Art. 456 – Codice civile – Apertura della successione
La successione si apre al momento della morte, nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 25128/2024
La parte che ha ottenuto la risoluzione legale o giudiziale del contratto non può rinunciare ai relativi effetti, restando altrimenti leso il legittimo affidamento del debitore nell'ormai intervenuta risoluzione. (Nella specie, la S.C. ha affermato che il concedente di un'autovettura in leasing, una volta dichiarato di volersi avvalere di una clausola risolutiva espressa connessa al furto del bene, non può, per iniziativa unilaterale, far rivivere il contratto in conseguenza del suo ritrovamento, essendosi gli effetti risolutivi già cristallizzati nel momento in cui la dichiarazione era giunta a conoscenza dell'utilizzatrice).
Cass. civ. n. 24942/2024
L'intervenuta risoluzione del mutuo fondiario, ex art. 1456 c.c., non incide sull'obbligo contrattuale del mutuatario di restituzione della somma mutuata, né rende totalmente inefficaci le pattuizioni contrattuali, con la conseguenza che l'atto pubblico che le contiene mantiene i propri requisiti di titolo esecutivo, ai sensi dell'art. 474 c.p.c.
Cass. civ. n. 14702/2024
In tema di mutuo fondiario, l'inadempimento del mutuatario, privo dei requisiti che consentono il ricorso al rimedio risolutorio speciale ex art. 40, comma 2, del d.lgs. n. 385 del 1993, non impedisce all'istituto di credito di invocare la clausola contrattuale, che preveda la decadenza dal beneficio del termine, purché deduca e dimostri il concreto verificarsi di uno dei presupposti alternativi di cui all'art. 1186 c.c., quali la sopravvenuta insolvenza del debitore, la diminuzione delle garanzie o la mancata prestazione delle stesse. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva rigettato la domanda della banca, la quale, pur essendosi correttamente avvalsa della clausola di decadenza dal beneficio del termine, poiché il ritardo nel pagamento delle rate non era ripetuto per sette volte, non aveva allegato e provato l'insolvenza del mutuatario).
Cass. civ. n. 12754/2024
In tema di revocatoria fallimentare, l'atto con il quale il contraente non inadempiente, avvalendosi della clausola risolutiva espressa, risolve unilateralmente il contratto stipulato con il contraente inadempiente poi fallito non è annoverabile tra gli "atti a titolo oneroso" e quindi non è revocabile ai sensi dell'art. 67 l.fall., in quanto il contraente inadempiente, che in seguito sia sottoposto a fallimento, non vi ha in alcun modo partecipato o cooperato, subendone solo gli effetti in posizione di soggezione.
Cass. civ. n. 9904/2024
In caso di apertura della successione, i diritti vantati a titolo ereditario hanno carattere generalmente disponibile, anche in ipotesi di verifica circa la validità del testamento ex art. 591, comma 1, n. 3), c.c., in quanto le decisioni che ne derivano non incidono sulla capacità di agire di un soggetto (peraltro non più in vita), ma si limitano ad accertare l'eventuale condizione di minorata capacità di intendere e volere, alla data di redazione del testamento, cosicché esse non rientrano tra le azioni concernenti lo stato o la capacità delle persone.
Cass. civ. n. 9479/2024
In tema di cessione del credito, la previsione del comma 1 dell'art. 1263 c.c., secondo cui il credito è trasferito al cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie reali e personali, anche con gli "altri accessori", va intesa nel senso che nell'oggetto della cessione è ricompresa la somma delle utilità che il creditore può trarre dall'esercizio del diritto ceduto, ossia ogni situazione direttamente collegata con il diritto stesso, la quale, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la funzione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto incluso nell'oggetto della cessione il diritto di avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta in una transazione conclusa dal creditore cedente con la debitrice, trattandosi non di un diritto autonomo ma di un'utilità inerente all'esercizio del credito).
Cass. civ. n. 8942/2024
Con la petizione ereditaria sono reclamabili soltanto i beni nei quali l'erede è succeduto mortis causa al de cuius e non quelli che, al momento dell'apertura della successione, sono già fuoriusciti dal patrimonio del defunto e che, pertanto, non possono essere considerati beni ereditari. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva distinto le somme presenti su un conto corrente e prelevate dopo la morte del de cuius, da quelle presenti su un conto deposito titoli e prelevate prima della morte, riconoscendo l'esperibilità dell'azione solo nel primo caso).
Cass. civ. n. 8038/2024
Nei contratti di durata (come la locazione), in cui sono stabilite prestazioni di pagamento secondo scadenze mensili e non in un'unica soluzione, l'essenzialità del termine di ciascuna prestazione di pagamento deve essere espressamente prevista, in ossequio ai criteri di ermenuetica contrattuale sanciti dagli artt. 1362 e 1366 c.c. (Nella specie, la S.C., decidendo nel merito, ha affermato - esaminando il tenore letterale della clausola di un contratto di locazione secondo cui il ritardo o il mancato pagamento di una sola mensilità era da individuare come causa immediata di risoluzione del contratto - che si trattava di clausola risolutiva espressa e non di termine essenziale).
Cass. civ. n. 32277/2023
Le fattispecie previste rispettivamente dagli artt. 1456 c.c. (clausola risolutiva espressa) e 1457 c.c. (termine essenziale per una delle parti), ancorché riguardanti entrambe la risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, hanno propri e differenti presupposti di fatto, tra cui il diverso atteggiarsi della volontà della parte interessata al momento dell'inadempimento dell'altra, verificandosi l'effetto risolutivo, ai sensi dell'art. 1456 c.c., con la dichiarazione dell'intenzione di avvalersi della facoltà potestativa attribuita dalla legge e, ai sensi dell'art. 1457 c.c., con lo spirare del terzo giorno successivo alla scadenza del termine essenziale di adempimento senza che la parte non inadempiente abbia dichiarato all'altra di volere l'esecuzione del contratto.
Cass. civ. n. 28202/2023
Ai fini della successione nel diritto di percepire l'indennità di cui all'art. 985 c.c. da parte degli eredi del donante usufruttuario, qualora quest'ultimo si sia riservato l'usufrutto per sé e per il coniuge, vita natural durante e con reciproco diritto di accrescimento (c.d. usufrutto congiuntivo), se il coniuge sopravvive al donante, il valore del bene donato corrisponde alla sola nuda proprietà.
Cass. civ. n. 17438/2023
In tema di IVA, ove venga in esistenza una causa di risoluzione di un contratto, la cui efficacia dipende da un evento dedotto all'epoca della stipula con apposita clausola risolutiva, in relazione alla quale il cedente o il prestatore abbia già emesso fattura per il prezzo ed assolto il conseguente obbligo di riscossione e pagamento dell'IVA, il medesimo soggetto ha diritto di emettere la nota di variazione e di detrarre l'imposta, a norma dell'art. 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, senza che sia necessario attendere un formale atto di accertamento - negoziale o giudiziale - del verificarsi dell'anzidetta causa di risoluzione.
Cass. civ. n. 6081/2023
In tema di imposta di successione, l'emersione di attività finanziarie o patrimoniali, detenute all'estero dal defunto, risultanti dalla procedura di collaborazione volontaria avviata, ai sensi dell'art. 5-quater del d.l. n. 167 del 1990, conv. con modif. dalla l. n. 227 del 1990, dopo la presentazione della dichiarazione di successione, comporta l'applicazione dell'imposta di successione in misura maggiore ed impone la presentazione di una dichiarazione integrativa, ai sensi dell'art. 28, comma 6, del d.lgs. n. 346 del 1990, configurando un incremento sopravvenuto dell'attivo ereditario.
Cass. civ. n. 8282/2023
Nell'appalto di opere pubbliche, stante la natura privatistica del contratto, è configurabile, in capo all'amministrazione committente creditrice dell'"opus", un dovere - discendente dall'espresso riferimento contenuto nell'articolo 1206 cod. civ. e, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva che permeano la disciplina delle obbligazioni del contratto - di cooperare all'adempimento dell'appaltatore attraverso il compimento di quelle attività che, distinte rispetto al comportamento dovuto da questi, sono necessarie affinché il medesimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio. Pertanto, qualora il comportamento del debitore, pur integrando il fatto contemplato dalla clausola risolutiva espressa, appaia comunque conforme al criterio della buona fede, non sussiste l'inadempimento, né i presupposti per invocare la risoluzione.
Cass. civ. n. 14195/2022
In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice non comporta la eliminazione della clausola, né determina la tacita rinuncia ad avvalersene, qualora la stessa parte creditrice, contestualmente o successivamente all'atto di tolleranza, manifesti l'intenzione di volersene avvalere in caso di ulteriore protrazione dell'inadempimento, in quanto con tale manifestazione di volontà, che non richiede forme rituali e può desumersi per fatti concludenti, il creditore comunque richiama il debitore all'esatto adempimento delle proprie obbligazioni.
Cass. civ. n. 35081/2022
In applicazione dell'art. 2456, comma 2, c.c., nel testo previgente alla riforma introdotta dal d.lgs. n. 6 del 2003, l'azione dei creditori sociali nei confronti del liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, cui sia addebitata la responsabilità del mancato pagamento dei loro crediti, può essere esperita a seguito della cancellazione della società e, dalla data di tale adempimento, in applicazione dell'art. 2935 c.c., comincia a decorrere anche il termine di prescrizione del corrispondente diritto, senza che abbia alcun rilievo il momento in cui la società si sia effettivamente estinta (in base alla disciplina all'epoca vigente, diversa da quella attuale) o quello in cui il fatto illecito del liquidatore sia divenuto effettivamente conoscibile ai terzi interessati.
Cass. civ. n. 22725/2021
Per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate nello stesso o in altro atto o documento cui le parti abbiano fatto espresso riferimento, quale, nel caso di mutuo di scopo, la dichiarazione di essere nelle condizioni di fruire di un mutuo a tasso agevolato o in quelle previste nella domanda di concessione. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 11/03/2015).
Cass. civ. n. 23879/2021
La stipulazione di una clausola risolutiva espressa non implica che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l'unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell'inadempimento non deve essere valutata dal giudice.
Cass. civ. n. 27692/2021
In materia di clausolarisolutiva espressa, anche quando la parte interessata abbia manifestato la volontà di avvalersene, il giudice deve valutare l'eccezione di inadempimento proposta dall'altra parte, attesa la pregiudizialità logica della stessa rispetto all'avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell'art. 1456 c.c., dall'accertamento di un inadempimento colpevole.
Cass. civ. n. 1593/2020
Ai fini dell'esperibilità dell'azione revocatoria ordinaria, il credito derivante dalla legittima, quale credito litigioso, sorge al momento dell'apertura della successione e non già quando l'erede necessario lo faccia giudizialmente valere.
Cass. civ. n. 14508/2018
La tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista in un contratto di locazione, la quale riprende la sua efficacia se il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all'esatto adempimento delle sue obbligazioni. Tuttavia, in applicazione del generale principio di buona fede nell'esecuzione del contratto e del divieto dell'abuso del processo, non può essere imposto al locatore di agire in giudizio avverso ciascuno dei singoli analoghi inadempimenti, al fine di escludere una sua condotta di tolleranza.
Cass. civ. n. 6386/2018
Il diritto potestativo di risolvere il contratto mediante la manifestazione di volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa è soggetto a prescrizione ai sensi dell'art. 2934 c.c., non trattandosi di diritto indisponibile o comunque di situazione giuridica soggettiva per cui tale causa di estinzione sia esclusa dalla legge e l'inizio della decorrenza del relativo termine coincide, secondo la regola generale dettata dall'art. 2935 c.c., con il momento in cui il diritto stesso può essere fatto valere e cioè con il verificarsi dell'inadempimento, mentre il termine di prescrizione decennale del diritto alle altre singole prestazioni successive, distinte e periodiche, decorre dalle singole scadenze di esse, in relazione alle quali sorge, di volta in volta, l'interesse del creditore a ciascun adempimento.
Cass. civ. n. 17603/2018
La clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandola dall'onere di provarne l'importanza. Essa non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall'art. 1341, co. 2, c.c., neanche in relazione all'eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di proporre eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla.
Cass. civ. n. 24532/2018
Presupposto per l'applicazione della clausola risolutiva espressa è l'inadempimento della controparte di chi se ne avvale; ove tale inadempimento non sussista, la clausola può rilevare alla stregua di condizione risolutiva ex art. 1353 c.c., purché l'evento cui si riferisce sia sufficientemente determinato, e non rimesso alla mera volontà di una parte.
Cass. civ. n. 4796/2016
La clausola risolutiva espressa presuppone che le parti abbiano previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, sicché la clausola che attribuisca ad uno dei contraenti la facoltà di dichiarare risolto il contratto per "gravi e reiterate violazioni" dell'altro contraente "a tutti gli obblighi" da esso discendenti va ritenuta nulla per indeterminatezza dell'oggetto, in quanto detta locuzione nulla aggiunge in termini di determinazione delle obbligazioni il cui inadempimento può dar luogo alla risoluzione del contratto e rimette in via esclusiva ad una delle parti la valutazione dell'importanza dell'inadempimento dell'altra.
Cass. civ. n. 23868/2015
L'agire dei contraenti va valutato, anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, secondo il criterio generale della buona fede, sia quanto alla ricorrenza dell'inadempimento che del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risoluzione, sicché, qualora il comportamento del debitore, pur integrando il fatto contemplato dalla suddetta clausola, appaia comunque conforme a quel criterio, non sussiste l'inadempimento, né i presupposti per invocare la risoluzione, dovendosi ricondurre tale verifica non al requisito soggettivo della colpa, ma a quello, oggettivo, della condotta inadempiente. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva negato l'inadempimento della licenziataria di un marchio per non aver inviato alla concedente il pattuito estratto conto semestrale, assumendo che l'emissione di un'unica fattura nell'ultimo giorno di quel semestre ne faceva ritenere ragionevole la trasmissione in quello successivo).
Cass. civ. n. 21115/2013
Anche quando la parte interessata abbia manifestato la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa, il giudice deve valutare l'eccezione di inadempimento proposta dall'altra parte, attesa la pregiudizialità logica della stessa rispetto all'avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell'art. 1456 c.c., dall'accertamento di un inadempimento colpevole.
Cass. civ. n. 9488/2013
L'azione di risoluzione del contratto ex art. 1456 cod. civ. tende ad una pronuncia di mero accertamento dell'avvenuta risoluzione di diritto a seguito dell'inadempimento di una delle parti previsto come determinante per la sorte del rapporto, in conseguenza dell'esplicita dichiarazione dell'altra parte di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, differendo tale azione da quella ordinaria di risoluzione per inadempimento per colpa ex art. 1453 cod. civ., che ha natura costitutiva. Ne consegue che, in caso di fallimento del locatario, l'effetto risolutivo del contratto (nella specie, di locazione finanziaria) deve ritenersi già verificato ove la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa sia stata comunicata anteriormente alla data della sentenza di fallimento, spettando il relativo accertamento al giudice delegato in sede di verifica dello stato passivo.
Cass. civ. n. 13248/2010
Nelle locazioni di immobili ad uso diverso dall'abitazione, alle quali non si applica la disciplina di cui all'art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392, l'offerta o il pagamento del canone (che, se effettuati dopo l'intimazione di sfratto, non consentono l'emissione, ai sensi dell'art. 665 c.p.c., del provvedimento interinale di rilascio con riserva delle eccezioni, per l'insussistenza della persistente morosità di cui all'art. 663, terzo comma, c.p.c.), nel giudizio susseguente a cognizione piena, non comportano l'inoperatività della clausola risolutiva espressa, in quanto, ai sensi dell'art. 1453, terzo comma, c.c., dalla data della domanda - che è quella già avanzata ex art. 657 c.p.c. con l'intimazione di sfratto, introduttiva della causa di risoluzione del contratto - il conduttore non può più adempiere.
Cass. civ. n. 26508/2009
In tema di risoluzione dei contratti, una volta che la parte interessata, in modo esplicito e inequivoco, non invochi, nella comunicazione inviata alla controparte, la facoltà di avvalersi della clausola risolutiva espressa nel contratto vincolante e vigente tra le parti, la successiva dichiarazione di avvalersi di essa, espressa in relazione all'inadempimento del conduttore, non ha più alcuna rilevanza, anche se contenuta nell'atto introduttivo del giudizio per la risoluzione.
Cass. civ. n. 2553/2007
La clausola risolutiva espressa non comporta automaticamente lo scioglimento del contratto a seguito del previsto inadempimento, essendo sempre necessario, per l'articolo 1218 c.c., l'accertamento dell'imputabilità dell'inadempimento al debitore almeno a titolo di colpa.
Cass. civ. n. 15026/2005
In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo (accettazione di un pagamento parziale o tardivo), non determina l'eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all'atto di tolleranza manifesti l'intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell'inadempimento; la tolleranza può invece incidere sulla posizione soggettiva del debitore, escludendone la colpa, specialmente ove si accompagni ad una regolamentazione pattizia degli interessi prevista proprio per i ritardi nei pagamenti. (Fattispecie relativa a mancato pagamento di canoni di contratto di leasing nonostante solleciti di pagamento).
Cass. civ. n. 10935/2003
In tema di contratti, la clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per l'inadempimento di controparte senza doverne provare l'importanza e la risoluzione del contratto per il verificarsi del fatto considerato, come in genere la risoluzione per inadempimento, non può dunque essere pronunciata d'ufficio, ma solo se la parte nel cui interesse la clausola è stata inserita nel contratto dichiari di volersene avvalere. Differentemente, la risoluzione consensuale, o la sopravvenuta impossibilità della prestazione, che determinano automaticamente il venir meno del contratto, rappresentando fatti oggettivamente estintivi dei diritti nascenti da esso, possono essere accertati d'ufficio dal giudice.
Cass. civ. n. 9356/2000
La risoluzione di diritto del contratto conseguente all'applicazione di una clausola risolutiva espressa postula non soltanto la sussistenza, ma anche l'imputabilità dell'inadempimento, in quanto la pattuizione di tale modalità di scioglimento dal contratto, pur eliminando ogni necessità di indagine in ordine all'importanza dell'inadempimento, non incide, per converso, sugli altri principi regolatori dell'istituto della risoluzione, né, in particolare, configura un'ipotesi di responsabilità senza colpa, onde, difettando il requisito della colpevolezza dell'inadempimento, la risoluzione non si verifica né, di conseguenza, può in alcun modo essere legittimamente pronunciata.
Cass. civ. n. 4369/1997
La stipulazione di una clausola risolutiva espressa non significa che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l'unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell'inadempimento non deve essere valutata dal giudice.
Cass. civ. n. 5455/1997
L'operatività della clausola risolutiva espressa viene meno in conseguenza della rinunzia della parte interessata ad avvalersene, ma, qualora si deduca la rinunzia tacita - che è pur sempre un atto di volontà abdicativa, ancorché non manifestato espressamente, bensì mediante comportamenti incompatibili con la conservazione del diritto - l'indagine del giudice volta ad accertarne l'esistenza, implicando la risoluzione di una queastio voluntatis, deve essere condotta in modo che non risulti alcun ragionevole dubbio sull'effettiva intenzione del preteso rinunziante. La tolleranza dell'avente diritto - che può estrinsecarsi sia in un comportamento negativo (mancata comunicazione della dichiarazione di avvalersi della clausola subito dopo l'inadempimento), che in un comportamento positivo (accettazione di un adempimento parziale) - non costituisce di per sé prova di rinunzia tacita, ove non risulti determinata dalla volontà di non più avvalersi della clausola, ma da altri motivi, e il giudice, qualora accerti che non è configurabile una rinunzia tacita ma solo un comportamento tollerante, non può attribuire ad esso alcuna rilevanza giuridica ai fini della inoperatività della clausola risolutiva.
Cass. civ. n. 5436/1995
In tema di clausola risolutiva espressa, la dichiarazione del creditore della prestazione inadempiuta di avvalersi della risoluzione di diritto (art. 1456, secondo comma, c.c.) non deve essere necessariamente contenuta in un atto stragiudiziale precedente alla lite, ma può manifestarsi, per la prima volta, pure nel corso del giudizio, o nell'atto introduttivo di quest'ultimo, anche se nullo.
Cass. civ. n. 4911/1995
La dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa (art. 1456, comma 2, c.c.) può essere resa, senza necessità di formule rituali, anche in maniera implicita, purché inequivocabile, pure nell'atto di citazione in giudizio per la risoluzione del contratto o in atti giudiziari equipollenti, ma non può, in nessun, caso, avere effetto se la controparte ha già adempiuto alle proprie obbligazioni contrattuali, anche se ciò è avvenuto oltre i termini previsti nel contratto per l'adempimento, atteso che fino a quando il creditore non dichiari di volersi avvalere della detta clausola il debitore può adempiere, seppure tardivamente, la sua obbligazione.
Cass. civ. n. 1029/1993
Quando la risoluzione del contratto si verifica di diritto a seguito della dichiarazione del creditore di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.), la valutazione dell'incidenza dell'inadempimento sull'intero contratto è stata già compiuta dalle parti, la cui autonomia privata ha instaurato il collegamento tra singoli inadempimenti considerati nella clausola e risoluzione dell'intero contratto, con la conseguenza che tale collegamento non può più essere contestato né ai fini dell'accertamento giudiziale sull'avvenuta risoluzione, né agli effetti del risarcimento del danno, che va ricondotto al venire meno dell'intero contratto e non limitato al singolo inadempimento considerato nella clausola risolutiva espressa. Tantomeno, per pervenire ad una risoluzione dei danni risarcibili, può essere invocato l'art. 1227 c.c., in quanto, poiché la legge riconosce al contraente adempiente il potere di provocare la risoluzione del contratto, non può nella stessa condotta essere ravvisato un fatto colposo, ovvero il mancato impiego dell'ordinaria diligenza.
Cass. civ. n. 90/1991
Il creditore che si sia avvalso della clausola risolutiva espressa può rinunciare tacitamente all'effetto risolutivo qualora osservi un comportamento inequivoco, che sia chiaramente incompatibile con la volontà di avvalersi di tale effetto; siffatto inequivoco comportamento, peraltro, non può ravvisarsi nell'ipotesi in cui, avvenuta la risoluzione di diritto del contratto, il locatore che ha instaurato il giudizio per il rilascio dell'immobile locato riceva, pur senza espresse riserve, il pagamento del debito scaduto - che non cessa di essere dovuto - nonché degli ulteriori canoni maturati nel corso del giudizio, che il conduttore in mora nella restituzione delle cose locate è comunque tenuto a corrispondere in forza del disposto dell'art. 1591 c.c.
Cass. civ. n. 4058/1989
In tema di clausola risolutiva espressa, la sua rinuncia tacita da parte del creditore costituisce atto di volontà abdicativa, ancorché la volontà stessa venga manifestata, anziché espressamente, mediante comportamenti incompatibili con la conservazione del diritto. Ne consegue che l'indagine del giudice diretta ad accertarne l'esistenza, implicando sostanzialmente la risoluzione di una quaestio voluntatis, deve essere effettuata in modo che non residui alcun ragionevole dubbio sulla effettiva intenzione dell'asserito rinunziante.
Cass. civ. n. 4226/1987
Con riguardo a clausola che prevede la risoluzione di diritto del contratto in caso di mancata prestazione entro il termine pattuito, la proroga del termine, concessa dal creditore, non rappresenta comportamento incompatibile con l'intenzione di valersi del patto stesso, che rimane efficace nel suo originario contenuto in relazione al termine così modificato.
Cass. civ. n. 6827/1983
Per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono avere previsto la risoluzione del contratto come conseguenza dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, mentre costituisce clausola di stile quella redatta con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contralto nulla aggiungendo tale clausola alle norme generali di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c. Ove, pertanto, le parti abbiano convenuto la clausola risolutiva espressa con riferimento a determinate obbligazioni, il successivo generico riferimento a tutte le altre obbligazioni contrattuali non è idoneo a far venir meno quella qualifica, non rivelando tale riferimento di per sé solo la comune intenzione delle parti di negare valore e significato alla precedente sua specificazione.