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Art. 98 — Minore degli anni diciotto

Art. 98 — Minore degli anni diciotto

È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d’intendere e di volere; ma la pena è diminuita [ 169, 224 4, 223227 ].

Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie. Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l’interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 18345/2017

Ai fini dell’accertamento della non imputabilità derivante da immaturità, l’indagine sulla personalità del minore non richiede necessariamente un accertamento di tipo psichiatrico, in quanto l’esame della maturità mentale del minore può legittimamente essere condotto attraverso la valutazione degli esperti o delle persone che abbiano avuto rapporti con l’imputato – attività indicate dall’art. 9, comma secondo, d.P.R. n. 448 del 1988 – ed in base a tutti gli elementi desumibili dagli atti e, tra questi, dalle modalità del fatto, esaminate anche in considerazione dell’età del minorenne, le quali dimostrino la sussistenza di detta imputabilità. (In motivazione la S.C. ha precisato che l’incapacità di intendere e di volere da immaturità ha carattere relativo nel senso che, trattandosi di qualificazione fondata su elementi non solo biopsichici ma anche socio – pedagogici, relativi all’età evolutiva va accertata con riferimento al reato commesso, sulla base degli elementi, offerti dalla realtà processuale).

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Cass. pen. n. 33004/2015

Il giudice che accerti la capacità di intendere e di volere del minore infradiciottenne non ha alcun potere discrezionale nell’operare la diminuzione della pena ai sensi dell’art. 98 cod. pen., in quanto tale disposizione prevede l’obbligatorietà della riduzione della pena; tuttavia, la minore età, operando come circostanza soggettiva inerente alla persona del colpevole, è soggetta, al giudizio di comparazione e al criterio previsto dall’art. 65 n. 3 cod. pen. per l’entità della riduzione.

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Cass. pen. n. 4104/2011

La capacità di intendere e di volere del minore che abbia compiuto gli anni quattordici e non ancora i diciotto non è presunta ma deve essere accertata in concreto; ai fini di siffatta indagine non è necessario l’esperimento di apposita perizia, in quanto l’accertamento delle predette capacità non è necessariamente vincolato a particolari accertamenti tecnico-specialistici, ma ben può essere affidato alla diretta valutazione del giudice, con ogni mezzo a sua disposizione e con riferimento al caso concreto. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione di declaratoria di non luogo a procedere fondata sulla mancanza di prova della capacità di intendere e di volere facendo assurgere un dato negativo (difetto di prova di capacità) ad elemento di prova positiva (rilievo di immaturità).

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Cass. pen. n. 24004/2010

Ai fini dell’accertamento della capacità di intendere e di volere del minore infradiciottenne, non è necessaria una specifica indagine peritale, ben potendo il giudice desumere la capacità del minore anche dalla diretta osservazione della sua personalità e del suo comportamento, purché la relativa decisione sia congruamente motivata.

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Cass. pen. n. 23006/2009

L’accertamento della capacità di intendere e di volere del minore infradiciottenne, va espletato dal giudice direttamente e con ogni mezzo.

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Cass. pen. n. 42105/2007

Il giudice che accerti la capacità di intendere e di volere del minore infradiciottenne non ha alcun potere discrezionale nell’operare la diminuzione della pena ai sensi dell’art. 98 c.p., in quanto tale disposizione prevede l’obbligatorietà della riduzione della pena.

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Cass. pen. n. 2112/2000

Nel computo della pena detentiva stabilita per ciascun reato ai fini dell’applicazione dell’amnistia elargita con D.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, anche la diminuente prevista dall’art. 98, comma primo, c.p. va calcolata nella sua estensione minima di un giorno. (Fattispecie nella quale è stata esclusa, “in executivis”, l’applicabilità dell’amnistia al reato di cui all’art. 71, comma quarto, della legge n. 685 del 1975, commesso da minore).

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Cass. pen. n. 158/1999

Il compimento dei 18 anni di età, ai fini del raggiungimento della piena imputabilità penale, va fissato secondo le regole stabilite dall’art. 14, comma secondo, c.p. e dall’art. 172, comma quarto, c.p.p. e, quindi, trattandosi di termine da computarsi ad anni, allo scadere delle ore 24 del giorno del diciottesimo compleanno del soggetto. (Nella specie, in applicazione di tale principio, è stato ritenuto che fosse da considerare ancora minorenne un soggetto che aveva commesso un reato intorno alle ore 23,40 del giorno del suo diciottesimo compleanno).

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Cass. pen. n. 8450/1997

Pur se non è configurabile una incompatibilità assoluta ed astratta tra motivi a delinquere e condizioni inerenti alla persona, implicanti una diminuita imputabilità, (quale la minore età ed il vizio parziale di mente), è necessario, tuttavia, distinguere la futilità del motivo, sintomatica di capacità a delinquere, dalla irrazionalità del motivo, che è soltanto rappresentativa d’ingenuità, immaturità ed emozionalità adolescenziale. L’aggravante, quindi, deve essere individuata con criterio sia oggettivo che soggettivo, onde rendere possibili scelte razionali, non arbitrarie ed astratte, concretamente ancorate ai fatti ed alla personalità dell’individuo, nella quale la futilità, qual espressione di malvagità, trova ragione di aggravamento della pena.

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Cass. pen. n. 534/1993

Poiché la capacità di intendere e di volere del minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni non si presume, si richiede al giudice di merito un’adeguata motivazione sull’accertamento, in concreto, di detta capacità intesa come attitudine del soggetto ed avere la consapevolezza del disvalore sociale dell’atto e delle relative conseguenze e a determinare liberamente la sua condotta in relazione ad esso. Inoltre il suddetto accertamento deve essere rapportato agli episodi criminosi in cui il minore risulta coinvolto. Invero, mentre l’incapacità di intendere e di volere derivante da causa psicopatologica ha carattere assoluto, nel senso che prescinde dalla natura e dal grado di disvalore sociale della condotta posta in essere, quella da immaturità ha carattere relativo, nel senso che la maturità psichica e mentale del minore è accertabile sulla base di elementi non soltanto psichici, ma anche socio-pedagogici, relativi all’età evolutiva e, quindi, il relativo esame va compiuto con stretto riferimento al reato commesso.

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Cass. pen. n. 10002/1991

Al fine di accertare la eventuale immaturità del minore infradiciottenne rispetto allo specifico tipo di condotta posta in essere, poiché il problema non inerisce ad incapacità derivante da malattia, l’indagine deve essere volta all’accertamento della maturità psichica raggiunta dal minore e, se si acclara che lo sviluppo intellettuale e morale del giovane gli fa sufficientemente comprendere la portata e le conseguenze del proprio comportamento, allora lo si può ritenere imputabile, ma con la diminuente della pena prevista dall’art. 98 c.p. Poiché nel vigente sistema processuale non sono previste prove rituali e vige il principio del libero convincimento, il giudice non è tenuto a disporre apposita perizia, potendo ricavare gli elementi necessari al giudizio sulla maturità del minore dagli atti del procedimento nonché dal di lui comportamento processuale ed extraprocessuale, rapportati al fatto contestato. L’omissione di apposita relazione formulata da esperti o perito non vizia il procedimento neanche in relazione all’art. 11, R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404, la cui violazione non è sanzionata da nullità, purchè, comunque, risulti che il giudice abbia specificamente indugiato nell’esame della personalità del minore al fine di accertarne la capacità e la seconda come capacità all’autodeterminazione, rapportandole al disvalore etico-sociale della condotta in esame.

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Cass. pen. n. 9265/1991

In tema di accertamento dell’imputabilità del minore ultraquattordicenne, non esistendo schemi astratti valevoli a tal fine, occorre valutare il comportamento del soggetto in concreto, onde verificare se egli presenta, in rapporto al fatto delittuoso, un grado di maturità tale da rendersi conto del suo disvalore sociale, e ciò è desumibile dal ruolo specifico che ha svolto nell’attività criminosa, dalla sua effettiva capacità organizzativa, dal contegno che ha assunto nel corso dell’impresa delittuosa e nel processo. (La Cassazione ha precisato che il giudizio deve essere fondato su elementi non soltanto biopsichici, ma anche socio – economici, in relazione alla evoluzione dell’età e in connessione con il tipo di reato commesso e con le modalità esecutive dello stesso).

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Cass. pen. n. 14674/1990

L’imputabilità del minore va considerata in relazione allo stato evolutivo proprio dell’età, certamente lungi dal compimento e al quale si accompagnano, per fatto naturale, una parziale immaturità, che si prospetta tale se comparata alla condizione del maggiore, approdata alla fase terminale dell’accrescimento fisico intellettivo, ma che è cosa normale se riferita all’età minorile, cui la legge, infatti accorda in ogni caso, con presunzione assoluta una generale considerazione (la diminuente ex art. 98 c.p.) ritenendo naturalmente compromessa la piena capacità di intendere e di volere. La capacità intellettiva e di autodeterminazione, cioè fissata in generale, tanto maggiore deve considerarsi, con la connessa consapevolezza nel disvalore sociale dell’atto delittuoso, quanto questo si ponga come lesione di regole etiche minime, attinenti alla tutela di beni primari (la vita, l’integrità personale, la libertà) dell’individuo. Ne consegue che nello stesso soggetto l’imputabilità può sussistere o meno a secondo del tipo di reato commesso.

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Cass. pen. n. 2083/1990

Ai fini dell’imputabilità del maggiore di 14 anni e del minore di 18 anni la maturità può aversi per raggiunta dal soggetto se sussistono lo sviluppo intellettivo e volitivo e l’attitudine di distinguere il bene dal male e il lecito dall’illecito, se le possibilità di determinarsi nelle scelte siano nella norma, tutto ciò può anche non avvenire per effetto di una infermità mentale, ma non necessariamente, in tal caso, deve ravvisarsi la immaturità dato che «immaturità» e «infermità mentale» sono concetti ontologicamente diversi, ed i due stati possono, in un minore di età, coesistere o meno.

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Cass. pen. n. 1510/1990

In tema di imputabilità, deve essere annullata con rinvio ad altro giudice, per difetto di motivazione e violazione di legge la sentenza che dia atto della capacità di un minore imputato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, in base a considerazioni astratte e apodittiche, facendo riferimento all’intelligenza che questi avrebbe mostrato nel dibattimento (peraltro seguito a distanza di qualche anno dal fatto, mentre è all’epoca del fatto che i giudici avrebbero dovuto riferirsi per accertarne la capacità a norma dell’art. 98 c.p.), e senza mostrare di distinguere tra la normale intelligenza di un ragazzino e la sua capacità di rendersi conto della situazione di pericolo e di valutare le possibili conseguenze della propria condotta; cosa tanto più necessaria trattandosi di un reato colposo.

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Cass. pen. n. 7454/1989

La capacità di intendere e di volere del minore che abbia compiuto quattordici anni, ma non ancora i diciotto deve essere accertata dal giudice di merito che, nell’esprimere il suo giudizio di fatto sul punto deve tener conto di una molteplicità di fattori correlati agli aspetti psicologici e fisici dell’evoluzione del minore, alle sue condizioni socio-ambientali e familiari, al grado di istruzione e di educazione, alla natura dei reati commessi, al comportamento processuale. Pertanto, da un lato detta indagine non può prescindere normalmente dalle speciali ricerche previste dall’art. 11 del r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, dall’altro non può essere trascurata la natura del reato commesso, in quanto il livello di discernimento varia a seconda della natura dell’illecito, del bene giuridico offeso e della struttura della fattispecie criminosa. Ne consegue che risulta congruamente motivato il giudizio sulla maturità del minore allorché il giudice di merito, pur tenendo espressamente conto del deficit intellettivo globale ritenuto dai periti, abbia valutato la personalità del minore ed abbia spiegato che gli accertamenti peritali non possono condurre ad un giudizio di immaturità sia perché lo sviluppo noetico, affettivo e cognitivo del minore stesso, nonostante quei fattori negativi era pur sempre tale da rendere immediatamente percepibile il valore dell’atto criminoso (matricidio) sia perché il comportamento dell’imputato era una chiara manifestazione della comprensione dell’illecito commesso, come risultò dal fatto che immediatamente dopo il reato lo stesso chiese ai familiari di chiamare i carabinieri. Infatti, il vizio parziale di mente è compatibile con la ritenuta maturità del minore.

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Cass. pen. n. 7712/1988

In ipotesi di imputato in età minorile al momento della commissione del fatto, l’accertamento in concreto della capacità di intendere e di volere è giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuto da motivazione esente da vizi logico-giuridici; tale giudizio può essere correttamente tratto anche dalla accorta difesa articolata dal prevenuto in coerenza all’intento di scagionarsi da grave responsabilità.

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Cass. pen. n. 2244/1988

L’accertamento delle capacità di intendere e di volere nel minore infradiciottenne non è vincolato a specifiche indagini tecniche, potendo essere sufficiente l’osservazione diretta del comportamento dell’imputato.

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Cass. pen. n. 2140/1988

Mentre l’incapacità di intendere e di volere da causa psicopatologica ha carattere assoluto, nel senso che prescinde dalla natura e dal grado di disvalore sociale della condotta posta in essere, l’incapacità di intendere e di volere da immaturità ha carattere relativo nel senso che trattandosi di qualificazione fondata su elementi non solo biopsichici, ma anche socio-pedagogici, relativi all’età evolutiva, l’esame della maturità mentale del minore va compiuto con stretto riferimento al reato commesso, attraverso speciali ricerche sui precedenti personali e familiari del soggetto sotto l’aspetto fisico, psichico, morale ed ambientale, senza trascurare di considerare i tempi di commissione del fatto commesso e di cui il minore è imputato lungo l’arco evolutivo della personalità del soggetto e quindi con un maggior rigore valutativo, allorché tale fatto si colloca nella fase dell’età evolutiva.

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Cass. pen. n. 4808/1987

La capacità del minore ultraquattordicenne è un concetto identificabile con il discernimento che si sviluppa con l’età, in virtù del quale il minore è in grado di rendersi conto delle proprie azioni, sì che per il suo accertamento non si possono stabilire schemi astratti, occorrendo valutare la capacità del soggetto in concreto, in relazione alla natura del reato, con la conseguenza che l’imputabilità di uno stesso soggetto può essere ritenuta per alcuni reati ed esclusa per altri, in considerazione della maggiore o minore avvertibilità del disvalore etico – sociale del reato e dell’immoralità secondo il comune modo di sentire dell’azione.

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Cass. pen. n. 13531/1986

La seminfermità mentale opera sul minore nello stesso modo e con gli stessi limiti con i quali incide sul maggiorenne, sicché al minorenne possono essere congiuntamente applicate le diminuzioni previste dagli artt. 89 e 98 c.p.

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Cass. pen. n. 5462/1984

La capacità di intendere e di volere del minore infradiciottenne è un concetto sinonimo di quel discernimento che si sviluppa con l’età, ponendo il soggetto in grado di rendersi conto delle proprie azioni. Per il relativo accertamento non si possono stabilire schemi astratti né il giudice è vincolato a speciali indagini, peritali o meno, occorrendo valutare il comportamento del minore in relazione alla natura dei singoli reati, desumendolo da ogni elemento di convincimento, e anche dalle dichiarazioni rese dall’interessato.

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Cass. pen. n. 3739/1984

La consapevolezza del disvalore di un’azione da parte di un minore non è affatto esclusa dall’influenza negativa esercitata dall’ambiente socio — familiare il quale può favorire l’insorgenza di propositi delittuosi, ma non vale certo adescludere l’imputabilità del minore stesso. (Nella fattispecie si trattava di un minore cresciuto in ambiente nomade).

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Cass. pen. n. 8326/1982

L’imputabilità del minore infradiciottenne è compatibile con il vizio parziale di mente.

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Cass. pen. n. 1996/1982

L’imputabilità di un minore degli anni diciotto può ben essere desunta sia dalla natura del reato, nell’ipotesi in cui il suo contenuto illecito s’imponga anche negli stadi meno elevati dello sviluppo psichico, sia dal comportamento processuale del minore, qualora esso sia improntato a notevole scaltrezza e dimostrativo di un’apprezzabile dose di intelligenza.

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