Art. 563 – Codice civile – Azione contro gli aventi causa dai donatari soggetti a riduzione
Se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione [559 c.c.] hanno alienato a terzi gli immobili donati e non sono trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, il legittimario, premessa l'escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell'ordine in cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi [559 c.c.], la restituzione degli immobili [2652 n.8, 2690 n. 5 c.c.].
L'azione per ottenere la restituzione deve proporsi secondo l'ordine di data delle alienazioni, cominciando dall'ultima. Contro i terzi acquirenti può anche essere richiesta, entro il termine di cui al primo comma, la restituzione dei beni mobili, oggetto della donazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede [1153 c.c.].
Il terzo acquirente può liberarsi dall'obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l'equivalente in danaro.
Salvo il disposto del numero 8) dell'articolo 2652, il decorso del termine di cui al primo comma e di quello di cui all'articolo 561, primo comma, è sospeso nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario e dei suoi aventi causa, un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione. Il diritto dell'opponente è personale e rinunziabile. L'opposizione perde effetto se non è rinnovata prima che siano trascorsi venti anni dalla sua trascrizione.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 4523/2022
L'azione di simulazione di un contratto dissimulante una donazione di un bene immobile può essere esperita, dal coniuge o dal parente in linea retta del disponente, anche prima dell'apertura della successione di quest'ultimo, allo specifico scopo di consentire l'opposizione di cui all'art. 563, comma 4, c.c. e di rendere, in futuro, possibile l'esperimento della domanda di restituzione del bene donato di cui all'art. 563, comma 1, c.c..
Cass. civ. n. 27065/2022
In tema di successioni, il coniuge o i parenti in linea retta del simulato alienante che, prima dell'apertura della successione dello stesso, intendano notificare un'opposizione alla donazione ai sensi dell'art. 563, comma 4 c.c., sono tenuti ad esperire previamente l'azione di simulazione, onde accertare che le parti abbiano inteso effettivamente realizzare una donazione, nei cui confronti soltanto l'opposizione è prevista. Ne consegue che ad essi, in quanto terzi, non si applicano le limitazioni alla prova della simulazione dettate dall'art. 1417 c.c. per le parti del contratto, essendo tale azione funzionale alla tutela di un'aspettativa di diritto riconosciuta al futuro legittimario.
Cass. civ. n. 22457/2019
Il giudice innanzi al quale sia stata proposta un'azione di simulazione di una compravendita in quanto dissimulante una donazione, azione finalizzata alla successiva trascrizione dell'atto di opposizione, ai sensi dell'art. 563, comma 4, c.c., deve rilevare d'ufficio l'esistenza di una diversa causa di nullità della donazione e, ove sia già pendente il giudizio di appello e sia, perciò, ormai inammissibile un'espressa domanda di accertamento in tal senso della parte interessata, deve rigettare l'originaria pretesa, previo accertamento della nullità, nella motivazione, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione.
Cass. civ. n. 1357/2017
In materia di successione testamentaria, il legittimario che agisca in riduzione ha l'onere d'indicare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria, nonché quello della quota di legittima violata, dovendo, a tal fine, allegare e provare, anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva, oltre che proporre, sia pure senza l'uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione della medesima mediante il calcolo della disponibile e la conseguente riduzione delle donazioni compiute in vita dal "de cuius".
Cass. civ. n. 18280/2017
In tema di successione necessaria, ove la lesione della legittima sia determinata dall'alienazione a terzi, ad opera dell'erede o del legatario, di beni oggetto di disposizione testamentaria, legittimato passivo rispetto all'azione di riduzione esperita dal legittimario è soltanto il beneficiario della disposizione testamentaria lesiva della legittima, e non anche i possessori dei beni con cui questa deve essere reintegrata - i quali, al contrario, sono legittimati passivi rispetto alla domanda di restituzione conseguente al vittorioso esperimento della prima azione - avendo l'azione di riduzione comunque ad oggetto i beni appartenenti al "de cuius", sebbene già alienati, atteso che l'effetto della pronunzia è comunque quello di rendere inefficace nei confronti del legittimario la disposizione lesiva, e ciò anche nei confronti degli eventuali terzi acquirenti, salvi, nei confronti di costoro, gli effetti derivanti dall'omessa trascrizione della domanda di riduzione, ex art. 2652, n. 8, c.c..
Cass. civ. n. 9889/2016
I segni distintivi di fatto possono articolarsi in maniera separata, sicché è astrattamente possibile che un imprenditore abbia preusato del segno per la ditta-denominazione sociale, senza aver fatto uso dello stesso come marchio, per contraddistinguere merci prodotte o servizi forniti, onde la necessità, in caso di affermazione del possesso di un marchio di fatto, che colui il quale chieda di affermare il conseguimento di un proprio diritto fornisca, al riguardo, una prova completa sia della ditta-denominazione sociale sia di quello del segno in funzione di marchio (e della conseguente notorietà di esso), atteso che l'uso di fatto di un segno in funzione di ditta/denominazione sociale non ne comporta l'automatica e meccanica estensione in funzione di marchio e viceversa.
Cass. civ. n. 6283/2016
In tema di ditta individuale, l'aggiunta di elementi di fantasia nel segno distintivo non esclude la possibilità, per l'imprenditore, di indicare anche una presunta qualità sociale dell'impresa per caratterizzarla e distinguerla dalle altre, senza che ciò implichi anche la sua effettività e, quindi, l'esistenza reale di un sodalizio, ove questo non venga riscontrato sulla base di elementi formali, desumibili dal registro delle imprese, o da indici fattuali che, in base al principio dell'apparenza, facciano presumere l'esistenza di una gestione societaria dell'impresa.
Cass. civ. n. 22350/2015
In tema di marchio, poiché la ditta designa il nome sotto cui l'imprenditore esercita l'impresa, senza avere diretta attinenza con i prodotti fabbricati o venduti o con i servizi resi dall'imprenditore, in ciò distinguendosi dal marchio, è consentito che una impresa inserisca nella propria ditta una parola che già faccia parte del marchio di cui sia titolare altra impresa, anche quando entrambe operino nello stesso mercato, ma non è lecito utilizzare quella parola anche come marchio, in funzione della presentazione immediata, o mediata attraverso forme pubblicitarie, dei prodotti o servizi offerti.
Cass. civ. n. 14473/2011
In materia di successione testamentaria, il legittimario che propone l'azione di riduzione ha l'onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonché il valore della quota di legittima violata dal testatore. A tal fine, ha l'onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva oltre che proporre, sia pure senza l'uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione della medesima mediante il calcolo della disponibilità e la susseguente riduzione delle donazioni compiute in vita dal "de cuius".
Cass. civ. n. 5042/2011
L'azione di riduzione proposta dal legittimario nei confronti del terzo acquirente dal donatario richiede la preventiva escussione dei beni del donatario medesimo, ma solo a condizione dell'effettiva esistenza di una situazione di possidenza in quest'ultimo, trattandosi non di una formalità procedurale, ma di un adempimento che, per la finalità ad esso connessa, in tanto è richiesto in quanto vi sia un patrimonio sul quale si possa esplicare.
Cass. civ. n. 16283/2009
Nell'ambito della ditta, il nome ed il patronimico devono essere utilizzati esclusivamente in funzione identificativa della titolarità dell'impresa e non come elementi distintivi della ditta stessa, a tutela dei quali vige il principio della priorità dell'uso. Ne consegue che, quando il patronimico costituisca il cuore della denominazione di altra ditta già operante nel medesimo settore commerciale, l'inclusione del nome e del patronimico nella ditta, richiesti dall'art. 2563, secondo comma, c. c., non possono svolgere una funzione caratterizzante, ma devono essere inseriti nel contesto di ulteriori indicazioni idonee a prevenire il rischio di confusione. A tal fine, non costituisce idoneo elemento distintivo la mera aggiunta, in diretta continuità lessicale con il patronimico, della categoria di prodotti commercializzati. (Nella fattispecie, la Corte, confermando la sentenza di secondo grado, ha ritenuto insufficiente al fine di escludere al confusione la mera indicazione, accanto al patronimico, della parola "gioielli").
Cass. civ. n. 977/2007
La ditta individuale coincide con la persona fisica titolare di essa e, perciò, non costituisce un soggetto giuridico autonomo, sia sotto l'aspetto sostanziale che sotto quello processuale, senza che, perciò, nell'ambito delle opposizioni esecutive proposte dalla ditta individuale, possa ritenersi configurabile un'ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti del titolare di essa. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell'enunciato principio, ha cassato con rinvio l'impugnata sentenza con la quale era stata dichiarata la nullità della sentenza di primo grado sull'erroneo presupposto della violazione dell'art. 102 c.p.c. per mancata partecipazione del titolare di una ditta individuale, ritenuto quale litisconsorte necessario in un giudizio di opposizione all'esecuzione avverso un preavviso di rilascio intentato dalla stessa ditta, dovendo, in contrario, rilevarsi che la decisione del primo giudice era, in effetti, da ritenersi emessa nei confronti del suo titolare).
Cass. civ. n. 23073/2006
La ditta è un bene immateriale costituito dal nome sotto il quale l'imprenditore svolge la propria attività, non un soggetto di diritto — persona fisica o giuridica che sia — od anche soltanto centro autonomo d'imputazione d'interessi; onde, sebbene l'individuazione dell'imprenditore attraverso la sua ditta piuttosto che attraverso il suo nome personale (questo, comunque, nella prima sempre necessariamente contenuto o rappresentato per sigla, ex art. 2563, secondo comma, c.c.) possa egualmente aver luogo in modo giuridicamente efficace, non è tuttavia corretta l'indicazione della ditta quale intestataria di atti giuridici — sostanziali e/o processuali che siano — l'imputazione dei quali va, in ogni caso, effettuata in capo alla persona fisica titolare della ditta. Pertanto il mandato difensivo rilasciato ad un legale dal titolare di una ditta è del tutto inidoneo a consentire al medesimo legale la rappresentanza processuale del successivo titolare della stessa ditta.
Cass. civ. n. 21797/2006
Non integra il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci (artt. 517 c.p. e 4, comma quarantanovesimo, legge 24 dicembre 2003 n. 350) la messa in vendita di occhiali da sole recanti la dicitura “conceived by” accompagnata dalla indicazione della ditta italiana in quanto il corrispondente termine in lingua italiana «concepito» e/o «immaginato» non sta ad indicare né la provenienza né l'origine nazionale del prodotto ma soltanto il modello ed il marchio utilizzato per la realizzazione di esso.
Cass. civ. n. 4405/2006
Il diritto, previsto dall'art. 9 del R.D. 21 giugno 1942, n. 929 (e indi dall'art. 12, comma primo, lett. b, del D.L.vo 10 febbraio 2005, n. 30), di continuare nell'uso del marchio non registrato, che importi notorietà puramente locale, ai fini della, pubblicità, nei limiti della diffusione locale, nonostante la successiva registrazione di uno stesso marchio da parte di altro soggetto, comporta, per il principio di unitarietà dei segni distintivi espressamente stabilito dagli artt. 13 e 17, comma primo, lett. c), del citato R.D. n. 929 del 1942 (e indi dagli artt. 22 e 12 del D.L.vo n. 30 del 2005) principio che rinviene la sua ratio nella tendenziale convergenza dei differenti segni verso una stessa finalità che chi acquista il diritto su un segno utilizzato in una determinata funzione tipica (nella specie, di insegna) acquista il diritto sul medesimo anche in riferimento alla utilizzazione in funzioni ulteriori e diverse (nella specie, edite ditta e in tabelloni pubblicitari), ferma restando l'estensione della tutela all'ambito territoriale raggiunto in riferimento all'uso fattone.
Cass. civ. n. 2708/2006
Integra il reato di uso di cose che recano impronte falsificate (art. 469 c.p.), la condotta di colui che utilizza numerosi lingotti solo apparentemente d'oro ed in realtà di metallo, recanti un'impronta contraffatta indicante falsamente la provenienza da una ditta autorizzata alla produzione, lavorazione e commercializzazione di metalli preziosi, in quanto per impronta di pubblica autenticazione o certificazione si intende non solo quella proveniente da un ente pubblico, ma anche quella imposta dalla legge su determinati beni al fine di garantire al fruitore la autenticità della provenienza e della correlativa certificazione, ed infatti con riguardo ai metalli preziosi i punzoni recanti i rispettivi titoli sono sottoposti ad una rigorosa regolamentazione che riguarda sia i soggetti legittimati a farne uso sia le caratteristiche strutturali di tali strumenti, assolvendo al fine di garanzia.
Cass. civ. n. 2648/2006
Integra il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci la commercializzazione di beni del settore abbigliamento con la dicitura «Italy», che pur essendo prodotti da una ditta italiana su disegno e tessuto italiano siano confezionati all'estero da maestranze locali, in quanto in questo particolare settore l'Italia gode di un prestigio internazionale, fondato anche sulla particolare specializzazione delle maestranze impiegate, e pertanto, il sottacere tale dato fattuale o il fornire fallaci indicazioni, ha l'intento di conferire al prodotto una maggiore affidabilità, promovendone l'acquisto.
Cass. civ. n. 3052/2006
La domanda proposta nei confronti di una ditta individuale deve ritenersi intentata, ai fini della legittimazione passiva, contro la persona fisica del suo titolare, in quanto la ditta non ha soggettività giuridica distinta ma si identifica con il titolare sotto l'aspetto sia sostanziale che processuale. In particolare, nell'ambito di un rapporto di lavoro intercorso con un'impresa individuale, nei confronti del lavoratore il soggetto datoriale è, ai sensi dell'art. 2094 c.c., colui alle cui dipendenze e sotto la cui direzione la prestazione è svolta.
Cass. civ. n. 5899/2002
Ai sensi degli artt. 2563 e 2565 c.c., la ditta, che può continuare ad essere intitolata al nome dell'imprenditore defunto, si trasmette ai successori unitamente all'azienda, in mancanza di una diversa disposizione testamentaria. Tale trasferimento comporta la possibilità di continuare l'esercizio dell'impresa come originariamente denominata, compreso il nome del titolare non più in vita, che può costituire un elemento indispensabile, o quanto meno utile, per la conservazione dell'avviamento commerciale, perché indice di una continuità operativa, che vale anche a tutelare coloro che abbiano avuto rapporti con l'originario imprenditore.
Cass. civ. n. 8034/2000
Il concetto di ditta, volto a designare, genericamente ed unitariamente, il nome sotto cui l'imprenditore esercita l'impresa, non ha - salvo che essa venga usata anche come marchio - una diretta attinenza con i prodotti fabbricati o venduti o con i servizi prestati, e si distingue, pertanto, sia dal marchio in generale, sia dal cosiddetto «marchio di servizio» (introdotto in Italia dall'art. 3 della L. n. 1178 del 1959), destinato a contraddistinguere una specifica attività o branca di attività tra quelle esercitate dall'impresa (e dotato di un campo di produzione limitato a tale attività in sé considerata, mentre la ditta è sempre riferibile ad un «complesso» di attività), sia dall'insegna, che non identifica né il prodotto, né l'attività o branca di attività, bensì un bene aziendale presso il quale o mediante il quale un prodotto viene posto in commercio. Ne consegue la facoltà, per l'imprenditore, di disporre di più ditte, e la possibilità, per il medesimo (qualora produca beni o servizi differenziati, destinando ad essi aziende o beni aziendali distinti), di cedere una propria attività unitamente o disgiuntamente all'insegna che contraddistingue i beni interessati, insieme o disgiuntamente ad una sua ditta.
Cass. civ. n. 4036/1995
Al fine di verificare se l'uso di un nome altrui, in occasione dell'adozione di una ditta commerciale o di un marchio, possa ritenersi o meno, indebito, deve farsi riferimento alla disciplina specifica che la legge riserva a tali "segni distintivi" nell'ambito del diritto commerciale, non già alla tutela riservata della legge ai diritti della personalità (art. 7 c.c.), con la conseguenza che un provvedimento giudiziario che inibisca ad altri l'uso del proprio nome può essere chiesto solo quando questa utilizzazione si traduca in un uso arbitrario di segni distintivi dell'attività imprenditoriale.
Cass. civ. n. 10521/1994
Analogamente a quanto previsto dall'art. 42 R.D. 21 giugno 1942 n. 629 (legge sul marchio), in base al quale si presume che nell'arco di tre anni di mancata utilizzazione del marchio la sua funzione distintiva si sia a tal punto stemperata da non giustificarne ulteriormente la tutela, l'inattività di una società per un certo arco di tempo (nella specie, cinque anni) fa presumere che la denominazione sociale e la ditta che costituiscono segni distintivi, come tale destinati a suscitare, in chi le percepisce, associazioni di significato che sono legate all'uso costante di quel segno nella sua funzione individuante, e che vengono necessariamente meno ove il segno stesso cessa, per un certo arco di tempo, di essere adoperato abbiano perso la funzione distintiva che era loro propria.
Cass. civ. n. 3604/1990
Anche nell'ipotesi in cui due imprese operino nello stesso mercato, è lecito inserire nella propria ditta una parola che già faccia parte di un marchio di cui sia titolare altro imprenditore (il quale, però, usi una ditta o denominazione sociale in cui non sia presente la stessa parola), ma non è consentito usare quella parola anche come marchio, in funzione di presentazione immediata, o mediata attraverso forme pubblicitarie, dei prodotti o servizi offerti.
Cass. civ. n. 1715/1985
Con riguardo alla ditta, che contenga il prenome ed il cognome dell'imprenditore, qualora detto prenome venga ad assumere, nel corso del tempo, una funzione predominante, indicando e contrassegnando, nell'ambiente della clientela, l'intera impresa, deve riconoscersi all'imprenditore medesimo il diritto di far uso esclusivo di tale prenome, e correlativamente, il diritto di vietare che altri, dell'esercizio di analoga attività, se ne avvalga per la propria ditta o per la propria insegna. Questo principio trova applicazione anche nel caso di cessione dell'azienda, tenuto conto che sia la ditta che l'insegna seguono l'azienda, nei suoi trasferimenti, solo in presenza di uno specifico patto fra il precedente ed il nuovo titolare.
Cass. civ. n. 7583/1983
La ditta, pur essendo costituita essenzialmente dal nome, dalla sigla o dalla denominazione dell'imprenditore, può comprendere anche indicazioni relative all'attività dell'impresa o parole di fantasia idonee ad accentuarne la forza individualizzante, ed in essa, come nell'insegna, possono essere inserite, quali elementi aggiuntivi o integrativi, anche parole o espressioni di fantasia rappresentative di un marchio altrui, quando, in ragione dell'oggetto dell'impresa o del luogo del suo esercizio, non ne derivi possibilità di confusione con l'attività e i prodotti dell'altra impresa, ad esempio per la limitatezza dei mercati in cui le due imprese rispettivamente operano e per la distanza esistente tra i relativi esercizi commerciali.