Art. 207 – Codice di procedura penale – Testimoni sospettati di falsità o reticenza. Testimoni renitenti
1. Se nel corso dell'esame un testimone rende dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite, il presidente o il giudice glielo fa rilevare rinnovandogli, se del caso, l'avvertimento previsto dall'articolo 497 comma 2. Allo stesso avvertimento provvede se un testimone rifiuta di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge e, se il testimone persiste nel rifiuto, dispone l'immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché proceda a norma di legge [476 2].
2. Con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, il giudice, se ravvisa indizi del reato previsto dall'articolo 372 del codice penale, ne informa il pubblico ministero trasmettendogli i relativi atti.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 21524/2024
La dichiarazione di delinquenza professionale, cui segue l'applicazione di misure di sicurezza, può intervenire anche nei confronti di soggetto che sia in espiazione della pena detentiva, posto che occorre tenere distinto il momento deliberativo da quello esecutivo della misura, a nulla rilevando che quest'ultimo sia lontano nel tempo, dal momento che il giudizio di pericolosità è sempre rivalutabile.
Cass. civ. n. 19759/2024
La retribuzione da assumere a parametro per la determinazione dei contributi previdenziali (cd. minimale contributivo) ex art. 1 d.l. n. 338 n. 1989, conv. con modif. dalla l. n. 389 del 1989, è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nel settore di attività effettivamente svolta dall'impresa ai sensi dell'art. 2070 c.c., dovendosi far riferimento ad un criterio oggettivo e predeterminato che non lasci spazio a scelte discrezionali o a processi di autodeterminazione normativa, che restano viceversa possibili solo in relazione al trattamento economico e normativo dei lavoratori nei limiti dell'art. 36 Cost.
Cass. civ. n. 18522/2024
In tema di accertamento del passivo nell'amministrazione straordinaria, l'avviso ai creditori per la verifica, previsto dall'art. 207 l.fall., costituisce un atto dovuto a carico del commissario, destinato ad una mera provocatio ad agendum verso coloro che risultino creditori in base alle scritture contabili del debitore, così che essi siano informati della pendenza della procedura e possano fare valere i propri diritti in concorso; pertanto, con tale avviso, il commissario non esprime alcun giudizio preventivo sull'eventuale futura ammissione al passivo, né compie una ricognizione del credito.
Cass. civ. n. 9136/2024
Nell'ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni peggiorative per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, senza che si possa considerare come definitivamente acquisito un diritto derivante da una norma collettiva caducata o sostituita da altra successiva, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi operano dall'esterno come fonte eteronoma di regolamento concorrente con la fonte individuale, ferma restando la facoltà del lavoratore di rinunciare validamente al trattamento economico individuale che non riguardi l'applicazione di disposizioni inderogabili stabilite dalla legge o dai contratti collettivi, né diritti indisponibili ex art. 2113 c.c. (Nel caso di specie, la S.C. ha escluso la violazione dell'art. 2077 c.c. e dei diritti retributivi del lavoratore da parte di un accordo sindacale aziendale che, nell'operare un complessivo riordino del sistema retributivo, ha accorpato alcune indennità accessorie di derivazione collettiva in due nuovi emolumenti condizionati alla presenza in servizio, subordinandone il riconoscimento, per i dipendenti titolari di superminimo pattuito con accordo individuale, alla scelta di rinunciare a questo con accordo sottoscritto ai sensi dell'art. 2113, ultimo comma, c.c.).
Cass. civ. n. 7203/2024
La sfera di efficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto comune non va individuata in applicazione del criterio c.d. merceologico dell'attività svolta dal prestatore ai sensi dell'art. 2070, comma 1, c.c., ma è invece frutto dell'esercizio dell'autonomia negoziale manifestata con l'iscrizione ad un sindacato o ad un'associazione imprenditoriale o anche con comportamento concludente; conseguentemente, ai lavoratori che lo richiedono, pur se assunti in tempi diversi, va applicato il contratto collettivo in essere, anche in fatto, nell'impresa, indipendentemente dall'attività svolta, con la precisazione che, se il datore esercita distinte attività economiche, occorre individuare, il contratto collettivo riferibile al personale addetto alle singole attività, fermo - in ogni caso - il rispetto dell'art. 36 Cost.
Cass. civ. n. 27764/2023
L'accordo sindacale di prossimità, ex art. 8, comma 1, d.l. n. 138 del 2011, conv. con l. n. 148 del 2011, è configurabile solo ove concorrano tutti gli specifici presupposti ai quali la norma lo condiziona, stante il suo carattere eccezionale evidenziato dalla possibilità che esso, a differenza dell'ordinario contratto aziendale, deroghi alle disposizioni di legge e di contratto collettivo con efficacia generale nei confronti di tutti i lavoratori interessati. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la ricorrenza di un accordo di prossimità, non essendo il requisito di rappresentatività e il criterio maggioritario delle rappresentanze sindacali che avevano sottoscritto l'accordo surrogabile attraverso la dimostrazione dell'adesione maggioritaria dei lavoratori al contenuto dello stesso).
Cass. civ. n. 18507/2023
Il beneficio previsto dall'art. 44 del r.d. n. 1290 del 1922, esteso agli invalidi per servizio, dipendenti dello Stato e di enti pubblici, in virtù della l. n. 474 del 1958 e degli artt. 1 e 3 della l. n. 539 del 1950, spetta anche per il periodo successivo all'entrata in vigore del c.c.n.l. di settore del 31.3.1999, non potendosi disconoscere l'operatività di benefici previsti da pregresse disposizioni speciali aventi valore di legge, non implicitamente abrogate, vieppiù in considerazione del rilievo che l'abolizione espressa è stata poi successivamente disposta con l'art. 70 del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. in l. n. 133 del 2008.
Cass. pen. n. 23478/2011
La trasmissione degli atti al pubblico ministero da parte del giudice del dibattimento perchè proceda nei confronti del testimone sospettato di falsità o reticenza e del testimone renitente non costituisce una condizione di procedibilità dell'azione penale per il reato di falsa testimonianza. (Rigetta, App. Salerno, 17/06/2010).
Cass. pen. n. 6914/2011
In tema di esame testimoniale non integra alcuna nullità, risolvendosi in una mera irregolarità, l'omesso avvertimento del giudice al teste sospettato di falsità o reticenza circa le responsabilità previste dalla legge penale. (Dichiara inammissibile, Giud.pace Mestre, 11 febbraio 2010).
Cass. pen. n. 26560/2008
Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 372 c.p. non rileva l'omesso avvertimento al teste sospettato di falsità ai sensi dell'art. 207 c.p.p.
Cass. pen. n. 14972/2005
La sospensione del processo è un mezzo eccezionale cui il giudice deve fare ricorso solo quando la legge espressamente lo consenta e cioè quando la decisione dipende dalla risoluzione di una questione pregiudiziale costituzionale ovvero civile o amministrativa, ai sensi dell'art. 3 c.p.p., per cui fuori da tali casi il giudice è tenuto a risolvere ogni altra questione pregiudiziale, seppure con efficacia non vincolante. (Nella specie la Corte ha ritenuto abnorme il provvedimento con cui il giudice, disposta la trasmissione alla procura della Repubblica degli atti relativi alle dichiarazioni rese da alcuni testimoni, aveva contestualmente sospeso il dibattimento in attesa dell'esito del procedimento per falsa testimonianza).
Cass. pen. n. 16661/1990
In tema di valutazione della testimonianza, il sistema introdotto dal nuovo codice di procedura penale, separa nettamente la valutazione della testimonianza ai fini della decisione del processo in cui è stata resa e la persecuzione penale del testimone che abbia deposto il falso, attribuendo al giudice del primo processo il solo compito di dare al pubblico ministero notizia del reato, quando ne ravvisi gli indizi in sede di valutazione complessiva di tutto il materiale raccolto. Ne consegue che la deposizione del teste falso resta parte integrante nel processo in cui è stata resa ed è prova in questo utilizzabile e valutabile in relazione all'altro materiale probatorio acquisito.