Art. 598 – Codice civile – Incapacità di chi ha scritto o ricevuto il testamento segreto
Sono nulle le disposizioni a favore della persona che ha scritto il testamento segreto, salvo che siano approvate di mano dello stesso testatore o nell'atto della consegna. Sono pure nulle le disposizioni a favore del notaio a cui il testamento segreto è stato consegnato in plico non sigillato.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 14098/2025
Costituisce concorrenza sleale la condotta di un imprenditore che, per il tramite di propri dipendenti già alle dipendenze del concorrente, si appropria di tabulati recanti i nominativi di clienti e distributori di quest'ultimo, non rilevando la circostanza che essi fossero già noti al medesimo imprenditore ed a tali dipendenti, trattandosi di un complesso strutturato di informazioni aziendali comunque riservate, e non divulgabili ove esse superino la capacità mnemonica e l'esperienza del singolo normale individuo e configurino così una banca dati, il cui trasferimento è idoneo ad arricchire la conoscenza del concorrente e a fornirgli un vantaggio competitivo che trascende la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito.
Cass. civ. n. 14095/2025
In presenza di un marchio complesso, benché la valutazione della somiglianza tra i segni non possa limitarsi a prendere in considerazione solo una componente e a paragonarla con quella dell'altro, occorrendo procedere all'esame dei segni in conflitto considerati ciascuno nel suo insieme, ciò non esclude che l'impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico di riferimento da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere influenzata da una o più delle sue componenti e in tali casi, laddove tutte le altre componenti assumano un rilievo trascurabile, la valutazione di somiglianza possa essere affidata al solo esame di tali componenti. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza d'appello che, giudicando della contraffazione di un marchio complesso contenente una parte denominativa ed una figurativa, aveva ricondotto la capacità distintiva del marchio all'elemento figurativo rappresentato da un cane bassotto, desumendone la sussistenza del rischio di confusione tra i segni in conflitto).
Cass. civ. n. 1923/2025
In tema di risarcimento del danno da illecito anticoncorrenziale, il termine di prescrizione della relativa azione comincia a decorrere dal momento in cui il titolare sia stato adeguatamente informato o si possa pretendere ragionevolmente e secondo l'ordinaria diligenza che lo sia stato, non solo dell'altrui violazione, ma anche dell'esistenza di un possibile danno ingiusto, il cui accertamento va compiuto senza alcun automatismo, ma sulla base delle condizioni ricavabili dal caso concreto.
Cass. civ. n. 1160/2025
Configura condotta contraria alla correttezza professionale, sanzionata dall'art. 2598, nn. 2 e 3, c.c., lo sfruttamento di un pregresso rapporto commerciale preferenziale che consente all'azienda di carpire informazioni su un prodotto altrui avente determinate caratteristiche (coperte, o meno, da diritti di privativa), al fine di immettere in pochissimo tempo in commercio, senza porre in essere gli investimenti usualmente necessari, un'innovazione tecnologica realizzata dal concorrente, presentandola al mercato come una novità assoluta.
Cass. civ. n. 626/2025
In tema di illecito concorrenziale, il presupposto della comunanza di clientela non è dato dall'identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, ma dall'insieme dei consumatori del medesimo bisogno di mercato, che, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti uguali, affini o succedanei, a quelli posti in commercio, che sono in grado di soddisfare quel bisogno, con la conseguenza che sussiste rapporto di concorrenza tra gli imprenditori che, per la commercializzazione degli stessi prodotti, si avvalgono di differenti canali di distribuzione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva escluso l'illecito concorrenziale tra l'imprenditore operante tramite punti di vendita fisici e quello operante online).
Cass. civ. n. 18683/2024
È invalida la registrazione di un segno come marchio, se può indurre nel pubblico l'erronea convinzione che il prodotto provenga da un'area territoriale nota per le eccellenti qualità di quel prodotto, giacché in tale ipotesi si verifica un effetto distorsivo del mercato, ingenerato dall'inganno subito dai consumatori - portati a credere che il prodotto che viene loro proposto provenga da una certa area geografica e goda dei pregi per cui essa è nota - e ciò a prescindere dall'appartenenza di un diritto di proprietà intellettuale sulla denominazione dell'area geografica in capo a chicchessia e in particolare al soggetto che denuncia la decettività del segno. (Nella specie, la S.C. ha cassato il provvedimento impugnato che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno per contraffazione conseguente alla dedotta invalidità della registrazione di un segno come marchio, proposta da un noto birrificio nei confronti di imprese concorrenti che avevano utilizzato il segno su prodotti provenienti da area geografica diversa da quella boema, in cui l'attore produceva il proprio prodotto).
Cass. civ. n. 14944/2024
In tema di concorrenza sleale, il cd. storno vietato di dipendenti non ricorre ove l'imprenditore avvii una collaborazione professionale con il prestatore d'opera, che abbia posto fine al precedente rapporto di lavoro, disattendendo l'obbligo di preavviso o il divieto di concorrenza contratti con il vecchio datore di lavoro, poiché l'imprenditore che recluti il lavoratore dimissionario non è vincolato al rispetto degli accordi che inerivano al precedente rapporto e l'assunzione in tali circostanze non implica necessariamente una condotta disgregatrice dell'altrui impresa, salvo dimostrare che tale comportamento è univocamente finalizzato all'intenzionale scomposizione dell'organizzazione e della funzionalità dell'unità concorrente, così da menomarne la vitalità economica.
Cass. civ. n. 23739/2023
In tema di risarcimento dei danni cagionati dalla contraffazione di segni distintivi, l'accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale di cui all'art. 2598, n. 1), c.c., comporta la presunzione di colpa prevista dall'art. 2600, comma 3, c.c., che onera, pertanto, l'autore degli stessi della dimostrazione dell'assenza dell'elemento soggettivo da valutarsi secondo il canone civilistico 'oggettivato', riferito a un modello standard di comportamento, enucleato dal criterio della diligenza ex art. 1176 c.c. e parametrato sul c.d. agente modello.
Cass. civ. n. 22034/2023
In tema di segni distintivi, la valutazione della capacità distintiva di un marchio complesso, composto da elementi denominativi ed elementi figurativi, impone al giudice di esaminare le qualità intrinseche di entrambi, nonché le loro rispettive posizioni, al fine di identificare la componente dominante, in quanto, sebbene i primi siano in linea di principio maggiormente distintivi rispetto ai secondi – dato che il consumatore medio farà più facilmente riferimento ai prodotti in oggetto citando il nome del marchio piuttosto che descrivendone l'elemento figurativo – non ne consegue che gli elementi denominativi di un marchio debbano essere sempre considerati più distintivi rispetto agli elementi figurativi, potendo questi ultimi, per la forma, dimensioni, colore o la loro collocazione nel segno, occupare una posizione equivalente a quella dell'elemento denominativo.(Affermando detto principio la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza emessa a seguito dell'opposizione alla registrazione di un marchio in cui l'elemento figurativo era composto da due "C" contrapposte e quello denominativo era rappresentato dal patronimico "Gianni Altieri", ritenendo che pur a fronte di innegabili somiglianze, l'aggiunta dell'elemento patronimico fosse sufficiente ad escludere il rischio di confusione fra i segni in conflitto).
Cass. civ. n. 21586/2023
In tema di risarcimento del danno da concorrenza sleale, il pregiudizio alla reputazione commerciale derivante da attività di concorrenza sleale confusoria non può ritenersi sussistente "in re ipsa", ma va allegato e dimostrato da parte del danneggiato.
Cass. civ. n. 20800/2023
In tema di diritti di privativa industriale, il titolare del marchio oggetto di contraffazione può chiedere, in luogo del risarcimento del danno da lucro cessante, la restituzione (cd. "retroversione") degli utili realizzati dall'autore della violazione, ai sensi dell'art. 125 del codice della proprietà industriale, senza che sia necessario allegare e provare che il convenuto abbia agito con colpa o dolo, ed anche nel caso in cui tali utili superino quelli che il titolare avrebbe potuto conseguire qualora la contraffazione non vi fosse stata, trattandosi di un rimedio diverso da quello puramente risarcitorio, improntato ad una funzione, oltre che compensativa anche dissuasiva e deterrente, volta a prevenire la pianificazione di attività contraffattive da parte di operatori economici più efficienti per capacità imprenditoriale del titolare del diritto di proprietà industriale.
Cass. civ. n. 12881/2023
I segni possono costituire oggetto di marchio, in quanto rispondano oggettivamente e preminentemente alla funzione distintiva del prodotto e della sua provenienza, senza esser vincolati dalla destinazione merceologica o dalla forma necessaria del prodotto stesso, sicché è suscettibile di brevetto la sola forma il cui pregio modifichi l'identità del prodotto in quanto idonea ad aumentarne il valore merceologico, senza mutarne la funzione ontologica, mentre non lo è la forma priva di carattere distintivo, tale essendo quella imposta dalla natura del prodotto come forma necessaria per l'ottenimento di un risultato tecnico ovvero quella che dà al prodotto un valore sostanziale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto dotata di caratteristiche individualizzanti la forma della scatola per confetti "tic tac").
Cass. civ. n. 12092/2023
In tema di concorrenza sleale, qualora l'atto lesivo sia posto in essere da un terzo interposto, occorre distinguere tra l'ipotesi in cui costui sia un dipendente dell'imprenditore avvantaggiato, nel qual caso quest'ultimo risponde dell'illecito ai sensi dell'art. 2049 c.c. purché sussista un nesso di "occasionalità necessaria" fra l'incarico affidato al terzo e il compimento dell'atto pregiudizievole, e la diversa ipotesi in cui l'interposto non sia un dipendente dell'imprenditore, nel qual caso la responsabilità di quest'ultimo si collega all'art.2598 c.c., nella parte in cui qualifica illecito concorrenziale anche l'avvalersi "indirettamente" di mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale, sempreché, tuttavia, pur in assenza di una partecipazione anche solo ispirativa dell'imprenditore, l'atto del terzo corrisponda al suo interesse e l'interposto si trovi con esso in una relazione tale da qualificarne l'agire come diretto ad avvantaggiarlo.
Cass. civ. n. 12049/2023
In tema di concorrenza sleale, la violazione di norme pubblicistiche non integra necessariamente un atto anticoncorrenziale ex art. 2598, n. 3, c.c., dovendosi distinguere tra norme volte a porre limiti all'esercizio dell'attività imprenditoriale, la cui violazione è sempre riconducibile entro il paradigma contemplato da detta disposizione, e norme che impongono costi alle imprese operanti sul mercato, la cui violazione non costituisce di per sé l'illecito in parola, occorrendo che l'imprenditore che si duole degli atti del concorrente ne dimostri l'attitudine potenzialmente lesiva dei propri diritti, mediante malizioso ed artificioso squilibrio delle condizioni di mercato. (Nella specie, l'illecito concorrenziale accertato dal giudice di merito consisteva nell'esercizio da parte di una società di attività commerciali di ristorazione e market, in assenza di autorizzazione amministrativa, all'interno dello stesso complesso turistico ove altro ente svolgeva regolarmente le medesime attività sulla base di titoli abilitativi).
Cass. civ. n. 6876/2023
In tema concorrenza sleale, la tutela risarcitoria va riconosciuta anche con riferimento alla realizzazione di atti preparatori rispetto a quelli presi in considerazione dall'art. 2598 c.c., qualora sia dimostrata l'esistenza di un danno eziologicamente collegato a questi ultimi; ove il pregiudizio riguardi l'immagine e l'apprezzamento che i consumatori nutrono per i prodotti commercializzati con un determinato segno distintivo, il risarcimento è parametrato, oltre che sul danno emergente e sul danno non patrimoniale, anche sul danno da lucro cessante, sempreché la condotta lesiva abbia determinato una contrazione dei ricavi del danneggiato o abbia avuto, comunque, un'incidenza sul relativo importo. (Nella specie, la S.C. ha affermato il principio anzidetto a fronte di una preordinata commercializzazione di prodotti con marchi contraffatti di un noto stilista, di fatto non concretizzatasi per l'intervenuto sequestro penale dei medesimi).
Cass. civ. n. 12049/2023
In tema di concorrenza sleale, la violazione di norme pubblicistiche non integra necessariamente un atto anticoncorrenziale ex art. 2598, n. 3, c.c., dovendosi distinguere tra norme volte a porre limiti all'esercizio dell'attività imprenditoriale, la cui violazione è sempre riconducibile entro il paradigma contemplato da detta disposizione, e norme che impongono costi alle imprese operanti sul mercato, la cui violazione non costituisce di per sé l'illecito in parola, occorrendo che l'imprenditore che si duole degli atti del concorrente ne dimostri l'attitudine potenzialmente lesiva dei propri diritti, mediante malizioso ed artificioso squilibrio delle condizioni di mercato.
Cass. civ. n. 6876/2023
In tema concorrenza sleale, la tutela risarcitoria va riconosciuta anche con riferimento alla realizzazione di atti preparatori rispetto a quelli presi in considerazione dall'art. 2598 c.c., qualora sia dimostrata l'esistenza di un danno eziologicamente collegato a questi ultimi; ove il pregiudizio riguardi l'immagine e l'apprezzamento che i consumatori nutrono per i prodotti commercializzati con un determinato segno distintivo, il risarcimento è parametrato, oltre che sul danno emergente e sul danno non patrimoniale, anche sul danno da lucro cessante, sempreché la condotta lesiva abbia determinato una contrazione dei ricavi del danneggiato o abbia avuto, comunque, un'incidenza sul relativo importo.
Cass. civ. n. 18034/2022
In tema di atti di concorrenza sleale, l'art. 2598, n. 3, c.c., costituisce una disposizione aperta che spetta al giudice riempire di contenuti, avuto riguardo alla naturale atipicità del mercato ed alla rottura della regola della correttezza commerciale, sì che in tale previsione rientrano tutte quelle condotte che, coerentemente con la suddetta ratio, ancorché non tipizzate, abbiano come effetto l'appropriazione illecita del risultato di mercato della impresa concorrente.
Cass. civ. n. 33968/2022
In virtù del necessario coordinamento della disciplina generale degli artt. 1597, 1598 e 1938 c.c. con quella speciale degli artt. 28 e 29 della l. n. 392 del 1978, la fideiussione prestata a garanzia delle obbligazioni del conduttore di un immobile adibito ad uso diverso da quello abitativo si protrae, salva diversa volontà negoziale, fino alla scadenza del secondo sessennio di durata, posto che solo a partire da tale momento la locazione può cessare per un comportamento meramente potestativo delle parti (secondo la logica sottesa all'art. 1597 c.c.), mentre alla scadenza del primo sessennio la cessazione può intervenire solo per disdetta da comunicarsi nei termini stabiliti ovvero a seguito dell'esercizio della facoltà di diniego del rinnovo da parte del locatore per i motivi previsti nel citato art. 29 (dunque, in forza di un contegno non meramente potestativo, siccome caratterizzato da particolari modalità e termini).
Cass. civ. n. 8944/2020
In tema di concorrenza sleale per confusione dei prodotti, l'imitazione rilevante ai sensi dell'art. 2598, n. 1, c.c. non esige la riproduzione di qualsiasi forma del prodotto altrui, ma solo di quella che investe le caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante, in quanto idonee, per capacità distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa, sempreché la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle caratteristiche funzionali del prodotto.
Cass. civ. n. 7676/2020
In tema di concorrenza sleale, la violazione di norme pubblicistiche che non siano direttamente rivolte a porre limiti all'esercizio dell'attività imprenditoriale non integra di per sé la fattispecie illecita di cui all'art. 2598, n. 3, c.c., dovendo piuttosto accompagnarsi alla violazione anzidetta il compimento di atti di concorrenza potenzialmente lesivi dei diritti altrui, mediante malizioso ed artificioso squilibrio delle condizioni di mercato.
Cass. civ. n. 18772/2019
Può configurarsi un atto di concorrenza sleale in presenza del trasferimento di un complesso di informazioni aziendali da parte di un ex dipendente di imprenditore concorrente, pur non costituenti oggetto di un vero e proprio diritto di proprietà industriale quali informazioni riservate o segreti commerciali, ma è necessario che ci si trovi in presenza di un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, seppur non segretati e protetti, che superino la capacità mnemonica e l'esperienza del singolo normale individuo e configurino così una banca dati che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito.
Cass. civ. n. 12364/2018
In tema di concorrenza sleale, il rapporto di concorrenza tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, comporta che la comunanza di clientela non è data dall'identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall'insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti, uguali ovvero affini o succedanei a quelli posti in commercio dall'imprenditore che lamenta la concorrenza sleale, che sono in grado di soddisfare quel bisogno.
Cass. civ. n. 25607/2018
La concorrenza sleale parassitaria, ricompresa fra le ipotesi previste dall'art. 2598, n. 3, c.c., consiste in un continuo e sistematico operare sulle orme dell'imprenditore concorrente attraverso l'imitazione non tanto dei prodotti ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest'ultimo, mediante comportamenti idonei a danneggiare l'altrui azienda con ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale; essa si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici di cui ai precedenti nn. 1 e 2 della medesima disposizione, sicché, ove si sia correttamente escluso nell'elemento dell'imitazione servile dei prodotti altrui il centro dell'attività imitativa (requisito pertinente alla sola fattispecie di concorrenza sleale prevista dal n. 1 dello stesso art. 2598 c.c.), debbono essere indicate le attività del concorrente sistematicamente e durevolmente plagiate, con l'adozione e lo sfruttamento, più o meno integrale ed immediato, di ogni sua iniziativa, studio o ricerca, contrari alle regole della correttezza professionale.
Cass. civ. n. 12820/2018
La reazione dell'imprenditore che sia danneggiato dalla condotta sleale di un concorrente è legittima, e non causa un danno risarcibile, solo quando risponde ai parametri della continenza generale e della proporzionalità rispetto all'offesa ricevuta.
Cass. civ. n. 15781/2016
In tema di locazione, l'inestensibilità delle garanzie prestate da terzi alle obbligazioni derivanti da proroghe della durata del contratto, prevista dall'art. 1598 c.c., si riferisce alle ipotesi fisiologiche di rinnovazione o prosecuzione del rapporto, intendendo tale norma tutelare il garante affinché non rimanga astretto nella propria obbligazione anche quando abbia prestato la garanzia in riferimento a rapporti obbligatori la cui durata sia stata "ab initio" temporalmente delimitata o risulti delimitabile "ex lege", mentre la norma non è applicabile nel caso in cui il conduttore, dopo la scadenza del contratto, sia rimasto in mora nel restituire la cosa locata e sia pertanto tenuto a pagare il corrispettivo sino alla riconsegna, poiché tale obbligazione, derivando dall'inadempimento del rapporto originario, vive in stretto collegamento con quest'ultimo e prescinde del tutto dall'attuazione fisiologica del rapporto locatizio, sicché non è dato al garante giovarsi del concetto di "proroga del contratto".
Cass. civ. n. 18691/2015
La concorrenza sleale costituisce fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, sicché non è ravvisabile ove manchi il presupposto soggettivo del cosiddetto "rapporto di concorrenzialità"; l'illecito, peraltro, non è escluso se l'atto lesivo sia stato posto in essere un soggetto (il cd. terzo interposto), che agisca per conto di un concorrente del danneggiato poiché, in tal caso, il terzo responsabile risponde in solido con l'imprenditore che si sia giovato della sua condotta, mentre ove il terzo sia un dipendente dell'imprenditore che ne ha tratto vantaggio, quest'ultimo ne risponde ai sensi dell'art. 2049 c.c. ancorché l'atto non sia causalmente riconducibile all'esercizio delle mansioni affidate al dipendente, risultando sufficiente un nesso di "occasionalità necessaria" per aver questi agito nell'ambito dell'incarico affidatogli, sia pure eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni o all'insaputa del datore di lavoro. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale, accertata la pronuncia di espressioni diffamatorie ascrivibili ad un soggetto persona fisica fiduciario e mandatario di un concorrente, aveva correttamente imputato a quest'ultimo la responsabilità da concorrenza sleale per denigrazione).
Cass. civ. n. 4739/2012
La nozione di concorrenza sleale di cui all'art. 2598 c.c. va desunta dalla "ratio" della norma, che impone, alle imprese operanti nel mercato, regole di correttezza e di lealtà, in modo che nessuna si possa avvantaggiare, nella diffusione e collocazione dei propri prodotti o servizi, con l'adozione di metodi contrari all'etica delle relazioni commerciali; ne consegue che si trovano in situazione di concorrenza tutte le imprese i cui prodotti e servizi concernano la stessa categoria di consumatori e che operino quindi in una qualsiasi delle fasi della produzione o del commercio destinate a sfociare nella collocazione sul mercato di tali beni. Infatti, quale che sia l'anello della catena che porta il prodotto alla stessa categoria di consumatori in cui si collochi un imprenditore, questi viene a trovarsi in conflitto potenziale con gli imprenditori posti su anelli diversi, proprio perché è la clientela finale quella che determina il successo o meno della sua attività, per cui ognuno di essi è interessato a che gli altri rispettino le regole di cui alla citata disposizione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la produzione e la distribuzione di "gabbiette" per tappi di bottiglia di vino frizzante strettamente connesse con la fabbricazione delle macchine che dette gabbiette producono, così che, pur a diversi livelli, i produttori di tali oggetti insistono nel medesimo settore di attività).
Cass. civ. n. 17144/2009
In tema di concorrenza sleale, presupposto indefettibile dell'illecito è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, e quindi la comunanza di clientela, la quale non è data dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall'insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che sono in grado di soddisfare quel bisogno. La sussistenza di tale requisito va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l'attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l'offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, nella parte in cui, nonostante il diverso pregio dei prodotti delle parti ed il diverso livello dei negozi presso cui essi erano reperibili, aveva ritenuto sussistente la confondibilità tra gli stessi, in virtù della loro appartenenza alla medesima categoria merceologica e dell'adozione di un marchio fortemente confondibile, che avrebbero potuto indurre il pubblico a ritenere entrambi i prodotti riconducibili all'attività della medesima impresa).
Cass. civ. n. 21392/2005
La mancanza di un rapporto di concorrenzialità tra l'autore di un determinato fatto e l'imprenditore che si assume da esso danneggiato, o anche la mancanza in capo al primo di una qualsiasi relazione con l'imprenditore concorrente tale da far ritenere che l'attività sia stata oggettivamente svolta nell'interesse di quest'ultimo, se valgono ad escludere rispetto all'autore del fatto l'ipotesi della concorrenza sleale, non impediscono però di configurare nei suoi confronti la responsabilità per fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c. (Fattispecie relativa a domanda di risarcimento del danno proposta da alcune società, quali titolari di un diritto sulla denominazione d'origine «Salame Felino» in quanto operanti nella zona tipica di tale denominazione, nei confronti di un ente senza scopo di lucro, avente come fine istituzionale l'attività di c.d. normalizzazione tecnica, in relazione alla divulgazione di una «norma tecnica» concernente l'individuazione delle componenti di qualità del «Salame Felino» e delle sue tecniche di produzione, la quale, secondo le attrici, non riproduceva le reali componenti tipiche del prodotto).
Cass. civ. n. 560/2005
Presupposto giuridico per la legittima configurabilità di un atto di concorrenza sleale è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori (e la conseguente idoneità della condotta di uno dei due concorrenti ad arrecare pregiudizio all'altro, pur in assenza di danno attuale), così che la normativa dettata, in materia, dall'art. 2598 c.c. non può ritenersi applicabile ai rapporti tra professionisti (nella specie, avvocati). La nozione di azienda di cui al n. 3 dell'art. 2598 sopra citato, difatti, coincide con quella di cui al precedente art. 2555, stesso codice, sicché (pur essendo innegabile che, sotto il profilo meramente ontologico, studi di liberi professionisti siano, di fatto, per personale, mezzi tecnici impiegati e quant'altro, assimilabili ad una azienda) l'intento del legislatore, inteso a differenziare nettamente la libera professione dall'attività d'impresa (intento confermato, tra l'altro, proprio con riguardo alla professione di avvocato, dal regime delle incompatibilità di cui all'art. 3 primo comma del R.D.L. 1578/1933, comprendente, tra l'altro, il divieto dell'esercizio del commercio in nome proprio o altrui, divieto privo di significato se lo studio professionale fosse assimilabile ad un'azienda commerciale) va interpretato ed attuato nel senso della inapplicabilità tout court del regime di responsabilità da concorrenza sleale ai rapporti tra liberi professionisti, e ciò in via di interpretazione tanto diretta, quanto analogica, senza che possa, in contrario, invocarsi il disposto di cui all'art. 2105 c.c., funzionale alla disciplina della responsabilità contrattuale del prestatore nei confronti del proprio datore di lavoro ed alla repressione di una fattispecie di concorrenza illecita, laddove l'art. 2598 attiene alla responsabilità extracontrattuale tra imprenditori onde reprimerne comportamenti di concorrenza sleale.
Cass. civ. n. 13071/2003
Il principio secondo il quale la concorrenza sleale deve ritenersi fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, non configurabile, quindi, qualora non sussista il cosiddetto «rapporto di concorrenzialità», non esclude la sussistenza di un atto di concorrenza sleale anche nel caso in cui un tale atto sia posto in essere da colui il quale si trovi con il soggetto avvantaggiato in una particolare relazione, in grado di far ritenere che l'attività sia stata oggettivamente svolta nell'interesse di quest'ultimo; peraltro, a detto fine è insufficiente la mera circostanza del vantaggio arrecato all'imprenditore concorrente, ma neppure occorre che sia stato stipulato con questi un pactum sceleris, essendo invece sufficiente il dato oggettivo consistente nell'esistenza di una relazione di interessi tra autore dell'atto ed imprenditore avvantaggiato; in carenza del quale l'attività del primo può integrare un illecito ex art. 2043, c.c., non anche un atto di concorrenza sleale. (Nella specie, un rappresentante di commercio di tre diverse imprese aveva compiuto atti diretti a sviare la clientela di un imprenditore in favore di una impresa da lui non rappresentata; la S.C., in applicazione del succitato principio di diritto, ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva ritenuto la responsabilità del rappresentante di commercio ex art. 2598, c.c., anche in mancanza di prova della esistenza di una relazione di interessi tra il predetto e l'imprenditore concorrente avvantaggiato dall'atto di concorrenza sleale).
Cass. civ. n. 5375/2001
Il principio secondo il quale la concorrenza sleale deve ritenersi fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, non configurabile, pertanto, ove manchi tale presupposto soggettivo (il cosiddetto «rapporto di concorrenzialità»), non esclude la legittima predicabilità dell'illecito concorrenziale anche quando l'atto lesivo del diritto del concorrente venga compiuto da un soggetto (cosiddetto terzo interposto) il quale, pur non possedendo egli stesso i necessari requisiti soggettivi (non essendo, cioè, concorrente del danneggiato), agisca tuttavia per conto di (o comunque in collegamento con) un concorrente del danneggiato stesso, essendo egli stesso legittimato a porre in essere atti che ne cagionino vantaggi economici. In tal caso, pertanto, il terzo va legittimamente ritenuto responsabile, in solido, con l'imprenditore che si sia giovato della sua condotta, mentre, mancando del tutto siffatto collegamento tra il terzo autore del comportamento lesivo del principio della correttezza professionale e l'imprenditore concorrente del danneggiato, il terzo stesso è chiamato a rispondere ai sensi dell'art. 2043 c.c., e non anche del successivo art. 2598, con tutte le conseguenti differenze in tema di prova dell'elemento psicologico dell'illecito de quo. (Nell'affermare il principio di diritto che precede, la Suprema Corte ha, peraltro, confermato, nella specie, la sentenza del giudice di merito, che aveva ritenuto la sussistenza dell'ipotesi concorrenziale tipica ex art. 2598 n. 3 c.c. nel comportamento della Camera di commercio di Gorizia - che aveva arbitrariamente ampliato i confini della cosiddetta «zona franca» consentendo, in tal modo, ai produttori di birra residenti di estendere la loro attività fiscalmente agevolata al più ampio territorio provinciale in danno dei concorrenti di diversa residenza, chiamati ad affrontare un maggior costo d'impresa - poiché in nessuna delle due fasi di merito era stata sollevata la questione della mancanza di collegamento tra la predetta Camera di commercio e gli imprenditori avvantaggiati, e le relative doglianze, rappresentate per la prima volta in sede di giudizio di legittimità, erano da considerarsi inammissibili in rito, pur se fondate in fatto).
Cass. civ. n. 1617/2000
In tema di concorrenza sleale, presupposto indefettibile della fattispecie di illecito prevista dall'art. 2598 c.c. è la sussistenza di una effettiva situazione concorrenziale tra soggetti economici, il cui obiettivo consiste nella conquista di una maggiore clientela a danno del concorrente. Ne consegue che la comunanza di clientela — data non già dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti delle due imprese, bensì dall'insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato, e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che quel bisogno sono idonei a soddisfare - è elemento costitutivo di detta fattispecie, la cui assenza impedisce ogni concorrenza, non potendo ritenersi decisiva di per sé, a tali effetti, la circostanza, da utilizzare solo come criterio integrativo, della identità del procedimento di commercializzazione adottato. Peraltro, la sussistenza della predetta comunanza di clientela va verificato anche in una prospettiva potenziale, dovendosi, al riguardo, esaminare se l'attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e, quindi, su quello merceologico, l'offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini o succedanei rispetto a quelli attualmente offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la decisione della corte di merito che, in difformità da quella del giudice di primo grado, aveva escluso la configurabilità della concorrenza sleale nell'attività di una società che offriva prodotti per il corpo direttamente a domicilio dei consumatori, attraverso un particolare sistema di concessionarie, già adottato da altra società, produttrice di contenitori di uso casalingo).
Cass. civ. n. 11047/1998
In tema di concorrenza sleale, l'attacco ingiusto diretto a ledere le posizioni ed i diritti tutelati dall'art. 2598 c.c., e, in particolare, idoneo a confondere il pubblico circa la qualità merceologica dei prodotti offerti, con evidente vantaggio conseguente ad una comparazione tra i prezzi di vendita che non dia conto, in virtù della confusione così ingenerata nel consumatore, della differente struttura del costo di produzione, legittima una reazione, da parte del soggetto leso, volta a ristabilire la verità dei fatti onde consentire al pubblico la conoscenza circa la intrinseca diversità tra i prodotti rispettivamente commercializzati, senza che l'autore della reazione possa essere considerato responsabile del danno conseguentemente arrecato all'aggressore, e senza che spieghi influenza, in contrario, la natura extracontrattuale dell'illecito di cui all'art. 2598 c.c. (Nella specie, la Federargentieri aveva denunciato, attraverso una campagna di stampa, la diffusione di un fenomeno commerciale, ritenuto poi scorretto anche in sede giurisdizionale, consistente nella immissione sul mercato, da parte di svariate imprese, di oggetti in materiale sintetico rivestiti da una sottile patina d'argento applicata mediante bagno galvanico, oggetti sui quali veniva apposto il marchio contrassegnante i prodotti in metallo prezioso ed il relativo titolo in millesimi, così da farli apparire e porre in vendita come prodotti d'argenteria, introducendo sul mercato un inammissibile fattore di confusione. La S.C., nell'enunciare il principio di diritto di cui in massima, ha confermato la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto legittimo, sotto il profilo dell'autotutela, tale comportamento della parte lesa).
Cass. civ. n. 6887/1996
La concorrenza sleale deve, comunque, consistere in attività dirette ad appropriarsi illegittimamente dello spazio di mercato ovvero della clientela del concorrente, che si concretino nella confusione dei segni prodotti, nella diffusione di notizie e di apprezzamenti sui prodotti e sull'attività del concorrente o in atti non conformi alla correttezza professionale; con la conseguenza che l'illecito non pub derivare dal danno commerciale in sé, né nel fatto che una condotta individuale di mercato produca diminuzione di affari nel concorrente, in quanto il gioco della concorrenza rende legittime condotte egoistiche, dirette al perseguimento di maggiori affari, attuate senza rottura delle indicate regole legali della concorrenza. (Affermando tale principio, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che non ha ritenuto configurabile un illecito concorrenziale nell'attività di una impresa di vendite per corrispondenza, la quale, acquistati legittimamente all'estero diversi capi d'abbigliamento di una casa italiana d'alta moda, li ha messi in vendita mediante catalogo postale, non determinando tale attività una scorretta ingerenza nella diffusione selettiva e nell'organizzazione d'impresa della casa di moda).
Cass. civ. n. 4096/1991
Anche con riguardo a società che, sebbene sciolta, non sia ancora estinta, l'attualità dell'esercizio dell'attività sociale di impresa implica che ben possono qualificarsi come di concorrenza sleale gli atti ex art. 2598 c.c. idonei a pregiudicare gli interessi dell'azienda sociale.
Cass. civ. n. 4755/1986
Con riguardo al pregiudizio che la reputazione del prodotto d'impresa subisca a causa del comportamento altrui, come nel caso di merce che riceva uno svilimento dal fatto del rivenditore che la consegni in confezioni rovinate o manomesse (nella specie, trattandosi di profumi ed altri articoli di bellezza), la non configurabilità di atti di concorrenza sleale, ai sensi dell'art. 2598 c.c., per difetto dei relativi requisiti, quale, nella suddetta ipotesi, la mancanza di un avvantaggiamento dell'imprenditore concorrente per effetto di quel comportamento del rivenditore, non implica di per sé che il comportamento medesimo debba essere considerato espressione del principio di libera concorrenza, potendo esso integrare gli estremi dell'illecito aquiliano, ove l'indicato pregiudizio della reputazione della merce venga a riflettersi negativamente sulla reputazione dell'impresa produttrice, e quindi sulla sua sfera patrimoniale.