Art. 525 – Codice civile – Revoca della rinunzia
Fino a che il diritto di accettare l'eredità non è prescritto contro i chiamati che vi hanno rinunziato [480 c.c.], questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell'eredità.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 37927/2022
Nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525 c.c., in tema di rinunzia all'eredità, la quale determina la perdita del diritto all'eredità ove ne sopraggiunga l'acquisto da parte degli altri chiamati, l'atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni), con la conseguenza che una revoca tacita della rinunzia è inammissibile.
Cass. civ. n. 22190/2020
In tema di vendita con riserva della proprietà, la disposizione di cui all'art. 1525 c.c. ha lo scopo di limitare l'autonomia contrattuale attraverso "l'eteroregolamentazione legale che richiede, affinché la vendita possa risolversi su domanda del venditore rimasto creditore del prezzo, che il compratore non sia inadempiente per il mancato pagamento di una sola rata che non superi l'ottava parte del prezzo", con "la rilevanza dell'inadempimento tipizzata dall'ordinamento che preclude al venditore o al suo cessionario di poter chiedere la risoluzione oltre i limiti della rilevanza legale".
Cass. civ. n. 23967/2013
In tema di vendita con riserva della proprietà, le disposizioni degli artt. 1525 e 1526 c.c., concernenti l'inadempimento del compratore e la risoluzione del contratto, hanno la funzione di impedire al venditore di chiedere la risoluzione del contratto oltre i limiti della rilevanza legale dell'inadempimento del compratore per il mancato pagamento del prezzo (come nell'ipotesi di omesso pagamento di una sola rata che non superi l'ottava parte del prezzo), ma non gli impediscono di far valere l'azione contrattuale di adempimento in relazione al bene oggetto del patto di riservato dominio.
Cass. civ. n. 6070/2012
La rinunzia all'eredità non fa venir meno la delazione del chiamato, stante il disposto dell'art. 525 c.c. e non è, pertanto, ostativa alla successiva accettazione, che può essere anche tacita, allorquando il comportamento del rinunciante (che, nella specie, si era costituito in giudizio, allegando la sua qualità di erede e riportandosi alle difese già svolte dal "de cuius") sia incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria.
Cass. civ. n. 21014/2011
Nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525 c.c. in tema di rinunzia all'eredità - la quale determina la perdita del diritto all'eredità ove ne sopraggiunga l'acquisto da parte degli altri chiamati - l'atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni), con la conseguenza che una revoca tacita della rinunzia è inammissibile.
Cass. civ. n. 16913/2011
La revoca della rinuncia all'eredità, di cui all'art. 525 c.c., non costituisce, anche sotto il profilo formale, un atto o negozio giuridico autonomo, bensì l'effetto della sopravvenuta accettazione dell'eredità medesima da parte del rinunciante, il cui verificarsi, pertanto, va dedotto dal mero riscontro della validità ed operatività di tale successiva accettazione, sia essa espressa o tacita (artt. 474 e segg. c.c.).
Cass. civ. n. 8912/1998
Il chiamato all'eredità, che vi abbia inizialmente rinunciato, può, ex art. 525 c.c., successivamente accettarla (in tal modo revocando implicitamente la precedente rinuncia) in forza dell'originaria delazione — e sempre che questa non sia venuta meno in conseguenza dell'acquisto compiuto da altro chiamato —, ma non anche in forza di un accordo concluso tra il rinunziante ed i soggetti acquirenti dell'eredità, dovendo, in tal caso, escludersi ogni possibilità di revoca della precedente rinuncia per effetto del carattere indisponibile della delazione che, una volta venuta meno, non può efficacemente rivivere per volontà dei privati (oltre che per effetto del principio semel heres semper heres, in forza del quale chi abbia accettato l'eredità non può più legittimamente rinunciarvi, essendo l'accettazione, a differenza della rinuncia, un atto puro ed irrevocabile, giusto disposto dell'art. 475 c.c.).
Cass. civ. n. 654/1994
La deliberazione con cui l'assemblea di una società cooperativa a responsabilità limitata anziché disporre un aumento di capitale in senso proprio, con conseguente sottoscrizione facoltativa dei soci, elevi la quota sociale imponendone in contrasto con il combinato disposto dagli artt. 2521 e 2532, secondo comma, c.c., a tenore del quale va esclusa la necessaria eguaglianza delle quote la sottoscrizione per la relativa entità, pena l'espulsione dei socio in caso di mancato adeguamento ad essa della partecipazione, deve ritenersi nulla, a norma dell'art. 2379 c.c. e non già annullabile integrando una deviazione dallo scopo essenziale del rapporto societario, in quanto la permanenza nella società non può essere condizionata ad ulteriori conferimenti, oltre quello originario, e il rapporto medesimo non può sciogliersi, limitatamente a un socio, se non per ragioni che, a parte la morte, siano riconducibili alla volontà (recesso) o alla responsabilità (esclusione) del soggetto.
Cass. civ. n. 11718/1993
In tema di vendita con riserva della proprietà, le disposizioni degli artt. 1525 e 1526 c.c., concernenti l'inadempimento del compratore e la risoluzione del contratto, hanno la funzione di limitare l'autonomia privata fin guisa da escludere la legittimità di una clausola risolutiva espressa, per i casi in cui il compratore non sia inadempiente per il mancato pagamento di una sola rata che non superi l'ottava parte del prezzo, e da impedire al venditore o al suo cessionario di potere chiedere la risoluzione oltre i limiti della rilevanza legale, a tal fine, dell'inadempimento, senza esclusione, nel medesimo caso, dell'esperibilità dell'azione contrattuale di adempimento e della spettanza al creditore dell'opzione per l'azione esecutiva sui beni del compratore o sulla stessa cosa oggetto del riservato dominio.
Cass. civ. n. 3925/1988
La norma di cui all'art. 1525 c.c. secondo la quale, salvo patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata che non superi l'ottava parte del prezzo non dà luogo alla risoluzione del contratto di compravendita riguarda esclusivamente la vendita con riserva di proprietà ed è strettamente aderente ai peculiari caratteri di questa particolare fattispecie negoziale, inquadrandosi nell'ambito delle cautele predisposte a favore del compratore rateale, sicché non è suscettibile di applicazione analogica al di fuori del detto schema negoziale, come per la valutazione della importanza dell'inadempimento ai fini della risoluzione in una ordinaria vendita immobiliare.
Cass. civ. n. 2549/1966
L'irrevocabilità della rinuncia alla eredità, una volta intervenuta l'accettazione degli altri chiamati — accettazione che, peraltro, nel caso di concorso di eredi che abbiano già accettato, non ha bisogno di una specifica manifestazione di volontà, operandosi ipso iure, per diritto di accrescimento, l'acquisto della quota del rinunziante da parte dei coeredi che avrebbero concorso con lui — non si ricollega all'interesse di coloro che si avvantaggiano della rinunzia, bensì al carattere indisponibile della delazione, la quale, una volta caduta, non può essere fatta rivivere per volontà privata. Conseguentemente, l'assenso, prestato alla revoca della rinuncia da parte dei coeredi che hanno acquistato la quota di eredità del rinunciante, non può far rivivere in quest'ultimo la qualità di erede, ormai definitivamente perduta.