Art. 257 – Codice civile – Clausole limitatrici
È nulla ogni clausola diretta a limitare gli effetti del riconoscimento.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 280/2025
In tema di marchi di impresa, la registrazione del marchio successivo presuppone che non vi sia rischio di confusione con un marchio anteriore ed il giudizio di novità va compiuto in astratto, raffrontando i segni come registrati, a prescindere dal loro uso e dall'intensità ed estensione della loro conoscenza presso i consumatori, salvo il limite della decadenza per non uso, a differenza della valutazione da compiersi nel giudizio di contraffazione, in cui tale accertamento è influenzato dalle modalità con cui il marchio anteriore è utilizzato e percepito dal pubblico di riferimento.
Cass. civ. n. 34996/2024
In tema di misure cautelari reali, colui che riveste la qualifica di socio di una società di persone della quale non ha la legale rappresentanza non è legittimato a chiedere la restituzione dei beni in sequestro di proprietà della stessa, non potendo far valere in giudizio situazioni che non gli appartengono.
Cass. civ. n. 23935/2023
In tema di diritto d'autore, ai sensi dell'art. 12 della l. n. 633 del 1941, la prima pubblicazione dell'opera artistica, tramite la sua utilizzazione economica, non coincide necessariamente con la cessione onerosa a terzi dell'opera stessa, potendosi realizzare anche con altre diverse modalità, attraverso le quali l'autore manifesta la sua volontà di assumere la paternità del manufatto e di immetterlo nel circuito artistico, come la presentazione a mostre e musei aperti alla partecipazione del pubblico.
Cass. civ. n. 11004/2023
Con riferimento ai segni distintivi, la scissione parziale societaria dà luogo ad una vicenda non meramente organizzativa, ma sostanzialmente traslativa dei beni inclusi nel patrimonio attribuito alla società beneficiaria della scissione, con la conseguenza che, essendo il marchio e la denominazione sociale dei segni distintivi autonomi - avendo il primo la funzione di identificare i prodotti fabbricati o commercializzati od i servizi resi da un imprenditore, la seconda quella di individuare la società come soggetto di diritto - l'attribuzione del marchio non implica anche il trasferimento della denominazione sociale, la quale può essere oggetto di valido trasferimento "inter vivos", anche ove assimilata alla ditta sociale, solo nel caso in cui sia ceduta l'intera azienda, previo espresso consenso dell'alienante.
Cass. civ. n. 17565/2021
L'opera dell'ingegno consistente nella regia teatrale di opera lirica, è ricompresa nella nozione generale dell'art. 1 l. n. 633 del 1941, in forza dell'ampia lettera della disposizione, la quale, al pari di quella dell'art. 2575 c.c. ed in piena coerenza con la "ratio" della disciplina, contempla il prodotto della creatività umana quale oggetto di tutela tutte le volte che si debba riconoscere un apporto personale e creativo della "lettura" dell'opera da parte del regista, non rilevando in direzione contraria la mancanza di esplicita menzione della "regia" nella legge sul diritto d'autore o nella Convenzione di Berna, entrata in vigore il 5 dicembre 1887.
Cass. civ. n. 2962/2017
Nelle società di persone, se l’amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, i soci amministratori non addetti ad una specifica attività o settore hanno il diritto di avere dall’amministratore che vi è preposto notizia sullo svolgimento dei relativi affari, di consultarne i documenti di gestione e, all’esito, di ottenere il rendiconto, che non coincide con la mera informazione conseguente al bilancio, e cioè al documento generale sull'attività economica della società, che è unico, ma si determina in ragione dell'altrui amministrazione.
Cass. civ. n. 9889/2016
I segni distintivi di fatto possono articolarsi in maniera separata, sicché è astrattamente possibile che un imprenditore abbia preusato del segno per la ditta-denominazione sociale, senza aver fatto uso dello stesso come marchio, per contraddistinguere merci prodotte o servizi forniti, onde la necessità, in caso di affermazione del possesso di un marchio di fatto, che colui il quale chieda di affermare il conseguimento di un proprio diritto fornisca, al riguardo, una prova completa sia della ditta-denominazione sociale sia di quello del segno in funzione di marchio (e della conseguente notorietà di esso), atteso che l'uso di fatto di un segno in funzione di ditta/denominazione sociale non ne comporta l'automatica e meccanica estensione in funzione di marchio e viceversa.
Cass. civ. n. 1102/2013
La testata giornalistica, come segno distintivo della pubblicazione periodica, costituisce solo un elemento dell'azienda, quale segno distintivo di tale iniziativa editoriale; essendo quindi un bene immateriale, equiparabile al marchio, non può dar luogo, di per sè stessa, al trasferimento d'azienda, con la conseguenza che la relativa cessione costituisce prestazione di servizi assoggettata ad IVA, senza che assuma rilievo che essa sia avvenuta congiuntamente al trasferimento dell'azienda (o di un suo ramo) ovvero separatamente, restando quest'ultima soggetta, comunque, ad imposta di registro.
Cass. civ. n. 24620/2010
Il marchio collettivo tutela uno specifico prodotto, non l'attività produttiva di una determinata impresa, con la conseguenza che la tutela da esso apprestata non si estende, oltre ai prodotti specificamente contraddistinti, anche ai prodotti affini, i quali, in quanto riconducibili all'attività di impresa, rientrano solo nell'ambito di protezione del marchio individuale, ai sensi dell'art. 1 del r.d. 21 giugno 1942, n. 929 ("ratione temporis" applicabile). Ne consegue che se il marchio collettivo sia costituito da un nome geografico, qualsiasi altro prodotto, sia esso, o no, simile a quello tutelato dal marchio collettivo, può avvalersi di detta denominazione, purché se ne faccia uso corretto, ai sensi dell'art. 2, quarto comma, del r.d. menzionato.
Cass. civ. n. 26901/2008
In tema di cessione del marchio, il divieto di alienazione separatamente dall'azienda o da un suo ramo particolare, previsto dall'art. 15 del R.D. 21 giugno 1942, n. 929 (nel testo, applicabile ratione temporis anteriore alle modifiche introdotte dal D.L.vo n. 480 del 1992), riguarda i contratti conclusi prima del 31 dicembre 1992, cioè della data di entrata in vigore della predetta novella, come statuito dall'art. 90 del D.L.vo citato.
Cass. civ. n. 14787/2007
Il divieto, previsto dall'art. 15 del R.D. 21 giugno 1942, n. 929 (nel testo, applicabile ratio-ne temporis anteriore alle modifiche introdotte dal D.L.vo 4 dicembre 1992, n. 480), di cedere il marchio separatamente dall'azienda, riguarda esclusivamente il trasferimento della titolarità, e non anche la concessione della licenza, sia pure esclusiva ma comunque temporanea, dell'uso del marchio.
Cass. civ. n. 14684/2007
In tema di marchi, l'uso anteriore di un segno distintivo, rilevante ai fini dell'esclusione della novità di un marchio successivamente registrato, è quello attinente alla sfera di prodotti o servizi cui sia riconducibile in funzione distintiva anche il secondo segno, e non già quello che ha caratterizzato una produzione del tutto diversa, determinandone proprio in virtù dell'uso del marchio un ambito specifico e limitato, e rafforzandone, proprio in quest'ambito, la capacità distintiva.
Cass. civ. n. 4405/2006
Il diritto, previsto dall'art. 9 del R.D. 21 giugno 1942, n. 929 (e indi dall'art. 12, comma primo, lett. b, del D.L.vo 10 febbraio 2005, n. 30), di continuare nell'uso del marchio non registrato, che importi notorietà puramente locale, ai fini della, pubblicità, nei limiti della diffusione locale, nonostante la successiva registrazione di uno stesso marchio da parte di altro soggetto, comporta, per il principio di unitarietà dei segni distintivi espressamente stabilito dagli artt. 13 e 17, comma primo, lett. c), del citato R.D. n. 929 del 1942 (e indi dagli artt. 22 e 12 del D.L.vo n. 30 del 2005) principio che rinviene la sua ratio nella tendenziale convergenza dei differenti segni verso una stessa finalità che chi acquista il diritto su un segno utilizzato in una determinata funzione tipica (nella specie, di insegna) acquista il diritto sul medesimo anche in riferimento alla utilizzazione in funzioni ulteriori e diverse (nella specie, edite ditta e in tabelloni pubblicitari), ferma restando l'estensione della tutela all'ambito territoriale raggiunto in riferimento all'uso fattone.
Cass. civ. n. 13822/2004
L'art. 2572 c.c., ponendo in capo al rivenditore il divieto di sopprimere il marchio del produttore (così ribadendo la previsione dell'art. 12 R.D. 21 giugno 1942, n. 929), si riferisce all'ipotesi di prodotti o merci destinati alla circolazione, e quindi è rivolto esclusivamente a tutelare il produttore nei rapporti con il venditore e nei successivi rapporti del rivenditore con i commercianti contro eventuali alterazioni e contraffazioni del marchio; estranea, invece, alla previsione di tale norma è l'ipotesi di vendita di beni non destinati al commercio successivo, ma all'uso personale dell'acquirente.
Cass. civ. n. 14342/2003
Il preuso di un marchio di fatto con notorietà nazionale comporta tanto il diritto all'uso esclusivo del segno distintivo da parte del preutente, quanto l'invalidità del marchio successivamente registrato ad opera di terzi, venendo in tal caso a mancare (fatta salva la convalidazione di cui all'art. 48 del regio decreto 21 giugno 1942, n. 929) il carattere della novità, che costituisce condizione per ottenerne validamente la registrazione.
Cass. civ. n. 3666/2001
Può essere oggetto di registrazione come marchio il segno che, prima della domanda di registrazione, a seguito dell'uso che ne sia stato fatto, abbia acquistato carattere distintivo ed individualizzante ad onta della originaria genericità; rispetto a questo principio, posto dall'art. 19 del testo delle disposizioni legislative in materia di marchi registrati, approvato con regio decreto 21 giugno 1942, n. 929, pone una regola diversa l'art. 47 bis dello stesso regio decreto, introdotto dall'art. 43 del D.L.vo 4 dicembre 1992, n. 480, il quale, pur riguardando la convalidazione del segno originariamente non proteggibile, considera, come una norma non retroattiva, la sola ipotesi di uso successivo alla registrazione, per ricollegarvi un effetto impeditivo della dichiarazione di nullità. (Sulla base dell'enunciata massima, la S.C. ha ritenuto esente da censure l'applicazione dell'art. 18 legge marchi operata dal giudice del merito il quale, in una vicenda verificatasi anteriormente all'entrata in vigore del D.L.vo n. 480 del 1992, aveva riconosciuto legittima la pretesa di protezione del marchio nel giudizio di contraffazione in presenza di uso di segno non registrato per un decennio anteriore alla registrazione, segno che, per effetto dell'uso, aveva acquistato carattere distintivo).
Cass. civ. n. 1424/2000
In tema di marchio, non comporta violazione del precetto contenuto negli artt. 2573 c.c. e 15 R.D. n. 929 del 1942 (secondo cui il diritto esclusivo all'uso del marchio registrato può essere trasferito soltanto per effetto della contestuale cessione dell'azienda o di un ramo particolare di essa) la semplice cessione, oltre che dell'uso esclusivo del marchio, del diritto di fabbricare e vendere in esclusiva il corrispondente prodotto, nonché dei particolari elementi eventualmente indispensabili per la realizzazione del prodotto medesimo (nella specie, lemmi ingeneranti confusione con altra parola costituente marchio registrato di imprenditore concorrente), integrando tutto ciò il trasferimento di una specifica organizzazione produttiva legittimamente qualificabile come «ramo di azienda».
Cass. civ. n. 3236/1998
A norma dell'art. 9 R.D. n. 929 del 1942, in caso di preuso locale di un marchio di fatto, il preutente del marchio non registrato ha diritto di continuare l'uso di esso, anche ai fini pubblicitari, nei limiti della diffusione locale, nonostante la successiva registrazione di marchio simile od uguale da parte di altro soggetto; tuttavia, in mancanza di specifica previsione normativa in ordine al conflitto tra preutente e successivo registrante, alla luce di una lettura sistematica dell'art. 9 citato nell'ambito delle altre disposizioni della legge medesima in tema di preuso (in particolare, gli artt. 17 e 48), e tenuto conto del favor legis per il registrante desumibile sia dalla più estesa ed intensa tutela (anche penale) riservata dall'ordinamento al marchio registrato sia dagli orientamenti emergenti dalla novella del D.L.vo n. 480 del 1992 attuativa della disciplina comunitaria, è da escludere che, al di là della espressa previsione del diritto di continuare nell'uso del marchio di fatto; spetti altresì al preutente il diritto all'utilizzazione esclusiva di detto marchio nell'ambito dell'uso di fatto, e quindi il diritto di vietare al successivo registrante l'utilizzo di esso nella zona di diffusione locale, essendo invece configurabile, alla stregua del complesso delle disposizioni in materia, una sorta di regime di «duopolio» atto a consentire nell'ambito locale, la «coesistenza» del marchio preusato e di quello successivamente registrato.
Cass. civ. n. 9073/1995
Nel caso in cui un'associazione non riconosciuta, quale ente esponenziale di un determinato gruppo di imprenditori, abbia ottenuto, a norma degli art. 2570 c.c. e 2 R.D. 21 giugno 1942, n. 929, la registrazione di un marchio collettivo utilizzato dagli imprenditori associati, detta associazione, che non riveste la qualità di imprenditore e non ha lo scopo di tutelare interessi generali di categoria, ove vengano compiuti da terzi atti di abuso del marchio, mentre può ottenere ogni tutela di tipo reale nascente dalla violazione di tale diritto oltre che il risarcimento dei danni eventualmente derivanti da tale violazione, non è legittimata ad agire con l'azione di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2601 c.c.
Cass. civ. n. 6656/1995
L'art. 2573 c.c. (anteriormente alle modifiche introdottevi dal D.L.vo 4 dicembre 1992, n. 480 recante «Attuazione della direttiva CEE sul ravvicinamento della legislazione degli Stati membri in materia di marchi d'impresa») e l'art. 15 del R.D. 21 giugno 1942, n. 929, contenente disposizioni di analogo tenore, fanno divieto di cedere il marchio separatamente dall'azienda e stabiliscono inoltre la presunzione che la cessione di questa comporti la cessione di determinati marchi; dal che consegue la nullità ex art. 1418 c.c., per contrarietà a norme imperative, del contratto di cessione del marchio senza contestuale cessione dell'azienda, restando invece escluso che la sola cessione del primo implichi il sorgere della presunzione di cessione dell'azienda o del ramo di essa che realizza il prodotto al quale il marchio si riferisce.
Cass. civ. n. 2578/1995
Alla disposizione dell'art. 2573 c.c. (secondo la quale il diritto esclusivo all'uso del marchio registrato può essere trasferito solo con l'azienda o con un ramo particolare di questa), che è di stretta interpretazione, atteso il suo scopo di evitare frodi in danno del pubblico, si ottempera anche con il trasferimento del diritto di fabbricare il prodotto cui il marchio si riferisce, secondo le modalità tecniche protette dal brevetto, e con il trasferimento dei particolari elementi necessari, eventualmente, alla realizzazione del prodotto stesso. Pertanto, l'onere di provare la nullità della cessione del marchio, per mancato trasferimento dei predetti diritti ed elementi, incombe sul terzo che l'afferma.
Cass. civ. n. 3224/1994
La tutela del marchio non registrato (cosiddetto marchio di fatto) trova fondamento nella funzione distintiva che esso assolve in concreto, per effetto della notorietà presso il pubblico, e, pertanto, presuppone la sua utilizzazione effettiva, con la conseguenza che la tutela medesima non è esperibile in rapporto a segni distintivi di un'attività d'impresa mai (o da lungo tempo non) esercitata dal preteso titolare. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione del merito, la quale ha escluso la tutelabilità dei segni distintivi «targa Florio», sul presupposto che il preteso titolare degli stessi, da oltre venti anni prima dell'introduzione del giudizio, non risultava avere esercitato attività d'impresa nell'organizzazione di corse automobilistiche).
Cass. civ. n. 2301/1994
L'amministratore di una società di persone, che in forza della legge o del patto sociale compia disgiuntamente dagli altri amministratori negozi giuridici, acquistando beni che intesta a sé medesimo, è tenuto a rimettere alla società i beni mobili o immobili che siano stati oggetto, nell'esercizio delle sue funzioni, della compravendita. Ne consegue che nel caso in cui il suddetto amministratore non rimetta alla società i detti beni, questi non possono considerarsi parte del patrimonio sociale fin quando a seguito dell'esercizio dell'azione ex art. 1706 c.c. non sia ottenuto un titolo giudiziale che dichiari e o costituisca il diritto di proprietà della società su di essi.
Cass. civ. n. 3034/1993
Non comporta la violazione del precetto contenuto negli artt. 2573 c.c. e 15 D.P.R.n. 929 del 1942 (secondo cui il diritto esclusivo all'uso del marchio registrato può essere trasferito soltanto con l'azienda o con un ramo particolare di essa) la cessione, oltre dell'uso esclusivo del marchio, del diritto di fabbricare e vendere in esclusiva il corrispondente prodotto, nonché dei particolari elementi eventualmente indispensabili per la realizzazione del prodotto medesimo (nella specie, disegni e conoscenze, atte a rendere possibile la produzione dei beni già commercializzati con lo stesso marchio, e dei relativi cataloghi), integrando un trasferimento di una specifica organizzazione produttiva, qualificabile come «ramo di azienda».
Cass. civ. n. 4018/1992
La norma dell'art. 2257 c.c. (dettata per la società semplice, ma applicabile anche a quella in nome collettivo attraverso il richiamo di cui all'art. 2293 c.c.), secondo cui, quando l'amministrazione spetti disgiuntamente a più soci, ciascuno può opporsi all'operazione che un altro voglia compiere, prima che essa sia, compiuta, e sull'opposizione decide la maggioranza dei soci, va intesa nel senso che il contrasto può appuntarsi soltanto su singole operazioni e deve trovare soluzione nell'ambito del sodalizio societario; ne consegue che costituisce grave inadempienza, che giustifica l'esclusione dalla società a norma dell'art. 2286 c.c., il comportamento del socio il quale nei rapporti con i terzi (nella specie con l'invio alle banche di una lettera) disconosca in toto l'operato dei soci amministratori, incidendo così negativamente sulle attività della società.
Cass. civ. n. 9404/1987
La disposizione, contenuta nell'art. 15 del R.D. 21 giugno 1942, n. 929, secondo la quale la cessione del marchio già registrato non può avvenire se non in dipendenza del trasferimento dell'azienda o di un ramo particolare di questa, è rivolta ad assicurare l'esigenza del mercato di contare sulla continuità del rapporto tra marchio ed impresa. Pertanto detta disposizione non trova applicazione, sicché è consentito l'autonomo trasferimento del marchio, allorquando l'originario titolare del marchio stesso non abbia fabbricato o messo in commercio prodotti contrassegnati con quel marchio, non essendovi in questo caso tutela del consumatore da salvaguardare.
Cass. civ. n. 142/1985
Allorquando in base a una clausola dell'atto costitutivo l'amministrazione di una società semplice sia affidata a un consiglio di soci è configurabile non l'ipotesi dell'amministrazione disgiuntiva di cui all'art. 2257 c.c. ma dell'amministrazione congiunta dei soci designati (art. 2258 c.c.) con la conseguenza che per le relative decisioni è necessaria l'unanimità dei consensi, non trovando applicazione — in assenza di una specifica previsione pattizia — l'amministrazione fondata sul principio maggioritario, come indicato dall'art. 2388 c.c. per la società per azioni.
Cass. civ. n. 5152/1983
Un negozio traslativo dell'azienda investe, salvo deroghe previste dalla legge o dalle parti, tutti, unitariamente, i suoi componenti, nonché i rapporti costituiti per l'esercizio dell'impresa, ed anche le azioni, sebbene non ancora proposte, atte a recuperare taluno dei componenti dell'azienda che sia stato invalidamente disaggregato mediante una precedente alienazione affetta da nullità. In particolare, con l'alienazione dell'azienda rimane trasferito all'acquirente, salvo diversa pattuizione delle parti, il diritto all'uso esclusivo del marchio costituito da una denominazione di fantasia (art. 2573, comma secondo, c.c.), e quindi, ove il marchio stesso sia stato oggetto di precedente trasferimento ad altri e affetto da nullità, anche l'azione diretta a far dichiarare tale nullità ed a recuperare il marchio all'azienda medesima.
Cass. civ. n. 2060/1983
In ipotesi di registrazione di un marchio originario e di successiva registrazione di marchio protettivo, non sono applicabili i principi del preuso quando quest'ultimo sia stato usato di fatto da un terzo prima della sua registrazione, atteso che, ove un prodotto sia contraddistinto e conosciuto con un marchio originario, il preuso da parte di terzi del marchio protettivo del medesimo non è in grado di generare nel pubblico dei consumatori la conoscenza del prodotto contraddistinto con il marchio di fatto e di ottenere, pertanto, la notorietà obiettiva dell'uso dello stesso, poiché non toglie al marchio originario protetto il requisito della novità.
Cass. civ. n. 6259/1982
A norma dell'art. 2573 c.c. non occorre che la cessione del marchio sia contestuale o contemporanea al trasferimento dell'azienda, in quanto la ratio del divieto di alienazione non esige la contemporaneità dell'un trasferimento rispetto all'altro, ma richiede che la cessione del marchio possa ricollegarsi, secondo un rapporto di complementarietà economica, alla cessione dell'azienda, al fine di prevenire la possibilità di inganni e di frodi circa la provenienza del prodotto.
Cass. civ. n. 5462/1982
Perché l'uso di fatto di un marchio d'impresa non registrato goda della tutela prevista dagli artt. 2571 c.c. e 9 R.D. 21 giugno 1942, n. 929, nei limiti della sua concreta diffusione, è necessario che il marchio stesso abbia carattere distintivo e possieda i requisiti di novità ed originalità propri di quello registrato, e la relativa indagine, traducendosi in un apprezzamento di fatto, è rimessa al giudice del merito ed è sottratta al sindacato in sede di legittimità se fondata su motivazione giuridicamente corretta e logicamente congrua.
Cass. civ. n. 2024/1982
L'uso del marchio non registrato è sufficiente ad integrare la fattispecie costitutiva del segno distintivo e il correlativo acquisto del diritto assoluto sul marchio da parte di colui che, attraverso l'uso, abbia realizzato la funzione individuatrice del medesimo in presenza dei requisiti della liceità e della novità: detto uso conferisce perciò al titolare del marchio di fatto il diritto di utilizzazione esclusiva nell'ambito dell'uso di fatto, generale o locale, per lo stesso genere di prodotto, nonché il diritto di inibire l'utilizzazione, entro questi limiti, da parte di altri.
Cass. civ. n. 1108/1974
Il cessionario del marchio può valersi di fronte ai terzi, del preuso del suo dante causa, congiungendo con esso l'uso proprio. Nel conflitto fra più utenti dello stesso marchio, colui che afferma l'interruzione, da parte del preutente, dell'oggettivo uso del segno distintivo, ha l'onere di darne la prova. Il preuso del marchio di fatto attribuisce al suo titolare il diritto di utilizzazione esclusiva nell'ambito dell'uso generale o locale e nell'ambito dello stesso genere di prodotti, e quindi il diritto di inibire l'uso altrui, attraverso un'azione qualificabile come rivendicazione e perciò non soggetta a prescrizione.