Art. 374 – Codice di procedura penale – Presentazione spontanea
1. Chi ha notizia che nei suoi confronti sono svolte indagini, ha facoltà di presentarsi al pubblico ministero e di rilasciare dichiarazioni.
2. Quando il fatto per cui si procede è contestato a chi si presenta spontaneamente e questi è ammesso a esporre le sue discolpe, l'atto così compiuto equivale per ogni effetto all'interrogatorio [453]. In tale ipotesi, si applicano le disposizioni previste dagli articoli 64, 65 e 364.
3. La presentazione spontanea non pregiudica l'applicazione di misure cautelari [272-325].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale nei casi di discordanza rispetto al presente.
Massime correlate
Cass. civ. n. 6477/2024
Se privo dell'apposizione della firma digitale, il ricorso per cassazione in forma di documento informatico è affetto da un vizio di nullità, che è sanabile per raggiungimento dello scopo ogni qualvolta possa desumersi la paternità certa dell'atto processuale da elementi qualificanti, tra i quali la notificazione del ricorso nativo digitale dalla casella p.e.c. dell'Avvocatura generale dello Stato censita nel REGINDE e il successivo deposito della sua copia analogica con attestazione di conformità sottoscritta dall'avvocato dello Stato.
Cass. civ. n. 35385/2023
In tema di divorzio, ai fini dell'attribuzione e della quantificazione dell'assegno previsto dall'art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase di "fatto" di quella medesima unione e la fase "giuridica" del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l'assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l'esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all'interno del matrimonio e a cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa o professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato successivamente al divorzio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito disponendo che nella rivalutazione delle condizioni per l'attribuzione dell'assegno divorzile debba essere computato anche il periodo di sette anni di convivenza prematrimoniale, durante il quale alla coppia era nato un figlio e uno dei due futuri coniugi aveva maturato un reddito da lavoro di importo economico assai rilevante).
Cass. civ. n. 24004/2023
In tema di amministrazione di sostegno, nell'ipotesi in cui il procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno ex artt. 406 e 417 c.c. e 712 e ss. c.p.c., sia promosso a iniziativa del figlio interdetto dell'amministrando, il cui patrimonio costituisce l'unica fonte di sostentamento del primo, è legittimato all'azione il tutore dell'incapace che a tanto può procedere senza autorizzazione del giudice tutelare, ex art.374, n.5 (ora 9), c.c. perché il ricorso persegue, oltre che la finalità di assistenza e di protezione del beneficiando in misura proporzionata e commisurata alle esigenze di questi, anche - in via mediata - la funzione conservativa del patrimonio del genitore, onerato di provvedere alla cura e all'assistenza morale e materiale del figlio interdetto, e quindi risulta preordinata al mantenimento della consistenza delle risorse economiche dell'incapace, in linea con la previsione di cui all'art.374 c.c.
Cass. pen. n. 47012/2018
Le dichiarazioni rese dall'indagato spontaneamente presentatosi all'A.G. richiedono il rispetto delle garanzie difensive solo in caso di contestazione chiara e precisa del fatto addebitato ai sensi dell'art. 374, comma 2, cod. proc. pen., risultando, in tale ipotesi, equipollenti a quelle rese in sede di interrogatorio. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che la precedente notifica all'indagato di un decreto di perquisizione e sequestro non costituisse la contestazione, in forma chiara, di uno specifico fatto).
Cass. pen. n. 39352/2002
Le dichiarazioni spontanee rese all'autorità giudiziaria equivalgono «ad ogni effetto» all'interrogatorio - dunque anche ai fini dell'interruzione della prescrizione - ex art. 374, comma 2 c.p.p. solo quando vi sia stata una contestazione chiara e precisa del fatto addebitato. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che legittimamente non fossero state equiparate all'interrogatorio, ai fini dell'interruzione della prescrizione, le dichiarazioni confessorie ed etero-accusatorie rese dall'imputato divenuto collaboratore di giustizia in assenza di qualsiasi contestazione in forma chiara di un fatto specifico da parte dell'A.G., non potendosi ritenere valida una «contestazione di massima» comprensiva di ogni possibile reato riconducibile a legami con la criminalità organizzata di Napoli).