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Art. 513 — Lettura delle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare

Art. 513 — Lettura delle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare

1. Il giudice, se l’imputato è assente ovvero rifiuta di sottoporsi all’esame, dispone, a richiesta di parte, che sia data lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dall’imputato al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare, ma tali dichiarazioni non possono essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso salvo che ricorrano i presupposti di cui all’articolo 500, comma 4 .

2. Se le dichiarazioni sono state rese dalle persone indicate nell’articolo 210, comma 1, il giudice, a richiesta di parte, dispone, secondo i casi, l’accompagnamento coattivo del dichiarante o l’esame a domicilio o la rogatoria internazionale ovvero l’esame in altro modo previsto dalla legge con le garanzie del contraddittorio. Se non è possibile ottenere la presenza del dichiarante, ovvero procedere all’esame in uno dei modi suddetti, si applica la disposizione dell’articolo 512 qualora la impossibilità dipenda da fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni. Qualora il dichiarante si avvalga della facoltà di non rispondere, il giudice dispone la lettura dei verbali contenenti le suddette dichiarazioni soltanto con l’accordo delle parti .

3. Se le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo sono state assunte ai sensi dell’articolo 392, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 511.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.

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Massime correlate

Cass. pen. n. 13895/2015

Ai fini dell’utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali “contra alios” rese da imputati contumaci, assenti o che si siano rifiutati di sottoporsi ad esame, la necessità del consenso di cui all’art. 513, comma primo, ultima parte, cod. proc. pen., non comporta che esso debba manifestarsi in modo espresso e formale, con la conseguenza che può essere desunto per implicito dal solo fatto che la disposta acquisizione non abbia formato oggetto di specifica opposizione. [Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto utilizzabili dichiarazioni auto – ed etero – accusatorie di un imputato contumace prodotte dal P.M., in relazione alle quali i coimputati non avevano formulato opposizione né al momento dell’acquisizione né all’esito dell’istruttoria dibattimentale, segnata dalla lettura degli atti utilizzabili per la decisione].

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Cass. pen. n. 9867/2014

Ai fini dell’utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali “contra alios” rese da imputati contumaci, assenti o rifiutatisi di sottoporsi ad esame, la non opposizione all’acquisizione equivale al consenso previsto dall’art. 513, primo comma, ultima parte, cod. proc. pen., giacché esso non deve necessariamente manifestarsi in modo espresso e formale.

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Cass. pen. n. 30121/2005

L’acquisizione al fascicolo per il dibattimento, ai sensi dell’art. 513, comma 1, c.p.p., delle dichiarazioni predibattimentali dell’imputato, quando questi rifiuti di sottoporsi ad esame, deve ritenersi consentita anche nel caso di rifiuto di rispondere a singole domande formulate nel corso dell’esame. [ Mass. redaz. ].

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Cass. pen. n. 16859/2004

Nel giudizio di appello, le dichiarazioni rese, in fase di indagini preliminari, da coimputati o imputati di reato connesso ed inserite nel fascicolo del dibattimento nel giudizio di primo grado [celebratosi, come nel caso di specie, anteriormente alle modifiche apportate all’art. 513 c.p.p. dalla legge 7 agosto 1997, n. 267] non possono essere utilizzate di per se ai fini della decisione, se esse costituiscono la prova fondamentale per l’affermazione della responsabilità dell’imputato. Deve infatti trovare applicazione la norma transitoria, di cui ai commi terzo e quinto dell’art. 6 della suddetta legge n. 267 del 1997 la quale prevede che, se la parte interessata lo richieda, si debba far luogo a parziale rinnovazione del dibattimento, al fine di ottenere la citazione di coloro che tali dichiarazioni hanno reso, e, in caso in cui costoro non compaiono, ovvero si avvalgono della facoltà di non rispondere, le loro dichiarazioni predibattimentali possano essere valutate come prove solo se l’attendibilità delle stesse sia confermata da altri elementi non consistenti in dichiarazioni, a loro volta, rese nella fase delle indagini preliminari.

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Cass. pen. n. 25898/2002

In tema di «giusto processo», la disciplina transitoria dettata dall’art. 1, comma 2, del decreto legge 7 gennaio 2000 n. 2, convertito dalla legge 25 febbraio 2000 n. 35, e dall’art. 26, comma 4, della legge 1 marzo 2001 n. 63, secondo cui le dichiarazioni di accusa rese nel corso delle indagini preliminari da persona coimputata o coindagata, che in dibattimento si è sempre volontariamente sottratta all’esame, hanno un limitato e non esclusivo rilievo probatorio, deve essere intesa nel senso che la «sottrazione volontaria» all’esame si deve essere tradotta nel rifiuto dell’esame stesso. Quando il dichiarante risponde ad alcune domande, con ciò accettando implicitamente di sottoporsi al contraddittorio, il presupposto della norma transitoria non può dirsi invece integrato, sicché, almeno per la parte delle dichiarazioni non riproposte in dibattimento e relativamente alle quali è stato mantenuto fermo il rifiuto di rispondere, torna ad applicarsi il regime anteriore, che è quello degli artt. 1 e 6 comma 5 legge 7 agosto 1997, n. 267, modificativa dell’originario testo dell’art. 513 c.p.p., e le dichiarazioni predibattimentali sono utilizzabili, ma non possono costituire fonte esclusiva di responsabilità.

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Cass. pen. n. 12277/2002

Qualora, essendo state ritualmente acquisite in primo grado, in conformità della disciplina all’epoca dettata dall’art. 513 c.p.p., le dichiarazioni accusatorie di soggetti volontariamente sottrattisi all’esame dibattimentale, poi utilizzate a sostegno della pronuncia di condanna, confermata in sede di appello, la sentenza della corte d’appello sia stata annullata con rinvio, per la ritenuta necessità di disporre la rinnovazione del dibattimento al fine di ottenere la citazione dei suddetti dichiaranti, come previsto dalla sopravvenuta disciplina transitoria di cui all’art. 6 della legge 7 agosto 1997 n. 267, la corte di rinvio non può sottrarsi a tale adempimento e confermare la decisione di primo grado facendo applicazione della regola dettata dall’ulteriormente sopravvenuto art. 1, comma 2, del D.L. 7 gennaio 2000 n. 2, conv. con modif. in legge 25 febbraio 2000 n. 35, secondo cui le dichiarazioni del genere di quelle in questione, se già acquisite al fascicolo per il dibattimento [in data anteriore al 25 febbraio 2000, come successivamente stabilito dall’art. 26, comma 4, della legge 1 marzo 2001 n. 63], sono valutate ai fini della decisione alla sola condizione che la loro attendibilità sia confermata da altri elementi di prova, assunti o formati con diverse modalità. Detta ultima disciplina, infatti, presuppone che trattisi di dichiarazioni legalmente acquisite agli atti; condizione, questa, da ritenersi venuta meno a seguito della precedente sentenza di annullamento ed il cui recupero sarebbe stato possibile solo mediante la prescritta rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.

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Cass. pen. n. 11626/2000

La regola stabilita dall’art. 111 della Costituzione, nel testo novellato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, secondo cui le dichiarazioni accusatorie possono costituire valida prova a carico dell’imputato solo se sottoposte al vaglio del contraddittorio [salve le eccezioni previste dallo stesso art. 111 Cost.], non riguarda gli elementi di riscontro che sono richiesti dall’art. 192, commi 3 e 4, c.p.p. nel caso di dichiarazioni provenienti da taluno dei soggetti ivi indicati. Tali elementi di riscontro, quindi, ben possono continuare ad essere costituiti anche da dichiarazioni predibattimentali di coimputati o coindagati le quali, a seguito del successivo rifiuto dei dichiaranti di sottoporsi a esame, siano state acquisite al fascicolo per il dibattimento mediante il meccanismo delle contestazioni di cui all’art. 500, commi 2 bis e 4, c.p.p. [Nella specie, alla stregua di tali principi, la S.C. ha anche dichiarato irrilevante la proposta questione di legittimità costituzionale dell’art. 513, comma 2, c.p.p. e dell’art. 1, comma 2, della legge 25 febbraio 2000 n. 35, di conversione del D.L. 7 gennaio 2000, n. 7, nella parte in cui, in asserito contrasto con l’art. 111 Cost., consentirebbero l’utilizzazione probatoria, sia pure quali semplici riscontri, delle suddette dichiarazioni].

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Cass. pen. n. 6585/2000

Nel giudizio di appello, la richiesta di rinnovazione del dibattimento ai sensi dell’art. 6, comma terzo, della L. 7 agosto 1997, n. 267, per l’esame delle persone indicate nell’art. 513 c.p.p. che abbiano reso dichiarazioni al pubblico ministero, alla polizia giudiziaria da quest’ultimo delegata o al giudice nel corso delle indagini preliminari ovvero dell’udienza preliminare e che si siano avvalse in dibattimento della facoltà di non rispondere, deve essere formulata [ove non sia stata proposta con un motivo principale di appello] nei termini e con le modalità di cui all’art. 585, comma quarto, c.p.p. concernenti la presentazione dei motivi nuovi, a pena di decadenza. [Nella specie la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto intempestiva l’istanza di rinnovazione avanzata nel corso della discussione].

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Cass. pen. n. 5563/2000

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma quarto, D.L. 7 gennaio 2000, n. 2, convertito dalla legge 25 febbraio 2000, n. 35 in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., che prevede che alle dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento, e già valutate ai fini delle decisioni, si applicano nel giudizio dinnanzi alla Corte di cassazione le disposizioni vigenti in materia di valutazione della prova al momento delle decisioni stesse. In mancanza di tale disposizione transitoria, in base ai principi sulla successione delle leggi nel tempo, operanti anche tra leggi costituzionali, avrebbero dovuto considerarsi pienamente applicabili le norme sulla acquisizione probatoria compatibili con l’assetto normativo precedente alla modifica costituzionale, e quindi, nella specie, la disciplina dell’art. 513 c.p.p. come incisa dalla sentenza della Corte cost. n. 361 del 1998 [disciplina che, quindi, proprio per effetto di detta sentenza, doveva considerarsi costituzionalmente protetta]. La normativa transitoria, lungi dal contenere l’efficacia della nuova disposizione costituzionale, ha, al contrario, sulla base di una ragionevole scelta del legislatore, determinato una limitata retroattività dei nuovi principi, che, diversamente, non si sarebbe prodotta; ribadendo peraltro, con una sorta di interpretazione autentica, che l’applicazione delle norme sull’acquisizione probatoria si esaurisce nelle fasi di merito e che in sede di legittimità si deve accertare solo il pregresso corretto governo di tali norme.
In tema di successione di leggi costituzionali [nella specie, la vecchia e la nuova formulazione dell’art. 111 Cost., a seguito delle modifiche introdotte dalla legge cost. 23 novembre 1999, n. 2], data la identica collocazione gerarchica di questi atti normativi, la nuova norma costituzionale provoca, secondo i principi costituzionali, l’abrogazione della norma costituzionale precedente. Questa forma di caducazione determina la inefficacia della legge anteriore a partire dal momento in cui entra in vigore la nuova legge, lasciando salvi per il tempo anteriore gli effetti della legge costituzionale abrogata e, conseguentemente, non incidendo retroattivamente sulla validità degli atti legislativi ordinari. [Fattispecie in tema di validità degli atti assunti in base alla disciplina dell’art. 513 c.p.p., come risultante a seguito della sentenza della Corte cost., n. 361 del 1998, precedentemente alla notifica dell’art. 111 Cost.].

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Cass. pen. n. 13330/1999

Se la parte richieda l’applicazione della disciplina transitoria di cui all’art. 6 della legge 7 agosto 1997, n. 267, secondo la lettura datane dalla sentenza della Corte costituzionale del 2 novembre 1998, n. 361, nel corso del giudizio di appello, non è necessario che la richiesta venga fatta con un motivo di appello, principale o nuovo, in quanto il comma terzo dell’art. 6 della legge n. 267/1997 si limita solamente a prevedere che se la decisione sul punto cui si riferiscono i motivi di impugnazione implichi l’utilizzazione delle dichiarazioni dei coimputati in procedimento connesso è disposta la rinnovazione parziale del dibattimento per effetto di tale semplice richiesta.

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Cass. pen. n. 10795/1999

Allorchè nel giudizio di appello si sia provveduto, a norma dell’art. 6 della L. n. 267 del 1997, al recupero, mediante conferma proveniente da altri elementi di prova, del contenuto narrativo di dichiarazioni rese precedentemente da soggetti compresi nelle categorie indicate dall’art. 513 c.p.p., non v’è più spazio per l’operatività, nel processo, del meccanismo di recupero introdotto dalla sentenza 2 novembre 1998 n. 361 della Corte costituzionale, dichiarativa della parziale illegittimità costituzionale del citato art. 513, in quanto gli specifici obiettivi perseguiti dall’intervento demolitorio e manipolativo di detta sentenza risultano già compiutamente realizzati.

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Cass. pen. n. 10258/1999

In tema di verbali di prove di altri procedimenti, in base all’art. 238, primo comma, c.p.p. è ammessa l’acquisizione di prove di altro procedimento penale se si tratta [tra l’altro] di prove assunte nel dibattimento. Le dichiarazioni rese nel corso delle indagini ed acquisite in altro dibattimento ex art. 513 c.p.p. [nel testo antecedente la legge n. 267 del 1997] stante il rifiuto di rispondere del soggetto rivestente la qualità di imputato di reato connesso, non sono state ivi «assunte», e conservano pertanto nel procedimento ad quem la natura di atti di indagine, utilizzabili per le contestazioni o eventualmente nuovamente acquisibili autonomamente ex art. 513 c.p.p., nei limiti in cui tale norma lo consente.

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Cass. pen. n. 9047/1999

In tema di giudizio di appello, le dichiarazioni rese, in fase di indagini preliminari [e raccolte anche, eventualmente, mediante rogatoria all’estero] da coimputati o imputati di reato connesso ed inserite nel fascicolo del dibattimento nel giudizio di primo grado [celebratosi anteriormente alle modifiche apportate all’art. 513 c.p.p. dalla legge 7 agosto 1997 n. 267] non possono essere utilizzate ai fini della decisione, se esse costituiscono la prova fondamentale per l’affermazione della responsabilità dell’imputato. Deve infatti trovare applicazione la norma transitoria, di cui ai commi 3 e 5 dell’art. 6 della suddetta legge, la quale prevede che, se la parte interessata lo richieda, si debba far luogo a parziale rinnovazione del dibattimento, al fine di ottenere la citazione di coloro che tali dichiarazioni hanno reso, e che inoltre precisa che, in caso in cui costoro non compaiano, ovvero si avvalgano della facoltà di non rispondere, le loro dichiarazioni predibattimentali possano essere valutate come prove solo se l’attendibilità delle stesse sia confermata da altri elementi non consistenti in dichiarazioni, a loro volta, rese nella fase delle indagini preliminari. [Nell’enunciare il principio sopra esposto, la Suprema Corte ha anche precisato che la difficoltà di ascoltare, entro i tempi previsti per la conclusione del processo, il soggetto già sentito con rogatoria internazionale, non costituisce una impossibilità di ripetizione dell’atto ai sensi degli artt. 512 e 513 comma 2 c.p.p.].

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Cass. pen. n. 7277/1999

Una volta che sia stato chiesto, con il ricorso per cassazione, il controllo della motivazione sul punto relativo alle dichiarazioni predibattimentali rese da coimputati o imputati in procedimenti connessi, e gli elementi di prova desunti dalla lettura dei relativi verbali siano rilevanti ai fini della decisione, la Corte di cassazione, indipendentemente dall’eventuale eccezione di parte che reclami, a norma dell’art. 6 della legge n. 267 del 1997 e della declaratoria di illegittimità costituzionale in parte qua dell’art. 513 c.p.p. intervenuta con sentenza n. 361 del 1998 della Corte costituzionale, l’inutilizzabilità delle dette dichiarazioni, deve controllare la conformità della motivazione alle regole del diritto sopravvenuto, rilevando anche se la sentenza impugnata si fondi su elementi conoscitivi il cui uso non sia più consentito dalla legge.

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Cass. pen. n. 3091/1999

La disciplina della acquisizione e valutazione delle prove contemplate dall’art. 513 c.p.p. conseguente alla sentenza della Corte costituzionale 1988, n. 361 si applica anche ai giudizi in corso davanti alla Corte di cassazione, per i quali, peraltro, il recupero del contraddittorio e dell’oralità deve avvenire con le forme imposte dalla peculiare natura del giudizio di legittimità, ossia mediante il passaggio obbligato dell’annullamento della sentenza pronunciata in base a prove ritenute inutilizzabili e del rinvio al giudice di merito. Peraltro, per l’operatività dei nuovi meccanismi è pur sempre necessaria la richiesta di parte; ma, poiché in base al nuovo assetto deve ritenersi espunta dall’ordinamento giuridico la normativa precedente alla anzidetta sentenza, non è più necessario che gli originari motivi di ricorso siano integrati da motivi nuovi aggiunti [non potendo il giudice di legittimità non tenere conto della inapplicabilità della normativa dichiarata illegittima] ed è sufficiente che i motivi [originari] abbiano investito il giudice di legittimità del controllo della motivazione sul punto relativo alla valutazione delle dichiarazioni rese dai coimputati e che tali dichiarazioni abbiano incidenza sulla decisione impugnata.

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Cass. pen. n. 486/1999

Se, nei giudizi pendenti in sede di legittimità al momento dell’entrata in vigore della legge n. 267 del 1997, la prova di un fatto dipenda anche dalle propalazioni di uno dei soggetti indicati dall’art. 210 c.p.p. che non siano state confermate nel dibattimento e siano divenute pertanto inutilizzabili, la Corte di cassazione è abilitata a verificare se dal testo del provvedimento impugnato risultino prove dotate di rilevanza propria le quali – riguardate da sole e senza l’apporto delle contestate propalazioni – possano di per sè aver avuto, nella concezione del giudice di merito, valore determinante ai fini del decidere, senza poter tuttavia svolgere un’operazione ermeneutica tale da comportare una nuova valutazione delle emergenze processuali, elevando al rango di elementi di prova autonoma quelli che il giudice di merito abbia ritenuto semplici indizi o meri riscontri.

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Cass. pen. n. 13090/1998

Nel giudizio di legittimità non è più consentito di richiedere il recupero dell’oralità e del contraddittorio sulle dichiarazioni accusatorie rilasciate nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare, di cui sia stata data lettura in dibattimento sulla base del testo previgente dell’art. 513 c.p.p., se lo stesso imputato non aveva già formulato la richiesta nel corso del giudizio di merito, che sia stato celebrato quando era già sopravvenuta la novellazione del predetto art. 513. Ciò perché la disciplina transitoria condiziona espressamente all’impulso di parte il ricorso alla verifica dibattimentale delle dichiarazioni accusatorie acquisite con il meno garantista rito previgente. Con la conseguenza che l’impulso di parte, se non è stato esercitato durante il giudizio di appello, non è più esercitabile nel giudizio di legittimità, posto che il ricorso è inammissibile quando è fondato su violazioni di legge che potevano essere dedotte e non sono state dedotte in grado di appello.

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Cass. pen. n. 10107/1998

La nuova citazione dell’imputato in procedimento connesso, che in precedenza aveva rifiutato di sottoporsi all’esame dibattimentale, non determina di per sè in modo automatico la sopravvenuta inutilizzabilità delle prime dichiarazioni che, invece, una volta acquisite legittimamente secondo la normativa all’epoca vigente, restano nel fascicolo per il dibattimento e possono essere valutate dal giudice, allorché il dichiarante si sia di nuovo avvalso della facoltà di non rispondere o non si sia presentato. Qualora, invece, l’imputato in procedimento connesso abbia accettato di sottoporsi all’esame e le nuvoe dichiarazioni contrastino con quelle predibattimentali, il giudice di merito ha il compito di porre a raffronto e di valutare, con prudente apprezzamento, le due diverse versioni, al fine di stabilire quale debba ritenersi attendibile.

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Cass. pen. n. 4265/1998

In tema di istruzione dibattimentale, le disposizioni di cui all’art. 6, L. 7 agosto 1997, n. 267, che contengono la disciplina transitoria della nuova normativa posta dall’art. 513, c.p.p., in ordine alla lettura delle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare, trovano applicazione in tutti i processi in corso, ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimità; con la precisazione che, in quest’ultimo caso, detta applicazione deve avvenire con le forme imposte dalla peculiare natura di tale giudizio, ossia mediante il passaggio obbligato dell’annullamento della sentenza pronunciata in base a prove divenute inutilizzabili e del rinvio al giudice di merito, dinanzi al quale le parti potranno richiedere la rinnovazione parziale del dibattimento, secondo quanto dispone il quarto comma della norma in parola, per ottenere la citazione di coloro che avevano reso le dichiarazioni per le quali è sopravvenuto il divieto di uso. [Nell’affermare detto principio la Corte ha altresì precisato come non sia sufficiente, perché in sede di legittimità possa essere pronunciato l’annulamento della sentenza basata su letture non più consentite, la mera circostanza della sopravvenienza della nuova disciplina bensì, ricollegandosi la sanzione dell’inutilizzabilità alla mancata acquiescenza delle parti, come sia a tal fine necessario, innanzitutto, che gli originari motivi di ricorso abbiano rimesso alla cognizione della Corte di cassazione il controllo della motivazione sul punto relativo alla valutazione delle dichiarazioni rese da coimputati o da imputati in procedimenti connessi; che quindi la questione relativa all’applicazione della normativa transitoria sia stata introdotta, conformemente alle regole generali in materia di impugnazioni, con la presentazione, nelle forme prescritte dall’art. 585, quarto comma, c.p.p., di motivi nuovi, la cui proponibilità è ammessa dal combinato disposto degli artt. 606, terzo comma, e 609, secondo comma, c.p.p.; che infine sia accertata, da parte della Corte, la rilevanza sul dictum contenuto nella sentenza impugnata degli elementi probatori desunti dalle letture delle dichiarazioni predibattimentali non più consentite].
Qualora nel corso del processo si verifichino innovazioni legislative in materia di utilizzabilità o inutilizzabilità della prova, il principio tempus regit actum deve essere riferito al momento della decisione e non a quello dell’acquisizione della prova, atteso che il divieto di uso, colpendo proprio l’idoneità di questa a produrre risultati conoscitivi valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento, interviene allorché il procedimento probatorio non ha trovato ancora esaurimento, di modo che il divieto inibisce che i dati probatori, pur se acquisiti con l’osservanza delle forme previste dalle norme previgenti, possano avere un qualsiasi peso nel giudizio. [Nell’occasione la Corte, pronunciandosi in tema di modifica dell’art. 513 c.p.p. introdotta con L. 7 agosto 1997, n. 267, ha altresì precisato che tale principio trova applicazione anche nel giudizio di legittimità, e ciò in quanto il procedimento probatorio deve considerarsi ancora in fieri allorquando la Corte di cassazione sia stata investita del sindacato sulla motivazione relativa alla valutazione delle prove compiuta dal giudice di merito, con la conseguenza che, nell’esercizio dei suoi compiti istituzionali, la stessa Corte ha il potere-dovere di rilevare che la decisione impugnata si fonda su prove colpite da un sopravvenuto difetto di utilizzazione].

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Cass. pen. n. 1443/1998

In tema di modifica dell’art. 513 c.p.p., presupposto della disciplina transitoria prevista dall’art. 6 della legge n. 267 del 1997 è l’incondizionata ed immediata applicabilità della nuova norma anche nei dibattimenti già in corso, quando si debba ancora procedere all’escussione delle persone cui l’art. 513 si riferisce. La riforma si applica, quindi, a tutte le escussioni successive alla sua entrata in vigore, anche se avvengono in appello in seguito a rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Sulla base di questa implicita premessa, si prendono, quindi, in considerazione solo le sorti delle dichiarazioni che siano state già acquisite mediante lettura in applicazione del previgente testo dell’art. 513. È solo la richiesta della parte e la successiva rinnovazione dell’esame, quindi, che rende in parte applicabile il nuovo testo dell’art. 513. In mancanza della richiesta e della rinnovazione dell’esame, le dichiarazioni acquisite mediante lettura saranno utilizzabili come prova anche nei confronti di altri, in conformità a quanto disponeva il previgente testo dell’art. 513. Infatti, se il legislatore avesse voluto prevedere l’immediata applicabilità del nuovo regime di utilizzabilità anche alle letture disposte prima dell’entrata in vigore della legge, avrebbe dovuto consentire l’immediata rilevabilità dell’eventuale inutilizzabilità anche nel giudizio di cassazione, che ha, invece, implicitamente escluso, come dimostra anche il fatto che l’eventuale rinnovazione dell’esame disposta nel giudizio di merito non determina un’immediata applicazione delle nuove norme, ma rende applicabile una disciplina ad hoc del regime di utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali.

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Cass. pen. n. 9003/1997

In tema di acquisizione e valutazione della prova, la legge 7 agosto 1997 n. 267, modificando gli artt. 513 e 514 c.p.p., ha espressamente sancito, tra l’altro, il divieto di lettura – e, conseguentemente, di allegazione al fascicolo per il dibattimento ex art. 515 c.p.p. e di utilizzazione probatoria ai fini della deliberazione ex art. 526 c.p.p. – dei verbali contenenti le dichiarazioni rese da persona imputata in un procedimento connesso, la quale si avvalga della facoltà di non rispondere, senza l’accordo delle parti. La norma transitoria di cui all’art. 6 di detta legge subordina la applicabilità delle nuove regole, nei giudizi di merito in corso, ad un duplice presupposto: a] che vi sia la richiesta della parte interessata; b] che, sussistendo altresì nel giudizio di appello, ed eventualmente in quello di rinvio, le ulteriori condizioni positive [assenza di preclusioni da giudicato, limiti di devoluzione dell’impugnazione e decisività sul punto] per il nuovo esame del dichiarante, questo venga disposto ed abbia successivamente luogo, sospendendosi altresì, per il tempo a tal fine necessario, il corso della prescrizione. Ciò posto, appare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della citata norma transitoria, in relazione agli artt. 3 e 24, comma secondo, della Costituzione, con riferimento all’esclusione, per il giudizio di legittimità, delle facoltà inerenti all’esercizio del diritto di difesa – richiesta di nuovo esame del dichiarante – e della regola di valutazione probatoria di siffatte dichiarazioni procedimentali, previste per i giudizi di merito in corso e per il giudizio di rinvio disposto dalla Corte di cassazione a seguito di annullamento. Ed invero, appartiene alla discrezionalità del legislatore ordinario, nel momento in cui entra in vigore una nuova disciplina del processo, stabilire se le nuove norme si applicano soltanto ai fatti per i quali non sia ancora iniziato il procedimento penale, ovvero se alcune norme debbano applicarsi ai procedimenti in corso, sì che eventuali differenze tra imputati non costituiscono ingiustificate disparità di trattamento, essendo tale evento connaturato al principio generale della successione della legge processuale nel tempo [tempus regit actum], secondo cui le innovazioni processuali stabilite dalla legge non operano in rapporto a situazioni processuali consolidate o irreversibili: orbene, le situazioni processuali obiettivamente diverse dei giudizi di merito e di quelli di legittimità, in corso alla data di entrata in vigore della citata legge n. 267 del 1997, ben giustificano la disciplina differenziata per essi prevista dalla disposizione transitoria dell’art. 6 della stessa legge.

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Cass. pen. n. 8244/1997

In tema di lettura delle dichiarazioni rese dall’imputato in procedimento connesso l’art. 513 c.p.p. stabilisce un identico regime probatorio con le dichiarazioni dell’imputato, richiedendo nell’uno e nell’altro caso che le dichiarazioni siano state rese “nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare”, con esclusione della fase delle indagini integrative del Pubblico Ministero.

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Cass. pen. n. 11421/1995

Atteso il disposto di cui all’art. 78, comma 2, att. c.p.p., in relazione all’art. 513 c.p.p., deve escludersi l’utilizzabilità di dichiarazioni di coimputato le quali siano state assunte d’iniziativa da organi di polizia di un Paese straniero.

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