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Art. 213 — Ricognizione di persone. Atti preliminari

Art. 213 — Ricognizione di persone. Atti preliminari

1. Quando occorre procedere a ricognizione personale [ 361 ], il giudice invita chi deve eseguirla a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli chiede poi se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento, se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere, se la stessa gli sia stata indicata o descritta e se vi siano altre circostanze che possano influire sull’attendibilità del riconoscimento.

2. Nel verbale è fatta menzione degli adempimenti previsti dal comma 1 e delle dichiarazioni rese.

3. L’inosservanza delle disposizioni previste dai commi 1 e 2 è causa di nullità della ricognizione [ 181 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 28391/2017

Il riconoscimento fotografico compiuto nel corso delle indagini preliminari è prova pienamente utilizzabile ed idonea a fondare l’affermazione di penale responsabilità, anche se non seguita da una formale ricognizione dibattimentale, purché, attraverso l’acquisizione dell’album fotografico, il giudicante sia posto in grado di apprezzare compiutamente l’affidabilità del risultato probatorio, verificando in particolare il numero e la qualità delle fotografie sottoposte al dichiarante e le caratteristiche fisionomiche sia della persona riconosciuta che delle altre.

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Cass. pen. n. 17747/2017

Il riconoscimento fotografico operato dalla polizia giudiziaria costituisce uno strumento probatorio atipico la cui efficacia è condizionata all’adozione di cautele – quali la descrizione, prima dell’atto ricognitivo, delle fattezze dell’autore del reato e delle circostanze della percezione visiva avuta del medesimo, nonché la disponibilità della fotografia o del fotogramma sulla base del quale è stato effettuato il riconoscimento – che consentano al giudice e alle parti la necessaria verifica postuma del grado di attendibilità di colui che opera il riconoscimento. [Fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio l’ordinanza cautelare emessa dal tribunale, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., che aveva ritenuto la valenza gravemente indiziaria del riconoscimento fotografico operato dagli inquirenti, qualificato quale atto pubblico fidefaciente, ed aveva omesso di valutare l’attendibilità di tale atto con particolare riferimento al fatto che l’identificazione era avvenuta a distanza di alcuni giorni dall’intervento degli operanti sul luogo in cui era stato commesso il reato, senza alcuna preventiva descrizione delle fattezze fisiche degli autori del reato né alcuna indicazione della fonte e della datazione delle fotografie utilizzate per tale operazione].

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Cass. pen. n. 16757/2015

In tema di ricognizione di persona, la prova dell’identificazione può essere raggiunta anche valutando la dichiarazione confermativa della individuazione fotografica effettuata nel corso degli atti preliminari allo svolgimento della ricognizione personale. [Fattispecie nella quale la persona offesa riconosceva, in incidente probatorio, l’imputato in termini non di certezza e, prima di procedere all’atto, confermava di avere in precedenza riconosciuto il proprio aggressore in fotografia, dichiarando che il decorso del tempo avrebbe potuto incidere sulle sue capacità di ricordo].

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Cass. pen. n. 6505/2015

In tema di misure cautelari personali, l’individuazione fotografica effettuata dinanzi alla polizia giudiziaria, in assenza di profili di inattendibilità, è elemento idoneo per affermare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, indipendentemente dall’accertamento delle modalità e quindi della rispondenza alla metodologia prevista per la formale ricognizione a norma dell’art. 213 c.p.p., perché lascia fondatamente ritenere il successivo sviluppo in un atto di riconoscimento, formale o informale, o in una testimonianza che tale riconoscimento confermi.

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Cass. pen. n. 37497/2014

La identificazione effettuata in sede dibattimentale non obbedisce alle formalità previste per la ricognizione in senso proprio, di cui agli artt. 213 e seguenti cod. proc. pen., siccome riferibile esclusivamente al contenuto di identificazioni orali del testimone, per cui vige la disciplina degli artt. 498 e seguenti cod. proc. pen., sì che da esse come da ogni elemento indiziario o di prova il giudice può trarre il proprio libero convincimento.

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Cass. pen. n. 40081/2013

In tema di ricognizione personale, l’inosservanza delle formalità previste dagli artt. 213 e 214 c.p.p., finalizzate ad assicurare la partecipazione di persone il più possibile somiglianti a quella sottoposta a ricognizione, per garantire la genuinità della prova, non costituisce causa di nullità od inutilizzabilità dell’atto.

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Cass. pen. n. 44595/2008

In tema di svolgimento della ricognizione personale, non è causa di nullità o di inutilizzabilità dell’atto l’inosservanza delle formalità previste dagli artt. 213 e 214 c.p.p. al fine di assicurare la partecipazione di persone il più possibile somiglianti a quella sottoposta a ricognizione.

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Cass. pen. n. 5043/2004

In tema di misure cautelari personali, poiché i gravi indizi di colpevolezza sono quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, idonei a fondare il convincimento di qualificata probabilità di colpevolezza, l’individuazione fotografica effettuata dinanzi alla polizia giudiziaria, indipendentemente dall’accertamento delle modalità e quindi della rispondenza alla metodologia prevista per la formale ricognizione a norma dell’art. 213 c.p.p., ben può essere posta a fondamento di una misura cautelare, perché lascia fondatamente ritenere che sbocchi in un atto di riconoscimento, formale o informale, o in una testimonianza che tale riconoscimento confermi.

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Cass. pen. n. 14855/2003

Qualora sussista discrasia tra l’esito della ricognizione fotografica eseguita dinanzi alla polizia giudiziaria e quello della ricognizione personale esperita nel corso del dibattimento, la possibilità di ritenere prevalente il primo sul secondo è subordinata alla ricorrenza delle condizioni indicate nell’art. 500, comma 4, c.p.p., e cioè alla sussistenza di elementi concreti per ritenere che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di danaro o di altra utilità affinché non deponga ovvero deponga il falso. [Nella specie, la Corte ha ritenuto che, a fronte dei concreti elementi emersi e consistenti nella circostanza che il giudizio di primo grado si era svolto ad oltre due anni dai fatti e che l’imputato aveva un fratello gemello omozigote, fosse carente la motivazione limitatasi ad affermare che «per le modalità della deposizione risulta certo che la parte lesa era intimorita»].

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Cass. pen. n. 9693/2003

Deve ritenersi valido e processualmente utilizzabile il riconoscimento operato in udienza dalla persona offesa, nel corso dell’esame testimoniale, nei confronti dell’imputato presente. Anche nella vigenza del nuovo c.p.p., invero conserva validità il principio secondo cui siffatti riconoscimenti vanno tenuti distinti dalle ricognizioni vere e proprie, costituendo essi atti di identificazione diretta, effettuati mediante dichiarazioni orali non richiedenti l’osservanza delle formalità prescritte per le dette ricognizioni. Né in contrario si può invocare un preteso «principio di tassatività del mezzo probatorio», in forza del quale, nella specie, posta l’esistenza di uno specifico mezzo probatorio costituito dalla ricognizione formale, gli effetti propri di quest’ultima non potrebbero essere perseguiti mediante altro mezzo di natura diversa come, appunto, quello costituito dall’esame testimoniale nel cui corso si dia luogo al riconoscimento diretto. Non vi è, infatti, elemento alcuno sulla cui base possa affermarsi che il suddetto «principio di tassatività» sia stato recepito dal vigente codice di rito, ma anzi la presenza dell’art. 189, che prevede l’assunzione di prove non disciplinate dalla legge, appare dimostrativa del contrario

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Cass. pen. n. 484/1997

La identificazione effettuata in sede dibattimentale non obbedisce alle formalità previste per la ricognizione in senso proprio, di cui agli artt. 213 e seguenti c.p.p., siccome riferibile esclusivamente al contenuto di identificazioni orali del testimone, per cui vige la disciplina degli artt. 498 ss. c.p.p., sì che da esse come da ogni elemento indiziario o di prova il giudice può trarre il proprio libero convincimento.

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Cass. pen. n. 10162/1996

Le individuazioni fotografiche non hanno valore di ricognizione quale mezzo di prova legislativamente disciplinato [artt. 213 ss. c.p.p.] secondo precise regole: fatte nel corso di una testimonianza, acquistano rilevanza probatoria alla stregua di dichiarazioni di un soggetto sulla individuazione di una persona, così costituendo un elemento di giudizio introdotto nel processo quale frammento dimostrativo in una lettura di assieme del coacervo probatorio, previa valutazione delle stesse dchiarazioni secondo le regole del rito in relazione alla parte dalla quale provengono.

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Cass. pen. n. 10141/1995

Una ricognizione personale soggettivamente certa ed oggettivamente attendibile è prova sufficiente per l’affermazione della responsabilità; essa può essere inficiata da dati certi idonei a contrastarla, ma non da mere supposizioni né da un alibi rimasto sfornito di prova e la cui prova sia ritenuta dubbia.

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Cass. pen. n. 8455/1995

La dichiarazione del teste che, nel corso dell’esame in sede dibattimentale, afferma di riconoscere l’imputato, è parificabile a tutte le altre rese dal teste e quindi ben distinto, sul piano strutturale, dalla ricognizione formale disciplinata dagli artt. 213 e 214 c.p.p., ond’essa non soggiace alle regole di questa e non può essere inficiata da patologie processuali, quali la nullità o l’inutilizzabilità, in caso di violazione di tali regole.

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Cass. pen. n. 1326/1995

Il riconoscimento fotografico di persone – che deve essere tenuto distinto dalla ricognizione personale prevista dall’art. 213 c.p.p. costituisce un mezzo di prova pienamente utilizzabile ai fini della formazione del convincimento del giudice se adeguatamente motivato in relazione al suo contenuto intrinseco ed alle modalità di controllo e di riscontro.

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Cass. pen. n. 734/1995

L’«individuazione fotografica» costituisce prova atipica, in quanto non disciplinata dalla legge né collocabile nell’ambito della «ricognizione», e legittimamente può essere assunta, se ritenuta dal giudice idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti, ai sensi dell’art. 189 c.p.p.

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Cass. pen. n. 9676/1994

È irrilevante la circostanza che, nel corso della ricognizione di persone, l’indagato venga collocato fra due persone con caratteristiche fisiche completamente diverse, atteso che le prescrizioni di cui agli artt. 213 e 214 c.p.p. non sono stabilite a pena di nullità e che i risultati della ricognizione possono essere utilizzati per la formazione del convincimento del giudice sulla base del suo prudente apprezzamento.

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Cass. pen. n. 6422/1994

Il valore della ricognizione fotografica eseguita dalla polizia giudiziaria, per sé meramente indiziario, viene totalmente meno ove la ricognizione di persona, successivamente eseguita in sede di incidente probatorio, dia esito negativo, potendo conservare valenza indiziaria al riconoscimento fotografico solo la dimostrazione che il detto esito negativo sia l’effetto di un mendacio. Da ciò deriva, a corollario, che l’individuazione consente un’oggettiva ripetibilità attraverso il corrispondente strumento di acquisizione probatoria e, dunque, come ad essa non possa essere assegnato il valore di atto [contenutisticamente] non ripetibile.
In applicazione del principio generale nemo contra se detegere – un principio operante in ogni «ipotesi in cui l’inquisito viene posto a contatto diretto con l’autorità procedente», così da «rafforzare la libertà morale dell’imputato per sollevarlo dallo stato di soggezione psicologica in cui possa venire a trovarsi a cospetto dell’autorità e per porlo a riparo da eventuali pressioni che su di lui possano essere esercitate – l’imputato può rifiutarsi di eseguire una ricognizione.
L’esame dell’imputato del coimputato o di imputato connesso o collegato, valendo a ricomprendere, quale atto tipicamente dichiarativo, ogni fonte consistente in una dichiarazione, ivi compresa la ricognizione che, quale dichiarazione riproduttiva di una percezione visiva mirata, rappresenta soltanto una specie del più generale concetto di dichiarazione, comporta, ex se , in caso di rifiuto, l’utilizzabilità degli atti assunti nella fase anteriore al dibattimento.
La ricognizione, pur costituendo un’operazione procedimentale a struttura complessa, non si presenta, relativamente a colui che è chiamato ad effettuare il riconoscimento, con connotazioni diverse dalla dichiarazione, sia pure designata da specifici dati di qualificazione, perché comunque collegati ad un dato gnoseologico diretto ad una verifica individuativa. E ciò soprattutto quando chiamato ad aver parte attiva nella procedura sia non un testimone ma un coimputato ovvero un imputato in reato conneso o collegato, riguardo al quale non operano, ovviamente, le disposizioni di cui all’art. 499 c.p.p., applicabili, invece, agli altri soggetti che procedono a ricognizione.
Tra individuazione e ricognizione non sussiste alcun rapporto di alternatività, cosicché, una volta disposta la prima, non potrebbe mai procedersi alla seconda. Ove, infatti si seguisse una simile linea interpretativa si sovrapporrebbero surrettiziamente le nozioni di atto non rinviabile e di atto non ripetibile, risultando l’individuazione, come tale, sempre ripetibile [salvo che l’oggetto di esso sia nel frattempo venuto meno] attraverso il «mezzo di prova» rappresentato dalla ricognizione. [In motivazione la corte ha precisato come la nozione di atto irripetibile non vada intesa, in senso assoluto, quasi come un dato ontologico come quello derivante dall’essere l’acquisizione collegata alla natura di mezzo di ricerca della prova che contrassegna la fonte, trovandocisi, invece, in presenza di un assetto probatorio in cui il vincolo relazionale che, almeno di norma, è istituibile fra l’atto delle indagini preliminari – o anche dell’udienza preliminare – e la sua corrispondente valenza – salvo che si tratti di atto assunto utilizzando la procedura dell’incidente probatorio – e l’atto acquisito nel dibattimento fa sì che debba qualificarsi irripetibile l’atto dell’indagine non riproducibile attraverso i moduli acquisitivi propri del dibattimento – o dell’incidente probatorio].

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Cass. pen. n. 4860/1994

Il riconoscimento di persone, fondato com’è su un procedimento intuitivo prelogico, non consente l’esplicazione di argomenti razionali a sostegno dell’esito del medesimo a norma dell’art. 214 c.p.p. che prevede unicamente il requisito della certezza; il giudice pertanto non può operare direttamente il riconoscimento in quanto, se ciò gli fosse consentito, sarebbe impedito alla Corte di cassazione l’esercizio del controllo sull’adeguatezza dei criteri adottati dal medesimo nella valutazione della prova.

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Cass. pen. n. 1680/1993

Il giudice di merito può trarre il proprio convincimento da ogni elemento indiziante o di prova e, quindi, anche da ricognizioni non formali e riconoscimenti fotografici, sicché nell’ambito dei poteri discrezionali di valutazione che l’ordinamento gli riconosce, può attribuire concreto valore indiziante o probatorio all’identificazione dell’autore del reato mediante riconoscimento fotografico, che costituisce accertamento di fatto utilizzabile in virtù dei principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento, che consentono il ricorso non solo alle cosiddette «prove legali», ma anche ad elementi di giudizio diversi, purché acquisiti non in violazione di specifici divieti.

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Cass. pen. n. 1061/1993

Se è vero che le norme generali degli artt. 213, 217 c.p.p. prevedono una forma vincolata per la ricognizione, nel senso di un suo caratteristico allestimento formale con conseguente nullità per l’inosservanza di tali formalità, ciò non significa affatto, tuttavia, che nel dibattimento la ricognizione sia possibile solo ed esclusivamente nella suddetta forma vincolata, sicché deve ritenersi valido e processualmente utilizzabile il riconoscimento operato in udienza dalla persona offesa, nel corso dell’esame testimoniale, nei confronti dell’imputato presente. Infatti, anche nella vigenza del nuovo codice di procedura penale conserva validità il principio secondo cui siffatti riconoscimenti vanno tenuti distinti dalle ricognizioni vere e proprie, costituendo essi atti di identificazione diretta effettuati mediante dichiarazioni orali non richiedenti l’osservanza delle formalità prescritte per le dette ricognizioni.

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Cass. pen. n. 503/1992

La ricognizione di voce o di persona che diventa inutilizzabile, sotto il profilo probatorio, a norma dell’art. 191 c.p.p., ove compiuta in violazione del disposto degli artt. 213 ss. c.p.p., come traspare dal tenore delle norme in questione, è solo quella disposta dall’autorità giudiziaria con atto di imperio, non già quella che è frutto di mera casualità o conseguenza dell’iniziativa assunta da parte del teste o della stessa vittima del reato.

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