Art. 516 – Codice civile – Termine per l’esercizio del diritto alla separazione
Il diritto alla separazione deve essere esercitato entro il termine di tre mesi dall'apertura della successione [456, 518, 729, 729 c.p.c.].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 23606/2023
Il principio secondo il quale i rimedi generali dettati in tema di inadempimento contrattuale (risoluzione del contratto, "exceptio inadimpleti contractus" ecc.) non sono utilizzabili nel diverso ambito dei contratti societari (per essere questi ultimi caratterizzati non già dalla corrispettività delle prestazioni dei soci, bensì dalla comunione di scopo, sicché i rimedi invocabili sono quelli del recesso e dell'esclusione del socio) non si applica alle società cooperative, nelle quali il rapporto attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla società ed aventi ad oggetto prestazioni di collaborazione o di scambio tra socio e società si palesa ulteriore rispetto a quello relativo alla partecipazione all'organizzazione della vita sociale ed è caratterizzato non dalla comunione di scopo, ma dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e la retribuzione o il prezzo corrispettivo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto ammissibile l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. proposta dal socio nei confronti di una società cooperativa agricola e zootecnica, venendo in rilievo un rapporto di natura sinallagmatica tra l'obbligo del socio di conferire il latte e quello della società di pagamento del conferimento stesso).
Cass. civ. n. 11849/2018
Il decreto con cui la Corte di appello rigetta o dichiara inammissibile la domanda di separazione dei beni mobili del defunto da quelli dell'erede, ex art. 517 c.c., pur essendo un provvedimento di volontaria giurisdizione, è impugnabile con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., in quanto idoneo, una volta decorso il termine di decadenza di cui all'art. 516 c.c., ad incidere definitivamente in maniera negativa sul diritto del creditore del "de cuius" a costituirsi un titolo di preferenza, sui beni oggetto della garanzia patrimoniale su cui aveva fatto affidamento, rispetto ai creditori particolari dell'erede.
Cass. civ. n. 22565/2015
In tema di società cooperativa edilizia, in caso di pretermissione del socio prenotatario e di assunzione dell'obbligo di cessione di un alloggio a terzi, l'estraneità del cessionario alla compagine sociale e l'elusione dei diritti insorti in favore del socio per effetto dell'operazione mutualistica e del contratto di "prenotazione", determina la radicale nullità della delibera di alienazione del bene a terzi, per illiceità dell'oggetto ai sensi dell'art. 2379 c.c., reso applicabile dall'art. 2516 c.c., potendo conseguirne, altresì, la nullità derivata del contratto preliminare stipulato con il terzo estraneo.
Cass. civ. n. 12272/2014
In tema di vendita di cose mobili, in caso di inadempimento od inesatto adempimento del venditore, il compratore, che non possa avvalersi della facoltà prevista dal primo comma dell'art. 1516 cod. civ. ed acquisti altrove le cose oggetto della vendita, ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno corrispondente alla differenza tra l'ammontare della spesa occorsa per l'acquisto ed il prezzo convenuto, purché dimostri di avere acquistato le stesse cose o altre aventi le medesime caratteristiche qualitative.
Cass. civ. n. 6510/2004
Nell'ordinamento delle società cooperative attesa l'accentuata rilevanza dell'elemento personale che ad esse è propria e stante l'operatività della regola di buona fede nell'esecuzione di ogni rapporto contrattuale (ivi compresi quelli societari) è da ritenersi vigente (già prima dell'espressa previsione nel testo dell'art. 2516 c.c., novellato dal D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6) un generale principio di parità di trattamento dei soci da parte della società, il quale da intendersi in senso relativo, e cioè come parità di trattamento dei soci che si trovino, rispetto alla società, in eguale posizione attiene al modo in cui la società, e per essa i suoi amministratori e rappresentanti, è tenuta a comportarsi, definendo una regola di comportamento per gli organi sociali, la cui violazione, ove in fatto accertata, ben può esporre gli amministratori a responsabilità, ai sensi dell'art. 2395 c.c., applicabile alle cooperative in virtù dell'art. 2516 (ora art. 2519) c.c. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito, la quale, in sede di giudizio di rinvio, aveva affermato la responsabilità degli amministratori di una cooperativa edilizia, per il fatto che essi, a fronte della situazione debitoria di alcuni soci, non avevano attivato contro di essi alcuna iniziativa recuperatoria del credito sociale, ma avevano invece sopperito al fabbisogno finanziario dell'ente accendendo ipoteche su beni destinati ad altri soci, i quali avevano già assolto ogni obbligo di pagamento).
Cass. civ. n. 5724/2004
Gli atti contrattuali con i quali una società cooperativa trasferisca ad alcuni soci la proprietà di alloggi, da essa costruiti, a condizioni più favorevoli rispetto a quelle praticate (o che in futuro è prevedibile possano essere praticate) ad altri soci non sono, per ciò stesso, affetti da nullità, sia perché non ogni anomalia di funzionamento del rapporto sociale si traduce, sol perché tale, in un vizio genetico del contratto di cessione dell'alloggio di per sé altrimenti valido (un simile vizio potendosi ravvisare solo quando quell'anomalia sia tale da recidere del tutto l'indispensabile nesso tra la causa mutualistica del rapporto societario e la causa sinallagmatica del contratto di scambio), sia perché il principio di parità di trattamento, vigente nel sistema delle società cooperative già prima nella novellazione dell'art. 2516 ad opera del D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6, definisce una regola di comportamento per gli organi sociali, ma non è idoneo a riflettersi sulla validità dei singoli rapporti contrattuali per il cui tramite i singoli soci si assicurano la prestazione mutualistica loro fornita dalla cooperativa.
Cass. civ. n. 3546/2004
Il termine per richiedere la separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede, a norma dell'art. 516 c.c., è un termine di decadenza — e come tale di natura perentoria — della durata di tre mesi, che inizia a decorrere dal momento dell'apertura della successione, e non dal momento della conoscenza della morte del de cuius nè tanto meno dal momento dell'iscrizione del credito o del legato al competente ufficio delle ipoteche (adempimento necessario, ai sensi dell'art. 518 c.c., per esercitare il diritto alla separazione riguardo agli immobili e agli altri beni suscettibili di iscrizione ipotecaria).
Cass. civ. n. 2171/1997
Il mancato esercizio da parte del compratore della facoltà di procurarsi in danno del venditore l'acquisto della merce (art. 1516 c.c.) non incide sul diritto di chiedere il risarcimento del danno per l'inadempimento di questi, mentre l'esercizio di detta facoltà non esclude il risarcimento del danno derivato dal ritardo e dal maggior prezzo pagato per ottenere la medesima prestazione di quella ineseguita.
Cass. civ. n. 8840/1990
Il compratore di cose fungibili, il quale si avvalga della facoltà di procedere alla compera in danno del venditore disciplinata dall'art. 1516 c.c., può ottenere dall'inadempiente la differenza tra l'ammontare della spesa occorsa per l'acquisto ed il prezzo convenuto, mentre, qualora non si avvalga di tale facoltà, come nel caso in cui acquisti direttamente da un terzo le cose non consegnategli, al di fuori dei modi e delle forme di cui alla citata norma, per limitare le conseguenze dell'altrui inadempimento, può esperire ordinaria azione risarcitoria, soggetta alle comuni regole operanti in materia (e quindi sottratta ai limiti di cui al terzo comma del medesimo art. 1516 c.c.).
Cass. civ. n. 5222/1983
L'autotutela concessa dall'art. 1516 c.c. al compratore che non ottiene la consegna della merce — acquisto senza ritardo delle cose, a spese del venditore, a mezzo di persona autorizzata, ovvero di ufficiale giudiziario o di commissario nominato dal pretore — è lasciata alla libera scelta della parte adempiente per la quale costituisce, quindi, una facoltà e non un obbligo, con la conseguente possibilità per la parte stessa di agire in via ordinaria per il risarcimento del danno la cui entità — da provarsi dal creditore secondo le consuete regole — va determinata dal giudice secondo gli ordinari criteri posti dall'art. 1223 c.c., senza che possa trovare applicazione la regola stabilita dall'art. 1518 c.c. — secondo cui il risarcimento è costituito dalla differenza tra il prezzo convenuto e quello corrente nel luogo e nel giorno in cui si doveva fare la consegna, salva la prova di un maggiore danno — ove si tratti di cose non previste in tale norma di carattere eccezionale.
Cass. civ. n. 3963/1983
Il diritto alla differenza di prezzo, previsto dall'art. 1516, secondo comma, c.c. in favore dell'acquirente per la compera in danno, non attiene ad un mero rimborso di spese, così da costituire un titolo distinto dal risarcimento del maggior danno riconosciuto all'acquirente stesso da detta disposizione, ma ha anche esso (al pari dell'analoga diritto spettante al venditore, in base all'ultimo comma del precedente art. 1515, per la vendita in danno) contenuto risarcitorio, correlato alla perdita della maggior somma impiegata per procurarsi la cosa oggetto del contratto ineseguito. Consegue che il giudice non può liquidare tale differenza di prezzo e rinviare a separato giudizio la liquidazione del maggior danno, non essendo consentito scindere il giudizio sul quantum, di modo che la determinazione della quantità della prestazione risarcitoria dovuta abbia luogo per una parte in un processo e per l'altra in un secondo distinto processo.