Art. 428 – Codice civile – Atti compiuti da persona incapace d’intendere o di volere
Gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta [414], si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d'intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all'autore.
L'annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d'intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell'altro contraente [1425].
L'azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l'atto o il contratto è stato compiuto [1442].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 25575/2023
L'esercizio dell'opzione circa il periodo di liquidazione IVA è riconducibile ad una manifestazione di autonomia negoziale diretta ad incidere sull'obbligazione tributaria e sul conseguente assoggettamento all'imposta; ne consegue che, in caso di acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione dei dati fiscali, tale scelta non può essere assimilata ad un mero errore, costituendo esercizio di un potere discrezionale del contribuente, come tale non emendabile.
Cass. civ. n. 11993/2023
- Conseguenze - Annullamento per errore determinante - Natura formale o sostanziale della violazione - Rilevanza - Esclusione - Ragioni. La scelta di avvalersi del ravvedimento operoso ex art. 13 d.lgs. n. 472 del 1997 è di carattere negoziale, costituendo dichiarazione di volontà suscettibile di annullamento per errore determinante; pertanto, ai fini dell'istanza di rimborso delle somme così versate, rileva esclusivamente l'errore, essenziale e riconoscibile, ex art. 1428 c.c., in cui sia caduto il contribuente nel momento in cui ha operato il ravvedimento, e non la natura, formale o sostanziale, della violazione, o la mancanza "ab origine" dei presupposti sanzionatori, poiché ancorare l'istanza di rimborso a tali elementi è in contrasto con la libera scelta di soddisfare la pretesa tributaria senza porla in discussione, beneficiando peraltro di un trattamento sanzionatorio ridotto.
Cass. civ. n. 35466/2022
In tema di annullamento di procura a vendere e del successivo contratto di compravendita per incapacità naturale del rappresentato all'atto del conferimento della procura, la presunzione di incapacità intermedia conseguente alla dimostrazione della stessa con riguardo ad un momento successivo e precedente postula in ogni caso il carattere rigoroso della valutazione della prova da parte del giudice con riferimento all'incapacità naturale successiva e precedente l'atto oggetto di impugnazione, senza che, del resto, possa ritenersi a tal fine sufficiente l'esistenza di un giudicato penale con cui sia stata dichiarata l'incapacità naturale del rappresentato giacché, in applicazione del principio di autonomia e separazione dei giudizi penale e civile, il giudice civile deve procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità con pienezza di cognizione, non essendo vincolato alle soluzioni e qualificazioni del giudice penale.
Cass. civ. n. 29962/2022
Ai fini dell'annullamento del contratto per incapacità naturale - a differenza di quanto previsto per l'annullamento dell'atto unilaterale - non rileva, di per sé, il pregiudizio che il contratto provochi o possa provocare all'incapace, poiché tale pregiudizio rappresenta solamente un indizio della malafede dell'altro contraente; la diversità di disciplina contenuta nell'art. 428 c.c., infatti, sottende la diversa rilevanza sociale degli atti unilaterali rispetto a quella dei contratti, poiché nei primi è preminente l'interesse dell'incapace a controllare le conseguenze degli atti compiuti, mentre nei secondi è prioritario l'interesse alla certezza del contratto e alla tutela dell'affidamento della controparte che, non essendo in mala fede, abbia confidato sulla sua validità.
Cass. civ. n. 17381/2021
Qualora la domanda di annullamento di un contratto per incapacità naturale abbia ad oggetto un contratto di compravendita, il fatto che il giudice di merito non abbia tenuto in alcuna considerazione il divario tra il prezzo di mercato ed il prezzo esposto nel contratto implica un vizio di motivazione della sentenza, in quanto tale elemento, se accertato, costituisce un importante sintomo rivelatore della malafede dell'altro contraente. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 04/05/2015).
Cass. civ. n. 19807/2020
L'esercizio dell'azione di annullamento del contratto per incapacità di intendere e volere di uno dei contraenti, che sia successivamente deceduto, sebbene possa compiersi da parte di uno solo dei coeredi, anche in contrasto con gli altri, implica comunque il litisconsorzio necessario di tutti, giacché, come la sentenza di annullamento deve investire l'atto negoziale non limitatamente ad un soggetto, ma nella sua interezza, posto che esso non può essere contemporaneamente valido per un soggetto e invalido per un altro, così anche l'eventuale restituzione non può avvenire "pro quota". (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 23/12/2015).
Cass. civ. n. 15665/2019
Il lodo arbitrale irrituale - come la perizia contrattuale - per la sua natura, "quoad effectum", negoziale, essendo volto a integrare una manifestazione di volontà negoziale con funzione sostitutiva di quella delle parti in conflitto, e per esse vincolante, è impugnabile soltanto per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale. Pertanto, l'errore del giudizio arbitrale, per essere rilevante, secondo la previsione dell'art. 1428 c.c., deve essere sostanziale - o essenziale - e riconoscibile - artt. 1429 e 1431 c.c. - e cioè, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, devono essere gli arbitri incorsi in una falsa rappresentazione o alterata percezione degli elementi di fatto determinata dall'aver ritenuto esistenti fatti che certamente non lo sono e viceversa, ovvero contestati fatti che tali non sono - analogamente all'errore revocatorio contemplato, per i provvedimenti giurisdizionali, dall'art. 395 n. 4 c.p.c. - mentre non rileva l'errore degli arbitri che attiene alla determinazione da essi adottata in base al convincimento raggiunto dopo aver interpretato ed esaminato gli elementi acquisiti, ivi compresi i criteri di valutazione indicati dalle parti, perché costoro, nel dare contenuto alla volontà delle parti, esplicano un'attività interpretativa e non percettiva, che si trasfonde nel giudizio loro demandato e che, per volontà delle medesime, è inoppugnabile, pur essendo un negozio stipulato tramite i rispettivi arbitri-mandatari.
Cass. civ. n. 20321/2019
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l'errore nella determinazione del canone a misura, che sia stato specificamente pattuito sia con riferimento alla base di calcolo, sia con riferimento al risultato finale, collocandosi nel momento della formazione della volontà negoziale, e non in quello dell'esecuzione del contratto, non legittima direttamente all'azione di ripetizione di indebito, trovando il pagamento della somma convenuta giustificazione nell'accordo contrattuale, il quale rimane valido ed efficace fino a quando il vizio del consenso non venga fatto valere con l'azione di annullamento e questa non trovi accoglimento.
Cass. civ. n. 31237/2019
Sebbene le denunce dei redditi costituiscano di norma delle dichiarazioni di scienza e possano, quindi, essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, le scelte che il contribuente può, in quest'ambito, operare attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall'erario, ad esempio per avvalersi di un beneficio fiscale, implicano una manifestazione di volontà, cui la concessione del beneficio è subordinata, avente valore di atto negoziale, la quale è, in quanto tale, irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall'amministrazione. Ne consegue che l'esercizio della facoltà di opzione riconosciuta al contribuente di volersi o meno uniformare agli studi di settore, costituendo manifestazione di volontà negoziale diretta ad incidere sull'obbligazione tributaria e sul conseguente effetto vincolante di assoggettamento all'imposta, è estranea all'ipotesi di emendabilità degli errori, tipicamente materiali o formali, commessi nella dichiarazione fiscale, assumendo rilevanza, eventuali errori della volontà espressa dal contribuente, soltanto ove sussistano i requisiti di essenzialità e riconoscibilità dell'errore ex art. 1428 c.c., applicabile, ai sensi dell'art. 1324 c.c., anche agli atti negoziali unilaterali diretti ad un destinatario determinato.
Cass. civ. n. 4232/2019
In caso di annullamento, ex art. 428 c.c., delle dimissioni presentate dal lavoratore in stato di incapacità naturale, le conseguenze risarcitorie decorrono dalla data della domanda giudiziaria, secondo il principio generale per cui la durata del processo non deve andare a detrimento della parte vincitrice. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 16/07/2015).
Cass. civ. n. 274/2018
L'errore ostativo consiste nella difformità fra la volontà, come stato soggettivo interno, e la sua manifestazione, e postula che entrambe si riferiscano allo stesso soggetto, cioè all'autore dell'atto volitivo, anche quando questi si serva, per la comunicazione di esso, dell'opera di terzi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito - di accoglimento di domanda di costituzione di rapporto di lavoro privato - che aveva ravvisato detto errore nella mancata previsione nell'avviso di selezione, predisposto dal Centro per l’impiego per la società interessata alla provvista di personale ma in difformità delle istruzioni ricevute, della clausola che poneva, come condizione per l’assunzione, l’attualità del requisito della lunga disoccupazione).
Cass. civ. n. 24208/2018
Ove il contenuto del contratto, così come risulta materialmente redatto, non corrisponda, quanto alle espressioni usate, alla comune, reale volontà delle parti, per erronea formulazione, redazione o trascrizione di elementi di fatto ad esso afferenti, deve ritenersi, ancorché la discordanza non emerga "prima facie" dalle tavole negoziali, che tale situazione non integri alcuna delle fattispecie dell'errore ostativo e che, di conseguenza, non trovi applicazione la normativa dettata in materia di annullamento del contratto per detto vizio, vertendosi, piuttosto, in tema di mero errore materiale, ricostruibile con ogni mezzo di prova, al di là della forma di volta in volta richiesta per il contratto cui afferisce, onde consentire al giudice la formazione di un corretto convincimento circa la reale ed effettiva volontà dei contraenti.
Cass. civ. n. 30404/2018
La dichiarazione dei redditi affetta da errori è emendabile con limitato riguardo ai dati riferibili ad esternazioni di scienza o di giudizio, mentre, nel caso di errori relativi all'indicazione di dati costituenti espressione di volontà negoziale,il contribuente ha l'onere, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui agli artt. 1427 e ss. c.c., di fornire la prova della riconoscibilità e dell'essenzialità di detti errori.(Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha escluso, sul presupposto che la mancata scelta del contribuente di affrancare gratuitamente il disavanzo di fusione ex art. 6 del d.lgs. n. 358 del 1997, in alternativa all'iscrizione di una posta a titolo di avviamento, abbia valenza negoziale, che integri un'ipotesi di errore riconoscibile e quindi emendabile l'omessa compilazione dei righi RR24-RR29 della dichiarazione).
Cass. civ. n. 11004/2018
I casi di sospensione della prescrizione sono tassativamente indicati dalla legge e sono insuscettibili di applicazione analogica e di interpretazione estensiva, in quanto il legislatore regola inderogabilmente le cause di sospensione, limitandole a quelle che consistono in veri e propri impedimenti di ordine giuridico, con esclusione degli impedimenti di mero fatto; ne consegue che la espressa previsione della interdizione per infermità di mente come causa di sospensione impedisce l'estensione della medesima disciplina alla incapacità naturale.
Cass. civ. n. 12658/2018
L'atto interruttivo della prescrizione, quale mero atto unilaterale recettizio, produce effetti anche quando il suo destinatario sia un incapace naturale, purché gli pervenga nel rispetto delle previsioni di cui agli artt. 1334 e 1335 c.c.
Cass. civ. n. 21701/2018
Nell'ipotesi di annullamento delle dimissioni presentate da un lavoratore subordinato (nella specie, perché in stato di incapacità naturale), le retribuzioni spettano dalla data della sentenza che dichiara l'illegittimità delle dimissioni, in quanto il principio secondo cui l'annullamento di un negozio giuridico ha efficacia retroattiva non comporta anche il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate dalla data delle dimissioni a quella della riammissione al lavoro, che, stante la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro, non sono dovute in mancanza della prestazione, salvo espressa previsione di legge. (Cassa e decide nel merito, CORTE D'APPELLO PALERMO, 30/07/2012).
Cass. civ. n. 30126/2018
Ai fini della sussistenza di una situazione di incapacità di intendere e di volere ex art. 428 c.c., costituente causa di annullamento del negozio, non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente un turbamento psichico tale da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all'importanza dell'atto che sta per compiere. Laddove si controverta della sussistenza di una simile situazione in riferimento alle dimissioni del lavoratore subordinato, il relativo accertamento deve essere particolarmente rigoroso, in quanto le dimissioni comportano la rinunzia al posto di lavoro - bene protetto dagli artt. 4 e 36 Cost. - sicché occorre verificare che da parte del lavoratore sia stata manifestata in modo univoco l'incondizionata e genuina volontà di porre fine al rapporto. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 09/01/2017).
Cass. civ. n. 24738/2017
In tema di annullamento del contratto per errore è necessario accertare, da un lato, se la parte caduta in errore si sia indotta alla stipula del contratto in base ad una distorta rappresentazione della realtà, determinante ai fini della conclusione del negozio, e, dall'altro, se con l'uso della normale diligenza l'altro contraente avrebbe potuto rendersi conto dell'altrui errore, non essendo richiesto che l'errore sia stato riconosciuto in concreto, bensì l'astratta possibilità di tale riconoscimento, in una persona di media avvedutezza. L'indagine del giudice di merito sul concorso degli elementi indicati si risolve in un accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità se sorretto da congrua e logica motivazione.
Cass. civ. n. 13659/2017
Ai fini della sussistenza dell'incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento del negozio ex art. 428 c.c., non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente che esse siano menomate, sì da impedire comunque la formazione di una volontà cosciente; la prova di tale condizione non richiede la dimostrazione che il soggetto, al momento di compiere l'atto, versava in uno stato patologico tale da far venir meno, in modo totale e assoluto, le facoltà psichiche, essendo sufficiente accertare che queste erano perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio e, quindi, il formarsi di una volontà cosciente, e può essere data con ogni mezzo o in base ad indizi e presunzioni, che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi per la sua configurabilità, essendo il giudice di merito libero di utilizzare, ai fini del proprio convincimento, anche le prove raccolte in un giudizio intercorso tra le stesse parti o tra altre, secondo una valutazione incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da congrue argomentazioni, scevre da vizi logici ed errori di diritto.
Cass. civ. n. 16888/2017
L'esonero dalla ripetizione della prestazione ricevuta dalla parte, in ipotesi di annullamento del contratto per sua incapacità, prescinde dalla buona o malafede dell'altro contraente e dipende esclusivamente dalla circostanza oggettiva che detto annullamento sia avvenuto in conseguenza di tale incapacità, presumendo la legge che l’incapace abbia mal disposto del suo patrimonio e dissipato la prestazione conseguita, non traendone profitto; grava, pertanto, sull'altro contraente, che intenda ottenere la restituzione della prestazione corrisposta, l'onere di dimostrare che l'incapace ne ha tratto vantaggio, indipendentemente dal proprio stato soggettivo.
Cass. civ. n. 4316/2016
In tema di incapacità naturale conseguente ad infermità psichica (nella specie, demenza senile grave), accertata la totale incapacità di un soggetto in due periodi prossimi nel tempo, la sussistenza di tale condizione è presunta, "iuris tantum", anche nel periodo intermedio, sicché la parte che sostiene la validità dell'atto compiuto è tenuta a provare che il soggetto ha agito in una fase di lucido intervallo o di remissione della patologia.
Cass. civ. n. 19458/2015
Ai fini dell'annullamento di un contratto, perché concluso in stato d'incapacità naturale, il gravissimo pregiudizio a carico dell'incapace costituisce elemento indiziario dell'ulteriore requisito della malafede dell'altro contraente, ma, di per sé, non è idoneo a costituirne la prova. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva respinto la domanda di annullamento di un accordo transattivo, non avendo il lavoratore assolto all'onere di allegazione e prova circa la sussistenza del requisito della malafede dell'altro contraente).
Cass. civ. n. 17977/2011
Ai fini della sussistenza della incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento del negozio (nella specie, dimissioni), non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la menomazione di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all'atto che sta per compiere. La valutazione in ordine alla gravità della diminuzione di tali capacità è riservata al giudice di merito e non è censurabile in cassazione se adeguatamente motivata, dovendo l'eventuale vizio della motivazione emergere, in ogni caso, direttamente dalla sentenza e non dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.
Cass. civ. n. 8886/2010
In caso di dimissioni presentate dal lavoratore in stato di incapacità naturale, il diritto a riprendere il lavoro sorge con la sentenza di annullamento ai sensi dell'art. 428 c.c., i cui effetti retroagiscono al momento della domanda giudiziaria in applicazione del principio generale secondo cui la durata del processo non deve andare a detrimento della parte vincitrice. Ne consegue che anche il diritto alle retribuzioni maturate sorge solo dalla data della domanda giudiziale, dovendosi escludere che l'efficacia totalmente ripristinatoria dell'annullamento del negozio unilaterale risolutivo del rapporto di lavoro si estenda al diritto alla retribuzione che, salvo diversa espressa eccezione di legge, non è dovuta in mancanza dell'attività lavorativa.
Cass. civ. n. 4677/2009
Ai fini dell'annullamento del contratto per incapacità di intendere e di volere, ai sensi dell'art. 428, secondo comma, cod. civ., non è richiesta, a differenza dell'ipotesi del primo comma, la sussistenza di un grave pregiudizio, che, invece, costituisce indizio rivelatore dell'essenziale requisito della mala fede dell'altro contraente; quest' ultima risulta o dal pregiudizio anche solo potenziale, derivato all'incapace, o dalla natura e qualità del contratto, e consiste nella consapevolezza che l'altro contraente abbia avuto della menomazione della sfera intellettiva o volitiva del contraente. Peraltro, la prova dell'incapacità deve essere rigorosa e precisa ed il suo apprezzamento, riservato al giudice del merito, non è censurabile in sede di legittimità tranne che per vizi logici o errori di diritto.
Cass. civ. n. 7292/2008
Le dimissioni del lavoratore subordinato costituiscono atto unilaterale recettizio (avente contenuto patrimoniale) a cui sono applicabili, ai sensi dell'art. 1324 c.c., le norme sui contratti, salvo diverse disposizioni di legge. Ne consegue che l'atto delle dimissioni è annullabile, secondo la disposizione generale di cui all'art. 428, comma primo, c.c., ove il dichiarante provi di trovarsi, al momento in cui è stato compiuto, in uno stato di privazione delle facoltà intellettive e volitive — anche parziale purché tale da impedire la formazione d'una volontà cosciente — dovuto a qualsiasi causa, pure transitoria, e di aver subito un grave pregiudizio a causa dell'atto medesimo, senza che sia richiesta — a differenza che per i contratti, per i quali vige la specifica disposizione di cui al secondo comma dell'art. 428 c.c. — la malafede del destinatario.
Cass. civ. n. 5429/2006
La parte che chiede l'annullamento del contratto per errore essenziale sulle qualità del bene ha l'onere di dedurre e provare, in caso di contestazione, i fatti dai quali tale qualità risulta, nonché l'essenzialità dell'errore e la sua riconoscibilità dalla controparte con l'uso dell'ordinaria diligenza, mentre la scusabilità dell'errore che abbia viziato la volontà del contraente al momento della conclusione del contratto è irrilevante ai fini dell'azione di annullamento, poiché deve aversi riguardo alla riconoscibilità dell'errore da parte dell'altro contraente.
Cass. civ. n. 4967/2005
L'incapacità di intendere e di volere, prevista nell'art. 428 c.c. quale causa d'annullamento del negozio giuridico (artt. 1425, secondo comma e 1324 c.c.) e detta anche incapacità naturale, consiste nella transitoria impossibilità di rendersi conto del contenuto e degli effetti dell'atto giuridico che si compie e non può essere data da dispiaceri anche gravi, quale ad esempio la consapevolezza di una malattia propria, o di un prossimo familiare, salvo che essa abbia cagionato una patologica alterazione mentale. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza impugnata che, con motivazione adeguata e priva di vizi logici giuridici, in un caso di dimissioni della lavoratrice, aveva escluso la sussistenza della detta situazione patologica, osservando che, prima di scrivere la lettera di dimissioni, la medesima lavoratrice si era consultata con un rappresentante sindacale e che, comunque, un'alterazione mentale non poteva essere determinata dal proposito, manifestato dalla datrice di lavoro, di denunciare alla polizia la sottrazione di merce, non essendo ragionevole impedire a chi ha subito, o ha ritenuto di subire, un furto di esprimere la volontà di rivolgersi alla polizia, a causa del pericolo di turbare la psiche del presunto reo).
Cass. civ. n. 2210/2004
Qualora sia proposta domanda di annullamento di un contratto per incapacità naturale, l'indagine relativa alla sussistenza dello stato di incapacità del soggetto che abbia stipulato il contratto ed alla malafede di colui che contrae con l'incapace di intendere e di volere si risolve in un accertamento in fatto demandato al giudice di merito, sottratto al sindacato del giudice di legittimità ove congruamente e logicamente motivato. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da vizi la sentenza di merito, che aveva ritenuto irrilevante la circostanza che l'atto di alienazione avesse coinvolto tutti i beni immobili di proprietà dell'alienante, in quanto — essendo questa in età avanzata — la vendita poteva essere giustificata dall'esigenza di procurarsi i mezzi economici per provvedere alle spese necessarie per essere assistita e curata, ed aveva ritenuto non provata la malafede dei terzi acquirenti, in assenza di elementi probatori relativi ad un loro rapporto interpersonale con l'anziana venditrice).
Cass. civ. n. 515/2004
Ai fini dell'annullamento di un negozio per incapacità naturale non è necessaria una malattia che annulli in modo assoluto le facoltà psichiche del soggetto, essendo sufficiente un turbamento psichico risalente al momento della conclusione del negozio tale da menomare gravemente, anche senza escluderle, le facoltà volitive ed intellettive, che devono risultare diminuite in modo da impedire o ostacolare una seria valutazione dell'atto o la formazione di una volontà; l'accertamento di tale incapacità costituisce valutazione di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto viziata per insufficiente motivazione la sentenza di merito in cui il giudice, pur rilevando nel lavoratore che agiva per l'annullamento delle proprie dimissioni perché rassegnate in stato di incapacità naturale un quadro psichico connotato da aspetti patologici, non aveva verificato l'incidenza causale tra l'alterazione mentale del lavoratore e le ragioni soggettive che lo avevano spinto alle dimissioni, né le circostanze di fatto in cui esse erano maturate, omettendo di verificare se la dichiarazione di dimissioni — resa da una lavoratrice che non aveva maturato trattamento pensionistico e il cui marito era in quel momento disoccupato — fosse stata effettivamente frutto di una scelta consapevole o fosse stata resa in un momento di alterata percezione sia della situazione di fatto che delle conseguenze dell'atto che andava a compiere).
Cass. civ. n. 16679/2004
L'errore, quale vizio della volontà, assume rilevanza quando incida sul processo formativo del consenso, dando origine ad una falsa o distorta rappresentazione della realtà, a cagione della quale la parte si sia indotta a manifestare la propria volontà. Pertanto, l'effetto invalidante dell'errore è subordinato, prima ancora che alla sua essenzialità o riconoscibilità, alla circostanza (della cui prova è onerata la parte che deduce il vizio del consenso) che la volontà sia stata manifestata in presenza di tale falsa rappresentazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso l'errore in relazione alla condotta di un assicurato che aveva prima richiesto all'INPS la costituzione di una posizione assicurativa e poi all'INAIL la corresponsione dell'assegno vitalizio, richiesta, quest'ultima, che veniva a precludere la costituzione della posizione presso l'INPS).
Cass. civ. n. 4834/2002
L'art. 75 c.p.c., nell'escludere la capacità processuale delle persone che non hanno il libero esercizio dei propri diritti, si riferisce solo a quelle che siano state legalmente private della capacità di agire con una sentenza di interdizione o di inabilitazione o con provvedimento di nomina di un tutore o di un curatore provvisorio e non alle persone colpite da incapacità naturale. Pertanto, poiché l'incapacità processuale è collegata all'incapacità di agire di diritto sostanziale e non alla mera incapacità naturale, l'incapace naturale conserva la piena capacità processuale sino a quando non sia stata pronunciata nei suoi confronti una sentenza di interdizione, ovvero non gli sia stato nominato, durante il giudizio che fa capo a tale pronuncia, il tutore provvisorio ai sensi dell'art. 419 c.c.