Art. 234 – Codice civile – Nascita del figlio dopo i trecento giorni
Ciascuno dei coniugi e i loro eredi possono provare che il figlio, nato dopo i trecento giorni dall'annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio [149], è stato concepito durante il matrimonio [232].
Possono analogamente provare il concepimento durante la convivenza quando il figlio sia nato dopo i trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale [151], o dalla omologazione di separazione consensuale, ovvero dalla data di comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione [707 ss. c.p.c.] o dei giudizi previsti nel comma precedente.
In ogni caso il figlio può provare di essere stato concepito durante il matrimonio
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 14016/2025
In tema di patti parasociali, è valida la previsione all'interno di essi di opzioni put e call tra i soci stipulanti, identificandosi la causa concreta del negozio in una forma di garanzia per il socio finanziatore, come tale rientrante nell'autonomia contrattuale concessa ai soci e pertanto meritevole di tutela da parte dell'ordinamento. (Fattispecie relativa ad un intervento di finanziamento garantito dall'attribuzione di una opzione put a favore del mutuante e di una corrispondente opzione call a favore del socio e legale rappresentante della società finanziata, aventi ad oggetto il trasferimento di una partecipazione sociale, per un corrispettivo commisurato al patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio approvato dalla società, da esercitarsi alla scadenza del settimo anno successivo alla sottoscrizione dell'aumento di capitale).
Cass. civ. n. 1635/2025
Il rappresentante comune degli azionisti di risparmio non è un organo sociale, ma è un esponente rappresentativo della predetta categoria, in posizione tendenzialmente contrapposta alla società, alla luce delle esigenze di tutela degli azionisti "risparmiatori" rispetto agli azionisti "imprenditori".
Cass. civ. n. 13561/2024
In tema di società di capitali, i patti parasociali, anche a seguito della tipizzazione operata dall'art. 2341-bis c.c., possono avere un contenuto diverso da quello previsto dalla citata norma, quale espressione della libertà contrattuale riconosciuta ai soci, purché detti accordi siano finalizzati a regolare il comportamento che i soci intendono tenere all'interno della società, nell'esercizio della funzione organica che essi svolgono per effetto della qualità rivestita, secondo una delle tre finalità codificate dalla predetta disposizione. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva qualificato come patto parasociale una convenzione con cui il socio uscente aveva pattuito che la cessione della quota ad un terzo era condizionata all'assunzione della garanzia, da parte del cedente, del pagamento pro quota di un mutuo precedentemente contratto nell'interesse della società, accertando che tale assetto di interessi nulla aveva a che vedere con le finalità previste dall'art. 2341-bis c.c.).
Cass. civ. n. 10430/2024
La missiva contenente la richiesta di pagamento "a saldo di ogni spettanza fino a quella data maturata" (nella specie peraltro inviata in corso di causa), in mancanza di una più univoca volontà abdicativa del professionista, non assume valore dispositivo e di rinuncia ad ogni ulteriore pretesa ed a specifici diritti in esecuzione dell'incarico di patrocinio non essendo ammissibile frazionare l'unitarietà della prestazione professionale.
Cass. civ. n. 5316/2024
Le prestazioni accessorie rese dalla società datrice di lavoro, ex art. 2345 c.c., a favore di altra società, in quanto socia della stessa, ed aventi contenuto omogeneo a quello delle prestazioni di lavoro rese dai dipendenti a favore della prima, non hanno rilevanza nei confronti dei lavoratori, in quanto essi sono terzi rispetto al rapporto societario, sicché tra la società datrice di lavoro e la s.p.a. è configurabile, rispetto ai lavoratori, un rapporto di appalto di servizi; ne consegue che il committente è obbligato solidalmente alla corresponsione dei trattamenti retributivi ai dipendenti dell'appaltatore, ex art. 29 del d.lgs. 276 del 2003, per cui deve escludersi che l'azione diretta proposta nei confronti della società committente possa essere dichiarata improcedibile ove venga aperta una procedura concorsuale nei confronti della società appaltatrice, non ricorrendo alcun rapporto di inscindibilità tra le azioni esperibili nei confronti delle due società. (Nel caso di specie, la S.C. ha cassato con rinvio la pronuncia di merito che, pur avendo qualificato il rapporto tra le due società alla stregua di un appalto di servizi, aveva dichiarato improcedibile l'azione diretta intentata nei confronti della committente dai dipendenti della società posta in liquidazione coatta amministrativa).
Cass. civ. n. 3459/2024
L'opposizione, con la quale il sindaco di una società fallita si dolga della mancata ammissione allo stato passivo del credito da compenso maturato nei confronti dell'ente, è contrastabile dalla procedura fallimentare mediante eccezione di totale o parziale inadempimento o d'inesatto adempimento da parte del sindaco stesso ai propri obblighi contrattuali; in detta ipotesi, a fronte del mero onere del curatore di allegare, in relazione alle circostanze di fatto, l'inadempimento dell'organo istante al dovere di vigilanza sull'attività di gestione sociale, viene in rilievo, in capo all'opponente, l'incombenza di provare di aver esattamente adempiuto, ossia di avere adeguatamente vigilato sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza professionale esigibile in relazione alla situazione concreta, i poteri-doveri inerenti alla carica.
Cass. civ. n. 27265/2023
L'art.1, comma 491, della l. n. 228 del 2012, nell'assoggettare a Tobin tax il trasferimento di azioni, presuppone che cedente e cessionario siano soggetti distinti; tale evenienza non ricorre nel caso in cui il passaggio delle azioni avvenga tra due fondi comuni di investimento che rappresentino, di fatto, patrimoni separati della stessa società di gestione del risparmio e le azioni confluite nel nuovo fondo facciano capo agli originari investitori.
Cass. civ. n. 24242/2023
I conferimenti annuali di prodotti, eseguiti dal socio imprenditore agricolo alla cooperativa agricola di conferimento o di trasformazione, trovano titolo nel contratto sociale che prevede la relativa obbligazione e non costituiscono oggetto di una prestazione accessoria ex art. 2345 c.c.; ne consegue che la consegna dei prodotti non determina l'operatività del principio di corrispettività e non fa sorgere in capo al socio il diritto a un corrispettivo, ma una mera aspettativa alla remunerazione del proprio conferimento, che può anche mancare e che è integrata dall'attribuzione "pro quota" ai soci del profitto conseguito dalla cooperativa tramite l'attività di impresa. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso il diritto alla remunerazione del conferimento di latte effettuato da un socio a una cooperativa agricola a r.l., che, a causa di una grave crisi del settore lattiero-caesario, aveva subito una perdita di esercizio).
Cass. civ. n. 20232/2023
OGGETTIVO Conferimento di beni in società - Nuova disciplina dell’art. 2332 c.c. - Azione revocatoria - Ammissibilità - Fondamento. L'azione revocatoria avente ad oggetto il negozio di conferimento di beni in società è ammissibile, perché non riguarda la validità del contratto costitutivo della società e, quindi, non interferisce col disposto dell'art. 2332 c.c. (anche nella formulazione successiva alla riforma apportata dal d.lgs. n. 6 del 2003), concernente la nullità del negozio societario e non i vizi della singola partecipazione (che restano regolati dalle norme generali), e perché non intacca il principio di separazione del patrimonio societario da quello dei soci (dato che il bene oggetto di revocatoria non rientra nel patrimonio del debitore se il conferimento è dichiarato inefficace nei confronti del suo creditore), né incide sulla disciplina della trascrizione (la quale tutela gli aventi causa dell'acquirente diretto e, dunque, non la società che riceve il conferimento).
Cass. civ. n. 15521/2023
In tema di società partecipate da enti pubblici, i patti parasociali, avendo natura di convenzioni negoziali di diritto comune, ove sottoscritti dal Sindaco in mancanza di deliberazione del Consiglio comunale, non sono nulli, ma annullabili, e possono essere convalidati, ai sensi dell'art. 1444 c.c., qualora l'amministrazione, cui spetta in via esclusiva l'azione di annullamento, vi abbia dato volontaria esecuzione, pur conoscendo o dovendo conoscere la causa di invalidità, ovvero ratificati mediante l'adozione di una delibera autorizzativa successiva del Consiglio.
Cass. civ. n. 2335/2023
La controversia in materia di patti parasociali "atipici" rientra tra quelle devolute alla competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa, poiché la nozione di accordo parasociale contemplata dall'art. 3, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 168 del 2003, è più ampia di quella prevista dall'art. 122 del TUF e dall'art. 2341 bis c.c., rientrandovi tutti gli accordi con cui i soci, o alcuni di essi, attuano un regolamento di rapporti, non vincolante nei confronti della società, difforme o complementare rispetto a quanto previsto dallo statuto sociale.
Cass. civ. n. 27227/2021
In tema di patti parasociali, è valida la previsione all'interno di essi di opzioni put e call tra i soci stipulanti, identificandosi la causa concreta del negozio in una forma di garanzia per il socio finanziatore, come tale rientrante nell'autonomia contrattuale concessa ai soci e pertanto meritevole di tutela da parte dell'ordinamento.
Cass. civ. n. 39178/2021
In tema di determinazione del compenso dell'esperto designato ai sensi dell'art. 2343 c.c., l'incarico conferito al professionista è esclusivamente rivolto alla stima del valore dei conferimenti di crediti o in natura nella società di capitali sicché, in sede di liquidazione, non possono essere considerate eventuali attività diverse da quelle previste dalla citata disposizione normativa, quand'anche facenti parte dell'incarico ricevuto.
Cass. civ. n. 36092/2021
Affinché l'amministratore designato in un patto parasociale acquisti, ai sensi dell'art. 1411 c.c., il diritto soggettivo all'espressione del voto in assemblea, da parte dei soci sottoscrittori del patto, in favore della sua nomina e di un determinato compenso, in esso decisi, occorre che sia accertato l'intento dei soci di attribuire direttamente ed immediatamente al terzo un diritto soggettivo, potendo allora, in tal caso, l'amministratore vantare una pretesa risarcitoria al riguardo, ove ne sussistano tutti gli elementi costitutivi.
Cass. civ. n. 13000/2019
In ipotesi di nascita attraverso il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita, l'art. 8 della L. n. 40 del 2004, sullo status del nato con le tecniche in questione, si applica, a prescindere dalla presunzione contenuta all'art. 234 c.c., pure alla fattispecie di fecondazione omologa post mortem avvenuta utilizzando il seme crioconservato del padre, deceduto prima della formazione dell'embrione, ma che in vita aveva prestato, congiuntamente alla moglie ovvero alla convivente, il consenso, non successivamente revocato, all'accesso a tali tecniche, e quindi autorizzato la moglie, o la convivente, al detto utilizzo a seguito della propria morte. Ciò consente l'assoluta parificazione, ai figli legittimi, di quelli nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, abbracciando finanche le peculiari fattispecie ove la nascita avviene a seguito della morte del padre, quindi utilizzando il seme crioconservato di quest'ultimo.
Cass. civ. n. 15035/2018
I versamenti in conto capitale effettuati dai soci in favore della società palesano una natura che dipende dalla ricostruzione della comune intenzione delle parti, la cui prova va desunta in via principale dal modo in cui il rapporto ha trovato concreta attuazione, dalle finalità pratiche cui si mostra diretto e dagli interessi ad esso sottesi, e solo in subordine dalla qualificazione che i versamenti hanno ricevuto in bilancio, senza che assuma rilevanza alcuna la circostanza che i versamenti non abbiano dato luogo a pretese restitutorie da parte dei soci, neppure in sede concorsuale, trattandosi di una scelta che, in quanto successiva all'effettuazione delle predette operazioni e comunque revocabile in qualsiasi momento, non appare di per sé sintomatica dell'intento di rinunciare definitivamente al rimborso delle erogazioni compiute.
Cass. civ. n. 26973/2017
In materia di contratto d'opera intellettuale, il rimedio contrattuale della eccezione di inadempimento è legittimamente esperibile dal professionista nel caso in cui il cliente non abbia assolto l'obbligo di anticipare le spese occorrenti per il compimento dell'opera ex art. 2234 c.c., purché la sospensione della prestazione avvenga secondo buona fede, cioè non sia attuata in modo tale da determinare al cliente un pregiudizio irreparabile, dovendo a tal fine aversi riguardo alla tempestività della contestazione dell'inadempimento dal professionista al cliente, idonea a consentire a quest'ultimo di assumere le iniziative opportune per salvaguardare l'interesse o la utilità perseguita con l'attuazione del contratto.
Cass. civ. n. 12956/2016
La clausola di prelazione di acquisto di quote sociali contenuta in un patto parasociale non è incompatibile con analoga clausola di prelazione statutaria (nella specie avente un oggetto più limitato, riguardando i soli atti di trasferimento a titolo oneroso e non anche quelli a titolo gratuito), atteso che, mentre la prelazione convenzionale ha esclusivamente effetti obbligatori tra le parti e la sua eventuale violazione, comportando unicamente un obbligo di risarcimento del danno in capo al soggetto inadempiente, non pone in discussione il corretto funzionamento dell'organizzazione sociale o la formazione del capitale, la prelazione statutaria ha efficacia reale e, in caso di violazione, è opponibile anche al terzo acquirente.
Cass. civ. n. 24861/2015
L'erogazione di somme che a vario titolo i soci effettuano alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento, destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva "in conto capitale" (o altre simili denominazioni). Tale ultimo contributo non dà luogo ad un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione, ed è più simile al capitale di rischio che a quello di credito, connotandosi proprio per la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali e per la posizione del socio quale "residual claimant".
Cass. civ. n. 7914/2015
La relazione di stima richiesta dall'art. 2343 cod. civ. per il conferimento di beni in natura in una società di capitali non è necessaria qualora il loro trasferimento trovi causa in un atto di scissione parziale in favore di società personale, non rilevando, in siffatta ipotesi, l'esigenza, tutelata da quella norma, di verificare l'effettiva esistenza della garanzia del capitale sociale indicato nelle società di capitali destinatarie del predetto conferimento; in tal caso, pertanto, è sufficiente l'allegazione di una situazione patrimoniale delle società partecipanti all'operazione redatta dagli amministratori nel rispetto delle norme sul bilancio di esercizio.
Cass. civ. n. 24449/2015
I crediti del "de cuius", al pari dei titoli di credito emessi in suo favore, non si ripartiscono tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, come stabilito anche dall'art. 727 c.c., che, nel prevedere la formazione delle porzioni con inclusione dei crediti, presuppone che gli stessi facciano parte della comunione. Ne deriva che ciascuno dei coeredi può agire singolarmente per insinuare al passivo fallimentare l'intero credito comune o la sola parte proporzionale alla quota ereditaria, anche se il credito caduto in comunione è portato da titoli obbligazionari, non essendo precluso il loro rimborso parziale, né valendo per essi il principio di indivisibilità stabilito per le sole azioni dall'art. 2347 c.c.
Cass. civ. n. 6207/2013
In tema di recesso da società di capitali, laddove le azioni possedute dal socio receduto siano quotate nel mercato dei titoli, il valore di rimborso a lui spettante deve tener conto esclusivamente delle indicazioni di prezzo fornite dal mercato stesso in relazione a quelle azioni, non potendo, quindi, il titolare di azioni di risparmio dolersi del fatto che, in tal modo, si possa pervenire ad una determinazione di rimborso inferiore a quello spettante ai titolari di azioni ordinarie, non sussistendo alcuna violazione dell'art. 2348 cod. civ., atteso che il principio secondo cui tutte le azioni emesse dalla società attribuiscono uguali diritti trova espressa deroga, nel caso delle azioni di risparmio, nel disposto dell'art. 14, quarto comma, della legge 7 giugno 1974, n. 216.
Cass. civ. n. 10215/2010
Il patto parasociale che impegna i soci a votare in assemblea contro l'eventuale proposta di intraprendere l'azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori, non è contrario all'ordine pubblico, ma agli art. 2392 e 2393 c.c., i quali non pongono principi aventi tale carattere, ma sono norme imperative inderogabili, con conseguente nullità del patto, in quanto avente oggetto (la prestazione inerente alla non votazione dell'azione di responsabilità) o motivi comuni illeciti (perché la clausola mira a far prevalere l'interesse di singoli soci che, per regolamentare i propri rapporti, si sono accordati a detrimento dell'interesse generale della società al promovimento della detta azione, dal cui esito positivo avrebbe potuto ricavare benefici economici); né l'estensione della nullità all'intero negozio e la conversione del negozio nullo, di cui agli artt. 1419 e 1424 c.c., implicano la violazione dell'ordine pubblico, in quanto l'istituto della nullità non è, di per sé, di ordine pubblico, potendo solo alcune sue ipotesi essere generate dalla violazione di tali principi.
Cass. civ. n. 6898/2010
In tema di contratti cosiddetti "parasociali", (e con riferimento alla disciplina applicabile prima della riforma introdotta dal d.l.vo 17 gennaio 2003, n. 6), è valido il patto avente ad oggetto l'espressione del voto nell'assemblea di una società per azioni, chiamata a nominare gli amministratori, anche se non sia stata prefissata la durata del vincolo assunto dalle parti ed operi perciò - in coerenza con l'art. 1375 c.c. e quantunque non contemplato in modo espresso - il principio generale in forza del quale ad ogni partecipante spetta il diritto di recedere unilateralmente dal patto per giusta causa o con congruo preavviso, da valutarsi, in difetto di previsione normativa o convenzionale, come tempo utile in relazione alla natura del rapporto e al tipo di interessi in gioco. Conseguentemente, il partecipante - il quale presenti all'assemblea una lista di candidati alla carica di amministratori di contenuto incompatibile con il rispetto del patto e poi esprima il proprio voto in contrasto con gli obblighi derivanti dall'adesione al patto medesimo - può essere chiamato dalle altri parti a risarcire i danni conseguenti al suo inadempimento, dovendosi escludere che tali comportamenti integrino una manifestazione tacita della volontà di recesso.
Cass. civ. n. 11555/2008
In tema di società cooperativa, in difetto di una clausola statutaria che attribuisca detto potere o comunque preveda la possibilità di chiedere contributi finanziari per l'espletamento dell'attività della cooperativa e per il perseguimento dello scopo sociale non spetta né al consiglio di amministrazione, né all'assemblea, il potere di imporre al socio un versamento in denaro ulteriore rispetto, non solo all'iniziale conferimento, ma anche al piano finanziario, che ha previsto l'importo delle spese che ciascun socio è tenuto ad erogare per il raggiungimento del fine sociale.
Cass. civ. n. 16393/2007
I versamenti in conto capitale costituiscono conferimenti volti a incrementare il patrimonio netto della società e non sono imputabili a capitale, salvo che, con apposita delibera assembleare di modifica dell'atto costitutivo, non ne venga disposto successivamente l'utilizzo per un aumento del capitale sociale; una volta eseguiti, i versamenti vanno a costituire una riserva, non di utili, ma «di capitale», soggetta alla stessa disciplina della riserva da soprapprezzo (art. 2431 c.c.), seppure «personalizzata» o «targata» in quanto di esclusiva pertinenza dei soci che li hanno effettuati. Ne consegue che i soci eroganti possono chiedere la restituzione delle somme versate solo per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione e che, d'altra parte, i ridetti versamenti, in caso di saturazione della riserva legale, possono con delibera dell'assemblea ordinaria essere distribuiti «durante societate» tra i soci in misura corrispondente a quanto da ognuno versato.
Cass. civ. n. 15962/2007
In caso di comproprietà di partecipazioni azionarie, l'impugnazione di una deliberazione asssembleare può essere proposta esclusivamente dal rappresentante comune indicato nell'art. 2347 cod. civ. e non dal singolo comproprietario, carente del potere d'impugnare così come di quello di esercitare il diritto d'intervento e di voto in assemblea. (Rigetta, App. Milano, 31 gennaio 2003).
Cass. civ. n. 25005/2006
Il socio di società per azioni è legittimato ad agire per la dichiarazione di nullità del contratto di sottoscrizione di azioni di nuova emissione, stipulato dalla società con i sottoscrittori delle stesse, ove deduca la violazione dell'art. 2342, ult. comma (divieto di conferimento di opere o servizi), o dell'art. 2358, primo comma (sostegno finanziario alla sottoscrizione fornito dalla società emittente), quale terzo interessato ai sensi dell'art. 1421 c.c., atteso che dette ipotesi di nullità comportano il rischio della non effettività, totale o parziale, dei nuovi conferimenti e al tempo stesso dell'aumento del capitale sociale, con ricaduta sul patrimonio netto, e tale rischio incide direttamente sul suo interesse (che è esclusivo del socio e non può dirsi assorbito in quello della società) a conservare il valore, in termini sia assoluti che relativi, della sua quota di partecipazione alla società, in quanto, nella misura in cui al formale incremento del capitale cui corrisponde una riduzione proporzionale della sua quota di partecipazione non si accompagni un effettivo incremento del patrimonio netto, il valore della quota si riduce, a tutto vantaggio dei sottoscrittori delle nuove azioni.
Cass. civ. n. 7692/2006
I versamenti operati dai soci in conto capitale (o con altra analoga dizione indicati), pur non incrementando immediatamente il capitale sociale, e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale (onde non occorre che siano conseguenti ad una specifica deliberazione assembleare di aumento dello stesso), hanno tuttavia una causa che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio. Essi, pertanto, non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società, e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della società, e nei limiti dell'eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione. Ciò non esclude, tuttavia, che tra la società ed i soci possa viceversa essere convenuta l'erogazione di capitale di credito, anziché di rischio, e che i soci possano effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo (con o senza interessi), riservandosi in tal modo il diritto alla restituzione anche durante la vita della società. Fermo restando che è a carico dell'attore l'onere di fornire la prova del titolo posto a fondamento della domanda, stabilire se, in concreto, un determinato versamento tragga origine da un mutuo, o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio dell'impresa collettiva, è questione di interpretazione della volontà delle parti, riservata al giudice di merito, il cui apprezzamento non è censurabile in cassazione, se non per violazione delle norme giuridiche che disciplinano l'interpretazione della volontà negoziale o per eventuali carenze o vizi logici della motivazione che quell'accertamento sorregge.
Cass. civ. n. 14865/2001
I patti parasociali (e, in particolare, i cosiddetti sindacati di voto) sono, nella loro composita tipologia (che non consente, pertanto, la riconduzione ad uno schema tipico unitario), accordi atipici, volti a disciplinare, in via meramente obbligatoria tra i soci contraenti, il modo in cui dovrà atteggiarsi, su vari oggetti (nella specie, circa la nomina di amministratori societari), il loro diritto di voto in assemblea. Il vincolo che discende da tali patti opera, pertanto, su di un terreno esterno a quello dell'organizzazione sociale (dal che, appunto, il loro carattere «parasociale» e, conseguentemente, l'esclusione della relativa invalidità ipso facto), sicché non è legittimamente predicabile, al riguardo, né la circostanza che al socio stipulante sia impedito di determinarsi autonomamente all'esercizio del voto in assemblea, né quella che il patto stesso ponga in discussione il corretto funzionamento dell'organo assembleare (operando il vincolo obbligatorio così assunto non dissimilmente da qualsiasi altro possibile motivo soggettivo che spinga un socio a determinarsi al voto assembleare in un certo modo), poiché al socio non è in alcun modo impedito di optare per il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta l'interesse ad un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell'inadempimento del patto.
Cass. civ. n. 14523/2000
Le prestazioni a carattere accessorio e non consistenti in conferimenti in danaro che, a norma dell'art. 2345 c.c., l'atto costitutivo può porre a carico dei soci di società per azioni, costituiscono adempimento di obbligazioni sociali e non di obbligazioni inerenti ad un rapporto contrattuale diverso e distinto da quello sociale, ancorché ad esso collegato; ne consegue che, in caso di inadempimento, vanno irrogate a norma del citato art. 2345, le sanzioni stabilite, per questa inosservanza, dall'atto costitutivo, dovendo perciò escludere che l'assemblea dei soci possa irrogare all'inadempiente una sanzione diversa da quella prevista.
Cass. civ. n. 1240/2000
Nel caso di trasformazione di una società di persone in una società di capitali, la relazione di stima del patrimonio della società trasformanda da parte dell'esperto nominato dal presidente del tribunale è imposta dagli artt. 2498 e 2343 c.c. nell'interesse dei creditori sociali e dei soci futuri, i quali sono legittimati ad agire per il risarcimento dei danni da essi subiti per effetto della condotta di detto esperto.
Cass. civ. n. 12539/1998
Il versamento effettuato dai soci della società in conto di futuro aumento di capitale, pur determinando un incremento del capitale sociale e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica proposta del capitale, ha una causa che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è simile, invece, a quella del conferimento in conto capitale, che è un conferimento a rischio. Ne deriva che all'autonomia privata sono consentiti, nelle società di capitali, conferimenti atipici e ciò sia nel senso che si tratta di conferimenti eseguiti al di fuori degli schemi giuridico-formali previsti per la costituzione delle società e per l'aumento del capitale sociale, sia perché sono conferimenti destinati ad incrementare il patrimonio della società fuori del capitale.
Cass. civ. n. 4236/1998
In tema di società. di capitali, nella ipotesi di sottoscrizione di un aumento del capitale sociale, l'oggetto del conferimento, da parte del socio, non deve, necessariamente, identificarsi in un bene suscettibile di espropriazione forzata, bensì in una res dotata di consistenza economica. Ne consegue la legittimità del conferimento attuato mediante compensazione tra il debito del socio verso la società ed un credito vantato dal medesimo nei confronti dell'ente, atteso che la società stessa, pur perdendo formalmente il suo credito al conferimento, acquista concretamente un «valore» economico, consistente nella liberazione da un corrispondente debito. Alla funzione essenzialmente «produttiva» del capitale sociale consegue, difatti, quella di garanzia meramente indiretta del pagamento dei debiti sociali, funzione, quest'ultima, assolta direttamente dal patrimonio sociale, cui non risultano trasferibili quei vincoli di indisponibilità e di invariabilità tipici, in via esclusiva, del capitale. Nessun pregiudizio per i creditori sociali è, pertanto, ravvisabile (diversamente che nella ipotesi di conferimenti iniziali, quantomeno per i tre decimi previsti dall'art. 2329 c.c.) in un aumento di capitale sottoscritto mercé la contestuale estinzione per compensazione di un credito del socio sottoscrittore (scaturendo, invece, da tale operazione un aumento della generica garanzia patrimoniale, poiché dalla trasformazione del credito del socio in capitale di rischio deriva che detta garanzia non copre più il credito medesimo), mentre, sul piano economico patrimoniale, nessun vantaggio deriverebbe ai creditori stessi dall'imposizione, alla società, dell'obbligo di pagare il proprio debito nei confronti del socio sottoscrittore e di incassare, contestualmente, la stessa somma da lui dovuta.
Cass. civ. n. 2557/1997
Le prestazioni espletate dal socio di una cooperativa di lavoro, che non sono riconducibili ad un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato, sicché non trova applicazione la disciplina delle mansioni dettate dall'art. 2103 c.c., non possono neppure considerarsi accessorie ai sensi dell'art. 2345 c.c., dettato per le società per azioni ed applicabile alle cooperative ai sensi dell'art. 2516 c.c., nei limiti della compatibilità con la disciplina speciale prevista per queste ultime, in quanto sono essenziali ed obbligatorie; conseguentemente non occorre il consenso, di tutti i soci per la modifica delle mansioni assegnate al socio.
Cass. civ. n. 9975/1995
In tema di contratti cosiddetti «parasociali», il patto, in virtù del quale alcuni soci di una spa si vincolino a fare sì che coloro che detengono o deterranno le partecipazioni azionarie, in loro possesso all'atto della conclusione del patto, abbiano e conservino la possibilità di designare un certo numero di amministratori e di sindaci della società, è nullo non realizzando un interesse meritevole di tutela, in quanto, essendo a tempo indeterminato ed implicando una limitazione alle possibilità del socio di liberarsi delle proprie quote, trasferendole a terzi, contrasta con il generale atteggiamento di disfavore dell'ordinamento nei confronti delle obbligazioni di durata indeterminata.
Cass. civ. n. 7030/1994
Il patto con il quale i soci di una Srl s'impegnino nei confronti di un terzo, socio uscente ed ex amministratore unico della società, a non deliberare l'azione sociale di responsabilità nei confronti dello stesso, abdicando all'esercizio del diritto di voto pur in presenza dei presupposti dell'indicata azione, è affetto da nullità, in quanto il contenuto della pattuizione realizza un conflitto d'interessi tra la società ed i soci fattisi portatori dell'interesse del terzo ed integra una condotta contraria alle finalità inderogabilmente imposte dal modello legale di società, non potendo i soci, non solo esercitare, ma neanche vincolarsi negozialmente ad esercitare il diritto di voto in contrasto con l'interesse della società, a nulla rilevando che il patto in questione riguardi tutti i soci della società, né che la compagine sociale sia limitata a due soci aventi tra loro convergenti interessi (nella specie, coniugi).
Cass. civ. n. 5154/1992
La norma di cui all'ultimo comma dell'ari. 2344 c.c., secondo cui i soci in mora nei versamenti delle quote dovute non possono esercitare il diritto di voto, si riferisce esclusivamente ai versamenti iniziali necessari per la costituzione del capitale sociale e non a qualsiasi diversa richiesta di pagamento o di restituzione, o di nuovo versamento in caso di indebita restituzione, al fine della ricostituzione del capitale sociale.
Cass. civ. n. 9260/1987
Con riguardo al conferimento in natura del socio, la stima contemplata dall'art. 2343 cod. civ rileva nel rapporto fra il socio medesimo e la società, mentre non spiega effetti vincolanti nei confronti dei terzi (ivi inclusa l'amministrazione finanziaria, ai fini dell'imposta di registro).
Cass. civ. n. 2603/1986
Ai sensi del novellato art. 234 in correlazione al precedente art. 232 c.c. nell'ipotesi di figlio nato dopo i trecento giorni dall'annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero ancora dall'autorizzazione data ai coniugi di vivere separati, si presume l'illegittimità del figlio medesimo, con la conseguenza che, ai fini dell'onere della prova, nell'azione di disconoscimento della paternità, non spetta al marito provare (oltre la separazione) la mancanza assoluta di rapporti intimi, sibbene alla moglie, che si oppone al disconoscimento, dimostrare che vi è stata riunione temporanea, con possibilità di incontri intimi e quindi della copula fecondatrice.