Art. 306 – Codice di procedura civile – Rinuncia agli atti del giudizio
Il processo si estingue per rinuncia agli atti del giudizio quando questa è accettata dalle parti costituite [165, 166 c.p.c.] che potrebbero aver interesse alla prosecuzione. L'accettazione non è efficace se contiene riserve o condizioni.
Le dichiarazioni di rinuncia e di accettazione sono fatte dalle parti o da loro procuratori speciali [84 c.p.c.], verbalmente all'udienza o con atti sottoscritti e notificati alle altre parti.
Il giudice, se la rinuncia e l'accettazione sono regolari, dichiara l'estinzione del processo.
Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. La liquidazione delle spese è fatta dal giudice istruttore con ordinanza non impugnabile [177 c.p.c.].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 11443/2025
In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, la presunzione iuris tantum di disinteresse della parte a coltivare il giudizio e di conseguente assenza del pregiudizio prevista dall'art. 2, comma 2-sexies, lett. c), della l. n. 89 del 2001 in caso di estinzione per rinuncia o inattività delle parti ex artt. 306 e 307 c.p.c. si applica anche all'ipotesi di mancata comparizione delle parti ex artt. 181 e 309 c.p.c., in quanto anch'essa conduce alla dichiarazione di estinzione del processo, con contestuale cancellazione della causa dal ruolo ai sensi dell'art. 307 c.p.c.
Cass. civ. n. 25271/2024
La solidarietà ex art. 68 r.d.l. n. 1578 del 1933 richiede un giudizio bonariamente definito senza soddisfare le competenze del professionista, in modo che al giudice sia sottratto il potere di pronunciare sul processo; ciò si verifica anche quando le parti hanno previsto l'abbandono della causa dal ruolo o hanno rinunciato agli atti del processo, con conseguente estinzione di questo, purché i difensori non abbiano rinunciato alla solidarietà passiva delle parti ovvero, intervenendo nella transazione, non abbiano liberato il cliente dalla relativa obbligazione, accettando che, nei loro confronti, resti tenuta solo l'altra parte, a carico della quale la transazione abbia posto le spese giudiziali.
Cass. civ. n. 14172/2024
La presenza in giudizio di più difensori della stessa parte non autorizza i medesimi a moltiplicare gli atti tipici previsti dalla legge per la difesa dell'assistito, in quanto il potere di compiere l'atto si riferisce al diritto della parte di difendersi e contraddire, che è unico anche se la parte è assistita da più avvocati. (Nella specie, la S.C. ha considerato validamente espressa la rinuncia agli atti formulata da uno solo dei difensori della parte ricorrente).
Cass. civ. n. 13636/2024
La rinuncia all'azione, ovvero all'intera pretesa azionata dall'attore nei confronti del convenuto, costituisce un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede, in capo al difensore, un mandato ad hoc, senza che sia a tal fine sufficiente quello ad litem, in ciò differenziandosi dalla rinuncia ad una parte dell'originaria domanda, che rientra fra i poteri del difensore quale espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva rigettato l'appello ritenendo valida la rinuncia all'intera domanda effettuata dal difensore della ricorrente a verbale nel giudizio di primo grado).
Cass. civ. n. 8759/2024
Nel giudizio di cassazione, tanto nell'ipotesi di estinzione per rinunzia (accettata), quanto nel caso di declaratoria di cessazione della materia del contendere, deve essere giudizialmente ordinata la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale, essendo siffatte pronunzie sostanzialmente assimilabili all'ipotesi di estinzione del processo per rinunzia all'azione, espressamente regolata dal comma 2 dell'art. 2668 c.c..
Cass. civ. n. 34025/2023
In tema di impugnazioni, l'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non trova applicazione in caso di rinuncia al ricorso per cassazione in quanto tale misura si applica ai soli casi - tipici - del rigetto dell'impugnazione o della sua declaratoria d'inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, "lato sensu" sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica.
Cass. civ. n. 30251/2023
La cessazione della materia del contendere si ha per effetto della sopravvenuta carenza d'interesse della parte alla definzione del giudizio, postulando che siano accaduti nel corso del giudizio fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e da rendere incontestato l'effettivo venir meno dell'interesse sottostante alla richiesta pronuncia di merito, senza che debba sussistere un espresso accordo delle parti anche sulla fondatezza (o infondatezza) delle rispettive posizioni originarie nel giudizio, perché altrimenti non vi sarebbero neppure i presupposti per procedere all'accertamento della soccombenza virtuale ai fini della regolamentazione delle spese che, invece, costituisce il naturale corollario di un tal genere di pronuncia, quando non siano le stesse parti a chiedere congiuntamene la compensazione delle spese.
Cass. civ. n. 26970/2023
La mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell'art. 393 c.p.c., l'estinzione dell'intero processo, con conseguente caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle già passate in giudicato in quanto non impugnate, non essendo applicabile al giudizio di rinvio l'art. 338 dello stesso codice, che regola gli effetti dell'estinzione del procedimento di impugnazione.
Cass. civ. n. 19845/2019
La rinuncia all'azione non richiede formule sacramentali, può essere anche tacita e va riconosciuta quando vi sia incompatibilità assoluta tra il comportamento dell'attore e la volontà di proseguire nella domanda proposta Essa presuppone il riconoscimento dell'infondatezza dell'azione, accompagnato dalla dichiarazione di non voler insistere nella medesima. Solo a queste condizioni la rinuncia all'azione determina, indipendentemente dall'accettazione della controparte, l'estinzione dell'azione e la cessazione della materia del contendere. Deve, viceversa, essere dichiarata, anche d'ufficio, cessata la materia del contendere in ogni caso in cui risulti acquisito agli atti del giudizio che non sussiste più contestazione tra le parti sul diritto sostanziale dedotto e che conseguentemente non vi è più la necessità di affermare la volontà della legge nel caso concreto. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che la richiesta di declaratoria della cessazione della materia del contendere, sul presupposto di un "factum principis" sopravvenuto, non poteva comunque essere ritenuta equivalente alla rinuncia all'azione, in difetto di un'esplicita dichiarazione di ambo le parti attestante la loro intenzione di soprassedere all'accertamento giudiziale del diritto controverso).
Cass. civ. n. 16061/2019
La rinuncia ad un diritto, se pure non può essere presunta, può tuttavia desumersi da un comportamento concludente, che manifesti, in quanto incompatibile con l'intenzione di avvalersi del diritto, la volontà di rinunciare. La valutazione in concreto di tali comportamenti forma oggetto di un giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità se non per contraddittorietà intrinseca della motivazione o per sua carenza o illogicità.
Cass. civ. n. 23019/2019
Il conseguimento della maggiore età da parte del minore determina automaticamente la cessazione della responsabilità genitoriale, determinando, ancorché avvenga nel corso del procedimento per la dichiarazione di decadenza dalla stessa (nella specie, in pendenza del termine per proporre reclamo avverso il provvedimento medesimo), la cessazione della materia del contendere e la caducazione dei provvedimenti in precedenza pronunciati, posto che ad assumere rilievo è la sola tutela del minore dai comportamenti pregiudizievoli dei genitori, non anche l'interesse del genitore all'accertamento negativo dei fatti allegati a sostegno della domanda.
Cass. civ. n. 4837/2019
La rinuncia all'azione, ovvero all'intera pretesa azionata dall'attore nei confronti del convenuto, costituisce un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede, in capo al difensore, un mandato "ad hoc", senza che sia a tal fine sufficiente quello "ad litem", in ciò differenziandosi dalla rinuncia ad una parte dell'originaria domanda, che rientra fra i poteri del difensore quale espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate.
Cass. civ. n. 19568/2017
Nel processo tributario, come nel processo civile, la pronuncia di cessazione della materia del contendere deve essere adottata anche d'ufficio, senza che sia necessario un espresso accordo delle parti, atteso che, indipendentemente dalle conclusioni da queste ultime formulate, spetta al giudice valutare l'effettivo venir meno dell'interesse delle stesse ad una decisione sul merito della vertenza.
Cass. civ. n. 8903/2016
L'intervenuta cessazione della materia del contendere non forma oggetto di un'eccezione in senso stretto, sicché essa può rilevarsi anche d'ufficio, purché emerga dalle risultanze processuali ritualmente acquisite.
Cass. civ. n. 21209/2015
In caso di transazione del giudizio, non sussiste la responsabilità solidale delle parti al pagamento degli onorari degli avvocati, prevista dall'art. 68 del r.d.l. n. 1578 del 1933, solo se la decisione contenga una statuizione del giudice sulla liquidazione delle spese senza che, invece, rilevi la ragione della definizione della causa (per cessazione della materia del contendere o per abbandono), poiché il presupposto per l'applicazione dell'art. 68 cit. è proprio l'esistenza di un accordo che sottragga al giudice anche la pronuncia sulle spese.
Cass. civ. n. 17312/2015
La declaratoria di cessazione della materia del contendere o la valutazione di soccombenza virtuale per la liquidazione delle relative spese di lite non sono idonee ad acquistare autorità di giudicato sul merito delle questioni oggetto della controversia, né possono precluderne la riproposizione in diverso giudizio.
Cass. civ. n. 149/2014
La dichiarazione congiunta di "cessata materia del contendere per intervenuta transazione" è inidonea ad integrare sia la rinuncia agli atti del giudizio, sia la manifestazione di cessazione della materia del contendere, quando provenga da difensori privi della procura speciale conferente il potere di rinunciare agli atti del giudizio e di accettare la rinuncia.
Cass. civ. n. 25781/2013
In caso di rinuncia agli atti del giudizio, il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell'attore rinunciante, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall'attore stesso, a nulla rilevando che l'attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, operando, al riguardo, il principio di causalità della lite, senza che il giudice debba compiere alcuna delibazione sulla soccombenza virtuale, né valutare se la domanda attorea si estendesse o meno al terzo, essendo a tal fine sufficiente soltanto stabilire se l'instaurazione del rapporto processuale fra il chiamante e il chiamato fosse giustificata dal contenuto della domanda proposta dall'attore verso il convenuto.
Cass. civ. n. 21848/2013
La rinuncia a singoli capi della domanda è espressione della facoltà della parte di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate, sicché, distinguendosi dalla rinunzia agli atti del giudizio, non richiede, come invece quest'ultima, l'osservanza di forme rigorose.
Cass. civ. n. 8353/2013
Il trasferimento dell'azione civile nel processo penale, regolato dall'art. 75 c.p.p., determina una vicenda estintiva del processo civile riconducibile al fenomeno della litispendenza, e non a quello disciplinato dall'art. 306 c.p.c., in quanto previsto al fine di evitare contrasti di giudicati. Ne consegue che detta estinzione è rilevabile anche d'ufficio, ma può essere dichiarata solo se, nel momento in cui il giudice civile provvede in tal senso, persista la situazione di litispendenza e non vi sia stata pronuncia sull'azione civile in sede penale.
Cass. civ. n. 25439/2010
La disposizione dell'ultimo comma dell'art. 306 c.p.c., a norma della quale, se non vi è un diverso accordo, la parte che ha rinunciato agli atti del processo deve rimborsare le spese alle altre parti, è applicabile, in virtù dell'espresso richiamo dell'art. 629 c.p.c., anche nel processo esecutivo. (In applicazione del riportato principio, la S.C. ha cassato senza rinvio il provvedimento col quale il giudice dell'esecuzione, nel dichiarare estinto il processo, aveva liquidato le spese in favore del creditore rinunciante).
Cass. civ. n. 19009/2010
Non può essere pronunciata la cessazione della materia del contendere nell'ipotesi in cui il lavoratore richieda l'accertamento della illegittimità della destinazione ad altre mansioni e del diritto alla conservazione delle precedenti qualora successivamente cessi il rapporto di lavoro per pensionamento, costituendo il suddetto accertamento la premessa logica e giuridica per ulteriori domande risarcitorie, in ordine alle quali l'interesse ad agire permane anche dopo l'estinzione del rapporto di lavoro, incidendo quest'ultimo evento soltanto sull'eventuale domanda di condanna alla reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza ma non sul diritto all'accertamento che tale obbligo sussisteva fino alla cessazione del rapporto.
Cass. civ. n. 16150/2010
La cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conclusioni conformi in tal senso. In mancanza di tale accordo, l'allegazione di un fatto sopravvenuto, assunto come idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere da una sola parte, deve essere valutata dal giudice, il quale, qualora ritenga che tale fatto abbia determinato il soddisfacimento del diritto azionato, e quindi il difetto di interesse ad agire, lo dichiara, regolando le spese giudiziali alla luce del sostanziale riconoscimento di una soccombenza; qualora, invece, ritenga che il fatto in questione abbia determinato il riconoscimento dell'inesistenza del diritto azionato, pronuncia sul merito dell'azione, dichiarandone l'infondatezza, e statuisce sulle spese secondo le regole generali. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che, in relazione all'opposizione proposta dal socio di una società in nome collettivo avverso l'esecuzione intrapresa nei suoi confronti per un debito della società, aveva dichiarato cessata la materia del contendere, alla luce di una transazione intervenuta tra la società ed il creditore procedente, benché quest'ultimo ne contestasse l'efficacia nei confronti del socio).
Cass. civ. n. 26210/2009
L'ordinanza con cui il giudice di merito dichiari estinto il processo per rinuncia agli atti del giudizio e disponga la compensazione delle spese di lite anziché la mera liquidazione delle medesime, non limitandosi a prendere atto della rinuncia e dell'accettazione ma risolvendo la controversia sull'esistenza stessa dei presupposti dell'estinzione, ha valore di sentenza, impugnabile con i mezzi ordinari, poiché trattasi di provvedimento assunto nel contrasto delle parti, il quale fuoriesce dal paradigma di cui all'art. 306 c.p.c., che presuppone la concorde accettazione della rinuncia.
Cass. civ. n. 15631/2009
L'ordinanza con la quale il giudice di merito dichiari estinto il processo per rinuncia agli atti del giudizio, previa esclusione della necessità di un'accettazione delle altre parti, per insussistenza di un loro interesse alla prosecuzione della causa, ha contenuto decisorio quanto alla sussistenza dei presupposti per l'estinzione; ne consegue che essa è impugnabile con l'appello, anche quando l'impugnazione investa soltanto le statuizioni sulle spese, mentre sfugge allo speciale regime di non impugnabilità previsto dall'art. 306, quarto comma, c.p.c. per le ordinanze che si limitano a dichiarare l'estinzione del processo in assenza di contestazioni.
Cass. civ. n. 12887/2009
La pronuncia di "cessazione della materia del contendere" costituisce, in seno al rito contenzioso ordinario, una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell'interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso, tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale. Ad essa, pertanto, consegue, da un canto, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in cosa giudicata, dall'altro, la sua assoluta inidoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del venir meno dell'interesse alla prosecuzione del giudizio, ove la relativa pronuncia non sia impugnata con i mezzi propri del grado in cui risulta emessa.
Cass. civ. n. 23289/2007
La cessazione della materia del contendere si verifica solo quando nel corso del processo sopravvenga una situazione che elimini una posizione di contrasto tra le parti, producendo la caducazione dell'interesse delle stesse ad agire e a contraddire e, quindi, facendo venir meno la necessità della pronunzia del giudice. Tale situazione non ricorre nell'ipotesi di esecuzione anche spontanea, di un provvedimento del giudice che non abbia definito il giudizio, qualora a tale comportamento non si accompagni il riconoscimento espresso o implicito della fondatezza della domanda ovvero la rinunzia alla prosecuzione del giudizio; né, peraltro, può ritenersi cessata la materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse delle parti se non quando i contendenti si diano reciprocamente atto dell'intervenuto mutamento della situazione e sottopongano al giudice conclusioni conformi.
Cass. civ. n. 21707/2006
Il provvedimento con cui il giudice, nel pronunciare l'estinzione del giudizio, ai sensi dell'art. 306 c.p.c., per rinuncia di una di esse agli atti, liquida le spese del giudizio in caso di mancato accordo delle parti, attesa l'espressa previsione di inoppugnabilità ed il suo carattere decisorio, per la sua attitudine ad incidere su diritti; è ricorribile in cassazione ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost. Viceversa, il provvedimento con cui il giudice, nel dichiarare l'estinzione, non solo liquida le spese ma provvede su di esse, compensandole o ponendole a carico di una di esse, esorbitando dalla fattispecie prevista dal quarto comma dell'art. 306, non è assoggettabile a detto ricorso ma è impugnabile o con un'apposita actio nullitatis o con l'appello (se emesso in primo grado).
Cass. civ. n. 28675/2005
Poiché l'art. 306 c.p.c. non si applica al giudizio di cassazione, la rinuncia al ricorso non integra un atto cosiddetto «accettizio» (che richiede, cioè, l'accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali), né un atto recettizio in senso stretto, dal momento che l'art. 390, ultimo comma, ne consente – in alternativa alla notifica alle parti costituite – la semplice comunicazione agli «avvocati» delle stesse, i quali sono investiti dei compiti di difesa, ma non anche della rappresentanza in giudizio delle controparti. Ne consegue che l'atto di rinuncia comporta di per sé l'estinzione del procedimento, indipendentemente dalla notificazione o comunicazione, che sono prescritte da detta norma al solo fine di sollecitare l'adesione delle controparti medesime alla rinuncia, e di prevenire quindi alla radice la condanna alle spese del rinunciante.
Cass. civ. n. 18255/2004
La rinuncia all'azione, diversamente dalla rinuncia agli atti del giudizio, non richiede l'accettazione della controparte, estingue l'azione, determina la cessazione della materia del contendere e, avendo l'efficacia di un rigetto, nel merito, della domanda, comporta che le spese del processo devono essere poste a carico del rinunciante; peraltro, qualora la rinuncia intervenga nella fase di impugnazione, la liquidazione delle spese processuali nel procedimento di appello deve essere effettuata tenendo conto dell'esito complessivo del giudizio, e non già separando l'esito del giudizio di impugnazione dai risultati totali della lite. (In applicazione del succitato principio di diritto, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva condannato il rinunciante a pagare le spese del secondo grado, dichiarando invece compensate tra le parti le spese del primo grado).
Cass. civ. n. 11494/2004
La cessazione della materia del contendere che sopravvenga nel corso del processo di impugnazione non esime il giudice dal provvedere sulle spese dell'intero giudizio, anche in difetto di istanza di parte, valutando, al riguardo, se sussistano giusti motivi di totale o parziale compensazione, ovvero addossando dette spese all'una o all'altra parte secondo il criterio della soccombenza virtuale.
Cass. civ. n. 10478/2004
Quando nel corso del giudizio la pretesa in esso dedotta viene spontaneamente soddisfatta dall'obbligato e su tale circostanza non vi è controversia fra le parti, per il giudice investito della domanda, si esso ordinario o speciale, viene meno il dovere di pronunziare sul merito della stessa, essendo cessato per le parti l'interesse a tale pronunzia, e sorge quello di chiudere il giudizio con una pronunzia di rito quale quella dichiarativa della cessazione della materia del contendere. Ne consegue che contro tale pronunzia la parte può dolersi in sede di impugnazione solo contestando l'esistenza del presupposto per emetterla, risultandole invece precluso per difetto di interesse ogni altro motivo di censura.
Cass. civ. n. 6393/2004
È legittima la definizione di un giudizio con una pronuncia di intervenuta cessazione della materia del contendere tutte le volte in cui il giudice si limiti a constatare che non vi è più interesse ad una pronuncia sul merito della domanda; in questo caso egli si pronuncia anche in ordine alla liquidazione delle spese, previa valutazione della sola soccombenza virtuale. (Nella specie, la S.C. ha riformato la sentenza di appello che aveva dichiarato l'intervenuta cessione della materia del contendere in una situazione relativa alla titolarità dei contratti di locazione tra di esse intercorrenti, e aveva liquidato le spese sulla base della soccombenza virtuale anziché – come avrebbe dovuto – in base alla soccombenza effettiva).
Cass. civ. n. 15962/2003
A differenza della rinuncia al ricorso per cassazione, prevista dall'art. 390 c.p.c., la rinuncia ad uno o più motivi di impugnazione la quale resti sorretta da uno o più motivi non rinunciati, può essere effettuata, anche nel corso della discussione orale, dal difensore munito di semplice procura ad litem, attenendo una siffatta rinuncia alla sua valutazione tecnica circa le più opportune modalità di svolgimento dell'impugnazione, non implicante atto di disposizione del diritto in contesa.
Cass. civ. n. 5676/2003
La rinuncia agli atti del giudizio da parte dell'attore in opposizione a decreto ingiuntivo determina l'estinzione del giudizio stesso in assenza di un interesse sostanziale del creditore opposto alla prosecuzione del giudizio, interesse sussistente quando l'opposto si sia costituito ed abbia avanzato richieste di merito e non ravvisabile, al contrario, nel caso di richiesta di condanna dell'opponente per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. Infatti, il relativo giudizio presuppone lo svolgimento del processo, mentre l'effetto della rinuncia agli atti è quello di privare il giudice del potere-dovere di emanare la sentenza di merito o di rendere nulla ex nunc la procedura.
Cass. civ. n. 2647/2003
A differenza della rinunzia agli atti del giudizio (atto processuale, che produce l'effetto tipico di estinguere la fase processuale in cui interviene), la transazione (atto stragiudiziale di definizione della lite) non incide direttamente sul processo, determinandone l'estinzione, bensì sul diritto sostanziale che ne forma oggetto, comportando la cessazione della materia del contendere.
Cass. civ. n. 1950/2003
La cessazione della materia del contendere può essere dichiarata dal giudice d'ufficio quando sia sopravvenuta una situazione riconosciuta ed ammessa da entrambe le parti che ne abbia eliminato la posizione di contrasto anche circa la rilevanza giuridica delle vicende sopraggiunte, ed abbia perciò fatto venire meno oggettivamente la necessità della pronuncia del giudice su quanto costituiva oggetto di controversia. Ne consegue che siffatta declaratoria non può essere viceversa emessa in presenza di opposizione di una delle parti, che eccepisca l'invalidità (nullità o annullabilità) ovvero (limitatamente all'ipotesi in cui, anziché determinare l'estinzione del rapporto preesistente mediante la sua sostituzione con altro oggettivamente diverso per fonte costitutiva e contenuto – c.d. transazione novativa –, esso fosse volto ad introdurre meri mutamenti dell'assetto sostanziale dei diritti e degli obblighi configurantisi sul piano processuale come fatti modificativi, impeditivi o estintivi del diritto azionato – c.d. transazione semplice –) la risoluzione, per inadempimento, dell'accordo novativo.
Cass. civ. n. 15705/2002
Nell'ipotesi di pagamento avvenuto nel corso del giudizio non si verifica la cessazione della materia del contendere (che presupponendo il venir meno delle ragioni di contrasto fra le parti, fa venir meno la necessità della pronuncia del giudice) allorché l'obbligato non rinunci alla domanda diretta all'accertamento dell'inesistenza del debito.