto di autonomia privata; ne consegue che, in assenza di qualsiasi obbligo previsto dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro non ha l'onere di avvertire preventivamente il lavoratore della imminente scadenza del periodo di comporto per malattia al fine di permettere al lavoratore di esercitare eventualmente la facoltà, prevista dal contratto collettivo, di chiedere tempestivamente un periodo di aspettativa.
Cass. civ. n. 19400/2014
Nel licenziamento per superamento del periodo di comporto il requisito della tempestività non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato, ma costituisce oggetto di una valutazione di congruità, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivata, che il giudice di merito deve operare caso per caso, con riferimento all'intero contesto delle circostanze significative, mentre, per contro, il lavoratore è tenuto a provare che l'intervallo temporale tra il superamento del periodo di comporto e la comunicazione di recesso ha superato i limiti di adeguatezza e ragionevolezza, sì da far ritenere la sussistenza di una volontà tacita del datore di lavoro di rinunciare alla facoltà di recedere dal rapporto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto il decorso del termine di quattro anni dal superamento del periodo di comporto non ostativo al legittimo recesso del datore di lavoro, avvenuto nella immediatezza della sentenza di primo grado dichiarativa della nullità di un precedente licenziamento intimato alla lavoratrice).
Cass. civ. n. 20106/2014
Ai fini del calcolo del periodo di comporto, si deve tener conto anche dei giorni non lavorativi, che cadono nel periodo di assenza per malattia, dovendosi presumere la continuità dell'episodio morboso.
Cass. civ. n. 22753/2014
Il lavoratore che, assente per malattia ed impossibilitato a riprendere servizio, intenda evitare la perdita del posto di lavoro conseguente all'esaurimento del periodo di comporto, deve comunque presentare la richiesta di fruizione delle ferie, affinché il datore di lavoro possa concedere al medesimo di beneficiarne durante il periodo di malattia, valutando il fondamentale interesse del richiedente al mantenimento del posto di lavoro; né le condizioni di confusione mentale del lavoratore per effetto della malattia fanno venir meno la necessità di una espressa domanda di fruizione delle ferie, indispensabile a superare il principio di incompatibilità tra godimento delle ferie e malattia.
Cass. civ. n. 24525/2014
In caso di licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, ma anteriormente alla scadenza di questo, l'atto di recesso è nullo per violazione della norma imperativa, di cui all'art. 2110 cod. civ., e non già temporaneamente inefficace, con differimento degli effetti al momento della maturazione del periodo stesso, sicché va ammessa la possibilità di rinnovazione dell'atto, in quanto, risolvendosi nel compimento di un negozio diverso dal precedente, esula dallo schema di cui all'art. 1423 cod. civ.
Cass. civ. n. 23063/2013
Lo stato di malattia del lavoratore preclude al datore di lavoro l'esercizio del potere di recesso quando si tratti di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che, tuttavia, ove intimato, non è invalido ma solo inefficace e produce i suoi effetti dal momento della cessazione della malattia.
Cass. civ. n. 1404/2012
La malattia del lavoratore deve distinguersi dalla sua inidoneità al lavoro in quanto, pur essendo entrambe cause d'impossibilità della prestazione lavorativa, esse hanno natura e disciplina diverse, per essere la prima di carattere temporaneo e implicante la totale impossibilità della prestazione, che determina, ai sensi dell'art. 2110 c.c., la legittimità del licenziamento quando ha causato l'astensione dal lavoro per un tempo superiore al periodo di comporto, laddove la seconda ha carattere permanente o, quanto meno, durata indeterminata o indeterminabile, e non implica necessariamente l'impossibilità totale della prestazione consentendo la risoluzione del contratto, ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c., eventualmente previo accertamento di essa con la procedura stabilita dall'art. 5 dello statuto dei lavoratori, indipendentemente dal superamento del periodo di comporto. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha evidenziato che il licenziamento, motivato dall'asserita impossibilità dell'azienda di utilizzare proficuamente le prestazioni del lavoratore, discontinua a causa delle reiterate assenze per malattia, non era sorretto da un accertamento dell'eventuale inidoneità fisica del lavoratore).
Cass. civ. n. 24899/2011
In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia del lavoratore, fermo restando il potere datoriale di recedere non appena terminato il periodo suddetto, e quindi anche prima del rientro del prestatore, nondimeno il datore di lavoro ha altresì la facoltà di attendere tale rientro per sperimentare in concreto se residuino o meno margini di riutilizzo del dipendente all'interno dell'assetto organizzativo, se del caso mutato, dell'azienda. Ne deriva che solo a decorrere dal rientro in servizio del lavoratore, l'eventuale prolungata inerzia datoriale nel recedere dal rapporto può essere oggettivamente sintomatica della volontà di rinuncia del potere di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, ingenerare un corrispondente incolpevole affidamento da parte del dipendente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione con cui il giudice di merito aveva ritenuto legittima l'intimazione del licenziamento 19 giorni dopo il rientro in azienda del lavoratore, arco di tempo motivatamente valutato compatibile con le accertate dimensioni dell'impresa, ma anche con uno "spatium deliberandi" inteso alla concreta verifica di una possibile conservazione del rapporto).
Cass. civ. n. 2981/2011
Poiché il superamento del periodo di comporto non implica la risoluzione automatica del rapporto, occorrendo che il datore di lavoro eserciti il suo diritto di recesso nelle forme di legge, la sussistenza delle condizioni legittimanti il potere di recesso disciplinato dall'art. 2110 c.c. deve essere verificata all'atto del suo esercizio, e con riferimento a tale momento va valutata l'anzianità del lavoratore cui il contratto collettivo collega la durata del periodo di comporto. Ne consegue che il superamento del periodo di comporto (determinato in relazione all'anzianità del lavoratore) deve essere valutato al momento dell'invio della lettera di licenziamento, ponendosi, una diversa soluzione, in contrasto con il sistema contrattuale collettivo della durata dei comporti crescente in rapporto alle maggiori anzianità.
Cass. civ. n. 1699/2011
In tema di licenziamento per giusta causa, la mancata prestazione lavorativa in conseguenza dello stato di malattia del dipendente trova tutela nelle disposizioni contrattuali e codicistiche - in ispecie, nell'ara. 2110 c.c. - in quanto questo non sia imputabile alla condotta volontaria del lavoratore medesimo, il quale scientemente assuma un rischio elettivo particolarmente elevato che supera il livello della "mera eventualità" per raggiungere quello della "altissima probabilità", tenendo un comportamento non improntato ai principi di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c. che debbono presiedere all'esecuzione del contratto e che, nel rapporto di lavoro, fondano l'obbligo in capo al lavoratore subordinato di tenere, in ogni caso, una condotta che non si riveli lesiva dell'interesse del datore di lavoro all'effettiva esecuzione della prestazione lavorativa. (Nella specie, il lavoratore, dirigente di un istituto di credito, si era recato ripetutamente in vacanza in Madagascar, dove era stato soggetto a reiterati attacchi acuti di malaria, con conseguente assenze dal posto di lavoro per lunghi periodi; la S.C., nel rigettare il ricorso, ha sottolineato che non veniva in discussione la libertà del lavoratore di utilizzare il periodo di ferie nella maniera ritenuta più opportuna, ma solo che il lavoratore non aveva tenuto una condotta prudente ed oculata essendo "prevedibilissima" l'insorgenza di attacchi della malattia, in quel luogo endemica, e che di ciò egli aveva piena consapevolezza, tant'è che, in una occasione, aveva motivato la richiesta di fruizione di ferie, poi trascorse nel paese straniero, con le esigenze di cure della madre ammalata).
Cass. civ. n. 7037/2011
Mentre nel licenziamento disciplinare vi è l'esigenza della immediatezza del recesso, volta a garantire la pienezza del diritto di difesa all'incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia l'interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale va contemperato con un ragionevole "spatium deliberandi" che va riconosciuto al datore di lavoro perché egli possa valutare convenientemente nel complesso la sequenza di episodi morbosi del lavoratore, ai fini di una prognosi di compatibilità della sua presenza in rapporto agli interessi aziendali; ne consegue che in questo caso la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice di merito deve fare caso per caso, con riferimento all'intero contesto delle circostanze significative. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto il decorso del termine di circa dieci mesi dal superamento del periodo di comporto non ostativo al recesso del datore di lavoro, avvenuto quando la morbilità del lavoratore era divenuta tale da rendere quest'ultimo non più utilmente e convenientemente reinseribile nell'apparato produttivo).
Cass. civ. n. 7950/2011
In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, non è consentito al datore di lavoro introdurre solo in appello un criterio di computo delle assenze meno favorevole per il lavoratore in quanto basato sostanzialmente sulla prospettazione di fatti, posti a fondamento della presunzione di continuità dell'episodio morboso (secondo la quale nel periodo suindicato vanno computati anche i giorni non lavorativi e le assenze intermedie tra una malattia e quella seguente), che non erano stati allegati, o non erano stati compiutamente allegati, in primo grado.
Cass. civ. n. 13256/2010
Nell'ipotesi in cui il datore di lavoro si trovi nell'impossibilità di ricevere la prestazione lavorativa per causa a lui non imputabile (nella specie, per l'adesione ad uno sciopero da parte della stragrande maggioranza del personale dipendente e la conseguente inutilizzabilità del personale residuo non scioperante), il diritto alla retribuzione non viene meno per quei lavoratori il cui rapporto di lavoro sia già sospeso per malattia ai sensi dell'art. 2110 c.c., atteso che la speciale disciplina dettata per ragioni di carattere sociale dall'art. 2110 c.c. investe in via esclusiva il rapporto tra datore di lavoro e singolo lavoratore, e su di essa non possono pertanto incidere le ragioni che, nel medesimo periodo di sospensione del rapporto, rendano impossibile la prestazione di altri dipendenti in servizio, senza che, peraltro, possa in tal modo configurarsi una violazione del principio di parità di trattamento, posto che detto principio non può essere validamente invocato al fine di eliminare un regime differenziale voluto a tutela di particolari condizioni già ritenute meritevoli di un trattamento privilegiato.
Cass. civ. n. 27762/2009
In tema di periodo di comporto per il lavoro a tempo parziale verticale, anche dopo l'entrata in vigore della disciplina dettata dal d.l.vo n. 61 del 2000 - che ha introdotto il principio di non discriminazione tra lavoro a tempo parziale e lavoro a tempo pieno - il giudice, mediante il ricorso alle fonti indicate dall'art. 2110 c.c., può provvedere al riproporzionamento al fine di evitare conseguenze eccessivamente onerose per il datore di lavoro, non ostandovi la circostanza che il potere di modulazione della durata di tale periodo sia demandato alla contrattazione collettiva, attesa la necessità, in assenza di quest'ultima, di applicare il rapporto di proporzionalità in relazione alla durata temporale dell'impegno lavorativo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto legittimo il licenziamento della lavoratrice con contratto a tempo parziale verticale per superamento del periodo di comporto previsto dall'art. 150 del CCNL del settore turismo e pubblici esercizi, applicando il rapporto di proporzionalità alla disposizione negoziale collettiva e all'impegno lavorativo rapportato al tempo, così determinando in 135 il numero dei giorni per anno di conservazione del posto di lavoro, superato per essersi la lavoratrice assentata per un periodo maggiore).
Cass. civ. n. 5078/2009
Il lavoratore ha la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, dovendosi escludere una incompatibilità assoluta tra ferie e malattia; in tali casi non sarebbe costituzionalmente corretto precludere il diritto alle ferie in ragione delle condizioni psico-fisiche inidonee al loro pieno godimento non potendo operare, a causa della probabile perdita del posto di lavoro conseguente al superamento del comporto, il criterio della sospensione delle stesse e del loro spostamento al termine della malattia - perché si renderebbe così impossibile la effettiva fruizione delle ferie. Spetta poi al datore di lavoro, cui è generalmente riservato il diritto di scelta del tempo delle ferie, di dimostrare - ove sia stato investito di tale richiesta - di aver tenuto conto, nell'assumere la relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore ad evitare in tal modo la possibile perdita del osto di lavoro per scadenza del periodo di comporto. (Nella specie, la S.C., nell'enunciare l'anzidetto principio, ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto che la richiesta di ferie del lavoratore non si contrapponesse affatto agli interessi aziendali, considerato anche che, all'epoca dei fatti, l'impresa imponeva ai lavoratori il godimento a turno di una settimana di ferie per evitare la cassa integrazione, e lo spostamento dei turni di ferie comportava un semplice intervento organizzativo).