Art. 507 – Codice civile – Rilascio dei beni ai creditori e ai legatari
L'erede, non oltre un mese dalla scadenza del termine stabilito per presentare le dichiarazioni di credito [498 c.c.], se non ha provveduto ad alcun atto di liquidazione, può rilasciare tutti i beni ereditari a favore dei creditori e dei legatari [1977 c.c.].
A tal fine l'erede deve, nelle forme indicate dall'articolo 498, dare avviso ai creditori e ai legatari dei quali è noto il domicilio o la residenza43 c.c.]; deve iscrivere la dichiarazione di rilascio nel registro delle successioni [52, 53 disp. att.], annotarla in margine alla trascrizione prescritta dal secondo comma dell'articolo 484, e trascriverla presso gli uffici dei registri immobiliari dei luoghi in cui si trovano gli immobili ereditari [2643, n. 5 c.c.] e presso gli uffici dove sono registrati i beni mobili [2649, 2663, 2683, 2687 c.c.].
Dal momento in cui è trascritta la dichiarazione di rilascio, gli atti di disposizione dei beni ereditari compiuti dall'erede sono senza effetto rispetto ai creditori e ai legatari [509, 2644, 2649 c.c.].
L'erede deve consegnare i beni al curatore nominato secondo le norme dell'articolo seguente. Eseguita la consegna, egli resta liberato da ogni responsabilità per i debiti ereditari.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 15038/2013
In tema di successione ereditaria, il rilascio dei beni da parte dell'erede beneficiato, ai sensi dell'art. 507 c.c., non comporta il trasferimento della relativa proprietà ai creditori o al curatore nominato ai sensi dell'art. 508 c.c., verificandosi un'ipotesi di semplice abbandono, da parte dell'erede stesso, dei poteri di amministrazione e disposizione a lui riconosciuti, con subingresso del curatore quale titolare dell'ufficio di liquidazione. Ne consegue che, nei giudizi in cui si controverta della proprietà dei beni ereditari, è necessaria la partecipazione non soltanto del curatore, ma anche dell'erede beneficiato, risultando "inutiliter data" una sentenza eventualmente pronunciata in sua assenza.
Cass. civ. n. 4419/2008
In caso di rilascio dei beni ereditari in favore dei creditori e dei legatari, a seguito di accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, l'Amministrazione finanziaria, pur non potendo insinuare nella procedura di liquidazione il proprio credito relativo all'imposta di successione, il quale sorge nei confronti dell'erede in relazione a quanto residuerà a seguito della definitività dello stato di graduazione, può controllare le operazioni della procedura, notificando l'avviso di liquidazione, oltre che all'erede, anche al curatore nominato ai sensi dell'art. 508 c.c., il quale è legittimato ad impugnarlo, in qualità di assegnatario ed amministratore dell'eredità medesima, risultando inutiliter data una sentenza eventualmente pronunciata in assenza di uno dei predetti soggetti.
Cass. civ. n. 17983/2005
Ai fini della individuazione della competenza territoriale dell'ufficio giudiziario cui spetta dichiarare il fallimento di una società di capitali, il cui trasferimento di sede all'interno del territorio dello Stato si assuma reale e non fittizio, il trasferimento successivo della società in uno Stato estero costituisce circostanza irrilevante se non risulta, in alcun modo, che esso sia avvenuto conformemente alle leggi dei due Stati interessati, atteso che l'art. 25, comma 3, legge 31 maggio 1995, n. 218, subordina a tale condizione l'efficacia del mutamento di sede.
Cass. civ. n. 10606/2005
Ai sensi dell'art. 3, paragrafo 1, del Regolamento (CE) n. 1346/2000 del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza, competenti ad aprire la procedura di insolvenza sono i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore, presumendosi - per le società e le persone giuridiche - che il centro degli interessi sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria; peraltro, non contenendo detto regolamento la definizione di centro degli interessi principali, è compito del giudice nazionale da un lato stabilire quale sia in concreto, alla stregua del proprio ordinamento, la sede effettiva della società, e se il centro dei suoi interessi coincida realmente con la sede statutaria; dall'altro determinare, secondo la legge del luogo di costituzione della società (ai sensi dell'art. 25 della legge 31 maggio 1995, n. 218), gli effetti del trasferimento all'estero della sede statutaria. In questo contesto, ove al trasferimento all'estero (nella specie, in Gran Bretagna) della sede legale di una società non abbiano fatto seguito né l'effettivo esercizio di attività imprenditoriale (pur nei limiti di un'impresa in liquidazione) nella nuova sede, né il trasferimento, presso di essa, del centro dell'attività direttiva, amministrativa ed organizzativa della società, deve ritenersi che la presunzione in ordine alla coincidenza della sede effettiva con la sede legale debba continuare ad operare con riferimento alla sede anteriore; pertanto, sussiste la giurisdizione del giudice italiano a dichiarare il fallimento di società che in Italia abbia avuto, prima del detto (meramente formale) trasferimento, la sede legale.
Cass. civ. n. 14196/2005
Potendo il soggetto straniero, anche persona giuridica, assumere la qualità di socio illimitatamente responsabile di una società italiana, esso soggiace a tutte le implicazioni proprie di siffatta qualità, tra cui il fallimento in via di estensione della società italiana, dichiarato dal competente Tribunale fallimentare italiano. Sotto tale profilo, la giurisdizione italiana è una mera conseguenza del meccanismo regolato dall'art. 147 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267), restando perciò inapplicabile - ove il socio straniero sia una persona giuridica - la normativa di conflitto dettata, per le società e gli altri enti, dall'art. 25 della legge 31 maggio 1995, n. 218, recante la riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, alla stregua del quale è disciplinata dalla legge regolatrice dell'ente, tra l'altro, la responsabilità per le obbligazioni dell'ente stesso.
Cass. civ. n. 18944/2005
Secondo quanto si desume dagli artt. 2437 cod. civ. e 25, comma terzo, della legge 31 maggio 1995, n. 218, il trasferimento della sede sociale all'estero non fa venir meno la "continuità" giuridica della società trasferita, specie quando la legge applicabile nella nuova sede concordi con il determinarsi di tale effetto: nè, tanto meno, un mutamento di identità potrebbe essere ricollegato al contemporaneo cambiamento della denominazione sociale o alla eventuale invalidità degli atti cui tali vicende sono collegate. Ne consegue che la società risultante a seguito delle indicate modificazioni deve ritenersi legittimata a proporre opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento emessa nei confronti della società "originaria", nonchè a proporre appello avverso la sentenza di primo grado che tale opposizione abbia respinto. (Nella specie, di seguito alla dichiarazione di fallimento di una società a responsabilità limitata, si era costituita nel giudizio di opposizione promosso da quest'ultima, facendone proprie le istanze e le difese, una società diversamente denominata, qualificatasi come la risultante delle modificazioni della società fallita, la quale aveva trasferito la propria sede nelle Isole Vergini Britanniche, assumendo lo "status" di "International Business Company" con nuova denominazione. Sulla base dell'enunciato principio, la S.C. - rilevato come la legge applicabile nella nuova sede prevedesse, nell'ipotesi considerata, la "continuità" del nuovo ente rispetto a quello "originario" - ha quindi cassato con rinvio la sentenza impugnata, la quale, in accoglimento dell'eccezione del curatore fallimentare, aveva dichiarato inammissibile, per carenza di legittimazione attiva, l'appello proposto dall'anzidetta società contro la sentenza di primo grado, reiettiva dell'opposizione, sul rilievo che non risultava provata la "derivazione" della società appellante da quella dichiarata fallita).
Cass. civ. n. 14348/2004
Spetta al giudice italiano la giurisdizione con riguardo all'istanza di fallimento presentata nei confronti di una società di capitali, operante nel settore dei finanziamenti e degli impegni di firma, già costituita in Italia, che dopo aver deliberato il trasferimento all'estero (nella specie: in Spagna) abbia visto conseguentemente revocare l'autorizzazione dell'Ufficio Italiano Cambi all'esercizio della sua attività e sia stata cancellata dal Registro delle imprese e, pertanto, si sia estinto come soggetto dell'ordinamento nazionale sicché non possa identificarsi con la società avente identica denominazione costituita in Spagna, in conformità della "lex loci". Infatti, tale tipo di istanza è devoluto al giudice italiano, in applicazione dell'art. 25 della legge n. 218 del 1995 che, dopo aver stabilito (con il primo comma) l'assoggettamento della società alla legge dello Stato in cui si è perfezionato il procedimento di costituzione (o comunque alla legge italiana se la sede o l'oggetto principale si trovino in Italia), con il terzo comma riconosce efficacia al trasferimento all'estero della sede solo se conforme alle norme dei due Stati interessati e, dunque, alla condizione che i rispettivi ordinamenti concordino nel ravvisare il mutamento della sede medesima come mera modificazione, senza interferenze sull'identità e la persistenza in vita dell'ente. Ma tale condizione difetta quando (come nella specie) il diritto nazionale contempli, con il trasferimento della sede, l'estinzione della società nata in Italia, di modo che configuri la società con sede all'estero come un nuovo ente, la cui esistenza ed il cui funzionamento siano regolati dalla legge straniera (Nell'enunciare tale principio la Corte ha altresì precisato che, nella specie, non vengono in rilievo le innovazioni introdotte, in materia di procedure d'insolvenza, dal regolamento (CE) n. 1346/2000 del 29 maggio 2000 del Consiglio, che non riguardano, fra l'altro, le imprese esercenti l'attività creditizia).
Cass. civ. n. 123/1999
In tema di successione ereditaria, il rilascio dei beni da parte dell'erede beneficiato, ex art. 507 c.c., non comporta il trasferimento della relativa proprietà ai creditori o al curatore nominato ai sensi del successivo art. 508, verificandosi, per converso, nella specie, una ipotesi di semplice abbandono, da parte dell'erede stesso, dei poteri di amministrazione e di disposizione a lui in precedenza riconosciuti, e di subingresso del curatore nella qualità di titolare dell'ufficio di liquidazione. Ne consegue che, nei giudizi in cui si controverta della proprietà dei beni ereditari, è necessaria la partecipazione non soltanto del curatore, ma anche dell'erede beneficiato, risultando inutiliter data una sentenza eventualmente pronunciata in sua assenza.
Cass. civ. n. 11517/1997
In tema di contenzioso tributario, l'erede che, accettata l'eredità con beneficio di inventario, rilasci poi i beni ai creditori ai sensi degli artt. 507 e seguenti c.c., non ha diritto ad essere estromesso dal giudizio, atteso che, rimanendo proprietario dei beni ereditari pur dopo il rilascio, l'erede non perde la legittimazione processuale (e l'interesse) ad agire o a resistere in ordine alle pretese destinate ad incidere sul patrimonio ereditario (quali sono, tra le altre, quelle erariali), anche se nasce una legittimazione concorrente del curatore nominato ai sensi dell'art. 508 c.c.
Cass. civ. n. 10512/1991
Nel caso di accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario e con rilascio dei beni ai creditori (art. 507 c.c.), soggetto legittimato a ricorrere contro la liquidazione dell'imposta di successione, è l'erede e non il curatore nominato ai sensi dell'art. 508 c.c., il quale, a differenza del curatore dell'eredità giacente (art. 508 c.c.), non amministra nell'interesse dell'eredità, ma in quello dei creditori senza alcun interesse a contrastare la pretesa dell'erario, cui l'imposta di successione dovrà essere pagata con quanto residui dopo il soddisfacimento dei creditori (art. 46 d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 637).