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Art. 2104 — Diligenza del prestatore di lavoro

Art. 2104 — Diligenza del prestatore di lavoro

Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale [ 1176 ].

Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende [ 2086, 2090, 2094, 2106, 2236 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 663/2018

In tema di rapporto di lavoro subordinato privato, il grado di diligenza dovuta dal lavoratore, variabile secondo le peculiarità del singolo rapporto, deve essere apprezzato secondo due distinti parametri, costituiti dalla natura della prestazione, ovvero dalla complessità delle mansioni svolte anche con riferimento all’assunzione di responsabilità alle stesse collegata, e dall’interesse dell’impresa, ovvero dal raccordo della prestazione con la specifica organizzazione imprenditoriale in funzione della quale è resa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso una sentenza che, in relazione ad un responsabile di un ufficio postale in cui era avvenuta una rapina, aveva ravvisato la negligenza della condotta nella violazione delle disposizioni aziendali in materia di giacenza fondi ed utilizzo di casseforti).

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Cass. civ. n. 7795/2017

La nozione di insubordinazione, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto atto di insubordinazione, suscettibile di legittimare il licenziamento, l’ingerenza indebita della lavoratrice nell’organizzazione aziendale, manifestatasi nell’imposizione ai dipendenti di direttive, non discusse né concordate con la direzione aziendale, con modalità comportamentali dirette a contestare pubblicamente il potere direttivo del datore di lavoro).

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Cass. civ. n. 12696/2012

Il lavoratore adibito a mansioni non rispondenti alla qualifica può chiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non può rifiutarsi aprioristicamente, senza avallo giudiziario, di eseguire la prestazione richiestagli, essendo egli tenuto a osservare le disposizioni per l’esecuzione del lavoro impartite dall’imprenditore ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., da applicarsi alla stregua del principio sancito dall’art. 41 Cost., e potendo egli invocare l’art. 1460 c.c. solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro, a meno che l’inadempimento di quest’ultimo sia tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo.

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Cass. civ. n. 1365/2002

Nel contratto di lavoro subordinato il lavoratore non è obbligato al raggiungimento di un risultato ma all’esplicazione delle proprie energie nei modi e nei tempi stabiliti; ne consegue che il datore di lavoro che intenda far valere l’insufficienza della prestazione lavorativa non può limitarsi a provare il mancato raggiungimento del risultato atteso, ma è onerato della dimostrazione di un colpevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore, quale fattispecie complessa per la cui valutazione — che è di competenza del giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici ed errori manifesti — deve concorrere anche l’apprezzamento degli aspetti concreti del fatto addebitato, tra cui il grado di diligenza richiesto dalla prestazione e quello usato dal lavoratore nonché l’incidenza dell’organizzazione dell’impresa e di fattori socio-alimentari.

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Cass. civ. n. 12769/2000

Gli artt. 2104 e 1176 c.c. impongono al lavoratore di eseguire la prestazione — anche in assenza di direttive del datore di lavoro — secondo la particolare qualità dell’attività dovuta, risultante dalle mansioni e dai profili professionali che la definiscono, e di osservare, altresì, tutti quei comportamenti accessori e quelle cautele che si rendano necessari ad assicurare una gestione professionalmente corretta. (Fattispecie relativa all’esecuzione da parte di dipendente di banca, addetto al settore, di due bonifici di rilevante importo in base a un falso ordine pervenuto mediante telefax; la Suprema Corte ha annullato la sentenza di merito che aveva accolto l’impugnativa proposta dall’interessato contro l’irrogatogli licenziamento per giusta causa, rilevando la violazione del riportato principio di diritto e vizi di motivazione, consistenti, tra l’altro, nella rilevanza esimente attribuita alla semplice apposizione di un visto da parte del direttore della filiale).

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Cass. civ. n. 1752/2000

L’aperta contestazione di direttive aziendali — specialmente se accompagnata da modalità comportamentali dirette a contestare pubblicamente il potere direttivo del datore di lavoro — configura una violazione del disposto dell’art. 2104, secondo comma, c.c. suscettibile di legittimare il licenziamento del lavoratore. (Nella specie la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore che aveva impedito all’amministratore unico della società datrice di lavoro di affiggere nella bacheca aziendale disposizioni riguardanti l’organizzazione del lavoro e l’individuazione delle mansioni dei singoli dipendenti).

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Cass. civ. n. 5643/1999

Gli artt. 2086 e 2104 c.c. che prevedono il potere gerarchico del datore di lavoro sul lavoratore vanno interpretati alla luce del generale principio secondo cui ciascuna parte contrattuale può pretendere e deve fornire soltanto le prestazioni previste nel contratto. Ne consegue che, da un lato, i superiori gerarchici non possono richiedere prestazioni che siano chiaramente escluse dal contratto medesimo e che, dall’altro, il lavoratore – che non voglia attendere l’esito del giudizio in sede sindacale o giudiziaria – ha diritto di rifiutare prestazioni di tale tipo, correndo il rischio, conseguente a tale comportamento, di essere successivamente ritenuto responsabile di inadempimento qualora venga eventualmente accertata la legittimità dell’ordine disatteso.

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