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Art. 734 — Distruzione o deturpamento di bellezze naturali

Art. 734 — Distruzione o deturpamento di bellezze naturali

Chiunque, mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’Autorità , è punito con l’ammenda da milletrentadue euro a seimilacentonovantasette euro.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 10030/2015

Per la realizzazione del reato previsto dall’art 734 cod. pen., non è necessaria l’irreparabile distruzione o alterazione della bellezza naturale di un determinato luogo soggetto a vincolo paesaggistico, essendo sufficiente che, a causa delle nuove opere edilizie, siano in qualsiasi modo alterate o turbate le visioni di bellezza estetica e panoramica offerte dalla natura.

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Cass. pen. n. 46992/2004

Per la sussistenza del reato di cui all’art. 734 c.p., non è necessario che l’alterazione del luogo protetto abbia carattere primario, ma la condotta di deturpamento può anche essere successiva ad altri fatti, sempre che il giudice motivi adeguatamente in ordine al verificarsi della permanente menomazione della situazione di bellezza naturale attribuita al sito. (Nel caso di specie, la Suprema Corte, pur ritenendo ammissibile il reato de quo in caso di condotta successiva a ripetuti comportamenti di illecito abbandono di rifiuti, ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna, perché il giudice del merito non aveva dato congrua motivazione in ordine alla concreta idoneità causale della condotta di deturpamento).

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Cass. pen. n. 32125/2004

Il reato di cui all’art. 734 c.p. (distruzione e deturpamento delle bellezze naturali), si configura in presenza di un effettivo e grave danno ambientale, che risulta anche da una diversa destinazione (lottizzazione) impressa all’opera rispetto all’autorizzazione ottenuta (residence con attrezzature sportive e per il tempo libero), tenuto conto dei rilievi attinenti alla viabilità della zona, di certo insufficiente per servire un insediamento abitativo stabile quale quello risultante dalla lottizzazione, nonchè alla totale mancanza di opere di urbanizzazione al servizio dello stesso.
L’eventuale autorizzazione amministrativa, anche se regolare, non esclude la sussistenza del reato di cui all’art. 734 c.p. ma può assumere semmai rilevanza in materia di valutazione dell’elemento psicologico del reato, spettando al giudice penale di verificare, a fronte di una compromissione del paesaggio e dell’ambiente, la corrispondenza delle opere al provvedimento nonchè la liceità e legittimità (ma non l’opportunità) dei relativi atti amministrativi, in quanto l’eventuale illegittimità di tali atti potrebbe essa stessa costituire elemento essenziale della fattispecie criminosa. (In conformità a tali principi la Corte ha annullato con rinvio il provvedimento con il quale il Tribunale della Libertà aveva rigettato l’appello proposto dal P.M. avverso il decreto del Gip che aveva disposto il sequestro preventivo di opere edilizie soltanto per il reato di lottizzazione abusiva e non anche per i reati, pure contestati, di cui al’art. 734 c.p. ed artt. 1 quinquies Legge 431/85 e 163 D.L.vo 490/99 sul rilievo che la sussistenza del fumus fosse esclusa dalla presenza delle prescritte autorizzazioni amministrative, delle quali non era ravvisabile l’illegittimità).

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Cass. pen. n. 15299/2004

In tema di tutela del patrimonio paesistico ed ambientale, ai fini della applicabilità della ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 734 c.p., l’accertamento della sussistenza della distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’autorità è demandata al giudice penale, atteso che trattasi di reato di danno per il quale l’accertamento dell’evento concretante la contravvenzione spetta al giudice, e ciò indipendentemente da ogni valutazione effettuata dalla pubblica amministrazione, il cui provvedimento può assumere rilevanza nella valutazione dell’elemento psicologico del reato.

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Cass. pen. n. 14433/2004

In materia di tutela del patrimonio paesistico ed ambientale, gli interventi su beni tutelati previamente assentiti dal provvedimento autorizzatorio dell’autorità preposta alla tutela del vincolo non possono integrare il reato di cui all’art. 734 c.p., distruzione o deturpamento di bellezze naturali, fatto salvo il giudizio incidentale di legittimità attribuito al giudice ordinario sulla comparazione tra i beni e gli interessi in conflitto.

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Cass. pen. n. 33550/2003

Il reato di distruzione o deturpamento di bellezze naturali ha natura di reato istantaneo con effetti permanenti, ed allorché consti di atti plurimi frazionati e protratti nel tempo si consuma al momento della cessazione dell’attività vietata. (Fattispecie relativa a coltivazione di una cava in zona sottoposta a vincolo paesaggistico).

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Cass. pen. n. 40267/2002

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 734 c.p., distruzione o deturpamento di bellezze naturali, non è sufficiente una qualsiasi alterazione naturalistica del sito in questione, ma è necessario che quella specifica alterazione incida sulla bellezza naturale, così che si realizzi quantomeno una lesione o anche un semplice turbamento del godimento estetico dei visitatori o utenti, anche potenziali, del luogo.

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Cass. pen. n. 4423/1997

Nel caso in cui risulti accertata l’esistenza soltanto di un vincolo idrogeologico interessante la zona ove è stata eseguita la costruzione abusiva, con esclusione di qualsiasi vincolo paesaggistico comunque imposto, non è configurabile il reato di cui all’art. 1 sexies legge 8 agosto 1985, n. 431, né quello di cui all’art. 734 c.p., che presuppone l’imposizione di un vincolo a tutela delle bellezze naturali e del paesaggio.

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Cass. pen. n. 2420/1997

In tema di cosiddetto condono edilizio, la contravvenzione di cui all’art. 734 c.p. è estinta per il pagamento dell’oblazione, seguito dal rilascio della concessione e dell’autorizzazione paesaggistica. La natura di reato di danno non è di ostacolo, poiché l’ampia formula utilizzata dal comma ottavo dell’art. 39 della legge n. 724 del 1994 — secondo cui occorre un’espressa autorizzazione in sanatoria, differente dal semplice parere di cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985 e successive modifiche ed integrazioni — rende possibile l’inclusione della violazione de qua, tra quelle estinguibili.

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Cass. pen. n. 107/1997

In tema di coltivazione di cave la competenza esclusiva riconosciuta alla regione dallo statuto speciale della Regione Siciliana (art. 14 lett. f, e lett. h) non menoma le competenze del giudice penale in materia di tutela ambientale. Per tale ragione, pur prevedendo la legge della regione siciliana 9 dicembre 1980, n. 127 che l’autorizzazione rilasciata per l’attività estrattiva dal distretto minerario escluda la necessità della concessione sindacale di natura urbanistica (sostituita da un attestato sindacale di conformità urbanistica e da un’approvazione di massima da parte del comune), e pur prevedendo inoltre la legge regionale che l’autorizzazione da parte del distretto minerario possa essere rilasciata quando il parere dell’autorità preposta al vincolo paesistico, richiesta, non sia comunicata entro sessanta giorni, nondimeno è legittimo il sequestro di una cava attivata in mancanza del nulla osta della sovrintendenza ai beni culturali e ambientali in relazione alla violazione dell’art. 734 c.p. e 1 sexies legge 8 agosto 1985, n. 431. La norma infatti deve essere interpretata nell’unico modo compatibile con i principi costituzionali e cioè nel senso che, pur potendo l’autorità mineraria rilasciare l’autorizzazione, rimane impregiudicato il problema della conformità ai vincoli ambientali e la mancanza dell’autorizzazione della sovrintendenza integra l’ipotesi contravvenzionale prevista dall’art. 1 sexies legge 8 agosto 1985, n. 431, che è reato formale di pericolo presunto.

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Cass. pen. n. 1777/1996

In materia di esercizio di cave in zone sottoposte a vincolo ai sensi della L. 8 agosto 1985, n. 431 il fatto che la cava sia in attività da lungo tempo (nel caso di specie dal 1961) non è sufficiente ad escludere di per sè la sussistenza delle ipotesi delittuose previste dall’art. 1 sexies della legge e dall’art. 734 c.p. sul presupposto della già compiuta modificazione dell’ambiente, ma è necessario verificare in ogni caso se l’attività è stata legittimamente iniziata (essendo comunque necessaria l’autorizzazione prevista dall’art. 7 della L. 29 giugno 1939, n. 1497 come regolata dalla L. 431/85), se siano state rispettate le prescrizioni della normativa regionale, se si sia già verificata in fatto un’irreversibile compromissione dei valori paesaggistici, se la prosecuzione dell’attività estrattiva sia suscettibile, in astratto, di recare ulteriore pregiudizio al bene vincolato. (Affermando il principio di cui in massima la Corte, rigettando il ricorso avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revoca del sequestro preventivo, ha affermato che dalla configurabilità del reato deriva la possibilità di disporre legittimamente la misura cautelare reale e la insindacabilità del provvedimento sotto il profilo della inesistenza del fumus commissi delicti).

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Cass. pen. n. 3125/1996

In presenza di un provvedimento dell’autorità amministrativa cui compete la gestione del vincolo posto a protezione del bene ambientale, le opere autorizzate non possono integrare il reato di cui all’art. 734 c.p., perché l’autorizzazione costituisce un modo di gestione del vincolo sul luogo protetto, secondo regole alle quali la norma penale effettua rinvio. Al giudice penale spetta il riscontro della effettiva esecuzione delle opere nei limiti in cui la P.A. ne ha autorizzato l’impatto sul territorio, nonché la valutazione della liceità e della legittimità (ma non dell’opportunità) dei relativi atti amministrativi, in quanto l’illegittimità di tali atti ben potrebbe presentarsi essa stessa come elemento essenziale della fattispecie criminosa.

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Cass. pen. n. 9749/1994

La contravvenzione prevista dall’art. 734 c.p. — distruzione o deturpamento di bellezze naturali — può coesistere e concorrere con quella di cui all’art. 1 sexies, della L. 8 agosto 1985, n. 431 in tema di tutela delle zone di particolare interesse ambientale. Mentre infatti nel reato di cui all’art. 734 c.p. il precetto si può individuare nel divieto di cagionare distruzione o deturpamento di bellezze naturali, nel reato di cui all’art. 1 sexies il precetto è quello di non porre in essere attività in certe zone senza l’autorizzazione amministrativa, a prescindere dal risultato dell’attività stessa con riguardo alle bellezze naturali aggredite, le quali possono risultare anche non danneggiate dall’attività non autorizzata. L’oggettività fattuale è parimenti diversa: nel primo reato consiste nella distruzione e nel deturpamento di bellezze naturali, nel secondo reato nell’eseguire un’attività senza la previa autorizzazione amministrativa.

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Cass. pen. n. 9229/1994

La distruzione o l’alterazione del paesaggio si verifica, nell’ipotesi di costruzione o demolizione, all’epoca della ultimazione delle due attività. In quel momento il danno è ormai intervenuto. La successiva protrazione del medesimo non configura una prosecuzione della condotta, ormai esaurita, ma soltanto un effetto duraturo nel tempo. Il reato ha carattere di permanenza, che termina con la «cessazione dei lavori».

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Cass. pen. n. 72/1994

Attesa la natura del reato permanente, in cui la condotta e l’evento si presentano come un complesso unitario sostenuto dalla volontà di protrarre nel tempo la violazione, le cause estintive del reato operano sullo stesso soltanto se la permanenza sia cessata. (Nella specie la Cassazione ha ritenuto che a seguito dell’oblazione prevista dall’art. 38, L. n. 47 del 1985, si fossero estinti il reato edilizio ed altri connessi, rientranti tra quelli considerati dalla succitata norma, salvo quello di cui all’art. 221 T.U. leggi sanitarie, giacché la consumazione di questo si era protratta anche dopo il verificarsi della causa estintiva in parola, e, conseguentemente in ordine a tale reato nonché a quello di cui all’art. 734 c.p., con esso legato dal nesso della continuazione, e che, in mancanza di tale nesso, sarebbe, invece, risultato estinto per prescrizione).
Per la sussistenza del reato di cui all’art. 734 c.p. non è necessario che l’alterazione del luogo protetto abbia carattere primario, potendo anche l’opera abusiva seguire altre e così concorrere ad alterare la conformazione originaria del paesaggio.

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Cass. pen. n. 1695/1993

La distruzione o l’alterazione del paesaggio si verifica, nell’ipotesi di costruzione o demolizione, all’epoca della ultimazione delle due attività. In quel momento in danno è ormai intervenuto. La successiva protrazione del medesimo non configura una prosecuzione della condotta, ormai esaurita, ma soltanto un effetto duraturo nel tempo. Il reato è quindi permanente, ma detta permanenza termina con la cessazione dei lavori.

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Cass. pen. n. 6200/1993

La contravvenzione di deturpamento o alterazione di bellezze naturali (nella specie sistemazione di un cartellone pubblicitario stradale) ha natura di reato permanente, poiché la condotta non si esaurisce con la sistemazione dell’ostacolo alle bellezze naturali, ma perdura fino alla sua rimozione.

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Cass. pen. n. 248/1993

Ai fini dell’applicazione dell’art. 734 c.p. è demandato sempre al giudice penale l’accertamento della sussistenza della distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’autorità, indipendentemente da ogni valutazione della pubblica amministrazione, della quale — se intervenuta — il giudice dovrà — con adeguata motivazione — tenere conto. (La Cassazione ha evidenziato che l’eventuale autorizzazione amministrativa non esclude la sussistenza della violazione delle bellezze naturali, ma può assumere semmai rilevanza in materia di valutazione dell’elemento psicologico o della gravità del reato, spettando unicamente al giudice penale l’accertamento del verificarsi dell’evento concretante la contravvenzione).
Configurando la contravvenzione di cui all’art. 734 c.p. un reato di danno e non di pericolo (o di danno presunto), essendo richiesto per la sua punibilità che si verifichi in concreto la distruzione o l’alterazione delle bellezze protette, rientra nell’esclusivo potere del giudice accertare se in concreto l’opera eseguita abbia distrutto, alterato, deturpato od occultato le bellezze naturali soggette al vincolo paesaggistico, indipendentemente dalla concessione o dell’autorizzazione o del nulla-osta amministrativo.
La contravvenzione di cui all’art. 734 c.p. si configura come un reato di danno e non di pericolo (o di danno presunto), richiedendo per la sua punibilità che si verifichi in concreto la distruzione o l’alterazione delle bellezze protette. Pertanto non è sufficiente per integrare gli estremi del reato né l’esecuzione di un’opera né la semplice alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo, ma occorre che tale alterazione abbia effettivamente determinato la distruzione o il deturpamento delle bellezze naturali.

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Cass. pen. n. 10956/1992

Il reato di cui all’art. 734 c.p. è di danno concreto, poiché la norma postula il deturpamento o l’alterazione delle bellezze naturali, indipendentemente dal nulla osta paesistico. La relativa valutazione è riservata al motivato apprezzamento dei giudici di merito.
In tema di distruzione o deturpamento di bellezze naturali, va esclusa la sussistenza dell’elemento psicologico, qualora sia stata rilasciata l’autorizzazione paesistica. Quando l’entità dell’alterazione infici — per la sua enormità — la presunzione di legittimità del nulla-osta, su cui il soggetto aveva ragione di confidare, il reato è però ugualmente configurabile.

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Cass. pen. n. 2685/1992

In tema di alterazione delle bellezze naturali, l’evento consiste nella diminuzione del pregresso godimento estetico della località. Ciò avviene anche quando vengono frapposti ostacoli, che ne impediscono la punibilità. (Nella specie è stata ritenuta la responsabilità del Sindaco del Comune di Napoli per il mancato ripristino della Villa Comunale, pur in presenza di delibera che disponeva il restauro. La Villa non soltanto era in stato di degrado, ma si era ridotta, secondo il giudice del merito, ad una autorimessa pubblica, per la massiccia e costante presenza di autovetture lasciate in sosta).

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Cass. pen. n. 2332/1992

Le leggi 28 gennaio 1977, n. 10, e 28 febbraio 1985, n. 47, disciplinano espressamente qualsiasi trasformazione urbanistica e non solo edilizia. L’attività di apertura e coltivazione di cave rientra nella disciplina urbanistica, comportando una oggettiva e spesso rilevante trasformazione morfologica del territorio, sicché la mancanza del preventivo assenso del comune nella forma della concessione è sanzionata penalmente ex art. 20, lett. b, L. n. 47 del 1985 e, se l’area è sottoposta a vincoli ambientali, ex art. 20, lett. c, stessa legge, con l’eventuale concorso dell’art. 734 c.p.

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Cass. pen. n. 6844/1991

Ai fini della sussistenza della contravvenzione di cui all’art. 1, sexies L. 8 agosto 1985, n. 431, in tema di tutela delle zone di particolare interesse ambientale, non può parlarsi o è comunque irrilevante, di inesistenza assoluta di danno ambientale solo perché l’imputato sia stato assolto dal reato di cui all’art. 734 c.p. (Distruzione o deturpamento di bellezze naturali), che è bensì reato di danno, ma la cui sussistenza non condiziona quella del reato ex art. 1 sexies legge citata, consistente, quest’ultimo, nella condotta di chi compie qualsiasi modificazione dell’assetto del territorio senza autorizzazione o — il che è equivalente giuridicamente — in essenziale difformità dalle precise prescrizioni imposte dall’atto autorizzativo.

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Cass. pen. n. 3852/1991

In tema di distruzione o deturpamento di bellezze naturali, l’art. 734 c.p. adotta la tecnica del rinvio formale non ricettizio ad altra fonte, che fornisce le regole di qualificazione della distruzione o deturpamento di quella specie di beni culturali costituito dai beni ambientali. Per definire il concetto di bellezza naturale non può farsi esclusivo riferimento alla L. 29 giugno 1939, n. 1497 che tutela i beni paesistici quale fonte di godimento estetico, ma — alla luce dei principi costituzionali (art. 9 Cost.) — va considerato il bene ambientale unitariamente considerato. Ne deriva che la tutela fornita dall’art. 734 c.p. ha per oggetto le menomazioni permanenti o le distruzioni dell’ambiente, in tutte le sue componenti essenziali, ivi compresa la fauna e la flora. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuta corretta l’applicazione dell’art. 734 c.p. relativamente a ripetuti episodi di inquinamento che avevano provocato estese morie di pesci negli allevamenti e nel fiume, oggetto di speciale protezione paesistica).

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Cass. pen. n. 2710/1991

In tema di configurabilità del reato di deturpamento di bellezze naturali, di cui all’art. 734 c.p., l’eventuale precedente violazione dei valori paesaggistici da parte di terzi non vale ad escludere la lesione dell’interesse pubblico tutelato dal vincolo paesaggistico.

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