Art. 612 – Codice di procedura civile – Provvedimento
Chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell'esecuzione che siano determinate le modalità dell'esecuzione.
Il giudice dell'esecuzione provvede sentita la parte obbligata. Nella sua ordinanza designa l'ufficiale giudiziario che deve procedere all'esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell'opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 9063/2025
Nell'esecuzione forzata di obblighi di fare, il "fatto sopravvenuto impediente", che comporta l'ineseguibilità del titolo esecutivo, non è integrato né dalla condotta ostativa o renitente di colui che è stato parte del giudizio in cui si è formato il titolo giudiziale e che avrebbe dovuto sottoporre al in quel giudizio eventuali ostacoli alla realizzazione, né dalla condotta ostativa o renitente di soggetti sottoposti a poteri di direzione dell'esecutato o, comunque, all'obbligo di conformarsi alle indicazioni di quest'ultimo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, secondo cui l'obbligo di realizzare le opere necessarie per eliminare la fuoriuscita di liquami, contenuto nel titolo esecutivo giudiziale emesso nei confronti di un Comune, non poteva essere eluso dall'ente pubblico obbligato, adducendo l'affidamento del servizio idrico integrato a terzi concessionari e il rifiuto di questi ultimi).
Cass. civ. n. 13151/2024
Nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi la domanda riconvenzionale è ammissibile se il provvedimento del giudice dell'esecuzione incide contestualmente, oltre all'interesse dell'opponente, anche quello dell'opposto e a condizione che essa sia spiegata, a pena di decadenza, nel termine perentorio di cui all'art. 617 c.p.c., decorrente dal compimento o dalla conoscenza dell'atto esecutivo opposto, perché, in mancanza, si determina la sanatoria dell'atto stesso. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in un giudizio di opposizione agli atti esecutivi, aveva dichiarato ammissibile la domanda riconvenzionale dell'opposto sebbene tardivamente introdotta soltanto nella fase di merito del giudizio di opposizione agli atti esecutivi e, dunque, quando era ormai ampiamente decorso il termine di venti giorni decorrente dalla conoscenza dell'ordinanza conclusiva del procedimento ex art. 612 c.p.c.).
Cass. civ. n. 1619/2024
In tema di esecuzione forzata, il comando contenuto nel titolo esecutivo giudiziale può essere integrato con gli atti del processo o anche ad esso estrinseci, purché presupposti nei primi o richiamati in modo idoneo, a condizione che l'integrazione abbia ad oggetto il risultato di un'attività di giudizio su questioni comunque esaminate e risolte, seppur non adeguatamente estrinsecate al momento della formazione del documento, e che il titolo non sia intrinsecamente contraddittorio, potendo essere completato in maniera sufficientemente univoca, senza richiedere attività cognitive suppletive da espletarsi ex novo. (Nella fattispecie, relativa a un'opposizione ex art. 617 c.p.c. promossa avverso un'ordinanza ex art. 612 c.p.c. per obblighi di fare conseguenti all'accertata violazione di distanze legali tra costruzioni, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva operato un'inammissibile ricostruzione tecnico-urbanistica ex post e alternativa a quella del titolo esecutivo azionato).
Cass. civ. n. 438/2024
L'eliminazione delle vedute abusive, che consentono di affacciarsi e guardare nel fondo altrui, non necessariamente deve essere disposta dal giudice tramite la demolizione di quelle porzioni immobiliari costituenti il "corpus" della violazione denunciata, ben potendo la violazione medesima essere eliminata per altra via, mediante idonei accorgimenti, i quali, pur contemperando i contrastanti interessi delle parti, rispondano ugualmente al precetto legislativo da applicare al caso oggetto di cognizione. Spetta, poi, al giudice dell'esecuzione la determinazione delle concrete modalità dell'opera o la scelta tra diverse articolazioni concrete di opere aventi comuni finalità e connotazioni.
Cass. civ. n. 35101/2023
In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare, il giudice dell'esecuzione è competente a liquidare il compenso degli ausiliari designati nella procedura, siano essi direttamente nominati dal giudice oppure designati con suo assenso o per sua indicazione o istruzione, poiché l'art. 614 c.p.c. attribuisce all'autorità giurisdizionale, organo direttivo del processo, il potere di liquidare tutte le spese dell'esecuzione, ivi, dunque, incluse quelle relative agli ausiliari.
Cass. civ. n. 32898/2023
La domanda volta alla condanna del convenuto all'esecuzione delle opere necessarie per eliminare la causa del pregiudizio e le sue conseguenze integra un'azione di risarcimento in forma specifica, la quale, rappresentando una modalità di reintegrazione dell'interesse del danneggiato mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del rapporto obbligatorio o del dovere di neminem laedere, si distingue sia dall'azione di adempimento (che postula la sussistenza di un rapporto obbligatorio inadempiuto o inesattamente adempiuto, e consente di ottenere un provvedimento di condanna del debitore all'esecuzione della medesima prestazione che formava oggetto dello stesso), sia dall'esecuzione in forma specifica di un obbligo di fare (che costituisce lo strumento di attuazione coattiva di un diritto già accertato in sede di cognizione).
Cass. civ. n. 22010/2023
In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che decida in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva non è appellabile, ma reclamabile ex art. 624 c.p.c. ove tale decisione sia stata presa solo in vista della mera sospensione della procedura (che resta pendente) in attesa dell'esito del giudizio di merito da instaurare, mentre è opponibile ai sensi dell'art. 617 c.p.c. ove abbia dichiarato la definitiva chiusura del processo esecutivo, con esclusione, in ogni caso, della proponibilità dell'appello.
Cass. civ. n. 12466/2023
In tema di esecuzione degli obblighi di fare e di non fare, con l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 614, comma 2, c.p.c. (per il rimborso delle spese anticipate dalla parte istante) l'opponente può contestare la congruità delle spese o l'avvenuta anticipazione delle stesse, non già la debenza delle somme inerenti al compimento di una o più opere in quanto esorbitanti rispetto al titolo esecutivo (questione attinente all'effettiva portata di questo), né il quomodo dell'esecuzione, giacché tali questioni devono proporsi, rispettivamente, con l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. o con l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. e, comunque, entro la chiusura del procedimento esecutivo, che è segnata dal verbale con cui l'ufficiale giudiziario attesta che sono state compiute le operazioni in ottemperanza all'ordinanza ex art. 612 c.p.c. Qualora l'esecutato abbia sollevato le suddette questioni soltanto nell'ambito dell'opposizione al decreto ex art. 614 c.p.c. senza tempestivamente e previamente proporle con le opposizioni esecutive, il giudice non può riqualificare la domanda come se proposta ai sensi degli artt. 615 o 617 c.p.c., sia per la diversità di ambito dell'opposizione ex art. 645 c.p.c. rispetto a quelle esecutive, sia perché - se il decreto opposto è successivo al definitivo completamento delle opere attestato dall'ufficiale giudiziario – non è più possibile proporre rimedi interni al procedimento esecutivo. (Principio enunciato nell'interesse della legge ex art. 363, comma 3, c.p.c.).
Cass. civ. n. 9112/2023
L'efficacia esecutiva della sentenza di spoglio non è esaurita da un comportamento dell'obbligato che solo apparentemente si sostanzi nell'esecuzione spontanea della decisione, laddove il contrasto con la situazione possessoria tutelata continui ad essere presente, sebbene per effetto di altre situazioni create dall'obbligato; tale efficacia è invece esaurita dal ristabilimento dell'originaria situazione di possesso ottenuta attraverso l'esecuzione coattiva della sentenza, posto che questa può consentire l'eliminazione di ogni situazione di contrasto con il possesso che sia rinvenuta in atto durante l'esecuzione forzata. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto insufficienti, ai fini della prova dell'avvenuta esecuzione della statuizione di reintegrazione nel possesso di una servitù di passaggio, le risultanze di un verbale di immissione in possesso, dal quale non si evinceva con certezza che la catena esistente sul passaggio fosse amovibile, sì da integrare la "rimozione di ogni impedimento al transito" oggetto del "dictum" giudiziale).
Cass. civ. n. 4449/2023
Il giudice dell'esecuzione chiamato, in sede di opposizione all'esecuzione di obblighi di fare, ad accertare la portata e l'idoneità esecutiva del titolo, può tenere conto, al fine di superare eventuali lacune del titolo medesimo, della situazione di fatto esistente al momento in cui ne viene richiesta la coattiva osservanza, restando fermo che, nel giudizio instaurato per la violazione delle distanze legali tra edifici, la determinazione della misura concreta della distanza da rispettare fra le costruzioni deve essere compiuta dal giudice investito della cognizione della relativa domanda e non può essere rimessa al predetto giudice dell'esecuzione, il quale deve risolvere solo i problemi e le difficoltà che possono insorgere in sede di attuazione dell'obbligo di fare, così come imposto dal titolo, e non può in alcun modo provvedere ad integrare il titolo stesso.
Cass. civ. n. 18572/2019
La sentenza di mero accertamento di obbligo di fare infungibile non costituisce titolo esecutivo, potendosi procedere alla esecuzione forzata in forma specifica soltanto in base a sentenza di condanna, almeno implicita, ed in relazione ad una prestazione che possa essere attuata indifferentemente sia dall'obbligato originario, sia per mezzo dell'attività sostitutiva di un qualunque altro soggetto, con identico effetto satisfattivo per il creditore, ovvero quando non sia indispensabile alcuna attività materiale personale di cooperazione specifica del condannato. (In applicazione del principio, la S.C. ha escluso che la sentenza di mero accertamento dell'obbligo dell'ente previdenziale di inserire in determinati elenchi il nominativo di un lavoratore agricolo sia idonea ad essere posta a base di esecuzione forzata in forma specifica, coinvolgendo una pluralità di condotte – quali l'inserimento del nominativo negli appositi elenchi e la verifica della produzione dei conseguenti effetti sia economici che normativi – aventi ciascuna carattere infungibile).
Cass. civ. n. 17440/2019
In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che decida in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva non è appellabile, ma reclamabile ex art. 624 c.p.c. ove tale decisione sia stata presa solo in vista della mera sospensione della procedura (che resta pendente) in attesa dell'esito del giudizio di merito da instaurare, mentre è opponibile ai sensi dell'art. 617 c.p.c. ove abbia dichiarato la definitiva chiusura del processo esecutivo. In nessun caso è possibile la proposizione dell'appello. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato senza rinvio la sentenza di accoglimento dell'appello proposto dagli istanti in esecuzione per obblighi di fare avverso l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione aveva dichiarato ineseguibile la sentenza di accertamento della linea di confine tra due fondi e di condanna all'apposizione di cippi e alla ricostruzione della canalina ivi esistente, e improcedibile l'esecuzione).
Cass. civ. n. 23900/2018
La condanna al pagamento di una somma di denaro, che indichi specifiche modalità di adempimento, non può in alcun modo essere qualificata come condanna relativa ad un obbligo di fare e, pertanto, l'esecuzione ad essa relativa può trovare attuazione solo attraverso il procedimento di espropriazione forzata - che implica necessariamente l'aggressione coatta al patrimonio del debitore e la sua liquidazione - e non invece attraverso il procedimento di cui all'art. 612 c.p.c., che consente soltanto di fissare le modalità di attuazione di una determinata condotta materiale fungibile in sostituzione del debitore.
Cass. civ. n. 30761/2018
Ove sia realizzata una costruzione in violazione delle distanze o dei confini, la riconosciuta illegittimità della stessa non ne comporta necessariamente la demolizione integrale, ma, unicamente, la riduzione entro i limiti di legge, con demolizione delle sole parti che superano tali limiti. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui venga ordinata la demolizione della costruzione illegittima, senza specificare l'esatta misura della inosservanza di distanze o confini, il relativo accertamento può essere effettuato esclusivamente dal giudice dell'esecuzione, nell'esercizio dei poteri previsti dall'art. 612 c.p.c.
Cass. civ. n. 32196/2018
In materia di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare spetta al giudice dell'esecuzione accertare la portata sostanziale della sentenza di cognizione e determinare le modalità di esecuzione dell'obbligazione idonee a ricondurre la situazione di fatto alla regolamentazione del rapporto ivi stabilita, nonché verificare la corrispondenza a tale regolamentazione del risultato indicato dalla parte istante nel precetto, e, se del caso, disporre le opere necessarie a realizzarlo, con provvedimento impugnabile con l'appello là dove si discosti da quanto stabilito nel titolo da eseguire, giacché in tale caso esso non costituisce più manifestazione dei poteri del giudice dell'esecuzione e conseguentemente non è impugnabile nelle forme proprie degli atti esecutivi. La sentenza che decide sull'appello in ordine a tale questione è a sua volta ricorribile per cassazione per motivi concernenti l'interpretazione fornita dal giudice del merito circa l'accertamento compiuto e l'ordine impartito dal giudice della cognizione nella sentenza della cui esecuzione si tratta, la cui disamina non attribuisce tuttavia alla S.C. il potere di valutarne direttamente il contenuto, bensì solamente quello di stabilire se l'interpretazione della sentenza è conforme ai principi che regolano tale giudizio, nonché funzionale alla concreta attuazione del comando in essa contenuto.
Cass. civ. n. 7402/2017
In tema di esecuzione forzata per obblighi di fare o di non fare, l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 612 c.p.c., che abbia assunto contenuto decisorio in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all’ammissibilità dell’azione esecutiva, non può considerarsi – neppure quando abbia provveduto sulle spese giudiziali – come una sentenza decisiva di un’opposizione all’esecuzione (e quindi impugnabile con i rimedi all’uopo previsti), consistendo essa nel provvedimento definitivo della fase sommaria di tale opposizione, sicché la parte interessata può tutelarsi introducendo il relativo giudizio di merito ex art. 616 c.p.c..
Cass. civ. n. 17314/2015
Il provvedimento emesso in forma di ordinanza dal giudice dell'esecuzione per obblighi di fare e di non fare, che dirima in concreto una controversia insorta tra le parti, ove assuma valore sostanziale di sentenza su una opposizione all'esecuzione, è soggetto al regime di impugnazione via via vigente per tale tipo di provvedimento, sicché, se emesso nel periodo tra il 1° marzo 2006 e il 4 luglio 2009, non è appellabile ma esclusivamente ricorribile per cassazione.
Cass. civ. n. 23182/2014
Nel processo di esecuzione di obblighi di fare o di non fare, dal principio di irretrattabilità dei risultati del processo esecutivo discende la definitività della constatazione di chiusura della procedura esecutiva, contenuta nel verbale delle operazioni dell'ufficiale giudiziario, compiute in ottemperanza all'ordinanza del giudice dell'esecuzione, sempreché il verbale e l'ordinanza non siano stati impugnati per vizi concernenti la non conformità di quanto eseguito o disposto rispetto al titolo esecutivo. Ne consegue che, sopravvenuta la definitività della constatazione della chiusura della procedura esecutiva, al creditore procedente, che pure ritenga non perfettamente eseguito il comando giudiziale, resta preclusa la facoltà di azionare ulteriormente il medesimo titolo esecutivo.
Cass. civ. n. 14208/2014
In tema di esecuzione forzata, l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 612 cod. proc. civ., determini le modalità dell'esecuzione di un obbligo di fare o non fare, non può essere impugnata con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. poiché essa non ha contenuto definitivo e decisorio, restando soggetta solo al rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi per eventuali vizi formali;mentre, ove il giudice, nel determinare le modalità dell'esecuzione, dirima anche una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva intrapresa, la stessa assume valore sostanziale di sentenza, ed è soggetta, come tale, all'appello.
Cass. civ. n. 3722/2012
In tema di esecuzione forzata, l'ordinanza, con la quale il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 612 c.p.c., determina le modalità dell'esecuzione forzata di una sentenza per violazione di un obbligo di fare o di non fare, si caratterizza come un provvedimento con il quale vengono fissate le regole dello svolgimento del procedimento esecutivo e, quindi, non attiene al diritto della parte di procedere all'esecuzione, bensì ai modi con cui questa deve essere condotta, con la conseguenza che essa è soggetta soltanto al rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi per eventuali vizi formali; mentre il provvedimento con cui il giudice, ancorché in forma di ordinanza (come espressamente indicato nell'art. 612 c.p.c.), nel determinare le modalità dell'esecuzione, dirima una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva intrapresa, ha natura sostanziale di sentenza in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, cioè su una opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., proposta dall'esecutato o rilevata d'ufficio dal giudice, ed è, pertanto, impugnabile con l'appello. (Nella specie, in applicazione degli enunciati principi, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva dichiarato inammissibile l'appello proposto avverso una prima ordinanza, con cui il giudice dell'esecuzione, in una procedura relativa alla determinazione degli obblighi di fare previsti da una sentenza di divisione di un compendio immobiliare, si era limitato a disporre la comparizione delle parti e del c.t.u., dichiarando nello stesso tempo inammissibile l'appello avverso una seconda ordinanza, con cui il medesimo giudice aveva dato ordine al c.t.u. di procedere a tutte le attività e le opere necessarie secondo una delle soluzioni alternative precedentemente individuate dallo stesso consulente).
Cass. civ. n. 6665/2011
In tema di esecuzione coattiva di obblighi di non fare, l'art. 2933 c.c. consente di ottenere il ripristino della situazione precedente soltanto nei limiti delle statuizioni contenute nella sentenza di condanna al "non facere" e, in caso di non adempimento spontaneo, mediante il procedimento di esecuzione coattiva disciplinato nell'art. 612 c.p.c.. Ne consegue che una pronuncia emessa in sede possessoria che abbia ad oggetto esclusivamente atti di molestia compiuti su una specifica porzione di terreno non può, nel procedimento instaurato ai sensi dell'art. 612 c.p.c., essere estesa ad ogni tipo di molestie realizzabili sui fondi, anche diversi da quello indicato nel ricorso possessorio, che si trovino nella disponibilità dei ricorrenti.
Cass. civ. n. 19605/2010
Il provvedimento giudiziale assunto, in forma d'ordinanza ai sensi dell'art. 612 c.p.c.. al fine di determinare le modalità di esecuzione degli obblighi di fare, nel sistema delle opposizioni esecutive introdotto dalla legge 50 del 2006 ed anteriore alla legge n. 69 del 2009, non può essere qualificabile come sentenza relativa all'opposizione all'esecuzione o provvedimento conclusivo di un'opposizione agli atti esecutivi ove il giudizio non si sia chiuso con la risoluzione di una controversia relativa al titolo esecutivo o al diritto d'intraprendere l'esecuzione forzata o la risoluzione di una questione relativa alla validità del titolo idonee a definire il giudizio, oltre ad un'espressa statuizione sulle spese di lite. Ne consegue che non è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione (unico mezzo d'impugnazione applicabile "ratione temporis" alle opposizioni esecutive) nel caso in cui il provvedimento del giudice dell'esecuzione, assunto ai sensi dell'art. 612 c.p.c. semplicemente non contenga la fissazione del termine per l'iscrizione a ruolo, trattandosi di provvedimento ordinatorio agevolmente integrabile, attraverso l'istanza formulabile ai sensi dell'art. 289 c.p.c., o mediante iscrizione direttamente eseguita dall'interessato e non certo idoneo a ritenere concluso il giudizio.
Cass. civ. n. 10959/2010
In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare, il titolo esecutivo indica il risultato che deve essere raggiunto e l'ordinanza di cui all'art. 612 c.p.c. stabilisce le modalità di ottenimento del medesimo. Ne consegue che, qualora la realizzazione del risultato richieda il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti da parte della P.A., che si pongano come elementi strumentali al conseguimento del risultato indicato nel titolo, il giudice dell'esecuzione ha il potere di richiederli, collocandosi tale richiesta nella fase esecutiva dell'attuazione del diritto sostanziale riconosciuto con il titolo esecutivo.
Cass. civ. n. 11703/2009
In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare, è inammissibile l'opposizione agli atti esecutivi proposta avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza, ex art. 487 c.p.c., di modifica o di revoca del provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 612 c.p.c., abbia determinato le modalità dell'esecuzione, in quanto, scaduti i termini per proporre opposizione avverso quest'ultimo provvedimento, non è possibile "recuperare" tale facoltà con un'istanza di modifica o revoca.
Cass. civ. n. 11458/2007
In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, il provvedimento che il pretore pronuncia, ai sensi dell'art. 612 c.p.c., per determinare le modalità dell'esecuzione, stabilendo il modo in cui, in concreto, deve essere eseguito ciò che illegittimamente non è stato fatto o deve essere distrutto ciò che illegittimamente è stato fatto, e designando altresì l'ufficiale giudiziario e le persone che devono provvedere all'attuazione pratica della volontà della legge accertata nel titolo, ha natura ordinatoria e configura un atto esecutivo, come tale impugnabile, da parte dei soggetti interessati, soltanto con l'opposizione di cui all'art. 617 c.p.c. Qualora, nelle more di detto giudizio, il giudice dell'esecuzione modifichi l'ordinanza impugnata, dando luogo a un provvedimento ricognitivo di quello precedente, detto provvedimento, in quanto privo di contenuto precettivo autonomo, non ha bisogno di essere a sua volta impugnato, poiché l'opposizione già proposta è idonea a rimuovere gli effetti scaturenti da quello precedente. (Nella specie, l'ordinanza impugnata, da un lato, aveva impartito indicazioni circa le modalità di esecuzione del titolo, cagionando per questa parte la declaratoria di cessazione della materia del contendere, dall'altro, aveva confermato la pronuncia sulle spese resa nel precedente provvedimento, su cui la sentenza confermata dalla S.C. si è validamente pronunciata).
Cass. civ. n. 407/2006
I provvedimenti interinali di reintegrazione hanno il carattere della esecutività, ma non danno luogo ad esecuzione forzata, atteso che, con essi, non si realizza ad un'alternativa tra adempimento spontaneo ed esecuzione forzata, ma un fenomeno intrinsecamente coattivo di esecuzione che si svolge ex officio iudicis. Pertanto, la loro esecuzione deve avvenire omettendo l'osservanza delle formalità dell'ordinario processo di esecuzione e, quindi, senza preventiva notificazione del precetto, bastando, nei confronti dell'intimato, che il provvedimento sia notificato in forma esecutiva, con la conseguenza che le spese del precetto, ove intimato, non sono ripetibili.
Cass. civ. n. 13914/2005
In caso di compravendita di bene immobile stipulata (e trascritta nei registri immobiliari) in pendenza di giudizio di cognizione avente il medesimo ad oggetto ed al cui esito sia stato imposto un obbligo di fare mediante esecuzione di determinate opere (nel caso, demolizione), l'acquirente ha diritto a che, nell'ambito del successivo giudizio di determinazione delle modalità dell'esecuzione ex art. 612 c.p.c., gli vengano notificati il titolo esecutivo ed il precetto, al fine di essere posto in grado di svolgere in tale sede la propria attività difensiva.
Cass. civ. n. 13666/2003
L'esecuzione dei provvedimenti interinali in tema di reintegrazione e manutenzione del possesso si colloca al di fuori del processo di esecuzione previsto e regolato dal libro terzo del codice di procedura civile, stante la natura e funzione propria degli anzidetti provvedimenti, diretti a soddisfare in via temporanea ed urgente l'esigenza di tutelare il possessore da attentati che il suo potere di fatto sulla cosa abbia subito o stia subendo e perciò revocabili e modificabili dallo stesso giudice che li ha emessi. Ne consegue che l'esecuzione coattiva dei provvedimenti anzidetti non si realizza nelle forme dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare ex art. 612 c.p.c., ma si svolge senza essere vincolata a quelle forme o a quelle competenze sotto il controllo e la determinazione delle modalità dello stesso giudice che li ha emessi.
Cass. civ. n. 10994/2003
Anche prima della entrata in vigore delle disposizioni sul procedimento cautelare uniforme, i provvedimenti urgenti aventi come contenuto ordini di fare o di non fare, ovvero di consegna o rilascio, — e quindi tutti i provvedimenti cautelari aventi come contenuto ordini diversi dalla dazione di somme di denaro — non avevano natura di titolo esecutivo forzata; per la loro attuazione era ed è necessario rivolgersi al giudice della cautela affinché emetta i provvedimenti che si rendono necessari.
Cass. civ. n. 3992/2003
In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, qualora il giudice dell'esecuzione, dopo aver pronunziato ex art. 612 c.p.c. per determinare le modalità dell'esecuzione (stabilendo il modo in cui, in concreto, deve essere eseguito ciò che illegittimamente non è stato fatto o deve essere distrutto ciò che illegittimamente è stato fatto, con designazione dell'ufficiale giudiziario e delle persone che devono provvedere all'attuazione pratica della volontà della legge accertata nel titolo), emetta una seconda ordinanza con la quale disponga nuovamente in ordine al mero svolgimento dell'esecuzione, rimane integrata una mera violazione dell'art. 131 c.p.c. rimediabile con le impugnazioni ordinarie ovvero, se ne ricorrono i presupposti, con l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (sempre che il giudice non eserciti, anche su sollecitazione di parte, i poteri di relativa revoca ai sensi dell'art. 487 c.p.c.); ove per contro con la detta (seconda) ordinanza il giudice dell'esecuzione dirima una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva intrapresa, va a tale provvedimento riconosciuta natura sostanziale di sentenza, in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata (cioè su una opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., proposta dall'esecutato o rilevata d'ufficio dal giudice), e come tale esso è impugnabile con l'appello. (In applicazione del suindicato principio, la S.C., nel rigettare le doglianze del ricorrente, ha ritenuto avere il giudice dell'esecuzione correttamente disposto, con riferimento ad opere di demolizione, che dovesse tenersi conto delle regole e delle cautele fissate dalla legislazione urbanistica e suggerite dal c.t.u., in quanto la fissazione di tali regole faceva parte del provvedimento esecutivo, suscettibile di impugnazione per vizi di questo procedimento).
Cass. civ. n. 3990/2003
In materia di esecuzione di obblighi di fare, l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione decide la controversia insorta tra le parti in ordine al contenuto della condanna ha natura di sentenza ed è, quindi, impugnabile con l'appello, ma il giudice del gravame deve limitarsi a pronunziare in ordine a detto profilo e non può stabilire le modalità dell'esecuzione, in quanto la fissazione di queste ultime è riservata alla competenza funzionale del giudice dell'esecuzione.
Cass. civ. n. 3979/2003
Qualora, con riguardo all'esecuzione forzata di una sentenza di condanna alla demolizione di opere per il ripristino di una stradella di accesso a un fabbricato, dopo la pronunzia dei provvedimenti ex art. 612 c.p.c. siano insorte difficoltà di esecuzione ed il pretore, adito da una delle parti, abbia emesso un'ordinanza onerando il direttore dei lavori di attivarsi per il rilascio di tutte le autorizzazioni e con concessioni amministrative prima di procedere alla demolizione, il provvedimento non configura una limitazione del diritto sostanziale dei creditori, trattandosi di richieste appartenenti alla fase esecutiva del procedimento, in quanto strumentali all'attuazione del diritto indicato nel titolo. Ne consegue che detto provvedimento non è impugnabile con l'appello.
Cass. civ. n. 3786/2003
In materia di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare spetta al giudice dell'esecuzione accertare la portata sostanziale della sentenza di cognizione e determinare le modalità di esecuzione dell'obbligazione idonee a ricondurre la situazione di fatto alla regolamentazione del rapporto ivi stabilita, nonché verificare la corrispondenza a tale regolamentazione del risultato indicato dalla parte istante nel precetto, e, se del caso, disporre le opere necessarie a realizzarlo, con provvedimento impugnabile con l'appello là dove si discosti da quanto stabilito nel titolo da eseguire, giacché in tale caso esso non costituisce più manifestazione dei poteri del giudice dell'esecuzione e conseguentemente non è impugnabile nelle forme proprie degli atti esecutivi. La sentenza che decide sull'appello in ordine a tale questione è a sua volta ricorribile per cassazione per motivi concernenti l'interpretazione fornita dal giudice del merito circa l'accertamento compiuto e l'ordine impartito dal giudice della cognizione nella sentenza della cui esecuzione si tratta, la cui disamina non attribuisce tuttavia alla Corte Suprema di Cassazione il potere di valutarne direttamente il contenuto, bensì solamente quello di stabilire se l'interpretazione della sentenza è conforme ai principi che regolano tale giudizio nonché funzionale alla concreta attuazione del comando in essa contenuto.
Cass. civ. n. 9202/2001
L'efficacia esecutiva della sentenza di spoglio non è esaurita da un comportamento dell'obbligato, che solo apparentemente si sostanzia in un'esecuzione spontanea della decisione, perché il contrasto con la situazione possessoria tutelata continua ad essere presente, sebbene per effetto di altre situazioni create dall'obbligato; tale efficacia è invece esaurita dal ristabilimento dell'originaria situazione di possesso ottenuta attraverso l'esecuzione coattiva della sentenza, posto che questa può consentire l'eliminazione di ogni situazione di contrasto con il possesso che sia trovata in atto durante l'esecuzione forzata. (Sulla base di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito nella parte in cui ha ritenuto che potesse ottenersi l'eliminazione coattiva degli impedimenti al possesso diversi da quelli rispetto ai quali la sentenza costituente titolo esecutivo si era pronunciata, e anche successivi alla stessa e alla sua iniziale esecuzione spontanea).
Cass. civ. n. 6381/1997
Alla dichiarazione di illegittimità del provvedimento di assegnazione del lavoratore a mansioni non equivalenti a quelle precedentemente svolte consegue la condanna del datore di lavoro ad adibire nuovamente il dipendente alle precedenti mansioni, essendo egli obbligato a rimuovere gli effetti dell'atto illegittimo, ma tale condanna ad un facere, oltre a non essere coercibile, non è equiparabile all'ordine di reintegrazione previsto, per le ipotesi di declaratoria di inefficacia, annullamento o nullità del licenziamento, dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, che ha i caratteri della tipicità e dell'eccezionalità ed efficacia reale. (Nella specie il giudice di primo grado aveva ordinato alla società convenuta di riassegnare il lavoratore alle precedenti mansioni o ad altre di equivalente contenuto professionale; il giudice di appello, nel confermare tale sentenza, aveva in motivazione affermato l'applicabilità in via analogica dell'art. 18 legge n. 300 del 1970; la S.C. ha confermato quest'ultima sentenza correggendone la motivazione in base al riportato principio, nonché rilevando che «l'ordine» giudizialmente rivolto al datore di lavoro equivale ad una condanna ad un facere e dichiarando la mancanza di interesse del datore di lavoro a dolersi del riferimento nella pronuncia di condanna anche a mansioni equivalenti).
Cass. civ. n. 10109/1996
Il principio per cui l'ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro non è suscettibile di esecuzione in forma specifica può applicarsi anche nel caso di sospensione in via giudiziaria del provvedimento di trasferimento del lavoratore ad altra sede di lavoro, sussistendo pure in tale ipotesi la necessità di un comportamento attivo del datore di lavoro nell'ambito delle proprie competenze organizzative e funzionali, postoché egli può ottemperare all'ordine di reintegrazione assegnando il dipendente a mansioni diverse da quelle precedenti, purché ad esse equivalenti. Ne deriva che, ottenuta in via d'urgenza dal Pretore la sospensione del trasferimento, il lavoratore non è passibile di sanzioni disciplinari qualora, senza chiedere allo stesso Pretore la determinazione delle modalità di esecuzione del provvedimento di sospensione, ai sensi dell'art. 612 c.p.c., offra al datore di lavoro le proprie prestazioni nella sede originaria, rifiutandosi di assumere servizio in quella nuova.
Cass. civ. n. 2911/1995
In tema di esecuzione forzata di obblighi di fare, ove il titolo esecutivo sia costituito da una sentenza di condanna all'esecuzione di opere rappresentanti un quid novum, la mancata indicazione specifica delle singole opere da eseguire non si traduce in un difetto di certezza e di liquidità del diritto riconosciuto dalla sentenza allorché, anche a seguito dell'integrazione del dispositivo con le altre parti della sentenza, compresa l'esposizione dei fatti, le opere da eseguire vengano qualificate dal loro preciso riferimento alle finalità della loro imposizione e, in particolare, all'eliminazione di un pregiudizio ben individuato, nonché ad una situazione di fatto sufficientemente precisata che valga ad individuare il tipo dell'intervento (nella specie, trattavasi di eliminare le cause della perdita di acqua da un laghetto, identificate nell'insufficiente compattezza del rilevato e nella mancanza di adeguate opere di ammortamento). In tali ipotesi, è rimessa al giudice dell'esecuzione la determinazione delle concrete modalità dell'opera o la scelta tra diverse articolazioni concrete di opere aventi comuni finalità e connotazioni.
Cass. civ. n. 10713/1994
Ai fini dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare, il verbale di conciliazione giudiziale non costituisce titolo esecutivo — e la questione può essere rilevata d'ufficio anche in cassazione — ai sensi dell'art. 612 c.p.c., il quale menziona, quale titolo per l'esecuzione, solo la sentenza (per tale, peraltro, dovendosi intendere, estensivamente, ogni provvedimento giudiziale di condanna), in considerazione dell'esigenza di un previo accertamento circa la fungibilità e quindi la coercibilità dell'obbligo di fare o di non fare. (Nella specie era stato chiesto l'annullamento di sentenza che aveva accolto, per una ragione di merito, un'opposizione a precetto; la S.C. sulla base degli esposti principi, ha proceduto a cassazione senza rinvio).
Cass. civ. n. 2021/1993
In tema di esecuzione di obblighi di fare o non fare, e per il caso in cui il creditore, insorgendo contro l'ordinanza del pretore determinativa delle modalità di tale esecuzione, chieda al medesimo pretore la revoca di detta ordinanza, domandando anche una pronuncia dichiarativa dell'illegittimità di quelle modalità, l'inammissibilità di quest'ultima domanda, discendente dalla scadenza del termine fissato dall'art. 617 c.p.c. per l'opposizione agli atti esecutivi, non incide sul potere-dovere di pronunciare sull'istanza di revoca, in considerazione della sua inerenza ad un provvedimento di natura ordinatoria, come tale revocabile da parte del giudice che l'ha emesso.
Cass. civ. n. 7124/1991
Nel giudizio instaurato per la violazione delle distanze legali tra edifici, la determinazione della misura concreta della distanza da rispettare fra le costruzioni deve essere compiuta dal giudice investito della cognizione della relativa domanda e non può essere rimessa al giudice dell'esecuzione il quale deve risolvere solo i problemi e le difficoltà che possono insorgere in sede di attuazione dell'obbligo di fare, così come imposto dal titolo, e non può in alcun modo provvedere ad integrare il titolo stesso.