Art. 230 – Codice di procedura penale – Attività dei consulenti tecnici
1. I consulenti tecnici [225, 233, 359, 360] possono assistere al conferimento dell'incarico al perito e presentare al giudice richieste, osservazioni e riserve, delle quali è fatta menzione nel verbale.
2. Essi possono partecipare alle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione.
3. Se sono nominati dopo l'esaurimento delle operazioni peritali, i consulenti tecnici possono esaminare le relazioni e richiedere al giudice di essere autorizzati a esaminare la persona, la cosa e il luogo oggetto della perizia.
4. La nomina dei consulenti tecnici e lo svolgimento della loro attività non può ritardare l'esecuzione della perizia e il compimento delle altre attività processuali.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 15810/2024
In tema di impresa familiare, i diritti di partecipazione del collaboratore sui beni acquistati dal titolare con gli utili non ripartiti hanno natura obbligatoria e non reale, in coerenza: a) con la natura individuale dell'impresa e, quindi, con l'alterità del soggetto collaboratore rispetto alla stessa; b) con l'autonomia operativa dell'azienda familiare, non armonizzabile con l'assoggettamento alle normali regole della comunione; c) con le esigenze di tutela dei terzi, in quanto la contitolarità comporterebbe la sottrazione di detti beni al rischio imprenditoriale.
Cass. civ. n. 15026/2024
In tema di impresa familiare, il partecipante che agisce per ottenere la propria quota di utili ha l'onere di provare la consistenza del patrimonio aziendale e la quota astratta della propria partecipazione, potendo a tal fine ricorrere anche a presunzioni semplici, tra cui la predeterminazione delle quote operata a fini fiscali; sul familiare esercente l'impresa grava invece l'onere di fornire la prova contraria rispetto alle eventuali presunzioni semplici, nonché di dimostrare il pagamento degli utili spettanti pro quota a ciascun partecipante.
Cass. civ. n. 13379/2024
In tema di procedimento in appello, il giudice che perviene a una decisione di condanna, diversamente apprezzando le dichiarazioni dibattimentali rese da un perito o da un consulente tecnico, è tenuto, nel caso si tratti di prove decisive, alla rinnovazione istruttoria dibattimentale mediante l'esame del predetto perito o consulente.
Cass. civ. n. 3060/2024
Integra il reato di cui all'art. 388, comma quinto, cod. pen. la condotta del socio accomandatario di una s.a.s. che trasferisce a sé stesso la proprietà di un bene della società pignorato affidato alla sua custodia, trattandosi di un atto dispositivo che incide sui tempi della procedura esecutiva e potenzialmente pregiudizievole per l'interesse del creditore, senza che rilevi la responsabilità dell'agente per le obbligazioni sociali che, sebbene illimitata e solidale, opera solo in via sussidiaria.
Cass. civ. n. 39832/2023
In tema di prova scientifica, il diritto al contraddittorio deve essere tutelato in tutte le fasi che ne caratterizzano la formazione, con la conseguenza che i tecnici di parte: a) devono avere la possibilità di presenziare al conferimento dell'incarico e alla formulazione del quesito; b) devono essere posti in condizione di partecipare alle operazioni tecniche; c) ove la parte lo richieda, devono essere esaminati in contraddittorio nel dibattimento (o nell'incidente probatorio), senza che a tal fine sia necessario che la partecipazione dei medesimi allo svolgimento delle operazioni peritali sia stata "reattiva", in quanto caratterizzata dalla proposizione di specifiche critiche avverso il metodo utilizzato dal tecnico d'ufficio.
Cass. civ. n. 33149/2023
In materia di impresa familiare, il reddito percepito dal titolare, che è pari al reddito conseguito dall'impresa al netto delle quote di competenza dei familiari collaboratori, costituisce un reddito d'impresa, mentre le quote spettanti ai collaboratori - che non sono contitolari dell'impresa familiare - costituiscono redditi di puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa, e devono essere assoggettati all'imposizione nei limiti dei redditi dichiarati dall'imprenditore; ne consegue che, dal punto di vista fiscale, in caso di accertamento di un maggior reddito imprenditoriale, lo stesso deve essere riferito soltanto al titolare dell'impresa, rimanendo escluso che possa essere attribuito pro quota agli altri familiari collaboratori aventi diritto alla partecipazione agli utili d'impresa.
Cass. civ. n. 32569/2023
In tema di libertà vigilata, il combinato disposto di cui agli artt. 230, comma primo, e 417 cod. pen. impone, in caso di condanna per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen. a pena non inferiore a dieci anni di reclusione, l'applicazione di tale misura per la durata di tre anni, sicché il giudice non è onerato di uno specifico obbligo di motivazione in relazione alla pericolosità sociale del condannato.
Cass. civ. n. 32353/2023
In caso di continuazione dell'attività di impresa del de cuius da parte degli eredi non si configura una mera comunione di godimento, ma, fino all'iscrizione nel registro delle imprese, una società di fatto o irregolare, con conseguente responsabilità solidale ed illimitata di tutti i soci ex art. 2297 c.c.; conseguentemente, se l'erede è convenuto in giudizio per il pagamento dei debiti sociali non quale socio di fatto, ma quale mero successore mortis causa del de cuius, va dichiarato il suo difetto di legittimazione passiva, perché - evocato in tale veste - egli nemmeno potrebbe far valere il beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale.
Cass. civ. n. 29863/2023
In tema di liberazione condizionale, la revoca del beneficio per la violazione degli obblighi inerenti alla libertà vigilata presuppone il mancato ravvedimento del condannato, desumibile da trasgressioni che, se costituite da illeciti penali non oggetto di sentenze irrevocabili, possono essere valutate incidentalmente dal tribunale di sorveglianza, fermo restando, in caso di proscioglimento in sede di cognizione, l'esame della rilevanza delle violazioni sulla partecipazione dell'interessato al trattamento rieducativo.
Cass. civ. n. 12348/2023
In materia di esame contabile, ai sensi dell'art. 198 c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha confermato - tenuto anche conto della peculiarità del rito del lavoro, caratterizzato da pregnanti poteri istruttori d'ufficio, che si riflettono sull'ampiezza delle prerogative del c.t.u. incaricato di coadiuvare il giudice - la sentenza impugnata che, nel motivare il rigetto delle censure di nullità della consulenza tecnica d'ufficio, definita di tipo percipiente, aveva rilevato come il consulente fosse stato autorizzato dal giudice ad acquisire documenti ed effettuare accertamenti presso soggetti privati e pubblici, svolgendo tali compiti nei limiti dei fatti allegati dalle parti a fondamento delle domande e delle eccezioni).
Cass. civ. n. 4302/2023
Non viola il divieto di "reformatio in peius" il giudice di appello che, anche nel caso di impugnazione proposta dal solo imputato, aggravi le modalità di esecuzione della misura di sicurezza applicata dal primo giudice, dovendo le prescrizioni essere idonee ad evitare l'occasione di nuovi reati e potendo le stesse essere, pertanto, suscettibili di successive modifiche o limitazioni.
Cass. civ. n. 3856/2023
Ai fini della liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa in favore del titolare di un'impresa familiare, dall'utile prodotto dalla stessa va detratta la quota spettante al familiare collaboratore, non potendo quest'ultima qualificarsi come costo nella determinazione del reddito dell'impresa medesima.
Cass. pen. n. 54492/2017
In tema di perizia, il giudice, dopo l'esame del perito, è tenuto ad integrare il contraddittorio con l'esame del consulente tecnico dell'imputato qualora questi abbia assunto iniziative di sollecitazione e di contestazione rispetto all'attività peritale ed ai relativi esiti. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza d'appello, confermativa di quella del giudice dell'udienza preliminare che, dopo aver accolto la richiesta di rito abbreviato condizionato all'acquisizione di una relazione di consulenza tecnica sulla capacità di intendere e di volere dell'imputato, aveva disposto integrazione probatoria mediante perizia psichiatrica, all'esito della quale non aveva consentito l'esame del consulente, nonostante che il medesimo avesse mosso obiezioni alla metodologia peritale ed alle conclusioni del perito).
Cass. pen. n. 35187/2002
Il perito non ha l'obbligo di documentare l'attività da lui svolta, essendo egli soltanto tenuto, ai sensi dell'art. 230, comma 2, c.p.p., a dare atto, nella «relazione» delle eventuali osservazioni e riserve formulate dai consulenti di parte. (Nella specie, in applicazione di tale principio, trattandosi di perizia psichiatrica, la Corte ha escluso che il perito avesse l'obbligo di conservare la documentazione afferente i colloqui da lui avuti con il periziando, specificando che questi ultimi non possono essere paragonati né all'esame delle parti né alla richiesta di notizie previsti, rispettivamente, dal secondo e dal terzo comma dell'art. 228 c.p.p., in quanto diretti ad accertare non il reale svolgimento dei fatti, ma soltanto il modo in cui il fatto oggetto dell'imputazione è stato percepito dal periziando e le ragioni del suo agire).
La possibilità di partecipazione dei consulenti di parte delle operazioni peritali, prevista dall'art. 230, comma 2, c.p.p., non implica che essi possano esaminare direttamente «la persona, la cosa ed il luogo oggetto della perizia», salvo che nel caso previsto dal successivo comma 3, e cioè qualora siano stati nominati dopo l'esaurimento delle suddette operazioni. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha respinto l'eccezione di nullità di una perizia psichiatrica nel corso del cui espletamento ai consulenti di parte non era stato consentito il contatto diretto con il periziando, ma soltanto l'assistenza a distanza mediante uso di strumenti tecnici che permettano di sentire le domande e le risposte come pure di formulare osservazioni e richieste).
Non è data ai consulenti tecnici la facoltà di controesame dei periti, giacché l'art. 501, comma 1, c.p.p., in tema di esame dei periti e dei consulenti tecnici, rinvia alle disposizioni sull'esame dei testimoni in quanto applicabili e queste ultime non prevedono alcuna forma di controesame dei testi tra di loro (e il consulente è equiparato al testimone), ma soltanto la possibilità che essi siano posti a confronto e che siano loro rivolte domande dal pubblico ministero, nonché dai difensori delle parti.
Non sussiste nullità della perizia psichiatrica per il denegato assenso alla diretta partecipazione del consulente tecnico al colloquio con la persona oggetto dell'indagine, in quanto l'art. 230, comma 2, c.p.p. autorizza il consulente stesso a partecipare alle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione, ma non ad esaminare direttamente la persona, la cosa e il luogo oggetto della perizia. (Fattispecie nella quale, non ricorrendo l'ipotesi di nomina del consulente dopo l'esaurimento delle operazioni peritali prevista dall'art. 230, comma 3, c.p.p., era stata assicurata la partecipazione ad esse del consulente mediante l'impiego di apparecchiature che consentivano di ascoltare domande e risposte e di formulare osservazioni e richieste).
Non sussiste nullità della perizia psichiatrica qualora il perito abbia distrutto la videoregistrazione del relativo colloquio, dovendosi escludere l'esistenza di un suo obbligo di documentazione dell'attività svolta, sia perché manca qualsiasi disposizione esplicita in tal senso, sia perché l'art. 230 c.p.p., mentre impone al giudice di fare menzione, nel verbale, delle richieste, delle osservazioni e delle riserve presentate dal consulente tecnico, esige dal perito soltanto che egli dia atto nella sua relazione di analoghe richieste a lui rivolte. (Nell'affermare tale principio, la Corte ha anche sottolineato che la mancanza di un dovere di documentazione dell'attività svolta dal perito è resa evidente dalla considerazione che costui deve fornire le risposte ai quesiti nel corso dell'udienza, alla quale partecipano tutte le parti interessate con i loro consulenti tecnici e che, anche quando è stata autorizzata, per la difficoltà di illustrare soltanto oralmente il parere, la presentazione di relazione scritta, questa può essere letta solo dopo l'esame in contraddittorio del perito, con la conseguenza che eventuali irregolarità o inesattezze in essa contenute possono essere immediatamente contestate).
Cass. pen. n. 7252/1999
Poiché le norme contenute nell'art. 230 c.p.p. non esauriscono l'ambito di operatività consentito al consulente di parte, questi legittimamente può svolgere, al di fuori delle vere e proprie operazioni peritali, degli accertamenti e riferirne mediante memoria scritta al giudice, al quale spetta il compito di riconoscere, o non, all'attività svolta dal consulente valore probatorio. Ed invero, al fine di esercitare il diritto alla prova di cui all'art. 190 c.p.p., le parti possono svolgere attività integrativa di indagine, così come previsto dall'art. 38 att. c.p.p., sicché i pareri espressi dai consulenti di parte a mezzo di relazione scritta, ritualmente formulata e acquisita agli atti del processo, possono ben essere utilizzati ai fini della decisione.
Cass. pen. n. 11867/1995
L'art. 230 c.p.p. stabilisce, nei primi due commi, l'ambito di operatività del consulente tecnico nel senso che la sua attività può esplicarsi sia nel momento del conferimento dell'incarico al perito, presentando al giudice richieste, osservazioni e riserve, sia nel corso delle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione. Inoltre tale articolo, al comma 4, pone dei limiti temporali alla facoltà di intervento del consulente tecnico proprio al fine di evitare che la sua attività possa ritardare lo svolgimento della perizia. Ne consegue che, qualora il consulente tecnico non abbia esplicato alcuna forma di intervento nel momento del conferimento dell'incarico al perito o nel corso delle operazioni peritali, non ricorre alcun obbligo da parte del giudice di esaminarlo dopo che si sia concluso l'esame del perito di ufficio nel corso di una perizia disposta in dibattimento con le forme previste dalla seconda parte del comma 1 dell'art. 508 c.p.p. (In motivazione, la Suprema Corte ha chiarito che tale interpretazione dell'art. 230 c.p.p. non trova ostacolo nella disposizione dell'art. 152 att. c.p.p., sicuramente applicabile nel caso che la perizia sia disposta in dibattimento ai sensi dell'art. 508, comma 1, prima parte, del codice, essendo necessario assicurare il contraddittorio in dibattimento mediante la facoltà, riconosciuta al consulente, di formulare osservazioni e sollecitare indagini nel corso dello stesso dibattimento o nel corso delle operazioni peritali, qualora sia necessario rinviare il dibattimento per procedere ad accertamenti e indagini di natura tecnica; al contrario, nel caso che il dibattimento venga rinviato ai sensi della seconda parte dello stesso articolo, l'esame del consulente tecnico in dibattimento deve ritenersi escluso, qualora lo stesso non abbia svolto forma di intervento nella fase del conferimento dell'incarico o nel corso delle operazioni peritali, in quanto tale esame trova un limite nel disposto dell'art. 230 c.p.p.).
Cass. pen. n. 3352/1995
In tema di perizia, la discrezionale presenza dei consulenti delle parti, consentita in virtù del disposto di cui al comma 2 dell'art. 226 c.p.p., pone le parti stesse in condizione di un immediato dialogo tecnico col perito, sicché è del tutto conseguenziale che nell'ambito della stessa perizia i quesiti possono essere ampliati anche con carattere di novità, per ragioni di economia processuale non disgiunta dall'opportunità dell'immediatezza in direzione di più puntuale ed efficace esito dell'accertamento in più completa visione di assieme. Tale principio si desume normativamente dal combinato disposto degli artt. 501, comma 1, e 498, comma 3, c.p.p.: osservandosi per l'esame del perito, in quanto applicabili, le disposizioni sull'esame dei testimoni ed essendo previsto che colui che ne ha chiesto l'audizione possa «proporre nuove domande», ne deriva la possibilità di proporre, per analogia, «quesiti nuovi» in corso di perizia, una volta salvaguardato il contraddittorio anche tecnico, garantito dal comma 2 dell'art. 226 c.p.p. alle parti che a tanto vogliono far ricorso.