Art. 251 – Codice civile – Autorizzazione al riconoscimento
Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità [78] in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.
Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal giudice.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 15517/2024
La cessione gratuita della quota di partecipazione ad una cooperativa edilizia, finalizzata all'assegnazione dell'alloggio in favore del cessionario, integra donazione indiretta dell'immobile, soggetta, in morte del donante, alla collazione ex art. 746 c.c., giacché tale quota esprime non una semplice aspettativa, ma un vero e proprio credito all'attribuzione dell'alloggio.
Cass. civ. n. 24242/2023
I conferimenti annuali di prodotti, eseguiti dal socio imprenditore agricolo alla cooperativa agricola di conferimento o di trasformazione, trovano titolo nel contratto sociale che prevede la relativa obbligazione e non costituiscono oggetto di una prestazione accessoria ex art. 2345 c.c.; ne consegue che la consegna dei prodotti non determina l'operatività del principio di corrispettività e non fa sorgere in capo al socio il diritto a un corrispettivo, ma una mera aspettativa alla remunerazione del proprio conferimento, che può anche mancare e che è integrata dall'attribuzione "pro quota" ai soci del profitto conseguito dalla cooperativa tramite l'attività di impresa. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso il diritto alla remunerazione del conferimento di latte effettuato da un socio a una cooperativa agricola a r.l., che, a causa di una grave crisi del settore lattiero-caesario, aveva subito una perdita di esercizio).
Cass. civ. n. 23606/2023
Il principio secondo il quale i rimedi generali dettati in tema di inadempimento contrattuale (risoluzione del contratto, "exceptio inadimpleti contractus" ecc.) non sono utilizzabili nel diverso ambito dei contratti societari (per essere questi ultimi caratterizzati non già dalla corrispettività delle prestazioni dei soci, bensì dalla comunione di scopo, sicché i rimedi invocabili sono quelli del recesso e dell'esclusione del socio) non si applica alle società cooperative, nelle quali il rapporto attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla società ed aventi ad oggetto prestazioni di collaborazione o di scambio tra socio e società si palesa ulteriore rispetto a quello relativo alla partecipazione all'organizzazione della vita sociale ed è caratterizzato non dalla comunione di scopo, ma dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e la retribuzione o il prezzo corrispettivo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto ammissibile l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. proposta dal socio nei confronti di una società cooperativa agricola e zootecnica, venendo in rilievo un rapporto di natura sinallagmatica tra l'obbligo del socio di conferire il latte e quello della società di pagamento del conferimento stesso).
Cass. civ. n. 23948/2018
La compensazione legale presuppone pur sempre che una delle parti dichiari di volersene avvalere, così esercitando un diritto potestativo, il quale postula che valutando liberamente il proprio interesse all'adempimento, la parte predetta decida di determinare l'estinzione dei debiti contrapposti dal giorno della loro coesistenza.
Cass. civ. n. 29885/2008
Il contratto di una società semplice, tranne nel caso in cui venga conferito un bene il cui trasferimento richieda una forma speciale, è a forma libera e può pertanto essere validamente concluso anche "per facta concludentia"; l'onere di provare la sussistenza del rapporto sociale ove non formalizzato, incombe su chi allega tale rapporto.
Cass. civ. n. 3694/2007
Ai sensi dell'art. 2449 c.c. (nel testo previgente al D.L.vo n. 6 del 2003), costituiscono nuove operazioni vietate tutti gli atti gestori diretti non a fini liquidatori, e quindi alla trasformazione delle attività societarie in denaro destinato al soddisfacimento dei creditori e, nei limiti del residuo, dei soci, ma al conseguimento di fini diversi, essendo invece lecito il completamento di attività in corso destinate al miglior esito della liquidazione.
Cass. civ. n. 3279/2006
Per effetto del richiamo operato dall'art. 2516 c.c., si applicano alle società cooperative le norme sulla liquidazione delle società per azioni, tra le quali l'art. 2452 c.c., che rende applicabile anche alle società di capitali l'art. 2310 dello stesso codice, a norma del quale la rappresentanza della società, a partire dalla iscrizione della nomina dei liquidatori, spetta, anche in giudizio, agli stessi in via esclusiva, salve eventuali limitazioni risultanti dallo statuto o dall'atto di nomina. Tuttavia la messa in liquidazione di una società cooperativa non determina la sua estinzione nè fa venir meno la sua rappresentanza in giudizio, che è determinata invece soltanto dalla effettiva liquidazione dei rapporti giuridici pendenti, che alla stessa facevano capo, e dalla definizione di tutte le controversie in corso con i terzi. Ne deriva che una società costituita in giudizio non perde la legittimazione processuale e che la rappresentanza sostanziale e processuale della stessa permane, per i rapporti rimasti in sospeso e non definiti, nei medesimi organi che la rappresentavano prima del disposto procedimento di liquidazione, restando esclusa l'interruzione dei processi pendenti.
Cass. civ. n. 8916/2004
Le cooperative sociali di servizio di cui alla lettera a) dell'art. 1, comma primo legge 8 novembre 1991, n. 381 perseguono, al pari di ogni altra società cooperativa, lo scopo mutualistico, ancorché si tratti di mutualità esterna, trascendente gli interessi immediati dei soci, in quanto esse mirano a realizzare nella forma tipizzata della gestione di servizi socio sanitari od educativi, l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini. Pertanto la gestione di servizi socio-sanitari è sufficiente a qualificare come cooperativa sociale la società cooperativa che li gestisca, restando irrilevante, ai fini della determinazione degli obblighi contributivi previdenziali, la qualità personale dei destinatari del servizio o la erogazione di esso a titolo gratuito o a pagamento.
Cass. civ. n. 6510/2004
Nell'ordinamento delle società cooperative attesa l'accentuata rilevanza dell'elemento personale che ad esse è propria e stante l'operatività della regola di buona fede nell'esecuzione di ogni rapporto contrattuale (ivi compresi quelli societari) è da ritenersi vigente (già prima dell'espressa previsione nel testo dell'art. 2516 c.c., novellato dal D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6) un generale principio di parità di trattamento dei soci da parte della società, il quale da intendersi in senso relativo, e cioè come parità di trattamento dei soci che si trovino, rispetto alla società, in eguale posizione attiene al modo in cui la società, e per essa i suoi amministratori e rappresentanti, è tenuta a comportarsi, definendo una regola di comportamento per gli organi sociali, la cui violazione, ove in fatto accertata, ben può esporre gli amministratori a responsabilità, ai sensi dell'art. 2395 c.c., applicabile alle cooperative in virtù dell'art. 2516 (ora art. 2519) c.c. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito, la quale, in sede di giudizio di rinvio, aveva affermato la responsabilità degli amministratori di una cooperativa edilizia, per il fatto che essi, a fronte della situazione debitoria di alcuni soci, non avevano attivato contro di essi alcuna iniziativa recuperatoria del credito sociale, ma avevano invece sopperito al fabbisogno finanziario dell'ente accendendo ipoteche su beni destinati ad altri soci, i quali avevano già assolto ogni obbligo di pagamento).
Cass. civ. n. 5724/2004
Gli atti contrattuali con i quali una società cooperativa trasferisca ad alcuni soci la proprietà di alloggi, da essa costruiti, a condizioni più favorevoli rispetto a quelle praticate (o che in futuro è prevedibile possano essere praticate) ad altri soci non sono, per ciò stesso, affetti da nullità, sia perché non ogni anomalia di funzionamento del rapporto sociale si traduce, sol perché tale, in un vizio genetico del contratto di cessione dell'alloggio di per sé altrimenti valido (un simile vizio potendosi ravvisare solo quando quell'anomalia sia tale da recidere del tutto l'indispensabile nesso tra la causa mutualistica del rapporto societario e la causa sinallagmatica del contratto di scambio), sia perché il principio di parità di trattamento, vigente nel sistema delle società cooperative già prima nella novellazione dell'art. 2516 ad opera del D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6, definisce una regola di comportamento per gli organi sociali, ma non è idoneo a riflettersi sulla validità dei singoli rapporti contrattuali per il cui tramite i singoli soci si assicurano la prestazione mutualistica loro fornita dalla cooperativa.
Cass. civ. n. 4021/2004
In relazione alle cooperative edilizie deve escludersi la possibilità di cessione degli alloggi edificati a terzi, con conseguente nullità per illiceità dell'oggetto della delibera di alienazione del bene sociale; tale situazione non è riscontrabile, tuttavia quando la cessione di una parte di edificio ad un estraneo alla compagine sociale costituisca non l'espressione di un'attività commerciale di tipo lucrativo contrapposta al fine mutualistico, bensì uno strumento perché, senza lesione dei diritti dei soci, si conseguano i fini istituzionali ed il migliore soddisfacimento delle disposizioni costituite in capo alla generalità dei soci. (Nella specie la cooperativa edilizia aveva compensato i professionisti che avevano prestato la loro opera per la società con la cessione di alcune unità immobiliari nei costruendi edifici per mancanza di disponibilità finanziarie liquide e senza che questo fatto comportasse lesione dei diritti dei soci prenotatari).
Cass. civ. n. 8956/2000
I poteri del commissario governativo di una società cooperativa a responsabilità limitata sono disciplinati dagli artt. 2384 e 2516 c.c., e pertanto egli può compiere tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale, salvo le limitazioni che risultano dalla legge o dall'atto costitutivo o dallo statuto, che però, anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi, a meno che vi sia la prova che questi ultimi abbiano intenzionalmente agito a danno della società.
Cass. civ. n. 12157/1999
Deve ritenersi legittima la clausola statutaria di una società cooperativa a responsabilità limitata, che preveda l'obbligo dei soci di rimborsare annualmente alla società tutte le spese e gli oneri per il suo funzionamento, in modo che l'esercizio si chiuda senza utili e senza perdite, dovendosi escludere che tale clausola incida sulla tipologia societaria, trasformando la società in una società a responsabilità illimitata, in quanto detta clausola non impegna i soci per le obbligazioni sociali verso i terzi, ma riguarda i rapporti interni alla società, ed, inoltre, è pienamente compatibile con la realizzazione dell'oggetto sociale, afferendo ad una prestazione accessoria ad essa funzionale.
Cass. civ. n. 10602/1999
Lo scopo mutualistico di una società cooperativa è caratteristica essenziale del suo costitutivo, ed anche presupposto indefettibile per il godimento della speciale disciplina «di favore», e dunque si traduce nell'indisponibilità, da parte dell'assemblea o del consiglio di amministrazione, del diritto di ciascun socio di partecipare ai programmati benefici dell'attività societaria. Detto scopo nel caso di una cooperativa edilizia, non tollera la cessione a terzi degli alloggi edificati, ove la cessione medesima non sia mero strumento per il conseguimento dei fini istituzionali ed miglior soddisfacimento delle posizioni costituite in capo al socio, ma esprima una scelta contrapposta al fine mutualistico, con il compimento di attività commerciale di tipo lucrativo e lesione di quelle posizioni. Da ciò consegue che, nel caso di estraneità del cessionario alla compagine sociale e dell'elusione dei diritti insorti in favore del socio per effetto dell'operazione mutualistica e del contratto di «prenotazione», la delibera di alienazione del bene sociale è affetta da radicale nullità, per illiceità dell'oggetto, ai sensi dell'art. 2379 c.c. reso applicabile dal rinvio di cui all'art. 2516 c.c.
Cass. civ. n. 9513/1999
Lo scopo mutualistico proprio delle cooperative può avere gradazioni diverse, che vanno dalla cosiddetta mutualità pura, caratterizzata dall'assenza di qualsiasi scopo di lucro, alla cosiddetta mutualità spuria, che, attenuandosi il fine mutualistico, consente una maggiore dinamicità operativa anche nei confronti di terzi non soci, conciliando così il fine mutualistico con un'attività commerciale e con la conseguente possibilità per la cooperativa di cedere beni o servizi a terzi a fini di lucro. La possibilità che la cooperativa assuma tali diverse tipologie comporta necessariamente una diversità di posizioni del socio cooperatore, senza, peraltro, che, anche laddove è più accentuato il fine mutualistico (come nelle cooperative di consumo), il parametro normativo di riferimento cessi di essere quelle delle società (come dimostra l'art. 2516 c.c.), pur rimanendo la posizione del socio cooperativo distinta da quella del socio di una società di capitali, in quanto quest'ultimo persegue un fine puramente speculativo, mentre il primo mira di regola ad un risultato economico e ad un vantaggio patrimoniale diverso dal lucro, o comunque peculiare e variante a seconda del ramo di attività cooperativa esercitato dalla società. Tale vantaggio non è costituito (o almeno non lo è prevalentemente) dalla più elevata remunerazione possibile del capitale investito, ma dal soddisfacimento di un comune preesistente bisogno economico (di lavoro, del bene casa, di generi di consumo, di credito ed altri), con la congiunta consecuzione di un risparmio di spesa per i beni o i servizi acquistati o realizzati dalla propria società (come nelle cooperative di consumo), oppure di una maggiore retribuzione per i propri beni o servizi alla stessa ceduti (come nelle cooperative di produzione e di lavoro).
Cass. civ. n. 12739/1995
Non contrasta con il fine mutualistico delle cooperative di lavoro nelle quali ii servizio svolto a favore dei soci consiste nell'acquisizione di occasioni di lavoro e di adeguata remunerazione mercé un'attività d'impresa svolta sul mercato mediante negoziazione con terzi la possibilità di previsione statutaria di remunerazioni predeterminate a favore dei soci-lavoratori alle scadenze usuali per le retribuzioni del lavoro (nella specie, una clausola dello statuto richiamava la disciplina della contrattazione collettiva relativa ad analoghi rapporto di lavoro). Tale indicazione statutaria, tuttavia, ha carattere vincolante solo quando, o finché, non si ponga in contrasto con i risultati dell'attività imprenditoriale svolta dalla cooperativa, non potendo quest'ultima distribuire ai soci utili che non abbia realizzato.
Cass. civ. n. 766/1969
Lo scopo mutualistico di una società cooperativa non è inconciliabile con l'intento di lucro, ben potendo questi due fini coesistere ed essere rivolti al conseguimento di uno stesso risultato. Pertanto, ai fini della applicabilità della norma del secondo comma dell'art. 2540 c.c., che prevede la possibilità del fallimento delle cooperative, per l'accertamento della sussistenza o meno del fine di speculazione di una società cooperativa si deve avere riguardo alla struttura ed agli scopi di essa e non al suo carattere mutualistico.