Art. 469 – Codice civile – Estensione del diritto di rappresentazione. Divisione
La rappresentazione ha luogo in infinito, siano uguali o disuguali il grado dei discendenti o il loro numero in ciascuna stirpe.
La rappresentazione ha luogo anche nel caso di unicità di stirpe [564 c.c.].
Quando vi è rappresentazione, la divisione si fa per stirpi [726 c.c.].
Se uno stipite ha prodotto più rami, la suddivisione avviene per stirpi anche in ciascun ramo, e per capi tra i membri del medesimo ramo.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 14537/2025
In relazione al contratto autonomo di garanzia con clausola che limita la facoltà di opporre eccezioni, una volta accertata la qualità di consumatore del garante, non sussiste alcun impedimento ad applicare la disciplina del codice del consumo sulle clausole vessatorie.
Cass. civ. n. 785/2024
In tema di mediazione, la clausola predisposta unilateralmente dal mediatore - che prevede il diritto del compenso provvigionale, dopo la scadenza del contratto e senza limiti di tempo, da parte di un soggetto che si sia avvalso della sua attività qualora l'affare sia stato successivamente concluso da un familiare, società o persona "riconducibile" - è vessatoria ed abusiva, ai sensi dell'art.1341 c.c. e dell'art.33 del Codice del Consumo, in quanto determina un significativo squilibrio a carico del consumatore, obbligato ad una prestazione in favore del professionista indipendentemente da ogni accertamento, anche in via presuntiva, del preventivo accordo con il soggetto che ha concluso l'affare o di ogni altra circostanza concreta da cui risulti che l'affare sia stato agevolato in ragione dei rapporti familiari o personali tra le parti. (Principio affermato dalla S.C. in fattispecie in cui, successivamente alla scadenza della mediazione, il contratto di locazione oggetto della stessa, veniva concluso dal coniuge della parte che si era vista rifiutare l'originaria proposta).
Cass. civ. n. 19873/2023
L'obbligazione alternativa presuppone che entrambe le prestazioni dedotte in obbligazione facciano carico al medesimo soggetto. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in relazione ad una compravendita immobiliare in favore di una società, aveva ritenuto il pagamento del prezzo convenuto dalla società come obbligazione alternativa rispetto a quella di trasferimento di una quota sociale, a cui si era impegnato il socio).
Cass. civ. n. 9612/2023
Deve considerarsi come non apposta per nullità parziale di protezione, ex art. 36, comma 1, del d.lgs. n. 206 del 2005, la clausola contenuta in un contratto di mediazione che preveda la maturazione del diritto alla provvigione in una fase non corrispondente alla conclusione dell'affare, nell'interpretazione datane dalla giurisprudenza di legittimità, poiché determina un significativo squilibrio normativo ex art. 33, comma 1, del citato d.lgs., così stravolgendo il fondamento causale dell'operazione economica posta in essere dalle parti.
Cass. civ. n. 11639/2022
In tema di contratti del consumatore, ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della tutela di cui al vecchio testo dell'art. 1469-bis cod. civ. (ora art. 33 del Codice del consumo, approvato con D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206), la qualifica di "consumatore" spetta solo alle persone fisiche e la stessa persona fisica che svolga attività imprenditoriale o professionale potrà essere considerata alla stregua del semplice "consumatore" soltanto allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività; correlativamente deve essere considerato "professionista" tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che utilizzi il contratto non necessariamente nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa o della professione, ma per uno scopo connesso all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale.
Cass. civ. n. 36740/2021
La nozione di significativo squilibrio contenuta nell'art. 1469-bis c.c. (e, successivamente, nell'art. 33 codice del consumo), relativamente alle clausole vessatorie contenute nei contratti tra professionista e consumatore, fa esclusivo riferimento ad uno squilibrio di carattere giuridico e normativo, riguardante la distribuzione dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, non consentendo invece di sindacare l'equilibrio economico, ossia la convenienza economica dell'affare concluso.
Cass. civ. n. 139/2020
Per il combinato disposto degli artt. 469 e 726 c.c., la divisione ereditaria, quando vi è rappresentazione, avviene per stirpi, procedendosi alla formazione di tante porzioni, una volta eseguita la stima, quanti sono gli eredi o le stirpi condividenti, mentre non è prevista l'ulteriore formazione di altrettante subporzioni all'interno di ciascuna stirpe, sempre che non si formi al riguardo un accordo fra tutti i partecipanti. Una volta, poi, che sia stabilito con sentenza quali siano i beni da dividere e, formate le porzioni, quanti siano gli eredi o le stirpi condividenti, le statuizioni relative all'appartenenza alla massa di detti beni ed alla loro concreta attribuzione diventano irrevocabili ed irretrattabili, ove non impugnate, formandosi su di esse il giudicato.
Cass. civ. n. 3656/2018
In tema di intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali, il fiduciante, il quale lamenti che la definitiva uscita della società del fiduciario, a seguito del mancato esercizio del diritto di opzione, sia dipesa dalla falsità della situazione patrimoniale, redatta dagli amministratori e sottoposta all'assemblea per l'abbattimento e la ricostituzione del capitale sociale ex art. 2447 c.c., è legittimato ad esperire l'azione individuale del terzo di cui all'art. 2395 c.c., per il risarcimento del danno a lui direttamente cagionato dalla lesione al diritto al ritrasferimento della partecipazione sociale.
Cass. civ. n. 24559/2015
L'art. 2479 c.c., nel testo anteriore al d.l.vo n. 6 del 2003, non prevede un diritto di prelazione ma consente il relativo patto, così esprimendo il principio di libera trasferibilità delle quote sociali, per cui l'eventuale previsione di una prelazione ha fonte non legale, ma negoziale e solo in tale ambito trova la sua disciplina. Ne deriva che la violazione della clausola statutaria contenente un patto di prelazione comporta l'inopponibilità, nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione, della cessione della partecipazione sociale, nonché l'obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto, alla stregua delle norme generali sull'inadempimento delle obbligazioni, e non anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell'acquirente, che non integra un rimedio generale in caso di violazioni di obbligazioni contrattuali, ma solo una forma di tutela specificamente apprestata dalla legge e conformativa dei diritti di prelazione, previsti per legge, spettante ai relativi titolari. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso il diritto al retratto delle quote di partecipazione di una s.r.l., cedute in violazione del patto di prelazione previsto dallo statuto).
Cass. civ. n. 7003/2015
In tema di società di capitali, l'acquisto di quote sociali effettuato in violazione del patto di prelazione statutariamente previsto in favore dei soci determina l'inefficacia, peraltro nella sola misura in cui si realizzi un'alterazione nella proporzione fra le rispettive quote, del relativo trasferimento nei confronti degli altri soci e della società, ma non anche la nullità del negozio traslativo tra il socio alienante ed il terzo acquirente.
Cass. civ. n. 7176/2015
In materia di assicurazione contro gli infortuni, la clausola contrattuale che subordini il diritto dell'assicurato di agire in giudizio al previo esperimento di una perizia contrattuale arbitrale sulla quantificazione dei danni, allorché comporti un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto, deve ritenersi abusiva ai sensi degli artt. 1469 bis e ss. cod. civ. ("ratione temporis" vigenti). (Nella specie, la S.C. ha ritenuto abusiva la clausola che prevedeva che la decisione arbitrale, presa a maggioranza, fosse definitivamente vincolante per entrambe le parti, poneva sull'assicurato, pur se il lodo avesse confermato "in toto" la congruità della sua richiesta, le intere spese del proprio arbitro ed il 50 percento di quelle del presidente del collegio, e, infine, attribuiva al collegio peritale la facoltà di rinviare "ad libitum" la propria decisione ad epoca da definirsi "ove ne riscontri l'opportunità", con il solo potere - ma non l'obbligo - di concedere all'assicurato un anticipo sull'indennizzo, senza che ne fosse determinata la misura minima).
Cass. civ. n. 7479/2013
Ai fini dell'accertamento della simulazione di un contratto atipico di mantenimento (denominato anche vitalizio assistenziale), in quanto dissimulante una donazione, l'elemento essenziale dell'aleatorietà va valutato in relazione al momento della conclusione del contratto, essendo lo stesso caratterizzato dall'incertezza obiettiva iniziale in ordine alla durata di vita del vitaliziato e dalla correlativa eguale incertezza del rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dal vitaliziante, legate alle esigenze assistenziali del vitaliziato, ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio, potendosi, peraltro, ritenere presuntivamente provato lo spirito di liberalità, tipico della dissimulata donazione, proprio tramite la verifica della originaria sproporzione tra le prestazioni.
Cass. civ. n. 5050/2013
Il contratto è aleatorio qualora, già al momento della sua conclusione, l'alea sia, per legge o per volontà delle parti, elemento essenziale del sinallagma. Pertanto, l'aleatorietà non può derivare dall'apposizione di una condizione sospensiva, che incide sull'efficacia e non sulla struttura contrattuale, né dal versamento di una caparra, rientrando gli effetti di tale dazione nell'alea normale di un contratto sottoposto a condizione sospensiva.
Cass. civ. n. 21763/2013
In tema di contratti del consumatore, ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della tutela di cui al vecchio testo dell'art. 1469-bis cod. civ. (ora art. 33 del Codice del consumo, approvato con d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), la qualifica di "consumatore" spetta solo alle persone fisiche e la stessa persona fisica che svolga attività imprenditoriale o professionale potrà essere considerata alla stregua del semplice "consumatore" soltanto allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività; correlativamente deve essere considerato "professionista" tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che utilizzi il contratto non necessariamente nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa o della professione, ma per uno scopo connesso all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale. (Nella specie, la S.C. ha escluso l'applicabilità della disciplina di cui al vecchio testo dell'art. 1469-bisc.c. art. 1469-bis - Contratti del consumatore cod. civ. in favore di una persona fisica la quale, pur avendo concluso un contratto di apertura di credito con una banca in nome proprio, aveva però ottenuto il finanziamento - come emergeva dalle risultanze istruttorie - non per sé ma in favore della società di cui era amministratore e principale azionista, con la conseguente validità della clausola di deroga alla competenza territoriale prevista dal contratto).
Cass. civ. n. 12872/2011
La disposizione dettata dall'art. 1469 bis, terzo comma, numero 19, c.c. - applicabile nella specie "ratione temporis" - si interpreta nel senso che il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, ha stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo, presumendo vessatoria la clausola che preveda una diversa località come sede del foro competente; tale criterio, che implica il superamento dei fori alternativi di cui all'art. 20 c.p.c., si applica anche se la pretesa azionata si fondi su di una promessa di pagamento o una ricognizione di debito, poiché queste ultime non costituiscono un'autonoma fonte di obbligazione ma, determinando un'astrazione meramente processuale della "causa debendi", non dispensano il creditore dall'onere di proporre la domanda davanti al giudice competente.
Cass. civ. n. 25468/2010
Il contratto di trasferimento di quote di partecipazione in una società a responsabilità limitata, indipendentemente dall'eventuale esistenza di immobili nel patrimonio di questa, non richiede né "ad substantiam" né "ad probationem" la forma scritta, la quale non è necessaria per la validità ed efficacia della cessione tra le parti, bensì soltanto per la sua opponibilità alla società stessa.
Cass. civ. n. 19161/2007
In tema di riconoscimento del diritto di voto nelle assemblee delle società a responsabilità limitata, la legittimazione al relativo esercizio si connette, ai sensi dell'art. 2479 c.c. nel testo previgente al D.L.vo n. 6 del 2003, al fatto in sé dell'iscrizione dell'avente diritto al libro soci, mentre già il trasferimento di quota è valido ed efficace inter partes indipendentemente dalla predetta formalità, necessaria unicamente ai fini dell'efficacia verso la società ed i terzi. (Nella fattispecie la S.C., confermando la sentenza del giudice d'appello, ha negato che la società potesse distinguere la legittimazione, quale discendente dall'iscrizione nel libro soci, dalla reale titolarità della partecipazione, non potendosi in materia fare applicazione, al fine di disconoscere i diritti sociali, della disciplina del pagamento al creditore apparente (art. 1189 c.c.) o al possessore di un titolo di credito legittimato nei modi previsti in base al regime di circolazione del titolo (art. 1992 c.c.), poiché essendo la partecipazione nella predetta società diversa dall'azione non ricorre la regola sull'adempimento della prestazione nei confronti del possessore di un titolo di credito, così che la società non può rifiutare al socio iscritto il diritto di intervento e di voto in assemblea).
Cass. civ. n. 13967/2007
Il soggetto che stipula un contratto come persona fisica che agisce per scopi relativi alla attività di agente di un'impresa di assicurazioni non può assumere la veste di consumatore ai sensi dell'art. 1469 bis c.c..
Cass. civ. n. 449/2005
Qualora in un contratto di fideiussione la posizione di beneficiario sia rivestita da una persona fisica che, in relazione alla controparte nel rapporto principale, debba considerarsi consumatore, e quelle di fideiussore e debitore principale da due società, la clausola che stabilisca un foro esclusivo diverso da quello della residenza o del foro elettivo del beneficiario non produce effetto nei confronti di quest'ultimo, tenuto conto che il contratto di fideiussione ha natura trilatera e che l'obbligazione fideiussoria è collegata e subordinata a quella inerente il rapporto principale. Ne consegue che erroneamente il giudice adito dal beneficiario contro il fideiussore ed il creditore garantito declina la competenza a favore del giudice del foro di cui a detta clausola, dando rilievo alla natura societaria del debitore garantito agli effetti dell'esclusione dell'operatività dell'art. 1469 bis c.c. (principio affermato dalla Corte Cass. n. in relazione ad una controversia introdotta da un beneficiario — locatore persona fisica contro un conduttore avente natura di società ed un fideiussore avente identica natura).
Cass. civ. n. 339/2005
Nel giudizio avente ad oggetto il trasferimento di quote della Srl la società non è litisconsorte necessario, in quanto il trasferimento è valido ed efficace inter partes indipendentemente dall'iscrizione nel libro dei soci, necessaria al solo scopo di renderlo efficace nei confronti della società, costituendo l'iscrizione un atto dovuto di quest'ultima, che deve limitarsi a prendere atto della titolarità delle quote, accertata dal giudicato che definisce la relativa controversia.
Cass. civ. n. 16336/2004
In tema di contratti stipulati tra professionista e consumatore, l'art. 1469 bis, terzo comma, n. 19, c.c., nel presumere la vessatorietà della clausola che stabilisca come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore, ha introdotto un foro esclusivo speciale, derogabile dalle parti solo con trattativa individuale. Ne consegue che è da presumere vessatoria anche la clausola che stabilisca un foro coincidente con uno dei fori legali di cui agli artt. 18 e 20 c.p.c., se è diverso quello del consumatore, perchè l'art. 1469 ter, terzo comma, c.c. — per il quale non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge — non può essere interpretato vanificando in modo surrettizio la tutela del consumatore, come nel caso in cui il forum destinatae solutionis coincida con la residenza del professionista. Ne consegue ulteriormente che, se la clausola è inefficace perchè vessatoria ex art. 1469 quinquies, terzo comma, c.c., sia per incompatibilità sia per il principio di successione delle leggi nel tempo, non sono applicabili gli artt. 18 e 20 c.p.c.
Cass. civ. n. 17399/2004
Tenuto conto che nel contratto aleatorio è incerto — al momento della stipulazione — il rapporto fra il sacrificio e il vantaggio derivante dal negozio, la vendita del diritto di usufrutto è un contratto commutativo, atteso che il valore del diritto, seppure con valutazione probabilistica, è determinato in modo obiettivo sulla base di coefficienti rapportati alla vita dell'usufruttuario e secondo un meccanismo stabilito dalla legge.
Cass. civ. n. 14561/2002
L'art. 1469 bis c.c., che presume la vessatorietà della clausola tra professionista e consumatore quando sia stato stabilito per le controversie relative ai contratti conclusi tra i medesimi come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore, non si applica nel caso in cui la controparte del professionista sia una persona giuridica, non potendo quest'ultima essere qualificata come «consumatore» a norma dello stesso art. 1469 bis, con conseguente inapplicabilità non solo della norma già citata, ma anche dell'art. 12 del D.L.vo n. 50 del 1992.
Cass. civ. n. 11282/2001
In materia di contratti conclusi tra consumatori e professionisti, la disposizione dettata, in tema di competenza territoriale, dall'art. 1469 bis, n. 19 c.c. — a mente del quale la competenza a conoscere dell'eventuale controversia insorta tra le parti si radica presso l'autorità giudiziaria del foro di residenza o domicilio del consumatore — si applica, attesane la natura processuale, anche ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore, ma concernenti rapporti sorti precedentemente.
Cass. civ. n. 10127/2001
Al fine dell'applicazione della disciplina di cui agli artt. 1469 bis e ss. c.c. relativa ai contratti del consumatore, deve essere considerato «consumatore» la persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, conclude un qualche contratto (avente ad oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi — secondo l'originaria formulazione del primo comma dell'art. 1469 bis c.c. — e senza tale limitazione dopo la modifica di cui all'art. 25 della legge 21 dicembre 1999, n. 526) per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività, mentre deve essere considerato «professionista» tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che, invece, utilizza il contratto (avente ad oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi e senza tale limitazione dopo l'entrata in vigore della citata legge n. 526/99) nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale. Perché ricorra la figura del «professionista» non è necessario che il contratto sia posto in essere nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa o della professione, essendo sufficiente che venga posto in essere per uno scopo connesso all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale.
Cass. civ. n. 7436/2001
La clausola derogativa della competenza territoriale per le controversie relative alla partecipazione al concorso Totogol, prevista dall'art. 14, terzo comma, decreto del Ministero delle finanze del 10 marzo 1993, recante il regolamento del concorso pronostico, non determina un significativo squilibrio a carico dello scommettitore e non può, dunque, qualificarsi come vessatoria per gli effetti dì cui all'art. 1469 bis c.c. (introdotto dall'art. 25 legge 6 febbraio 1996, n. 52, e modificato dall'art. 25 legge 21 dicembre 1999, n. 526).
Cass. civ. n. 4946/2001
Con riguardo al contratto bancario inerente al servizio delle cassette di sicurezza, la clausola che contempli la concessione dell'uso della cassetta per la custodia di cose di valore non eccedente un determinato ammontare, facendo carico al cliente di non inserirvi beni di valore complessivamente superiore, e che, correlativamente, neghi oltre detto ammontare la responsabilità della banca per la perdita dei beni medesimi, lasciando gravare sul cliente gli effetti pregiudizievoli ulteriori, integra un patto limitativo non dell'oggetto del contratto, ma del debito risarcitorio della banca, in quanto, a fronte dell'inadempimento di essa all'obbligo di tutelare il contenuto della cassetta (obbligo svincolato da quel valore, alla stregua della segretezza delle operazioni dell'utente), fissa un massimale all'entità del danno dovuto in dipendenza dell'inadempimento stesso. Tale clausola, pertanto, è soggetta tanto alle disposizioni dell'art. 1229 primo comma, c.c., in tema di nullità dell'esclusione o delimitazione convenzionale della responsabilità del debitore per i casi di dolo o colpa grave, quanto a quelle di cui agli artt. 1469 bis seguenti stesso codice, in tema di «inefficacia» (rectius, nullità) di clausole comportanti uno squilibrio a carico del cliente - consumatore, che si risolvano, in caso di inadempimento della banca, in una limitazione nella proposizione dell'azione risarcitoria nei confronti della stessa (art. 1469 quinquies, punto 2 c.c.).
Cass. civ. n. 314/2001
Sebbene la fideiussione non possa essere inclusa di per sé fra i contratti di cessione dei beni o di prestazione di servizi intercorrenti tra un professionista ed un consumatore, previsti dall'art. 1469 bis c.c. nel testo anteriore alla legge n. 526 del 1999, tuttavia, anche nel vigore della precedente formulazione, per la fideiussione che accede a contratti bancari deve ritenersi sussistente il requisito oggettivo per l'applicabilità della disciplina delle clausole abusive, introdotta dalla legge n. 52 del 1996, in ragione del collegamento contrattuale che intercorre tra il contratto costitutivo del debito principale garantito ed il contratto costitutivo dell'obbligazione fideiussoria. Quanto al requisito soggettivo di applicabilità della medesima disciplina, la qualità del debitore principale attrae quella del fideiussore ai fini della individuazione del soggetto che deve rivestire la qualità di consumatore. (Nella specie è stata conseguentemente ritenuta valida — per difetto del requisito soggettivo di applicabilità della disciplina delle clausole abusive nei contratti con i consumatori — la clausola derogativa della competenza territoriale, contenuta nel contratto di fideiussione per le esposizioni bancarie di una società di capitali, stipulato dal suo amministratore unico).
Cass. civ. n. 15101/2000
In tema di contratti conclusi tra consumatori e professionisti, la regula iuris dettata, in tema di competenza territoriale, dall'art. 1469 bis n. 19 c.c. (introdotto con legge 6 febbraio 1996 n. 55), secondo la quale la competenza a conoscere dell'eventuale controversia insorta tra le parti si radica presso l'autorità giudiziaria del foro di residenza o domicilio del consumatore, non si applica ai procedimenti instaurati in epoca precedente all'entrata in vigore della norma citata, attesane la natura sostanziale e non meramente processuale.
Cass. civ. n. 13339/1999
I nuovi artt. 1469 bis e seguenti c.c. non sono applicabili ai contratti stipulati prima della loro entrata in vigore, in virtù del generale principio della irretroattività della legge.
Cass. civ. n. 11296/1998
Il trasferimento delle quote di una società a responsabilità limitata (art. 2479 c.c.) è atto negoziale a forma libera, da documentarsi per iscritto ai soli e limitati fini dell'opponibilità alla società stessa. Ne consegue che, nel rapporto tra i contraenti, l'incontro delle rispettive volontà negoziali può legittimamente determinarsi anche per effetto di un semplice telegramma, quantunque privo dei requisiti formali di cui all'art. 2705 c.c., requisiti che, condizionando l'equiparazione del telegramma alla scrittura privata, sono indispensabili solo quando si esiga ad substantiam la consacrazione della volontà dei contraenti in atti dai medesimi sottoscritti.
Cass. civ. n. 2637/1993
A norma dell'art. 2479 c.c., il trasferimento della quota di una società a responsabilità limitata, in mancanza di una contraria disposizione dell'atto costitutivo, è consentito, oltre che per successione mortis causa, anche per atto tra vivi e l'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci costituisce un atto dovuto da parte della società. Ne deriva che la trasferibilità della quota rappresenta la regola, rispetto alla quale la deroga statutaria deve risultare da una clausola chiaramente indicante una limitazione (in ipotesi, necessità del «gradimento» delle persone dei cessionari da parte della totalità dei soci o di uno degli organi sociali), la cui interpretazione costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito e, come tale, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da logica ed adeguata motivazione.
Cass. civ. n. 10/1993
L'incertezza circa l'entità del vantaggio e, correlativamente, della perdita di ciascun contraente all'atto della stipulazione del contratto, nella quale si concretizza l'alea, cioè il rischio del contratto aleatorio, deve essere obiettiva e dipendere dal verificarsi o meno di un evento futuro dedotto quale fonte dell'alea. Pertanto, un contratto tipicamente commutativo, quale la compravendita, non può qualificarsi aleatorio per volontà delle parti, per il solo fatto della mancata determinazione e precisazione del prezzo al momento della conclusione, che però sia pienamente determinabile in base agli elementi di riferimento indicati nel contratto medesimo.
Cass. civ. n. 8949/1990
Il contratto di appalto (disciplinato dagli artt. 1665 e ss. c.c.) cui è assimilato — ai sensi dell'art. 241 c.n. — il contratto di costruzione navale, pur non essendo per sua natura aleatorio, può assumere tale carattere per volontà delle parti, quando vi sia introdotto un coefficiente di assoluta incertezza nel rischio cui i contraenti vengono esposti, cioè l'assunzione dell'alea per ogni evento, anche il più anomalo. In tal caso, per il disposto dell'art. 1469 c.c., non sono applicabili le disposizioni degli artt. 1467 e 1468 c.c. circa le conseguenze dell'eccessiva onerosità sopravvenuta. (Nella specie, la S.C. nell'affermare il principio in cui di massima, ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano attribuito carattere aleatorio per volontà delle parti al contratto di costruzione navale nel quale era stata inserita una clausola di blocco dei prezzi anche a fronte di futuri aumenti del costo dei materiali e della mano d'opera).