Art. 429 – Codice civile – Revoca dell’interdizione e dell’inabilitazione
Quando cessa la causa dell'interdizione [414] o dell'inabilitazione [415], queste possono essere revocate su istanza del coniuge, dei parenti entro il quarto grado [74, 76] o degli affini entro il secondo grado [78], del tutore dell'interdetto [424], del curatore dell'inabilitato o su istanza del pubblico ministero.
Il giudice tutelare deve vigilare per riconoscere se la causa dell'interdizione o dell'inabilitazione continui. Se ritiene che sia venuta meno, deve informarne il pubblico ministero [750 c.p.c.].
Se nel corso del giudizio per la revoca dell'interdizione o dell'inabilitazione appare opportuno che, successivamente alla revoca, il soggetto sia assistito dall'amministratore di sostegno, il tribunale, d'ufficio o ad istanza di parte, dispone la trasmissione degli atti al giudice tutelare.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 13446/2023
In tema di intermediazione finanziaria, gli obblighi informativi gravanti sull'intermediario, che devono essere assolti prima dell'acquisto dei prodotti finanziari, non riguardano direttamente la natura e l'oggetto del contratto, ma gli elementi utili per valutare la convenienza dell'operazione e non sono quindi idonei a integrare l'ipotesi di annullabilità del contratto per errore, giacché la doglianza dell'investitore inerente all'acquisto di un titolo privo del positivo andamento sperato resta confinata nell'irrilevante sfera dei motivi.
Cass. civ. n. 17053/2021
In tema di compravendita delle azioni di una società, che si assume stipulata ad un prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, senza che il venditore abbia prestato alcuna garanzia in ordine alla situazione patrimoniale della società stessa, il valore economico dell'azione non rientra tra le qualità di cui all'art. 1429, n. 2, c.c., relativo all'errore essenziale, essendo la determinazione del prezzo delle azioni rimessa alla libera volontà delle parti. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha considerato priva di rilievo la circostanza che il valore delle azioni, oggetto della cessione, fosse inferiore al corrispettivo pattuito, a causa dell'esistenza di debiti non dichiarati nel bilancio pubblicato).
Cass. civ. n. 15665/2019
Il lodo arbitrale irrituale - come la perizia contrattuale - per la sua natura, "quoad effectum", negoziale, essendo volto a integrare una manifestazione di volontà negoziale con funzione sostitutiva di quella delle parti in conflitto, e per esse vincolante, è impugnabile soltanto per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale. Pertanto, l'errore del giudizio arbitrale, per essere rilevante, secondo la previsione dell'art. 1428 c.c., deve essere sostanziale - o essenziale - e riconoscibile - artt. 1429 e 1431 c.c. - e cioè, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, devono essere gli arbitri incorsi in una falsa rappresentazione o alterata percezione degli elementi di fatto determinata dall'aver ritenuto esistenti fatti che certamente non lo sono e viceversa, ovvero contestati fatti che tali non sono - analogamente all'errore revocatorio contemplato, per i provvedimenti giurisdizionali, dall'art. 395 n. 4 c.p.c. - mentre non rileva l'errore degli arbitri che attiene alla determinazione da essi adottata in base al convincimento raggiunto dopo aver interpretato ed esaminato gli elementi acquisiti, ivi compresi i criteri di valutazione indicati dalle parti, perché costoro, nel dare contenuto alla volontà delle parti, esplicano un'attività interpretativa e non percettiva, che si trasfonde nel giudizio loro demandato e che, per volontà delle medesime, è inoppugnabile, pur essendo un negozio stipulato tramite i rispettivi arbitri-mandatari.
Cass. civ. n. 5734/2019
Il dolo, quale vizio del consenso e causa di annullamento del contratto, assume rilevanza quando incida sul processo formativo del consenso, dando origine ad una falsa o distorta rappresentazione della realtà all'esito della quale il contraente si sia determinato a stipulare; ne consegue che l'effetto invalidante dell'errore frutto di dolo è subordinato alla circostanza, della cui prova è onerata la parte che lo deduce, che la volontà negoziale sia stata manifestata in presenza od in costanza di questa falsa rappresentazione. Compete al giudice del merito accertare, sulla base delle risultanze probatorie, se la fattispecie concreta integri un'ipotesi di dolo determinante e tale valutazione è sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione, nei limiti previsti dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Cass. civ. n. 29010/2018
L'errore sulla valutazione economica del bene oggetto del contratto non rientra nella nozione di errore di fatto idoneo a giustificare una pronuncia di annullamento, in quanto non incide sull'identità o qualità della cosa, ma attiene alla sfera dei motivi in base ai quali la parte si è determinata a concludere un certo accordo e al rischio che il contraente si assume, nell'ambito dell'autonomia contrattuale, per effetto delle proprie personali valutazioni sull'utilità economica dell'affare.
Cass. civ. n. 27916/2017
In tema di vendita immobiliare, la falsa rappresentazione della realtà circa la potenzialità edificatoria di un terreno può integrare l'ipotesi normativa dell'errore di fatto su una qualità dell’oggetto ove le parti abbiano concluso il contratto ignorando la vera natura del bene; nel caso in cui, invece, sia stata garantita la destinazione edificatoria del suolo, la fattispecie può essere ricondotta nell'ambito della garanzia prevista dall'art. 1489 c.c. in materia di cosa gravata da oneri non apparenti. Le eventuali diverse determinazioni delle competenti autorità in materia urbanistica possono poi determinare, in applicazione dell'istituto della presupposizione, la risoluzione del contratto di compravendita di un immobile che le parti abbiano concluso nel comune presupposto della sua edificabilità, sempreché tale fatto non abbia costituito oggetto di espressa regolamentazione. In nessun caso sono applicabili alla fattispecie gli artt. 1490 e 1492 c.c., relativi ai vizi redibitori, che attengono esclusivamente alla materialità del bene venduto.
Cass. civ. n. 20148/2013
L'errore sulla valutazione economica della cosa oggetto del contratto non rientra nella nozione di errore di fatto idoneo a giustificare una pronuncia di annullamento del contratto, in quanto non incide sull'identità o qualità della cosa, ma attiene alla sfera dei motivi in base ai quali la parte si è determinata a concludere un certo accordo ed al rischio che il contraente si assume, nell'ambito dell'autonomia contrattuale, per effetto delle proprie personali valutazioni sull'utilità economica dell'affare.
Cass. civ. n. 17216/2011
L'errore sulle caratteristiche di edificabilità del fondo compravenduto, anche se provocato dall'ignoranza della disciplina urbanistica, deve essere ricondotto all'errore sulle qualità dell'oggetto del contratto, ai sensi dell'art. 1429, n. 2, c.c., piuttosto che all'errore di diritto, perché la destinazione del fondo è attinente alle sue caratteristiche reali, in senso funzionale, economico e sociale.
Cass. civ. n. 13108/2011
La circostanza che un fondo, promesso in vendita come "edificabile", al momento della stipula del contratto preliminare sia stato già inserito in un piano di insediamento industriale (PIP) non costituisce causa di annullamento del contratto per dolo o per errore, sia perché l'inserimento nel suddetto piano non comporta di per sé l'inedificabilità, sia perché non necessariamente un fondo inserito in quel tipo di strumento urbanistico è destinato all'espropriazione. Ne consegue che è onere del promissario acquirente, che invochi l'annullamento del preliminare, dimostrare che la P.A. non abbia consentito la richiesta edificazione sul fondo, perché contrastante con le disposizioni relative all'attuazione del PIP.
Cass. civ. n. 16031/2007
In caso di compravendita delle azioni di una società, che si assume stipulata ad un prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, senza che il venditore abbia prestato alcuna garanzia in ordine alla situazione patrimoniale della società stessa, il valore economico dell'azione non rientra tra le qualità di cui all'art. 1429 n. 2 c.c., relativo all'errore essenziale. Pertanto, non è configurabile un'azione di annullamento della compravendita basata su una pretesa revisione del prezzo tramite la revisione di atti contabili (bilancio e conto profitti e perdite) per dimostrare quello che non è altro che un errore di valutazione da parte dell'acquirente, anche quando il bilancio della società pubblicato prima della- vendita sia falso e nasconda una situazione tale da rendere applicabili le norme in materia di riduzione e perdita del capitale sociale.
Cass. civ. n. 19558/2003
In tema di ermeneutica contrattuale, qualora il contenuto del contratto, sì come risulta materialmente redatto, non corrisponda, quanto alle espressioni usate, alla comune, .reale volontà delle parti, per erronea formulazione, redazione o trascrizione di elementi di fatto ad esso afferenti (nella specie, erronea indicazione del nome di uno stabilimento industriale assicurato contro i danni, ma da tempo dimesso dall'assicurato, in luogo di altro opificio, attualmente operante al posto del primo), deve ritenersi, ancorché la discordanza non emerga prima facie dalle tavole negoziali, che tale situazione non integra alcuna delle fattispecie dell'errore ostativo (e, di conseguenza, non che trova applicazione la normativa dettata in tema di annullamento del contratto per tale vizio), vertendosi, viceversa, in tema di mero errore materiale, ricostruibile con ogni mezzo di prova, al di là della forma di volta in volta richiesta per il contratto cui afferisce, onde consentire al giudice la formazione di un corretto convincimento circa la reale ed effettiva volontà dei contraenti.
Cass. civ. n. 4734/1998
L'obbligo fissato dall'art. 2432, terzo comma, c.c. (nel testo anteriore alla modifica introdotta dal D.L.vo 9 aprile 1991, n. 127 di attuazione delle direttive CEE n. 78/660 e n. 83/349, ed applicabile anche in tema di società a responsabilità limitata, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 2491 c.c.) avente ad oggetto il deposito del progetto di bilancio nei quindici giorni antecedenti all'assemblea fissata per l'approvazione del bilancio stesso, si rende strumentale rispetto alla finalità di assicurare il soddisfacimento del diritto dei soci ad essere informati. Un tal diritto che rappresenta il bene giuridico tutelato dalla norma postula non solo che il progetto di bilancio resti depositato per l'indicato periodo, ma anche e soprattutto che sia effettivamente consentito ai soci di esaminarlo, dal che consegue che ogni impedimento frapposto al socio (o ad un suo delegato) il quale precluda allo stesso di prendere visione del (progetto di) bilancio comporti di per sé stesso la violazione del diritto all'informazione tutelato dalla norma suddetta, e possa giustificare (rendendosi irrilevante, ad un tal punto, ogni accertamento in ordine alla regolarità in sé del deposito) l'annullamento della successiva delibera di approvazione del bilancio medesimo.
Cass. civ. n. 985/1998
L'errore sul valore della cosa alienata è rilevante ai fini dell'invalidità del contratto quando sia conseguenza di un errore su una qualità essenziale della cosa medesima.
Cass. civ. n. 5900/1997
La falsa rappresentazione della realtà circa la natura (agricola o edificatoria) di un terreno, ricadendo direttamente su di una qualità dell'oggetto, integra l'ipotesi normativa dell'errore di fatto e non di diritto, poiché la inesatta conoscenza della norma che ne preveda la destinazione urbanistica si risolve in una (altrettanto) inesatta conoscenza della circostanza della edificabilità o inedificabilità del suolo, di una circostanza, cioè, inerente ai caratteri reali del bene, differenziandosi un terreno non fabbricabile da un altro utilizzabile a scopi edilizi essenzialmente sotto il profilo dei relativi, possibili impieghi, così che le parti di una compravendita si determinano alla stipula del negozio proprio in relazione alle qualità del terreno ed alle utilità (ed utilizzazioni) da esso ricavabili, incorrendo in errore essenziale in caso di ignoranza della sua vera natura (errore che, per converso, non influirà sulla validità del contratto qualora verta esclusivamente sul valore, attenendo, in tal caso, ai motivi che possano aver indotto le parti alla stipula e che, come tali, non spiegano una incidenza diretta sul processo formativo del volere negoziale).
Cass. civ. n. 2635/1996
L'errore sul prezzo della prestazione, pattuito dai contraenti, può dare luogo all'azione di rescissione per lesione, ma non costituisce errore essenziale, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1428 codice civile, e non è causa di annullabilità del contratto, qualunque sia l'entità della sproporzione tra le reciproche prestazioni, salvo che non si traduca in un errore su di una qualità essenziale della cosa.
Cass. civ. n. 11032/1994
Poiché l'errore di diritto rileva soltanto se concerne circostanze esterne, influenti sulla valutazione soggettiva della convenienza del negozio, deve escludersi la rilevanza dell'errore del contraente che conclude il contratto ignorando l'esistenza delle norme imperative da cui deriva l'integrazione del negozio a norma dell'art. 1339 c.c. e quindi la modifica del regolamento contrattuale, attesa la mancanza del carattere negoziale delle clausole rispetto alle quali si è verificata una sostituzione legale.
Cass. civ. n. 2895/1993
Oggetto del giudizio di revoca dell'interdizione e della inabilitazione (art. 429 c.c.) non è l'accertamento dei presupposti sostanziali della dichiarazione di interdizione o inabilitazione, sui quali fa stato la relativa sentenza i cui effetti non possono essere rimossi se non con il giudizio di revocazione di cui all'art. 395 c.p.c., bensì l'accertamento della persistenza o della cessazione delle cause di interdizione o inabilitazione nel tempo successivo alla pronuncia di quella sentenza.
Cass. civ. n. 8290/1993
L'errore sul valore della cosa oggetto della compravendita può dar luogo, se ne ricorrono i presupposti, all'azione di rescissione per lesione e non a quella di annullamento del contratto per vizi della volontà.
Cass. civ. n. 3892/1985
La presunzione di conoscenza delle norme giuridiche (ignorantia legis non excusat) non può essere invocata per escludere la configurabilità e la rilevanza, ai fini dell'annullamento del contratto, di un errore vizio della volontà determinato dall'ignoranza o dall'inesatta conoscenza di una norma né per escludere la riconoscibilità di un errore siffatto, la quale — atteso che l'ordinamento vigente non esige più l'ulteriore requisito della scusabilità — deve essere accertata non in astratto ma in relazione alle concrete circostanze del singolo caso ed alla concreta situazione soggettiva delle parti dello specifico rapporto.
Cass. civ. n. 3854/1985
L'obiettiva difformità fra proposta ed accettazione in ordine ad un elemento essenziale di una compravendita, quale il prezzo della cosa venduta, comporta che il contratto non possa considerarsi venuto a giuridica esistenza, senza che in detta ipotesi sia configurabile un contratto annullabile per errore sulla portata della propria dichiarazione o sull'interpretazione della dichiarazione altrui, in quanto questo presuppone che la proposta e l'accettazione siano convergenti obiettivamente sull'identico dato, peraltro divergente solo nella rappresentazione soggettiva. (Principio affermato in relazione ad una fattispecie in cui una società, per errore di calcolo compiuto da un soggetto che le aveva prospettato l'affare senza essere munito di potere rappresentativo della ditta produttrice, aveva a questa rivolto proposta di acquisto di una serie di merci sulla base di un determinato prezzo e tale proposta era stata accettata — mediante esecuzione delle prestazioni senza preventiva risposta — dalla ditta produttrice, che aveva peraltro correlato l'accettazione al prezzo — maggiore — derivante dall'applicazione del suo listino).
Cass. civ. n. 2688/1982
L'annullabilità del contratto per errore di diritto ricorre quando il consenso di una parte sia determinato da falsa rappresentazione circa l'esistenza, l'applicabilità o la portata di una norma giuridica, imperativa o dispositiva, e tale vizio sia rilevabile dall'altro contraente con l'uso della normale diligenza, mentre l'errore è di fatto quando, ferme restando le suindicate condizioni, cade su una circostanza di fatto. Deve considerarsi errore di fatto, e non di diritto, quello che cade sulla supposta appartenenza di un immobile ad una società anziché ai singoli soci, in presenza di una clausola con la quale si conferisce l'immobile semplicemente in uso alla medesima società.
Cass. civ. n. 98/1975
Poiché il requisito dell'essenzialità dell'errore deve essere determinato con criteri oggettivi, non è causa di annullamento del negozio l'eventuale errato apprezzamento soggettivo, in contrasto con la realtà oggettiva, di un elemento contrattuale identificato o identificabile. (Nella specie, è stato ritenuto irrilevante ai fini della risoluzione del contratto l'errore sulla ubicazione di un appartamento in un piano dell'edificio piuttosto che in un altro).
Cass. civ. n. 1556/1973
Ai fini dell'annullamento del contratto per errore su una qualità essenziale dell'oggetto dello stesso, non occorre accertare se tale qualità sia stata o meno pattuita tra le parti, essendo sufficiente e rilevante che una delle parti stesse si sia indotta alla stipulazione del negozio nell'erronea e determinante convinzione della sua esistenza.
Cass. civ. n. 2725/1973
L'errore di diritto, anche se incide sui presupposti, non dà luogo ad una causa di nullità assoluta (che abilita il giudice a respingere gli effetti di un atto o negozio del quale gli è stata domandata l'applicazione), bensì di sola annullabilità; e per fare valere tale vizio in via di opposizione all'azione di adempimento, la parte interessata — pur non vincolata a forme speciali — deve addurre una falsa rappresentazione circa l'esistenza, la portata o l'applicabilità di una norma giuridica, riconoscibile dall'altro contraente e che sia stata la ragione unica o principale del negozio.