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Art. 280 — Condizioni di applicabilità delle misure coercitive

Art. 280 — Condizioni di applicabilità delle misure coercitive

1. Salvo quanto disposto dai commi 2 e 3 del presente articolo e dall’articolo 391, le misure previste in questo capo possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni [ 391 5, 476, 714 ].

2. La custodia cautelare in carcere [ 285 ] può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni .

3. La disposizione di cui al comma 2 non si applica nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare [ 276 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 20291/2017

In tema di misure cautelari personali, è illegittima la misura custodiale applicata in relazione al reato di cui all’art. 86, d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 [cd. corruzione elettorale], pur quando risulti contestata l’aggravante di cui all’art. 7, l. 12 luglio 1991, n. 203, ostandovi il limite edittale, generale ed inderogabile, di cui all’art. 280 cod. proc. pen., dovendo altresì ritenersi irrilevante il fatto che, per i reati aggravati dal citato art. 7 [perciò riconducibili all’art. 51, comma terzo bis, cod. proc. pen.], l’art. 275, comma terzo cod. proc. pen.dello stesso codice pone una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, in quanto l’applicabilità di tale disposizione soggiace comunque al predetto limite edittale.

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Cass. pen. n. 16176/2017

In caso di arresto eseguito per un delitto punito nel massimo con pena non superiore a tre anni, l’applicazione di una misura coercitiva al di fuori dei limiti di pena previsti dall’art. 280 cod. proc. pen. è illegittima qualora l’arresto non sia stato poi convalidato, in quanto la possibilità di derogare tale limite prevista dall’art. 391, comma quinto, cod. proc. pen., è subordinata alla condizione che l’arresto sia convalidato. [In applicazione di questo principio la S.C. ha annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata relativamente all’applicazione, a seguito di arresto, della misura cautelare coercitiva per i reati di lesioni aggravate, rilevando che non vi era stata la convalida dell’arresto per carenza del requisito della flagranza o quasi flagranza].

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Cass. pen. n. 32383/2010

Il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico.
La circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p. [La Corte ha, peraltro, precisato che tale operatività non può concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo causale che governa l’indicata condizione ostativa, nei casi in cui l’accertamento dell’insussistenza “ab origine” delle condizioni di applicabilità della misura in oggetto avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare, in ragione unicamente di una loro diversa valutazione].

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Cass. pen. n. 36930/2008

È legittima l’applicazione della custodia cautelare in carcere a soggetto resosi responsabile del delitto d’evasione, ancorché esso sia sanzionato con pena edittale inferiore al limite di quattro anni di reclusione stabilito dall’art. 280, comma secondo, c.p.p., in quanto tale limite è derogato dall’art. 280, comma terzo, c.p.p. nelle ipotesi di trasgressione delle prescrizioni relative ad una misura cautelare, tra le quali rientra l’ipotesi d’evasione dagli arresti domiciliari.

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Cass. pen. n. 36896/2007

Il giudice investito di una istanza di revoca o di sostituzione di una misura cautelare custodiale alla cui esecuzione sia sopravvenuta una causa estintiva della pena [nella specie costituita dall’indulto concesso con la legge n. 241 del 2006] deve procedere alla verifica della proporzionalità ed adeguatezza della misura applicata, tenendo conto della possibilità che la pena prevedibilmente irroganda risulti in toto ovvero per la gran parte estinta, sì da rendere non più proporzionato ed adeguato il mantenimento della misura medesima.

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Cass. pen. n. 1244/1996

L’art. 280, comma 2, c.p.p., quale formulato dall’art. 7 della L. 8 agosto 1995 n. 332, nel prevedere che la custodia cautelare in carcere possa essere disposta solo per delitti «per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni», non può certamente essere interpretato nel senso che rimanga esclusa l’ipotesi dei delitti punibili con la pena dell’ergastolo, dovendosi in questo caso considerare l’ergastolo, in quanto detenzione a vita, come assimilabile, nelle intenzioni del legislatore, alla reclusione.

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Cass. pen. n. 4060/1994

Nell’ipotesi in cui l’ordinanza applicativa della custodia cautelare sia riferibile a delitti per i quali è consentita l’adozione della misura coercitiva e reati per i quali tale misura non è consentita, non è configurabile alcuna nullità, poiché il provvedimento nella sua interezza deriva la propria legittimità dall’esistenza di delitti che permettono l’adozione della misura.

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