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Art. 2447 — Riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale

Art. 2447 — Riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale

Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al disotto del minimo stabilito dall’articolo 2327, gli amministratori o il consiglio di gestione e, in caso di loro inerzia, il consiglio di sorveglianza devono senza indugio convocare l’assemblea [ 2364, 2364 bis ] per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società [ 2498, 2500, 2500 ter, 2500 sexies, 2500 septies, 2500 octies ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 4493/2011

La liquidazione del danno patrimoniale da riduzione della capacità di lavoro e di guadagno non può costituire un’automatica conseguenza dell’accertata esistenza di lesioni personali, ma esige che sia verificata la attuale o prevedibile incidenza dei postumi sulla capacità di lavoro, anche generica, della vittima. Ne consegue che quando detti postumi sono di lieve entità o, comunque, manchino elementi concreti dai quali desumere una incidenza della lesione sulla attività di lavoro attuale o futura del soggetto leso, vanno escluse l’esistenza e la risarcibilità di qualsiasi danno da riduzione della capacità lavorativa, mentre va privilegiato un meccanismo di liquidazione (quello del danno alla salute) idoneo a cogliere, nella sua totalità, il pregiudizio subito dal soggetto nella sua integrità psico-fisica.

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Cass. civ. n. 9619/2009

Nell’ipotesi di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, prevista dall’art. 2448 n. 4 c.c. (nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche introdotte dal D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6), lo scioglimento della società si produce automaticamente ed immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale o dalla trasformazione della società ai sensi dell’art. 2447 c.c., in quanto, con il verificarsi dell’anzidetta condizione risolutiva, viene meno “ex tunc” lo scioglimento della società; ne deriva che la mancata adozione da parte dell’assemblea dei provvedimenti di azzeramento e ripristino del capitale sociale o di trasformazione della società in altro tipo, compatibile con la situazione determinatasi, non esonera gli amministratori dalla responsabilità conseguente al proseguimento dell’attività d’impresa in violazione del divieto di nuove operazioni.

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Cass. civ. n. 18728/2007

In tema di perdita al di sotto del minimo legale del capitale sociale di società per azioni, le regole dettate dagli artt. 2447 e 2448, primo comma, n. 4, c.c., prevedenti nel testo anteriore al D.L.vo n. 6 del 2003 l’automatico scioglimento della società, implicano la natura irregolare della gestione sociale nel periodo che perduri fino all’eventuale effettuazione di versamenti a definitiva ed integrale. copertura. (Nella fattispecie la S.C., nel confermare la sentenza di condanna a carico dei sindaci per responsabilità solidale ex art. 2407 c.c., ha specificato che la prova del versamento, se effettivo, doveva risultare dal bilancio approvato, ex art. art. 2425 bis c.c. secondo la disciplina vigente anteriormente alla modifica apportata dall’art. 8 del D.L. 9 aprile 1991, n. 127, e dalla relazione dell’amministratore, ex art. 2429 bis c.c.).

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Cass. civ. n. 16211/2007

Nel caso in cui l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società trovi fondamento nella violazione del divieto di intraprendere nuove operazioni, a seguito dello scioglimento della società derivante dalla riduzione del capitale sociale al di sotto dei limiti previsti dall’art. 2447 c.c., non è giustificata la liquidazione del danno in misura pari alla differenza tra l’attivo ed il passivo accertati in sede fallimentare, non essendo configurabile l’intero passivo come frutto delle nuove operazioni intraprese dagli amministratori, ma dovendosi ascrivere lo stesso, almeno in parte, alle perdite pregresse che avevano logorato il capitale.

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Cass. civ. n. 23262/2005

Nell’ipotesi, prevista dall’art. 2447 c.c., di ricostituzione del capitale sociale ridottosi, per la perdita di oltre un terzo dello stesso, al di sotto del minimo legale, non è imposta l’immediata in considerazione dell’urgenza connessa all’altrimenti automatico scioglimento della società sottoscrizione del capitale medesimo (almeno nei limiti del minimo legale) contestualmente alla delibera assembleare di ricostituzione, così che il socio non possa in alcun modo dolersi della mancata, prima della sottoscrizione, fissazione di un termine per l’esercizio del diritto di opzione spettantegli: infatti l’automatico scioglimento della società, ai sensi dell’art. 2448, n. 4, c.c., si produce salvo il verificarsi, con efficacia retroattiva, della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale (o dalla trasformazione della società) ai sensi dell’art. 2447 cit., sicché non la perdita del capitale in quanto tale e la sua riduzione al di sotto del minimo legale costituiscono la causa dello scioglimento, bensì la mancata reintegrazione del capitale stesso al minimo legale (o la mancata trasformazione della società), mentre la legge (che pure vieta agli amministratori di intraprendere nuove operazioni in presenza di un fatto che determina lo scioglimento della società) non impone la predetta contestualità, limitandosi, invece, il richiamato art. 2447 c.c. a richiedere che gli amministratori provvedano a convocare senza indugio l’assemblea per le deliberazioni dallo stesso previste. È tuttavia legittima la delibera assembleare che, avvenuta in assemblea la sottoscrizione del capitale ricostituito sino alla misura del minimo legale ad opera dei soci presenti, assegni ugualmente ai soci che ne abbiano diritto un termine per l’esercizio del diritto di opzione, quando tale assegnazione del termine sia accompagnata dalla previsione, integrante una condizione risolutiva, che l’esercizio del diritto rimuove l’acquisto da parte dei soci originari sottoscrittori del capitale ricostituito: infatti tale delibera, per quanto non contenga la fissazione di un termine per l’esercizio del diritto di opzione dei soci (artt. 2439, secondo comma, e 2441 c.c.), tuttavia non viola il predetto diritto (nel suo contenuto di diritto di prelazione, quale garanzia del mantenimento della misura della partecipazione del socio alla società), in funzione del quale soltanto è prevista la fissazione preventiva del termine per la sottoscrizione, essendo, invece; tale diritto salvaguardato mediante la previsione dell’esercizio postumo (e retroattivo) rispetto all’avvenuta integrale sottoscrizione del capitale da parte degli altri soci.

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Cass. civ. n. 5740/2004

Ai fini dell’adozione dei provvedimenti richiesti dall’art. 2447 c.c. in presenza di perdita di oltre un terzo del capitale sociale e di conseguente riduzione di detto capitale al di sotto del minimo legale, deve tenersi conto dei risultati, anche eventualmente positivi, di gestione enunciati nell’apposita situazione patrimoniale sottoposta dagli amministratori all’assemblea chiamata a provvedere ai sensi del citato articolo, quando tali risultati siano maturati in epoca successiva all’ultimo bilancio d’esercizio nel quale le anzidette perdite erano state registrate.

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Cass. civ. n. 6238/1998

Ai fini della responsabilità degli amministratori conseguente alla mancata convocazione, ex art. 2447 c.c., del consiglio di amministrazione della società allorché, per la perdita di oltre o un terzo del capitale sociale quest’ultimo si riduca al di sotto della soglia minima fissata dall’art. 2327 c.c., si rende irrilevante il fatto che il Consiglio di amministrazione della società, per previsione dello Statuto della stessa, possa essere convocato solo dal Presidente (il quale risulti altresì abilitato a fissare l’ordine del giorno). Infatti i singoli amministratori debbono ritenersi dotati del potere di pretendere che il Presidente provveda a tale convocazione e con uno specifico ordine del giorno. L’esistenza di un tale potere va desunta: a) dal rilievo per cui ogni singolo amministratore è responsabile del controllo sulla gestione societaria e pertanto egli deve essere ritenuto abilitato a mettere in moto qualunque meccanismo necessario che gli consenta di provvedere a pieno al controllo stesso, e di porre in essere gli adempimenti che questo richieda;
b) dall’ulteriore rilievo per cui, risultando essi amministratori solidalmente responsabili fra loro, una tale solidarietà non possa non importare che ciascuno di essi abbia anche il potere di controllare l’operato degli altri amministratori.

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