Art. 214 – Codice civile – Obbligazioni della moglie per il godimento dei beni del marito
[Le disposizioni degli articoli 212 e 213 si applicano anche al caso in cui la moglie ha avuto l'amministrazione e il godimento dei beni del marito.]
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 635/2024
In caso di mancato disconoscimento della sottoscrizione apposta ad una scrittura privata, per contestare la veridicità materiale di una clausola in quanto non concordata, ma materialmente apposta e, dunque, falsamente inserita nel contratto, è necessaria la proposizione di querela di falso volta a privare l'atto della prova della sua provenienza, dovendosi dimostrare che la clausola non proveniva da entrambe le parti, ma costituiva un'abusiva aggiunta.
Cass. civ. n. 18482/2023
In tema di bancarotta semplice documentale, il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice è leso ogniqualvolta l'irregolare tenuta delle scritture contabili impedisca alle stesse di assolvere alla loro tipica funzione di accertamento. (Fattispecie relativa a libro degli inventari che non recava indicazioni idonee ad individuare i saldi di clienti e fornitori e la tipologia e la quantità dei prodotti giacenti in magazzino a fine esercizio, nella quale la Corte ha escluso che ci si trovasse in presenza di violazioni meramente formali e inoffensive ed ha, altresì, ritenuto irrilevante che il curatore fosse riuscito, grazie alle altre scritture, a ricostruire il movimento degli affari della società).
Cass. civ. n. 12124/2023
In tema di mezzadria, il mezzadro non è legittimato all'instaurazione di un giudizio petitorio, giacché titolare di un diritto di godimento personale e non reale.
Cass. civ. n. 15996/2022
Il creditore che, al momento del pignoramento, ha un diritto di prelazione risultante da pubblici registri, può intervenire nel processo di espropriazione forzata anche se non munito di titolo esecutivo, senza che siano necessari il deposito e la notifica dell'estratto autentico notarile delle scritture contabili, adempimenti che sono invece prescritti per i creditori "sine titulo" titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all'art. 2214 c.c.
Cass. civ. n. 14053/2015
In tema di comunione tacita familiare, le "Regole" venete, disciplinate dalla legge reg. Veneto 19 agosto 1996, n. 26, in attuazione della legge quadro 31 gennaio 1994, n. 97, sono persone giuridiche di diritto privato, la cui autonomia statutaria è sottordinata ai principi della Costituzione, dell'ordinamento giuridico in genere, nonché del diritto consuetudinario, da cui hanno tratto origine, sicché le delibere da esse adottate sono soggette al sindacato del giudice ordinario ex art. 23 cod. civ. Ne consegue l'illegittimità della norma statutaria (nella specie, della Regola di Casamazzagno) che limita la partecipazione alla comunione ai soli individui di sesso maschile e la estende anche ai non residenti nel luogo, in quanto in palese violazione del principio di uguaglianza rispetto al genere femminile ed in contrasto con i principi consuetudinari, per i quali hanno diritto di partecipare alla Regola solo nuclei familiari radicati sul territorio.
Cass. civ. n. 7981/2013
La comunione tacita familiare prevista dall'art. 2140 c.c. (abrogato dall'art. 205 della legge n. 151 del 1975 sulla riforma del diritto di famiglia) sorge naturalmente e spontaneamente, "per facta concludentia", e, analogamente, si estingue senza necessità di alcun atto formale in quanto collegata al sorgere e al venir meno del vincolo associativo funzionale all'esercizio di un'impresa in collaborazione reciproca fra i vari membri della stessa famiglia in presenza di un patrimonio indiviso e una comunanza di lucri, di perdite, di mensa e di tetto. Ne consegue che la condotta del familiare che si sia allontanato dalla casa comune, abbia costituito un autonomo nucleo familiare ed avviato un'autonoma e distinta attività, estranea a quella gestita dal consorzio parentale di provenienza, con godimento dei relativi proventi, integra i presupposti del recesso dal rapporto associativo, senza che debba essere osservato alcun requisito di forma.
Cass. civ. n. 25158/2010
Ove il partecipante ad una comunione tacita familiare, di cui all'abrogato art. 2140 c.c., acquisti in nome proprio un immobile, non è consentito presumere che il denaro utilizzato per l'acquisto provenga dagli utili dell'attività economica comune, attesa la compatibilità del fondo comune costituito da detti utili con un patrimonio personale dei partecipanti; ne consegue che colui il quale alleghi che l'acquisto è stato compiuto con denaro proveniente dal fondo comune ha l'onere di darne la prova.
Cass. civ. n. 5487/2006
In tema di durata dei contratti di affitto a coltivatore diretto, ogni qualvolta nella legge 3 maggio 1982 n. 203 si menziona "l'anno" inteso coma "annata agraria", l'espressione deve essere letta come facente riferimento non al periodo tra l'1 gennaio e il successivo 31 dicembre, o tra il 6 maggio, data di entrata in vigore della legge e il 5 maggio dell'anno solare successivo, ma come al periodo tra l'11 novembre di un certo anno solare ed il 10 novembre dell'anno successivo, atteso che le altre due interpretazioni condurrebbero a conclusioni irrazionali (giungendosi a ritenere che il legislatore abbia, con espressioni equivalenti sul piano del linguaggio comune, inteso indicare fenomeni totalmente diversi,creando incertezze difficilmente superabili invece di giungere alla auspicata omogeneizzazione della durata dei suddetti contratti), mentre il canone dell'interpretazione logica impone di adottare sempre una lettura del testo positivo che riconduca la normativa a razionalità (Corte Cost. 24 ottobre n. 1995 n. 445). Inoltre l'espressione contenuta nell'art. 2 della legge 3 maggio 1982, n. 203, secondo la quale "la durata prevista ... decorre dall'entrata in vigore della presente legge" va interpretata, non potendo avere efficacia retroattiva, come operante solo per il futuro, cioè con riguardo ad annate successive a quella iniziata l'11 novembre 1981. (Rigetta, App. Napoli, 14 gennaio 2004).
Cass. civ. n. 19046/2003
Quando due giudizi tra le stesse parti (nella specie, giudizio di opposizione proposta dal proprietario di un fondo alla richiesta di conversione in affitto di un asserito rapporto di mezzadria, preceduto da un giudizio possessorio nel quale i sedicenti mezzadri lamentavano lo spoglio del fondo stesso da parte del proprietario) abbiano ad oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico, e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato (nella specie, giudicato possessorio), l'accertamento compiuto in ordine a una situazione giuridica - o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su punti decisivi - comune a entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato precludono l'esame del punto accertato e risolto anche nel caso in cui il giudizio instaurato successivamente (nella specie, l'opposizione alla richiesta di conversione del rapporto agrario) abbia finalità diverse da quelle che costituirono il "petitum" e lo scopo del primo.
Cass. civ. n. 1359/1977
L'art. 2214 c.c., che sancisce per l'imprenditore l'obbligo della regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nonché della corrispondenza commerciale, risponde all'esigenza di consentire i controlli di legge (ad es.: per l'ammissione alla procedura del concordato preventivo) agli organi all'uopo predisposti, ovvero agli ufficiali di polizia tributaria o agli uffici provinciali del lavoro per i fini da essi perseguiti istituzionalmente. Tale norma, pertanto, non può essere intesa come un divieto per l'imprenditore di avvalersi di altri mezzi di prova per la tutela giudiziaria dei suoi diritti, ovvero come una preclusione per il giudice di far ricorso ad altri mezzi di prova.