Art. 903 – Codice civile – Luci nel muro proprio o nel muro comune
Le luci possono essere aperte dal proprietario del muro contiguo al fondo altrui.
Se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso dell'altro; ma chi ha sopraelevato il muro comune può aprirle nella maggiore altezza a cui il vicino non abbia voluto contribuire [885].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 35272/2023
Il termine di prescrizione per l'esercizio dell'azione revocatoria da parte di una società in amministrazione straordinaria decorre dal momento dell'approvazione del programma di cessione dei beni aziendali e non dalla nomina del Commissario straordinario, come, invece, avveniva in base alla precedente disciplina di cui alla l. n. 95 del 1979, poiché l'art. 49 del d.lgs. n. 270 del 1999, nel disporre che l'azione revocatoria fallimentare può essere proposta dal Commissario straordinario "soltanto se è stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali", prevede l'avveramento di una specifica condizione per l'esercizio dell'azione.
Cass. civ. n. 9458/2023
Il termine di prescrizione dell'azione cd. revocatoria penale, di cui all'art. 192 c.p., decorre dalla data della declaratoria di colpevolezza dell'autore del reato, dal momento che con essa si identifica il momento in cui l'azione può essere esercitata, ai sensi dell'art. 2935 c.c., fermo restando che la durata, l'interruzione e la sospensione di tale termine sono disciplinate dalle corrispondenti regole civilistiche, trattandosi pur sempre di azione riconducibile al più ampio genere dell'"actio pauliana".
Cass. civ. n. 4049/2023
La disposizione dell'art. 2903 c.c., laddove stabilisce che l'azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto, deve essere interpretata, attraverso il coordinamento con la regola contenuta nell'art. 2935 c.c., nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell'atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l'inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con riguardo ad un'azione revocatoria ordinaria di un contratto di compravendita immobiliare, aveva fissato la decorrenza della prescrizione dalla data non già della stipula, bensì della relativa trascrizione nei registri immobiliari).
Cass. civ. n. 4049/2023
La disposizione dell'art. 2903 c.c., laddove stabilisce che l'azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto, deve essere interpretata, attraverso il coordinamento con la regola contenuta nell'art. 2935 c.c., nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell'atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l'inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo.
Cass. civ. n. 28804/2018
In tema di apertura di luci irregolari nel muro divisorio tra proprietà confinanti, bisogna distinguere se esse siano state realizzate sul manufatto di proprietà esclusiva di colui che compie tale attività e, quindi, "iure proprietatis", ovvero sul muro comune o di proprietà esclusiva del confinante e, pertanto, "iure servitutis", poiché solo in quest'ultima ipotesi il diritto a mantenere la relativa servitù può essere acquisito per usucapione. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione di appello che aveva affermato la non usucapibilità di una servitù di luce, prescindendo dalla concreta individuazione del regime dominicale del muro sul quale detta luce era stata aperta).
Cass. civ. n. 5594/2016
In tema di distanze tra costruzioni su fondi finitimi, ai sensi dell'articolo 873 c.c., con riferimento alla determinazione del relativo calcolo, poiché il balcone, estendendo in superficie il volume edificatorio, costituisce corpo di fabbrica, e poiché l'articolo 9 del D.M. 2 aprile 1968 - applicabile alla fattispecie, disciplinata dalla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, come modificata dalla legge 6 agosto 1967 n. 765 - stabilisce la distanza minima di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti antistanti, un regolamento edilizio che stabilisca un criterio di misurazione della distanza tra edifici che non tenga conto dell'estensione del balcone, è contra legem in quanto, sottraendo dal calcolo della distanza l'estensione del balcone, viene a determinare una distanza tra fabbricati inferiore a mt. 10, violando il distacco voluto dalla c.d. legge ponte (legge 6 agosto 1967 n. 765, che, con l'articolo 17, ha aggiunto alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150 l'articolo 41 quinquies, il cui comma non fa rinvio al D.M. 2 aprile 1968, che all'articolo 9, numero 2, ha prescritto il predetto limite di mt. 10).
Cass. civ. n. 5889/2016
La disposizione dell'art. 2903 c.c., laddove stabilisce che l'azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto, deve essere interpretata, attraverso il coordinamento con la regola contenuta nell'art. 2935 c.c., nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell'atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l'inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo. (omissis).
Cass. civ. n. 11108/2015
In tema di assicurazione, ed alla stregua di quanto disposto dall'art. 1903, secondo comma, cod. civ., l'agente con rappresentanza non può promuovere, di sua iniziativa, la domanda di accertamento negativo dell'esistenza del contratto, sicchè qualunque sentenza pronunciata tra lo stesso e l'assicurato è inopponibile all'assicuratore e, in caso di accoglimento della suddetta domanda, l'assicurato non ha titolo esecutivo per chiedere la restituzione del premio all'assicuratore medesimo.
Cass. civ. n. 5586/2015
Nel giudizio di revocazione ordinaria di un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore, qualora sopravvenga il fallimento di questi, il curatore può subentrare nell'azione in forza della legittimazione accordatagli dall'art. 66 legge fall., accettando la causa nello stato in cui si trova, sicché trattandosi di azione che il curatore trova nella massa fallimentare e si identifica con quella che i creditori avrebbero potuto esperire prima del fallimento, la prescrizione decorre anche nei confronti della curatela, ai sensi dell'art. 2903 cod. civ., dalla data dell'atto impugnato, mentre il compimento di un atto interruttivo della stessa da parte di uno dei creditori, cui il curatore sia subentrato ex art. 66 cit., giova alla massa fallimentare.
Cass. civ. n. 12513/2009
Qualora sia stata proposta un'azione revocatoria ordinaria per fare dichiarare inopponibile ad un singolo creditore un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore, a seguito del fallimento del debitore, sopravvenuto in pendenza del relativo giudizio, il curatore può subentrare nell'azione, in forza della legittimazione accordatagli dall'art. 66 legge fall., accettando la causa nello stato in cui si trova. Di conseguenza, trattandosi di un'azione che il curatore trova nella massa fallimentare e che si identifica con quella che i creditori avrebbero potuto esperire prima del fallimento, da un lato la relativa prescrizione, anche nei confronti della curatela, decorre, ai sensi dell'art. 2903 c.c., dalla data dell'atto impugnato, dall'altro l'interruzione della prescrizione, ad opera di uno dei creditori cui il curatore sia subentrato ex art. 66 cit., giova alla massa fallimentare.
Cass. civ. n. 13649/2007
In caso di apertura di luci nel muro divisorio tra proprietà confinanti, da considerarsi comune ai sensi dell'articolo 880 c.c., deve applicarsi il disposto dell'articolo 903 c.c., il quale, oltre a consentire, al primo comma, l'apertura al proprietario di luci nel muro proprio che sia contiguo al fondo altrui, stabilisce, al secondo comma, come regola di ordine generale, che «se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso dell'altro». Di conseguenza, il diritto a mantenere le luci può essere in tale ipotesi diversamente acquisito solo iure servitutis.
Cass. civ. n. 1210/2007
La disposizione dell'art. 2903 c.c., laddove stabilisce che l'azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto, deve essere interpretata (attraverso il coordinamento con la disposizione generale in tema di prescrizione, di cui all'art. 2935 c.c.) nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell'atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l'inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito sul punto in cui rigettava l'eccezione di prescrizione dell'azione revocatoria ordinaria, ritenendo che la prescrizione iniziasse a correre non dalla stipula dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale oggetto di revocatoria, ma dal giorno dell'annotazione dell'atto stesso nei registri dello stato civile).
Cass. civ. n. 8609/2004
Gli agenti generali di una compagnia di assicurazione stanno in giudizio non in proprio, ma in nome e per conto della compagnia stessa, come specificato dall'art. 1903, secondo comma, c.c., per le obbligazioni nascenti dai contratti conclusi in forza dei poteri di rappresentanza sostanziale di cui sono dotati; ne consegue che, ai fini del valido esercizio dei poteri rappresentativi, non è necessario che l'agente dichiari di agire in nome e per conto della società assicuratrice, essendo sufficiente, al contrario, che egli indichi la propria qualità, ricollegandosi automaticamente ad essa la sussistenza in capo all'agente di assicurazione del potere rappresentativo.
Cass. civ. n. 18243/2003
Atteso che, ai sensi dell'art. 1903 c.c., all'agente autorizzato a stipulare polizze è attribuita la rappresentanza sostanziale dell'assicuratore, con i conseguenti poteri di rappresentanza processuale rispetto alle controversie derivanti dai contratti stessi, ne consegue che allo stesso può essere indirizzato l'atto interruttivo della prescrizione del diritto dell'assicurato, con effetti incidenti nella sfera giuridica dell'assicuratore.
Cass. civ. n. 738/2000
La facoltà di apertura e mantenimento di luci in un solaio frapposto tra due unità immobiliari l'una soprastante l'altra e comprese in uno stabile condominiale resta subordinata, a mente dell'art. 903 comma secondo c.c. (norma dettata in tema di muro divisorio ed applicabile nella specie attesa l'analogia tra le funzioni del muro stesso e del solaio) al consenso di tutti i comproprietari, con la conseguenza che il diritto a mantenere le luci stesse può essere aliunde acquisito soltanto iure servitutis.
Cass. civ. n. 7033/1999
In tema di rappresentanza processuale dell'agente di assicurazioni deve distinguersi il caso in cui non vi è conferimento di potere rappresentativo da parte della società da quello opposto. Nel primo la rappresentanza è fondata sull'art. 1903 c.c. ed è limitata alle obbligazioni dipendenti dal contratto di assicurazione stipulato dall'agente; nel secondo deriva dall'atto di conferimento, ai sensi degli artt. 1744, 1752 e 1753 c.c. che non è necessario menzionare espressamente, essendo sufficiente che l'agente indichi la propria qualità — e può estendersi alla riscossione dei premi anche di contratti stipulati da un altro agente, ma appartenenti allo stesso portafoglio, indipendentemente dalla circostanza che l'agente sia a gestione libera o legato all'impresa da un rapporto di subordinazione.
Cass. civ. n. 8611/1998
In virtù del disposto dell'art. 903 ed in applicazione dei principi generali sulla comunione, nessuno dei due proprietari può aprire luci senza il consenso dell'altro manifestato per iscritto.
Cass. civ. n. 10978/1998
La procura rilasciata agli agenti (ed ai subagenti) di assicurazione è assoggettata alla forma pubblicitaria della pubblicazione nel registro delle imprese. La previsione di tale regime si desume dalla formulazione dell'art. 1903, primo comma, c.c. Ed infatti, pur facendo la predetta norma generico riferimento alla pubblicazione della procura «nelle forme richieste dalla legge», deve ritenersi, in assenza di altre norme che regolino la pubblicazione della procura di cui si tratta, che il rinvio operato dal citato art. 1903 riguardi solo le modalità procedurali della pubblicazione, che, tenuto conto della natura del soggetto rappresentato, vanno identificate in quelle previste in via generale per gli imprenditori commerciali dagli artt. 2188 ss. c.c. Ne consegue che il terzo che abbia omesso di verificare l'esistenza e la portata della attribuzione dei poteri in questione non può invocare il principio dell'affidamento facendo valere una incolpevole aspettativa di fronte all'apparenza del diritto.
Cass. civ. n. 4296/1997
Il termine che ha natura prescrizionale (e non già decadenziale) per l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare è quello di cinque anni previsto per la revocatoria ordinaria dall'art. 2903 c.c. (applicabile, quanto alla sola durata, anche alla revocatoria fallimentare, in ragione del rinvio operato dall'art. 66 legge fallimentare), ma non decorre dalla data dell'atto, come prescritto in tema di revocatoria ordinaria (dal medesimo art. 2903 c.c., che ha carattere di specialità in ordine alla decorrenza del termine trovando applicazione alla sola ipotesi in cui l'atto revocabile sia anteriore al sorgere del credito, mentre negli altri casi previsti dall'art. 2901 c.c. tale decorrenza coincide con l'esperibilità dell'azione revocatoria), bensì — stante l'esistenza di differenze strutturali tra le due azioni, che giustificano la disciplina differenziata — opera il principio generale (ex art. 2935 c.c.) secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere e quindi dal momento della dichiarazione di fallimento.
Cass. civ. n. 12506/1995
L'agente generale di assicurazione che abbia richiesto decreto ingiuntivo per il pagamento del premio di una polizza assicurativa sta in giudizio, nel procedimento di opposizione al decreto, non in nome proprio, ma in nome e per conto della compagnia assicuratrice, come si ricava dall'art. 1903, secondo comma, c.c., che prevede la legittimazione attiva e passiva degli agenti espressamente «in nome» dell'assicuratore, per le obbligazioni nascenti dai contratti conclusi in forza dei poteri di rappresentanza sostanziale loro conferiti.
Cass. civ. n. 612/1993
Con riguardo ad attività di impresa assicuratrice avente ad oggetto la promozione della stipulazione di contratti di assicurazione e la gestione del portafoglio acquisito, il decentramento della stessa presso apposite agenzie operanti localmente può avvenire o in economia, e cioè con personale dipendente dall'impresa medesima, o con affidamento dell'incarico a soggetti estranei operanti autonomamente, con propria organizzazione di mezzi materiali e personali, distinguendosi, poi, in concreto, le due modalità organizzative delle agenzie periferiche, in relazione alla diversa titolarità del rischio, che nel primo caso soltanto è, in tutto o in parte, attribuibile all'impresa assicuratrice, ed in relazione all'imputazione giuridica degli atti con i quali il preposto all'agenzia provvede ad organizzare attività personali e mezzi necessari al funzionamento dell'agenzia stessa, nel senso che se tali atti sono imputabili all'impresa si avrà un rapporto di lavoro subordinato fra questa ed il preposto all'agenzia, mentre, se essi sono imputabili allo stesso preposto, si avrà un rapporto di agenzia in senso tecnico. .
Cass. civ. n. 6932/1983
Quando per il contratto che il rappresentante deve concludere la legge prescrive la forma scritta, sia pur soltanto ad probationem, come per il contratto di assicurazione, anche la procura deve essere conferita per atto scritto, con la conseguenza che, essendo soggetta al medesimo regime probatorio, le restrizioni nell'utilizzazione dei mezzi di prova stabilite per il negozio rappresentativo valgono sempre anche per la procura, l'esistenza della quale, pertanto, non può essere provata né a mezzo di testimoni, né a mezzo di presunzioni; e nemmeno ha rilievo la circostanza che il contratto sia stato sottoscritto da un agente della compagnia assicuratrice, poiché tale qualità non lo abilita, da sola, a concludere il contratto in nome e per conto dell'assicuratore, ove il relativo potere di rappresentanza non gli sia stato espressamente conferito.
Cass. civ. n. 6495/1981
Nell'ipotesi di comunione del muro divisorio fra un cortile comune ed un'area inedificata di proprietà esclusiva di uno dei comproprietari del muro, il fatto che, in prosieguo di tempo, quest'ultimo comproprietario abbia addossata al muro divisorio una sua baracca, non lo legittima, senza il consenso dell'altro comproprietario del muro, all'apertura di luci o vedute nel detto muro divisorio, stante il preciso divieto dell'art. 903 secondo comma, c.c. non essendo applicabile il regime proprio del muro perimetrale di edificio in condominio su un cortile comune, atteso che tale regime (che consente l'apertura di luci e vedute) trova la sua giustificazione nella diversa funzione del muro perimetrale di edificio in condominio, rispetto al semplice muro divisorio di due autonomi cortili e nel rapporto di complementarietà odi servizio che intercorre fra l'edificio condominiale e il cortile relativo.
Cass. civ. n. 3819/1981
Salva l'opposizione, per motivi di sicurezza o di estetica, degli altri partecipanti alla comunione, al condomino è consentito di aprire nel muro comune, sia esso maestro oppure no, luci sulla strada o sul cortile; tuttavia, qualora il muro comune assolva anche la funzione di isolare e dividere la proprietà individuale di un condomino dalla proprietà individuale di altro condomino, ricorrono anche gli estremi per l'applicabilità dell'art. 903, secondo comma, c.c., con la conseguenza che, in tal caso, l'apertura della luce resta subordinata sia alle condizioni ed alle limitazioni previste dalle norme in materia di condominio (con riguardo agli interessi riconosciuti a tutti i partecipanti alla comunione e alle regole stabilite circa l'uso delle cose comuni da parte dei singoli condomini) sia, alla stregua del secondo comma del citato art. 903 c.c., al consenso del condomino vicino, in considerazione dell'interesse del medesimo alla riservatezza della sua proprietà individuale.
Cass. civ. n. 3398/1981
Nel caso in cui si sia acquistata (nella specie, per usucapione) la comproprietà di un muro posto sul confine, la successiva sopraelevazione (muro su muro) non integra la fattispecie dell'accessione, di cui all'art. 934 c.c., a favore dell'originario unico proprietario del muro stesso, bensì quella prevista dall'art. 885, primo comma, c.c. che consente al comproprietario di innalzare il muro comune e stabilisce che la parte sopraedificata resta di sua esclusiva proprietà (fino a che il vicino non si avvalga del diritto di renderla comune), con la conseguenza che il comproprietario che ha provveduto alla sopraelevazione è facoltizzato ad aprire delle luci nella maggiore altezza del muro.
Cass. civ. n. 2732/1975
Qualora vengano aperte finestre in un incavo del muro contiguo al fondo altrui, esse debbono considerarsi — ai fini della distanza dal detto fondo — come se fossero state aperte sulla superficie del muro e non sulla parete dell'incavo: la distanza dall'altrui fondo, in altre parole, va misurata non dalla profondità dell'incavo, ma dal muro su cui l'incavo è praticato, con la conseguenza che esse finestre, ai sensi dell'art. 903 c.c., non possono avere le caratteristiche della veduta, ma debbono essere ridotte a luci.