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Art. 1366 — Interpretazione di buona fede

Art. 1366 — Interpretazione di buona fede

Il contratto deve essere interpretato secondo buona fede.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 6116/2013

L’esigenza di conservazione del contratto presuppone una verifica giudiziale (di mero fatto ed in applicazione dei criteri generali dell’ermeneutica contrattuale) sulla estensione dell’effettiva e reale volontà delle parti, alla quale dovrà riconoscersi prevalenza – senza che sia possibile addivenire all’annullamento del contratto per errore ostativo, pur in presenza di erronea formulazione, redazione o trascrizione di elementi di fatto nel documento contrattuale – ove si identifichi un accordo effettivo e reale su tutti gli elementi del contratto, in primo luogo il suo oggetto. Per contro, ove il contenuto apparente di singole clausole risulti diverso da quello realmente voluto dalle parti, dovrà ritenersi mancante il requisito dell'”in idem placitum consensus”, indispensabile per la configurabilità, sul punto, di un accordo contrattuale.

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Cass. civ. n. 9813/2008

In tema di concorsi interni per attitudini e merito comparato per l’attribuzione di qualifiche superiori (nella specie, per il conferimento di un incarico dirigenziale), spetta all’autonomia negoziale delle parti in sede di contrattazione collettiva (ovvero nell’ambito del regolamento del personale) fornire un contemperamento tra il diritto del candidato, che abbia svolto un mandato sindacale per un periodo di tempo tale da incidere sulla sua valutabilità, a non ricevere, in ragione della prolungata assenza dal posto di lavoro per l’esercizio dell’attività sindacale, discriminazioni o pregiudizi atti, tra l’altro, a disincentivare il futuro svolgimento della suddetta attività, da valutarsi, in sé, di pregnante rilevanza sociale e il diritto degli altri concorrenti che, nello svolgimento continuativo dell’attività lavorativa, abbiano rivelato, per esperienza acquisita e capacità professionale dimostrata, chiare attitudini all’esercizio di mansioni superiori, trattandosi di diritti ugualmente tutelati a livello costituzionale. Ne consegue che, nell’interpretazione delle disposizioni del contratto collettivo o del regolamento del personale in materia di promozioni del personale, assume particolare rilevanza nell’applicazione dei generali canoni ermeneutici il principio di buona fede ex art. 1366 c.c. al fine di individuare, in un’ottica costituzionalmente indirizzata, un bilanciamento tra i rispettivi diritti, cosa da evitare che lo svolgimento dell’attività sindacale sia ragione, da un lato, di penalizzazioni ed atti discriminatori, e, dall’altro, di una ingiustificata valutazione privilegiata in danno di coloro che, nel concreto svolgimento dell’attività lavorativa, abbiano dimostrato specifiche e rilevanti attitudini.

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Cass. civ. n. 8619/2006

Nel sistema giuridico attuale, l’attività interpretativa dei contratti è legalmente guidata, nel senso che essa risulta conforme a diritto non già quando ricostruisce con precisione la volontà delle parti, ma quando si adegui alle regole legali, le quali, in generale, non sono norme integrative, dispositive o suppletive del contenuto del contratto, ma, piuttosto, costituiscono lo strumento di ricostruzione della comune volontà delle parti al momento della stipulazione del contratto e, perciò, della sostanza dell’accordo. Pertanto, la volontà emergente dal consenso delle parti nel suddetto momento non può essere integrata con elementi ad essa estranei, e ciò anche quando sia invocata la buona fede come fattore di interpretazione del contratto, la quale deve intendersi come fattore di integrazione del contratto non già sul piano dell’interpretazione di questo, ma su quello — diverso — della determinazione delle rispettive obbligazioni, come stabilito dall’art. 1375 c.c. (Nella specie, la S.C. sulla scorta dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata e rigettato il ricorso, con il quale si era dedotto che, con riguardo alla controversia relativa alla risoluzione di un contratto di locazione commerciale per assunto inadempimento della locatrice dipendente dalla mancata destinazione dell’immobile alla vendita al dettaglio, la società conduttrice non aveva inteso attribuire al contenuto del contratto un significato in luogo di un altro, ma integrare il contenuto stesso nel senso che il suo oggetto non era la generica locazione di un immobile adibito ad uso diverso dall’abitazione, ma la locazione di un immobile che avesse la menzionata destinazione).

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Cass. civ. n. 11487/2004

Anche in relazione ai contratti assicurativi stipulati precedentemente alla entrata in vigore del nuovo regime delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, a cui tale disciplina non si applica in ragione della sua irretroattività della stessa, è possibile e doveroso far ricorso alla interpretazione del contratto secondo buona fede, ex art. 1366 c.c., in presenza di clausole ambigue e predisposte unilateralmente dall’impresa assicuratrice nelle condizioni generali. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata per non aver fatto ricorso, in relazione ad una clausola contenuta in una polizza assicurativa contro il rischio di malattie infettive e di infezioni, stipulata da una infermiera e volta a coprire i rischi derivanti dallo svolgimento dell’attività professionale, pur avendo essa un contenuto ambiguo, del criterio di interpretazione secondo buona fede).

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Cass. civ. n. 6819/2001

Il criterio della buona fede nella interpretazione dei contratti, applicabile anche agli atti prenegoziali, deve ritenersi funzionale ad escludere il ricorso a significati unilaterali o contrastanti con un criterio di affidamento dell’uomo medio, ma non consente di assegnare all’atto una portata diversa da quella che emerge dal suo contenuto obiettivo, corrispondente alla convinzione soggettiva di una singola persona. Esso rappresenta, difatti, il punto di sutura tra la ricerca della reale volontà delle parti (costituente il primo momento del processo interpretativo, in base alla comune intenzione ed al senso letterale delle parole) ed il persistere di un dubbio sul preciso contenuto della volontà contrattuale (in base ad un criterio obiettivo, fondato su di un canone di reciproca lealtà nella condotta tra le parti, ed inteso alla tutela dell’affidamento che ciascuna parte deve porre nel significato della dichiarazione dell’altra), e rappresenta, pertanto, un mezzo, al fine, soltanto sussidiario dell’interpretazione, non invocabile quando il giudice di merito abbia, attraverso l’esame degli elementi di prova raccolti, già aliunde accertato l’effettiva volontà delle parti. (Nella specie, la Corte territoriale aveva escluso che la vincitrice di un concorso a premi indetto dalla ditta «Postalmarket» avesse potuto legittimamente intendere, dal contesto letterale delle clausole concorsuali, che l’opera pittorica del maestro E. Greco a lei destinata come vincita potesse essere l’originale, e non anche una copia, sia pur a tiratura limitatissima — o, al più una litografia — dell’originale stesso).

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Cass. civ. n. 9532/2000

Il giudice che si avvale del criterio ermeneutico di cui all’art. 1666 c.c., secondo il quale il contratto deve essere interpretato secondo buona fede, deve procedere ad analizzare le espressioni usate dalle parti contraenti stabilendo quale sia il significato obbiettivo sul quale le stesse, in relazione alle circostanze concrete, potevano e dovevano fare ragionevole affidamento, ricercandone così la comune intenzione, senza sovrapporre una propria soggettiva opinione all’effettiva volontà dei contraenti.

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Cass. civ. n. 1418/1975

Il principio dell’interpretazione del contratto secondo la buona fede costituisce un mezzo sussidiario di interpretazione, al quale il giudice deve ricorrere sempre che sussista un dubbio sul reale significato delle dichiarazioni contrattuali e non è invocabile quando il giudice del merito, attraverso l’esame degli elementi raccolti, abbia già accertato l’effettiva volontà delle parti.

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