Art. 345 – Codice civile – Denunzie al giudice tutelare
L'ufficiale dello stato civile, che riceve la dichiarazione di morte di una persona la quale ha lasciato figli in età minore [2] ovvero la dichiarazione di nascita di un figlio di genitori ignoti, e il notaio, che procede alla pubblicazione di un testamento [620] contenente la designazione di un tutore o di un protutore [360], devono darne notizia al giudice tutelare entro dieci giorni.
Il cancelliere, entro quindici giorni dalla pubblicazione o dal deposito in cancelleria, deve dare notizia al giudice tutelare delle decisioni dalle quali derivi l'apertura di una tutela.
I parenti entro il terzo grado [76] devono denunziare al giudice tutelare il fatto da cui deriva l'apertura della tutela entro dieci giorni da quello in cui ne hanno avuto notizia. La denunzia deve essere fatta anche dalla persona designata quale tutore [348] o protutore [360] entro dieci giorni da quello in cui ha avuto notizia della designazione.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 17266/2024
In tema di licenziamento per ritorsione, l'onere di provare l'efficacia determinativa esclusiva del motivo ritorsivo grava sul lavoratore, il quale può assolverlo anche a mezzo di presunzioni; a tal fine, in caso di licenziamento irrogato per condotta disciplinarmente rilevante in astratto, la sproporzione della sanzione espulsiva rispetto alla gravità dell'addebito può avere rilievo presuntivo, tenuto conto anche della scala valoriale espressa dalla contrattazione collettiva, della ricorrenza del motivo ritorsivo, quale fattore unico e determinante del recesso, se la ragione addotta a suo fondamento risulta meramente formale, apparente o, comunque, pretestuosa, fermo restando che tale fattore non è desumibile solo dalla mancata integrazione, per difetto di proporzionalità, dei parametri normativi della giusta causa.
Cass. civ. n. 5316/2024
Le prestazioni accessorie rese dalla società datrice di lavoro, ex art. 2345 c.c., a favore di altra società, in quanto socia della stessa, ed aventi contenuto omogeneo a quello delle prestazioni di lavoro rese dai dipendenti a favore della prima, non hanno rilevanza nei confronti dei lavoratori, in quanto essi sono terzi rispetto al rapporto societario, sicché tra la società datrice di lavoro e la s.p.a. è configurabile, rispetto ai lavoratori, un rapporto di appalto di servizi; ne consegue che il committente è obbligato solidalmente alla corresponsione dei trattamenti retributivi ai dipendenti dell'appaltatore, ex art. 29 del d.lgs. 276 del 2003, per cui deve escludersi che l'azione diretta proposta nei confronti della società committente possa essere dichiarata improcedibile ove venga aperta una procedura concorsuale nei confronti della società appaltatrice, non ricorrendo alcun rapporto di inscindibilità tra le azioni esperibili nei confronti delle due società. (Nel caso di specie, la S.C. ha cassato con rinvio la pronuncia di merito che, pur avendo qualificato il rapporto tra le due società alla stregua di un appalto di servizi, aveva dichiarato improcedibile l'azione diretta intentata nei confronti della committente dai dipendenti della società posta in liquidazione coatta amministrativa).
Cass. civ. n. 24242/2023
I conferimenti annuali di prodotti, eseguiti dal socio imprenditore agricolo alla cooperativa agricola di conferimento o di trasformazione, trovano titolo nel contratto sociale che prevede la relativa obbligazione e non costituiscono oggetto di una prestazione accessoria ex art. 2345 c.c.; ne consegue che la consegna dei prodotti non determina l'operatività del principio di corrispettività e non fa sorgere in capo al socio il diritto a un corrispettivo, ma una mera aspettativa alla remunerazione del proprio conferimento, che può anche mancare e che è integrata dall'attribuzione "pro quota" ai soci del profitto conseguito dalla cooperativa tramite l'attività di impresa. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso il diritto alla remunerazione del conferimento di latte effettuato da un socio a una cooperativa agricola a r.l., che, a causa di una grave crisi del settore lattiero-caesario, aveva subito una perdita di esercizio).
Cass. civ. n. 6838/2023
In tema di licenziamento ritorsivo, l'accoglimento della domanda di accertamento della nullità è subordinata alla verifica che l'intento di vendetta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di risolvere il rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, rispetto ai quali va quindi escluso ogni giudizio comparativo.
Cass. civ. n. 4849/2023
Sussiste la necessità di rispettare il litisconsorzio necessario solo allorquando l'azione tenda alla costituzione o alla modifica di un rapporto plurisoggettivo unico, ovvero all'adempimento di una prestazione inscindibile comune a più soggetti, così che non ricorre tale esigenza allorché il giudice proceda, in via meramente incidentale, ad accertare una situazione giuridica che riguardi anche un terzo, dal momento che gli effetti di tale accertamento non si estendono a quest'ultimo, il quale, peraltro, non subisce alcun pregiudizio, stante l'inidoneità dell'accertamento incidentale a costituire giudicato nei suoi confronti. (Principio affermato in tema di azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ex art. 2392 c.c., nella quale si invocava la nullità di una transazione al limitato fine di dimostrare la violazione dei doveri gestori commessa dai convenuti, con conseguente esclusione della necessità di partecipazione al giudizio da parte del terzo contraente).
Cass. civ. n. 15844/2022
In assenza di una norma che vieti, in via generale, di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non è, di per sé, illecito, sicché la sua conclusione non è nulla per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alle parti, apprestando l'ordinamento, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, dei rimedi speciali che comportano, in presenza di particolari condizioni, l'applicazione della sola sanzione dell'inefficacia. (In attuazione del predetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto valido il contratto di mutuo stipulato tra due sorelle, allo scopo di far figurare l'esistenza di una posizione debitoria in capo a una di esse, nell'ambito del giudizio di divorzio).
Cass. civ. n. 9468/2019
In tema di licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. deve essere determinante, cioè costituire l'unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all'applicazione della tutela prevista dall'art. 18, comma 1, st.lav. novellato, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, invece di vagliare in via preliminare il giustificato motivo oggettivo addotto, aveva operato un indebito giudizio di comparazione tra i motivi ritorsivi indicati dal lavoratore e le ragioni datoriali).
Cass. civ. n. 30429/2018
Il nuovo testo dell'art. 18 della l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, ha previsto, ai fini della nullità del licenziamento, la rilevanza del motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., anche non necessariamente unico, il cui carattere determinante può restare escluso dall'esistenza di un giustificato motivo oggettivo solo ove quest'ultimo risulti non solo allegato dal datore di lavoro, ma anche comprovato e, quindi, tale da poter da solo sorreggere il licenziamento, malgrado il concorrente motivo illecito.
Cass. civ. n. 15093/2009
Il licenziamento nullo per illiceità del motivo (nella specie, dettato da finalità elusive di precedente pronuncia giudiziale di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro) è insuscettibile di produrre qualsiasi effetto, con la conseguenza che al lavoratore licenziato, indipendentemente dai requisiti dimensionali dell'impresa, spettano per intero, in base alle regole di diritto comune, le retribuzioni maturate in forza del rapporto di lavoro mai interrotto e parte datoriale deve essere condannata a riammetterlo in servizio ed a versare i contributi previdenziali ed assistenziali dal momento del recesso.
Cass. civ. n. 11555/2008
In tema di società cooperativa, in difetto di una clausola statutaria che attribuisca detto potere o comunque preveda la possibilità di chiedere contributi finanziari per l'espletamento dell'attività della cooperativa e per il perseguimento dello scopo sociale non spetta né al consiglio di amministrazione, né all'assemblea, il potere di imporre al socio un versamento in denaro ulteriore rispetto, non solo all'iniziale conferimento, ma anche al piano finanziario, che ha previsto l'importo delle spese che ciascun socio è tenuto ad erogare per il raggiungimento del fine sociale.
Cass. civ. n. 20197/2005
La norma dettata dall'art. 1345 c.c. che, derogando al principio secondo il quale i motivi dell'atto di autonomia privata sono di regola irrilevanti, eccezionalmente qualifica illecito il contratto determinato da un motivo illecito comune alle parti, in virtù del disposto di cui all'art. 1324 c.c., trova applicazione anche rispetto agli atti unilaterali, laddove essi siano finalizzati esclusivamente al perseguimento di scopi riprovevoli ed antisociali, rinvenendosi l'illiceità del motivo, al pari della illiceità della causa, a mente dell'art. 1343 c.c., nella contrarietà dello stesso a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume. Ne consegue che, sussistendone le condizioni di fatto, deve qualificarsi affetto da motivo illecito e quindi nullo, ai sensi dell'art. 1418, secondo comma, c.c., l'atto di recesso da un rapporto di agenzia che, diretto nei confronti di un agente costituito in forma di società di persone, risulti ispirato dalla sola finalità di rappresaglia e di ritorsione nei confronti del comportamento sindacale tenuto dai soci di quest'ultima, dovendosi ritenere un siffatto motivo contrario alle norme imperative poste a tutela delle libertà sindacali dei lavoratori, norme che, in ragione del valore e della tutela, che lo stesso dettato costituzionale assegna al «lavoro», nella sua accezione più ampia, appaiono estensibili, al di fuori dei rapporti di lavoro subordinato, a tutti coloro che svolgono attività lavorativa, anche se in forma parasubordinata o autonoma.
Cass. civ. n. 14523/2000
Le prestazioni a carattere accessorio e non consistenti in conferimenti in danaro che, a norma dell'art. 2345 c.c., l'atto costitutivo può porre a carico dei soci di società per azioni, costituiscono adempimento di obbligazioni sociali e non di obbligazioni inerenti ad un rapporto contrattuale diverso e distinto da quello sociale, ancorché ad esso collegato; ne consegue che, in caso di inadempimento, vanno irrogate a norma del citato art. 2345, le sanzioni stabilite, per questa inosservanza, dall'atto costitutivo, dovendo perciò escludere che l'assemblea dei soci possa irrogare all'inadempiente una sanzione diversa da quella prevista.
Cass. civ. n. 2557/1997
Le prestazioni espletate dal socio di una cooperativa di lavoro, che non sono riconducibili ad un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato, sicché non trova applicazione la disciplina delle mansioni dettate dall'art. 2103 c.c., non possono neppure considerarsi accessorie ai sensi dell'art. 2345 c.c., dettato per le società per azioni ed applicabile alle cooperative ai sensi dell'art. 2516 c.c., nei limiti della compatibilità con la disciplina speciale prevista per queste ultime, in quanto sono essenziali ed obbligatorie; conseguentemente non occorre il consenso, di tutti i soci per la modifica delle mansioni assegnate al socio.
Cass. civ. n. 4747/1995
Anche nei casi in cui sia ancora ammissibile il licenziamento ad nutum, ai sensi dell'art. 2118 c.c., è nullo il licenziamento determinato in maniera esclusiva da un motivo illecito (nella specie, intimato per ritorsione all'azione giudiziaria proposta dal lavoratore).
Cass. civ. n. 10603/1993
Il motivo illecito - che, se comune ad entrambe le parti e determinante per la stipulazione, determina la nullità del contratto - si identifica con una finalità vietata dall'ordinamento, poiché contraria a norma imperativa o ai principi dell'ordine pubblico o del buon costume, ovvero poiché diretta ad eludere, mediante detta stipulazione, una norma imperativa. Pertanto, l'intento delle parti di recare pregiudizio ad altri, ove non sia riconducibile ad una di tali fattispecie, non è illecito, non rinvenendosi nell'ordinamento una norma che sancisca in via generale, come per il contratto in frode alla legge, l'invalidità del contratto in frode dei terzi, ai quali, invece, l'ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio che essi possano risentire dall'altrui attività negoziale.
Cass. civ. n. 7983/1991
Quando per un negozio che si pone in contrasto diretto con una norma imperativa è prevista una sanzione diversa dalla nullità assoluta, tale nullità non può essere affermata in base alla eventuale illiceità dei motivi, i quali sono da considerare giuridicamente irrilevanti.
Cass. civ. n. 755/1982
L'illiceità del motivo, che sia stato il solo a determinare la volontà della parte, comporta, ai sensi degli artt. 1324 e 1345 c.c., la nullità del negozio unilaterale causale.
Cass. civ. n. 2453/1971
Il motivo illecito importa, a norma dell'art. 1345 c.c., la nullità del contratto quando sia stato il solo a determinare, in concreto, l'intento negoziale di entrambi i contraenti in relazione al contratto nella sua interezza. Pertanto, l'illiceità del motivo di una delle parti non determina la nullità del contratto, qualora l'altra parte, pur essendone a conoscenza, abbia concluso il contratto per un proprio diverso motivo.