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Art. 627 — Sottrazione di cose comuni

Art. 627 — Sottrazione di cose comuni

[ Il comproprietario, socio o coerede che, per procurare a sé o ad altri un profitto, si impossessadella cosa comune, sottraendola a chi la detiene, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da venti euro a duecentosei euro.

Non è punibile chi commette il fatto su cose fungibili, se il valore di esse non eccede la quota a lui spettante [ 649 ]. ]

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 23938/2006

La norma dell’art. 627 c.p. deve ritenersi applicabile a tutela della situazione di fatto qualificabile come possesso eo detenzione che può coincidere con il diritto di proprietà, ma che prescinde dallo stesso, ed il codetentore è il soggetto passivo del reato, titolare del diritto di querela.

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Cass. pen. n. 2954/1996

Ai fini della configurabilità del delitto di sottrazione di cose comuni, l’indicazione del «socio» fra i soggetti attivi del reato, contenuta nel primo comma dell’art. 627 c.p., deve essere intesa come riferita esclusivamente ai soci delle società di persone, in relazione alle quali è configurabile la comproprietà dei beni conferiti, ma non può essere estesa a quelli delle società di capitali, che sono dotate di personalità giuridica e costituiscono soggetto giuridico del tutto distinto dalle persone dei singoli partecipanti.

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Cass. pen. n. 4316/1996

Integra il delitto di appropriazione indebita, e non quello di sottrazione di cose comuni previsto dall’art. 627 c.p., la condotta di colui che faccia propria la cosa mobile di cui sia già possessore, pur se a titolo di compossesso pro indiviso: non è possibile, infatti, configurare una «sottrazione» da parte di chi si trovi attualmente, anche se solo pro quota, in possesso del bene. (In attuazione di detto principio la Corte ha ritenuto configurabile il delitto di cui all’art. 646 c.p. nell’impossessamento da parte di un condomino, attuato mediante allaccio abusivo a valle del contatore condominiale, dell’energia elettrica destinata all’alimentazione dell’impianto di illuminazione e degli altri apparecchi di proprietà comune, argomentando sul presupposto che tutti i partecipanti al condominio, compreso l’agente, dovevano reputarsi compossessori dell’energia elettrica somministrata dall’ente erogatore).

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