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Art. 660 — Molestia o disturbo alle persone

Art. 660 — Molestia o disturbo alle persone

Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo , reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a cinquecentosedici euro.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 19924/2014

In tema di molestia o disturbo alle persone, la contravvenzione di cui all’art. 660 cod. pen. che mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l’offesa alla quiete privata, integra fattispecie distinta, autonoma e concorrente rispetto al reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis cod. pen. in cui non viene assorbita per la diversità dei beni giuridici tutelati.

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Cass. pen. n. 3758/2014

Il reato di molestia di cui all’art. 660 cod. pen. non è necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia, purché ispirata da biasimevole motivo o avente il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri. (Fattispecie nella quale è stato escluso che integrasse la contravvenzione una sola telefonata, effettuata in orari normali, al fine, non di molestare, ma di ingiuriare e minacciare la persona offesa).

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Cass. pen. n. 24510/2010

Non integra il reato di molestia o disturbo alla persona col mezzo del telefono o l’invio di un messaggio di posta elettronica che provochi turbamento o fastidio nel destinatario.

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Cass. pen. n. 28853/2009

Ai fini della configurabilità del reato di molestia o disturbo alle persone, si intende aperto al pubblico il luogo cui ciascuno può accedere in determinati momenti ovvero il luogo al quale può accedere una categoria di persone che abbia determinati requisiti. Ne consegue che devono essere considerati luoghi aperti al pubblico l’androne di un palazzo e la scala comune a più abitazioni. (Fattispecie relativa a una pluralità di episodi accaduti all’interno di un edificio condominiale).

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Cass. pen. n. 17787/2008

Il reato di molestie o disturbo alle persone, pur non essendo per sua natura necessariamente abituale, in quanto può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia, può però assumere tale forma, incompatibile con la continuazione allorché non sia stata tanto la modalità delle condotte poste in essere, quanto la loro reiterazione assillante (nella specie numerose telefonate di tono offensivo ) a determinare l’effetto pregiudizievole dell’interesse tutelato.

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Cass. pen. n. 36225/2007

In tema di molestia o disturbo alla persona, la disciplina dell’aberratio ictus monolesiva non trova applicazione qualora, per la specificità della persona effettivamente presa di mira dall’agente, il mutamento imprevisto del soggetto passivo escluda la sussistenza dell’elemento psicologico in capo all’agente stesso. (Nel caso di specie, la S.C., sottolineate la caratterizzazione personale e la natura di reato a dolo specifico della contravvenzione di cui all’art. 660 c.p., ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di assoluzione, per carenza dell’elemento psicologico, dell’imputato che, per errore nella memorizzazione di un numero telefonico, aveva inviato messaggi telefonici a contenuto pornografico ad un minore, soggetto diverso da quello al quale l’imputato stesso intendeva farli pervenire).

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Cass. pen. n. 32321/2007

L’esercizio del diritto di libera espressione del pensiero, per spiegare la propria funzione scriminante in relazione al reato di molestia o disturbo delle persone, deve essere esercitato entro limiti ben definiti e non esclude la contravvenzione se esso avviene con modalità petulanti. (Nel caso di specie la Corte ha annullato con rinvio la sentenza con cui il Tribunale aveva escluso l’antigiuridicità della condotta di un soggetto che ripetutamente, nel corso di collegamenti televisivi, si era posto alle spalle del cronista disturbandone l’attività mediante l’esibizione di un cartello e di oggetti fallici ovvero pronunziando frasi offensive nei confronti di terzi).

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Cass. pen. n. 21158/2007

Un’unica condotta è in grado di integrare sia il reato di molestia o disturbo alle persone, che il delitto di ingiuria, perchè tra le due previsioni non sussiste alcun rapporto di specialità, attesa la diversità dei beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici. (Fattispecie relativa all’invio insistente di messaggi SMS a mezzo telefono con contenuto ingiurioso).

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Cass. pen. n. 19438/2007

Integra il reato di molestie, la condotta di continuo ed insistente corteggiamento, che risulti non gradito alla persona destinataria, in quanto tale comportamento è oggettivamente caratterizzato da petulanza. (Nel caso di specie l’imputato, ex fidanzato della persona offesa, le aveva rivolto frasi ed atteggiamenti di corteggiamento per ore, intrattenendosi alla presenza di altri avventori all’interno del locale pubblico dove la stessa lavorava come cameriera, nonostante le espresse e ripetute rimostranze della vittima).

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Cass. pen. n. 8198/2006

Il reato di cui all’art. 660 c.p. consiste in qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone, interferendo nell’altrui vita privata e nell’altrui vita di relazione. (Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che il giudice di merito avesse correttamente ravvisato il reato di molestia nel comportamento di un soggetto che, ponendosi con un cartello alle spalle di un cronista durante il collegamento televisivo, aveva disturbato l’attività del cronista e degli altri operatori della televisione, alterando le normali condizioni di tranquillità alle quali hanno diritto tali persone nello svolgimento della loro attività lavorativa).

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Cass. pen. n. 18449/2005

Integra gli estremi del reato di ingiuria (art. 594 c.p.) e non di molestia (art. 660 c.p.) l’invio, in rapida sequenza, in ora diurna di due messaggi sms di contenuto ingiurioso, poiché le modalità della forma di comunicazione (scritta e non vocale) e l’ora prescelte non sono idonee a ledere la privata tranquillità, ma l’onore personale.

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Cass. pen. n. 28680/2004

La disposizione di cui all’art. 660 c.p. punisce la molestia commessa col mezzo del telefono, e quindi anche la molestia posta in essere attraverso l’invio di short messages system (SMS) trasmessi attraverso sistemi telefonici mobili o fissi, i quali non possono essere assimilati a messaggi di tipo epistolare, in quanto il destinatario di essi è costretto, sia de auditu che de visu a percepirli, con corrispondente turbamento della quiete e tranquillità psichica, prima di poterne individuare il mittente, il quale in tal modo realizza l’obiettivo di recare disturbo al destinatario.

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Cass. pen. n. 26303/2004

Non è configurabile il reato di molestia o disturbo alle persone di cui all’art. 660 c.p. allorché vi sia reciprocità o ritorsione delle molestie, in quanto in tal caso non ricorre la condotta tipica descritta dalla norma, e cioè la sua connotazione «per petulanza o altro biasimevole motivo» alla quale è subordinata l’illiceità penale del fatto. (Fattispecie relativa a reciproci messaggi e comunicazioni scambiati per mezzo di apparecchio di telefonia mobile).

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Cass. pen. n. 23521/2004

Il reato di molestia di cui all’art. 660 c.p. non è necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia. (Nella specie è stata ritenuta molesta una sola telefonata effettuata alle ore 23, ritenuta notturna, con il futile pretesto della richiesta di restituzione di una tuta)

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Cass. pen. n. 19071/2004

Il reato di cui all’art. 660 c.p. consiste in qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone e richiede, sotto il profilo soggettivo, la volontà della condotta e la direzione della volontà verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà. (Fattispecie in cui sono stati ravvisati gli elementi costitutivi del reato nella condotta dell’imputata, consistente in continue ed inconcludenti telefonate, contenenti sempre le stesse domande ed effettuate senza una ragione che ne giustificasse in alcun modo la reiterazione).

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Cass. pen. n. 14512/2004

La pluralità di azioni di disturbo costituisce elemento costitutivo del reato di cui all’art. 660 c.p. e non può, quindi, essere riconducibile all’ipotesi di reato continuato.

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Cass. pen. n. 9619/2004

In tema di molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.), se, per un verso, deve ritenersi la configurabilità del reato anche quando l’agente esercita, o crede di esercitare, un proprio diritto, in modo tale, tuttavia, da rivelare l’esistenza di uno specifico malanimo che si traduce in un mero dispetto arrecato per «biasimevole motivo» per altro verso deve escludersi che tale condizione possa essere ritenuta sussistente per il solo fatto che la condotta sia o possa apparire oggettivamente molesta (nel senso di «fastidiosa» o «irritante») a chi la subisce, richiedendosi invece che tale sua caratteristica le venga impressa senza alcuna plausibile ragione strumentalmente ricollegabile all’effettivo esercizio del preteso diritto; ragione che può consistere anche nell’intento di rendere manifesta la propria volontà di avvalersi di quel diritto, a fronte di chi non intenda riconoscerlo. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che potesse costituire reato di molestie la condotta consistita nell’avere l’imputato, — a fronte dell’asserito parziale spoglio di una servitù di passaggio che gli avrebbe consentito di accedere senza ostacoli ad un’area adibita a parcheggio condominiale —, sistematicamente lasciata aperta, quando ciò poteva essere visto dagli altri condomini, la sbarra comandata elettricamente che era stata installata all’ingresso dell’area anzidetta).

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Cass. pen. n. 4053/2004

In tema di molestia e disturbo alle persone, l’elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare, in quanto pertinente alla sfera dei motivi, l’eventuale convinzione dell’agente di operare per un fine non biasimevole o addirittura per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto.

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Cass. pen. n. 25045/2002

In tema di molestia o disturbo alle persone, la norma dell’art. 660 c.p. mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l’offesa alla quiete privata, e la relativa contravvenzione è procedibile d’ufficio. Ne consegue che, quando il fatto sia perseguibile anche quale minaccia, l’assenza della querela per tale ultimo reato o la relativa remissione non influiscono sulla procedibilità dell’azione per il reato contravvenzionale, mentre quest’ultimo, nel caso di contestuale perseguimento del delitto punibile a querela, resta invece assorbito nella fattispecie più grave.

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Cass. pen. n. 16729/2001

La speciale causa di non punibilità della «ritorsione» prevista dall’art. 599, comma 1, c.p., per il reato di ingiuria non trova applicazione per quello concorrente di molestie con il mezzo del telefono, commesso nel medesimo contesto, stante la non corrispondenza delle condotte punibili e dei beni giuridici protetti dalle rispettive norme incriminatrici.

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Cass. pen. n. 7379/2000

Il fatto di pedinare e attendere un congiunto del presunto debitore sotto casa in ora notturna in compagnia di altre persone, posto in essere successivamente a numerose e insistenti telefonate al debitore stesso, costituisce condotta oggettivamente molesta, caratterizzata sotto il profilo soggettivo dalla petulanza, intesa come volontà specifica di dare fastidio a una persona, idonea ad integrare il reato di cui all’art. 660 c.p.

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Cass. pen. n. 1731/1999

La remissione di querela non produce effetti per il reato di molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.). Con detta previsione, il legislatore ha, infatti, inteso tutelare, oltre alla quiete privata, la tranquillità pubblica, avuto riguardo agli effetti che il suo turbamento ha sull’ordine pubblico, data l’astratta possibilità di reazione. Pertanto, rispetto a tale contravvenzione, viene in considerazione l’ordine pubblico, pur trattandosi di offesa alla quiete privata; sicché l’interesse privato, individuale, riceve una protezione soltanto riflessa, di modo che la tutela penale viene accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate o disturbate, con la conseguenza che il fatto è perseguibile d’ufficio.

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Cass. pen. n. 13555/1998

Ai fini della sussistenza del reato ex art. 660 c.p. (molestia o disturbo alle persone), gli intenti perseguiti dall’agente sono del tutto irrilevanti una volta che si sia accertato che comunque, a prescindere dalle motivazioni che sono alla base del comportamento, esso è connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone. (Nella specie: telefonate ingiustificate ad ogni ora del giorno e della notte).

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Cass. pen. n. 7437/1998

In materia di molestia o disturbo alle persone, l’art. 660 c.p. è teso a punire quei comportamenti astrattamente idonei a suscitare nella persona direttamente offesa e, a volte, anche nella gente, reazioni violente o moti di disgusto o di ribellione, i quali influiscono negativamente sul bene giuridico tutelato che è l’ordine pubblico. Ne consegue che il gracidare isolato di un citofono, per quanto sgradevole sia, non integra gli estremi del suddetto reato.

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Cass. pen. n. 7044/1998

Posto che per «petulanza», ai fini della configurabilità del reato di molestie di cui all’art. 660 c.p., non può che intendersi un atteggiamento di insistenza eccessiva e perciò fastidiosa, di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nell’altrui sfera, deve escludersi che l’effettuazione di due sole telefonate mute possa costituire espressione di petulanza nel senso anzidetto.

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Cass. pen. n. 5148/1997

È legittimo il sequestro preventivo di una utenza telefonica, della quale risulti l’utilizzazione continuativa ed esclusiva al fine di commettere il reato di molestie.

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Cass. pen. n. 512/1997

Il reato di molestie telefoniche commesso assillando la parte lesa con ossessivi riferimenti alle abitudini sessuali di questa non è escluso dal fatto che l’interlocutore (nel caso di specie una donna) assuma con il molestatore, al fine di raccogliere elementi utili per individuare l’autore delle telefonate, un tono confidenziale rivolgendogli del tu e consentendo a questi di fare altrettanto poiché tale comportamento non può essere interpretato come di acquiescenza o comunque attenuare nell’autore delle molestie la consapevolezza della illiceità della propria condotta.

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Cass. pen. n. 10393/1996

Ai fini della sussistenza del reato contravvenzionale di cui all’art. 660 c.p. – molestia o disturbo alle persone – deve considerarsi petulante l’atteggiamento di chi insista nell’interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà, anche dopo essersi accorto che la sua condotta non è gradita ed essere stato anzi diffidato a porre fine alla stessa. (La Suprema Corte ha affermato tale principio rigettando il ricorso proposto dagli imputati i quali erano stati condannati per il reato in questione, per essersi recati per alcune sere, dopo le ore 22 – e con il pretesto di seguire una locale tradizione – sotto l’abitazione delle parti offese bussando con bastoni, campanacci ed altri oggetti, insistendo nella turbativa nonostante l’espressa volontà degli interessati di non prendere parte alla manifestazione e l’intervenuta diffida da parte delle forze dell’ordine di porre fine alle molestie).

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Cass. pen. n. 12230/1994

Perché una condotta possa assumere rilievo, ai fini della configurabilità del reato di molestie di cui all’art. 660 c.p., non è sufficiente che essa sia di per sè molesta o arrechi disturbo, ma è altresì necessario che sia accompagnata da petulanza o altro biasimevole motivo; condizione, questa, attinente all’elemento oggettivo del reato, più che al dolo specifico. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto legittima la decisione del giudice di merito il quale aveva escluso la sussistenza del reato di molestie in un caso in cui l’agente si era limitato a chiedere, una sola volta, un bacio ad una donna, dopo aver detto a quest’ultima che era una bella signora).

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Cass. pen. n. 11208/1994

Con la disposizione prevista dall’art. 660 c.p. il legislatore, attraverso la previsione di un fatto recante molestia alla quiete di un privato, ha inteso tutelare la tranquillità pubblica per l’incidenza che il suo turbamento ha sull’ordine pubblico, data l’astratta possibilità di reazione. Pertanto, rispetto alla contravvenzione in discorso, viene in considerazione l’ordine pubblico, pur trattandosi di offesa alla quiete privata; onde l’interesse privato, individuale, riceve una protezione soltanto riflessa, cosicché la tutela penale viene accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate o disturbate. Ne consegue che il reato è perseguibile d’ufficio e, se il fatto costituisce contemporaneamente reato (ingiuria, minaccia, danneggiamento) punibile a querela, la mancanza o la remissione di questa lasciano sussistere la contravvenzione, che sopravvive alla remissione, mentre in presenza di querela (o assenza di remissione), la contravvenzione resta assorbita nel delitto.

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Cass. pen. n. 3494/1994

Ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 660 c.p., per «petulanza», deve intendersi un modo di agire pressante, indiscreto e impertinente, che sgradevolmente interferisca nella sfera della libertà e della quiete di altre persone; mentre per «biasimevole motivo» si deve intendere più genericamente ogni altro movente che sia riprovevole in se stesso o in relazione alla qualità della persona molestata e che abbia praticamente su quest’ultima gli stessi effetti della petulanza.

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Cass. pen. n. 11336/1992

Ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 660 c.p. (molestia o disturbo alle persone), integrano la condotta ivi prevista le proposte di appuntamenti galanti non gradite dalla interlocutrice chiamata da un anonimo per telefono e, pertanto, palesemente rivolte a molestare le persone.
Il reato di cui all’art. 660 c.p., non essendo un reato abituale, può essere realizzato con una sola azione di disturbo o di molestia.

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Cass. pen. n. 6905/1992

Il continuo, insistente corteggiamento, chiaramente non gradito, di una donna, che si estrinsechi in ripetuti pedinamenti e in continue telefonate, realizza non solo l’elemento materiale del reato di cui all’art. 660 c.p., ossia la molestia, ma altresì la sua componente psicologica in quanto la relativa condotta è rivelatrice di petulanza oltreché di motivo biasimevole.

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Cass. pen. n. 2314/1992

Il dolo richiesto dalla contravvenzione di cui all’art. 660 c.p. (molestia o disturbo alle persone), ricorre anche quando l’agente esercita, o crede di esercitare, un proprio diritto, ma in modo tale da arrecare molestia al soggetto passivo, con specifico malanimo o dispetto per un qualsiasi biasimevole motivo. (Fattispecie relativa a ritenuta sussistenza del reato poiché l’imputato, non affidatario, era intervenuto con modalità inammissibili per influire sulla educazione del figlio, ponendo in essere, con petulanza, atti pressanti, impertinenti e vessatori, influenti nella sfera di libertà e di quiete del minore, mentre avrebbe potuto rivolgersi alle autorità giudiziarie con ulteriori procedure).

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Cass. pen. n. 11755/1991

Il reato di cui all’art. 660 c.p. richiede, sotto il profilo soggettivo, la volontà della condotta e la direzione della volontà verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà. (Nella specie è stato ritenuto che una chiamata telefonica, cui segua bruscamente l’interruzione della comunicazione non appena il chiamato risponde, in quanto palesemente non motivata da intenti civili, interferisce inopportunamente nella sfera dell’altrui quiete ed è, quindi, idonea a determinare sensazioni psichiche sgradevoli).

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Cass. pen. n. 2766/1990

La contravvenzione di cui all’art. 660 del c.p. richiede, come elemento costitutivo, che il soggetto agente sia mosso da petulanza o altro biasimevole motivo: è pertanto necessario il dolo specifico, la cui sussistenza deve formar oggetto di puntuale motivazione da parte del giudice di merito.

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Cass. pen. n. 2550/1990

Integra la fattispecie obiettiva delle molestie (art. 660 c.p.) e non quella delle ingiurie (art. 594 c.p.) il seguire petulantemente con automobili un gruppo di ragazze, richiamare la loro attenzione con suoni volgari, rasentarle pericolosamente e costringerle a rifugiarsi in casa, suonare insistentemente il clacson sotto le loro abitazioni.

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Cass. pen. n. 1353/1987

Il reato di ingiuria non può essere considerato speciale rispetto alla contravvenzione di molestia, in quanto, nella fattispecie astratta, le condotte non corrispondono tra loro e perché sono del tutto diversi i beni giuridici protetti.

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Cass. pen. n. 11524/1986

Ai fini del reato di cui all’art. 660 c.p., il requisito della «pubblicità» del luogo sussiste tanto nel caso in cui l’agente si trovi in luogo pubblico o aperto al pubblico ed il soggetto passivo in luogo privato, tanto nell’ipotesi in cui la molestia venga arrecata da un luogo privato nei confronti di chi si trovi in un luogo pubblico o aperto al pubblico. (Nella specie l’imputato parcheggiò il proprio camion lasciando il motore acceso per molto tempo, davanti alla vetrina del negozio del fratello, nello spiazzo-parcheggio di cui era comproprietario assieme al fratello, per ritorsione contro di lui).
Il dolo richiesto dall’art. 660 c.p. sussiste anche quando l’agente esercita un proprio diritto ma in modo tale da arrecare molestia al soggetto passivo, con specifico intento di malanimo o di dispetto per un qualsiasi biasimevole motivo.

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Cass. pen. n. 10235/1986

Quando una condotta apportatrice di fastidio, difficoltà od impedimento a terzi non arrechi al soggetto che la estrinseca alcun vantaggio né gli tutela alcun diritto, ma sia palesemente mirata anziché alla difesa dei propri interessi, contro un’altra persona, non è ravvisabile il fine di farsi ragione da sé né il dolo specifico, postulati dall’art. 392 c.p., ma l’intenzione di disturbare e molestare altri per un motivo che si qualifica biasimevole per lo stesso fatto di essere contra legem. In tal caso è, quindi, sussistente la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p.

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Cass. pen. n. 7355/1984

Ai fini della sussistenza del reato previsto dall’art. 660 c.p., la molestia o il disturbo devono essere valutati con riferimento alla psicologia normale media, in relazione cioè al modo di sentire e di vivere comune. Nell’ipotesi in cui il fatto sia oggettivamente molesto o disturbatore è pertanto irrilevante che la persona offesa non abbia risentito alcun fastidio. (Nella specie trattavasi di continuo e pressante tallonamento con la vettura da parte dell’autore del reato nei confronti del veicolo della vittima).

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Cass. pen. n. 9181/1982

Ai fini del reato di cui all’art. 660 c.p., per biasimevole motivo deve intendersi ogni motivo diverso dalla petulanza che sia del pari riprovevole, in se stesso e in relazione alla qualità della persona molestata, e che abbia su quest’ultima gli stessi effetti della petulanza.

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