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Art. 385 — Evasione

Art. 385 — Evasione

Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade, è punito con la reclusione da uno a tre anni.

La pena è della reclusione da due a cinque anni se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione; ed è da tre a sei anni se la violenza o minaccia è commessa con armi [ 585 ] o da più persone riunite.

Le disposizioni precedenti si applicano anche all’imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale.

Quando l’evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita [ 65 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 51855/2017

Risponde del reato di evasione, e non della semplice trasgressione delle prescrizioni ex art. 276 cod. proc. pen., il sottoposto agli arresti domiciliari che rientri a casa dal lavoro con un breve ritardo rispetto all’orario consentito.

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Cass. pen. n. 45928/2017

Integra il delitto di evasione, e non una trasgressione delle prescrizioni inerenti alla misura, il mancato raggiungimento del luogo di detenzione da parte della persona sottoposta alla misura coercitiva degli arresti domiciliari, in quanto il concetto di evasione non postula necessariamente la fuga da un istituto carcerario o l’allontanamento dal luogo di restrizione domiciliare, ma l’elusione completa della sorveglianza in atto o potenziale da parte delle persone incaricate.

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Cass. pen. n. 23043/2017

In tema di evasione, la recisione del braccialetto elettronico da parte dell’indagato sottoposto alla misura degli arresti domiciliari non integra la circostanza aggravante dell’effrazione, prevista dall’art. 385, comma secondo, cod. pen., che consiste nell’alterazione violenta degli strumenti appositamente, o anche contingentemente, destinati alla ritenzione e custodia del detenuto, mentre il braccialetto elettronico serve solo a controllare continuamente la presenza dell’indagato entro il perimetro in cui gli è consentito muoversi.

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Cass. pen. n. 13825/2017

In tema di evasione dagli arresti domiciliari, agli effetti dell’art. 385 cod. pen. deve intendersi per abitazione lo spazio fisico delimitato dall’unità abitativa in cui la persona conduce la propria vita domestica, con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la sentenza di condanna emessa nei confronti di soggetto sorpreso in un capannone attiguo alla casa, costituente un corpo autonomo e separato dall’abitazione in senso stretto, non raggiungibile, senza soluzione di continuità, dalla stessa).

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Cass. pen. n. 14037/2015

Il delitto di evasione dagli arresti domiciliari ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui il soggetto attivo si allontana dal luogo di esecuzione della misura, con la conseguenza che, per l’eventuale applicabilità di cause di giustificazione, anche putative, deve aversi riguardo alla situazione esistente a tale momento, e non anche a quella relativa al periodo di eventuale protrazione della condotta elusiva della misura cautelare. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato la sentenza d’appello che, ritenendo la condotta illecita come protratta nel tempo, e scindendo la stessa nelle fasi della fuga e della successiva permanenza fuori del domicilio, avveva applicato la scriminante putativa dello stato di necessità solo in relazione alla prima delle due fasi, ma non anche alla seconda).

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Cass. pen. n. 4830/2015

In tema di evasione dagli arresti domiciliari, agli effetti dell’art. 385 cod. pen. deve intendersi per abitazione il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà. (In motivazione, la S.C. ha precisato che il fine primario e sostanziale della misura coercitiva degli arresti domiciliari è quello di impedire i contatti con l’esterno ed il libero movimento della persona, quale mezzo di tutela delle esigenze cautelari, che può essere vanificato anche dal trattenersi negli spazi condominiali comuni).

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Cass. pen. n. 22109/2014

Integra il reato di evasione la condotta di volontario allontanamento dal luogo di restrizione domiciliare e di presentazione presso la stazione dei Carabinieri ancorché per chiedere di essere ricondotto in carcere. (Nel caso di specie l’imputato aveva giustificato il proprio comportamento in ragione di una lite con il direttore della Comunità terapeutica presso la quale era ristretto).

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Cass. pen. n. 11679/2012

Integra il reato di evasione qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la sua durata, la distanza dello spostamento, ovvero i motivi che inducono il soggetto ad eludere la vigilanza sullo stato custodiale.

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Cass. pen. n. 44281/2011

La circostanza attenuante comune del ravvedimento operoso è incompatibile con la circostanza attenuante speciale di cui all’art. 385, comma quarto, c.p..

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Cass. pen. n. 27124/2011

Integra il delitto di evasione la condotta dell’imputato sottoposto alla misura degli arresti domiciliari che, senza la preventiva autorizzazione dell’autorità giudiziaria, si allontana dal luogo di restrizione per presenziare ad una udienza penale. (Nel caso di specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso del P.M. avverso la sentenza assolutoria, che aveva ravvisato nel comportamento dell’agente un errore determinato da un atto dell’autorità giudiziaria, avendo egli tratto la scusabile convinzione della liceità della propria condotta dalla notifica di un avviso che gli comunicava la data dell’udienza fissata per il riesame della misura cautelare cui era sottoposto).

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Cass. pen. n. 8604/2011

L’allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari integra il delitto di evasione e non può equipararsi alla violazione di una “prescrizione inerente agli obblighi imposti”con la misura cautelare (art. 276 c.p.p.), in quanto la permanenza nel domicilio costituisce l’obbligo essenziale dell’arrestato e non una delle prescrizioni ad esso inerenti.

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Cass. pen. n. 44504/2010

Integra il delitto di evasione dagli arresti domiciliari il trasferimento di residenza effettuato dal detenuto senza darne comunicazione e senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione da parte degli organi di vigilanza. (Fattispecie relativa ad un trasferimento avvenuto in altro appartamento sito nel medesimo stabile).

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Cass. pen. n. 32668/2010

Non integra il delitto di evasione di cui all’art. 385 c.p. la condotta di colui che, trovandosi presso la propria abitazione in stato di detenzione domiciliare, se ne allontani per costituirsi immediatamente dopo alla locale stazione dei carabinieri ed essere quindi ricondotto presso un istituto di pena. (Fattispecie in cui l’allontanamento dall’abitazione era stato determinato dalla necessità di evitare il pericolo di degenerazione di una lite poco prima insorta in ambito familiare, ed era stato preceduto da una sollecitazione telefonicamente rivolta ai carabinieri per una nuova traduzione in carcere).

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Cass. pen. n. 25976/2010

Il delitto di evasione, che è reato istantaneo con effetti permanenti, si consuma nel momento stesso in cui il soggetto attivo si allontana dal luogo della detenzione o degli arresti domiciliari. Ne consegue che l’effetto permanente cessa quando l’evaso torna nel luogo dal quale non avrebbe dovuto allontanarsi, interrompendo in tal modo l’elusione del controllo da parte dell’autorità vigilante.

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Cass. pen. n. 8978/2010

Integra il delitto di evasione la condotta posta in essere dal condannato in regime di semidetenzione, che si allontani dalla casa circondariale ove si trova ristretto, senza farvi più ritorno.

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Cass. pen. n. 41956/2009

L’ammissione a una misura alternativa alla detenzione in carcere (nella specie detenzione domiciliare) di un soggetto nei cui confronti sia intervenuta condanna per il delitto di evasione non può essere automaticamente preclusa, senza limiti di tempo, dalla condanna stessa, indipendentemente da qualsiasi valutazione in ordine all’avvenuta realizzazione delle condizioni richieste dalla legge per fruire del beneficio, valutazione che impone al giudice un’analisi approfondita della personalità del condannato e della sua effettiva e perdurante pericolosità sociale.

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Cass. pen. n. 22368/2009

La condanna per il delitto di evasione non è automaticamente preclusiva della possibilità di concessione di benefici penitenziari, nella specie della detenzione domiciliare, dovendo il giudice impegnarsi nell’esame approfondito della personalità del condannato e sulla sua effettiva, perdurante, pericolosità sociale, oltre che sulla verifica della sussistenza di tutte le condizioni richieste per la concessione del beneficio.

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Cass. pen. n. 15208/2009

La sussistenza del reato di evasione dagli arresti domiciliari disposti a seguito di aggravamento della misura cautelare dell’obbligo di dimora non è esclusa qualora sia stata successivamente accertata la carenza dei presupposti in fatto dell’aggravamento stesso. (In motivazione, la S.C. ha affermato che l’accertamento indicato non priva la condotta del carattere di illiceità penale, che deve essere valutato con riferimento alle condizioni esistenti all’atto dell’indebito allontanamento e della vanificazione del controllo della polizia giudiziaria).

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Cass. pen. n. 29679/2008

In tema di reato di evasione, non può ravvisarsi, in caso di allontanamento dall’abitazione in cui il soggetto è in stato di restrizione domiciliare, la causa di giustificazione dello stato di necessità per asserito deterioramento dei rapporti con i congiunti conviventi, dal momento che in detta situazione non è apprezzabile il pericolo di un danno alla persona. (La Corte ha altresì chiarito che il preteso danno alla persona sarebbe comunque evitabile semplicemente facendo richiesta di un mutamento del domicilio di restrizione ).

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Cass. pen. n. 35533/2007

Integra il delitto di evasione, e non una mera inosservanza del provvedimento cautelare, il mancato raggiungimento del luogo di detenzione da parte della persona sottoposta alla misura coercitiva degli arresti domiciliari.

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Cass. pen. n. 35074/2007

Integra la condotta del reato di evasione, e non l’ipotesi di mera trasgressione delle prescrizioni imposte, l’allontanamento del condannato dal luogo di espiazione della pena in regime di detenzione domiciliare in orario diverso da quello autorizzato.

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Cass. pen. n. 30983/2007

In caso di evasione cosiddetta impropria, la condotta tipica è individuata nell’allontanamento dal luogo in cui si ha l’obbligo di rimanere. Per abitazione, individuata come luogo dove rimanere agli arresti, deve intendersi soltanto il luogo in cui la persona conduce la vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza (quali cortili, giardini, terrazze, aree condominiali in genere) che non sia parte integrante o pertinenza esclusiva dell’abitazione medesima. Ogni allontanamento abusivo ancorché limitato nello spazio e nel tempo integra il reato. Per l’integrazione del reato non è richiesto un allontanamento definitivo o la mancanza dell’animus revertendi. (Mass. redaz.).

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Cass. pen. n. 22014/2006

Configura il delitto di evasione la condotta di colui che, destinatario di un provvedimento coercitivo, si allontani dalla propria abitazione alla vista delle forze dell’ordine che verbalmente lo hanno dichiarato in arresto.

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Cass. pen. n. 21975/2006

Configura il delitto di evasione e non l’ipotesi di trasgressione alle prescrizioni imposte, sanzionabile ex art. 276 c.p.p., l’allontanamento della persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari dal luogo di detenzione in un orario che si ponga in termini di apprezzabile inconciliabilità con la fascia oraria prefissata dall’autorità giudiziaria nel provvedimento cautelare. (Fattispecie nella quale l’imputato era stato sorpreso fuori della propria abitazione due ore prima dell’orario autorizzato di uscita).

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Cass. pen. n. 12795/2006

Il reato di evasione non è configurabile nella ipotesi di un internato per esecuzione di una misura di sicurezza e ammesso al regime di semilibertà, il quale non rispetti l’orario di rientro nella casa circondariale, non essendo assimilabile la figura dell’internato a quella del condannato.

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Cass. pen. n. 14250/2005

In tema di evasione, la responsabilità dell’agente non è esclusa quando, dopo il fatto, intervenga sentenza di proscioglimento in ordine al reato per il quale era stata disposta la custodia cautelare. (Fattispecie relativa ad allontanamento dal luogo di esecuzione della misura degli arresti domiciliari).

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Cass. pen. n. 10082/2005

Integra gli estremi del reato di evasione (art. 385 c.p.) la condotta del detenuto agli arresti domiciliari che si allontani dal luogo in cui è autorizzato a svolgere l’attività lavorativa, considerato che detta autorizzazione non sospende il «regime» del detenuto ma muta semplicemente il luogo in cui l’interessato è assoggettato agli arresti domiciliari, con la conseguenza che la violazione dell’obbligo di permanenza nel posto di lavoro autorizzato integra il reato di evasione (art. 385, comma terzo, c.p.) e non l’ipotesi di trasgressione alle prescrizioni imposte, apprezzabile e sanzionabile ex art. 276 c.p.p.

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Cass. pen. n. 41968/2004

Risponde del reato di cui all’art. 385 c.p. il condannato, che sottoposto al regime di detenzione domiciliare con autorizzazione a recarsi fuori dalla propria abitazione per svolgere un’attività lavorativa, si sia allontanato dal luogo di lavoro, ancorchè per svolgere un’attività strettamente connessa con l’impegno lavorativo. (Nella specie, il condannato si era recato in banca per effettuare il deposito dell’incasso giornaliero).

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Cass. pen. n. 19645/2004

Per il reato di evasione commesso da persona in stato di arresti domiciliari, la fattispecie attenuante di cui al comma 4 dell’art. 385 c.p., per la quale la pena è diminuita quando l’evaso si costituisce in carcere prima della condanna, non è integrata per il sol fatto che l’interessato rientri spontaneamente nel luogo di esecuzione della misura, essendo piuttosto necessario che si presenti presso un istituto carcerario o si consegni ad una autorità che abbia l’obbligo di tradurlo in carcere.

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Cass. pen. n. 17962/2004

In tema di detenzione domiciliare, il concetto di abitazione comprende sia il luogo in cui il soggetto conduce la propria vita domestica che le sue pertinenze esclusive, in quanto non si differenzia da quello previsto ai fini della misura cautelare degli arresti domiciliari.

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Cass. pen. n. 17687/2004

Ai fini della configurabilità del delitto di evasione dagli arresti domiciliari, ritenere che la notifica di un decreto di citazione per l’udienza autorizzi implicitamente ad allontanarsi dal luogo di restrizione, è un errore di diritto, in quanto afferisce alla disciplina degli arresti domiciliari che integra la fattispecie penale, e pertanto non può essere scusabile neppure per lo straniero, il quale, come il cittadino italiano, quando è destinatario di un regime di arresti domiciliari, deve osservare con la massima diligenza la regola fondamentale dell’assoluto divieto di allontanamento dal proprio domicilio, senza preventiva autorizzazione del giudice.

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Cass. pen. n. 7659/2004

Configura il delitto di evasione la condotta di colui che si allontani dal luogo ove si trovi in stato di coercizione personale e vigilato dagli organi di polizia che hanno operato l’arresto, anche se non sia stato ancora redatto il relativo verbale, giacché la qualità di arrestato consegue all’attività di privazione della libertà personale e non alla redazione del verbale di arresto, che rappresenta solo la forma di documentazione dell’attività compiuta.

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Cass. pen. n. 7345/2004

In materia di evasione, il detenuto che non rientri in istituto senza giustificato motivo allo scadere del permesso premio concesso ai sensi dell’art. 30 ter O.P., qualora la sua assenza si protragga per oltre dodici ore, è punibile a norma dell’art. 385 c.p., rilevando invece le assenze protratte per un periodo inferiore solo ai fini disciplinari.

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Cass. pen. n. 44767/2003

La misura dell’obbligo di dimora prevista dall’art. 283 c.p.p. è una misura coercitiva e non una misura cautelare detentiva. Ne consegue che, non è ammissibile ipotizzare il delitto di evasione di cui all’art. 385 c.p. in caso di violazione dell’obbligo perché l’evasione presuppone che l’autore sia detenuto o legalmente arrestato.

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Cass. pen. n. 43508/2003

All’imputato agli arresti domiciliari con modalità esecutive che gli consentono di allontanarsi dalla propria abitazione per il tempo necessario ad adempiere la finalità per cui l’allontanamento è stato autorizzato, non è applicabile analogicamente l’art. 30, terzo comma, della legge n. 354 del 1975 che, per il condannato con sentenza definitiva, titolare di un permesso, rende operante la disposizione dell’art. 385 c.p. nel caso non rientri in istituto e solo se l’assenza si protragga oltre le dodici ore. (La Corte ha al riguardo osservato che tale diversità è giustificata dal fatto che, mentre il condannato in permesso fruisce solo episodicamente del beneficio, l’imputato agli arresti domiciliari lo utilizza sistematicamente, come modalità esecutiva della misura stessa; cosicchè è sufficiente che il ritardo si protragga in modo apprezzabile perchè resti integrato il delitto di evasione).

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Cass. pen. n. 37386/2003

La circostanza attenuante prevista dall’art. 385 quarto comma c.p., a favore dell’evaso che si costituisca in carcere, non è applicabile nel caso di ritorno volontario nel luogo degli arresti domiciliari da parte del soggetto che se ne sia allontanato. (In motivazione, la Corte ha escluso che potesse essere considerato “comportamento equipollente” alla costituzione in carcere il ritorno volontario presso la sua abitazione, davanti alla quale erano presenti gli agenti addetti alla sorveglianza).

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Cass. pen. n. 33076/2003

Non configura l’esimente dello stato di necessità, idonea ad escludere la sussistenza del reato di evasione, la deduzione di uno stato di bisogno, quale un mal di denti, in quanto non configura l’imminenza di una situazione di grave pericolo alla persona con caratteristiche di indilazionabilità e cogenza tale da non lasciare alla persona altra alternativa che quella di violare la legge.

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Cass. pen. n. 31995/2003

Il reato di evasione non è a dolo specifico, essendo sufficiente, per la sussistenza dell’elemento soggettivo, la consapevolezza e volontà del reo di usufruire di una libertà di movimento vietata dal precetto penale, voluta anche unicamente come fine a se stessa.
Integra il reato di evasione l’allontanamento, quale che ne si la durata, dal luogo di detenzione domiciliare del condannato ammesso a tale misura, non potendo la disposizione dell’art. 47 ter, ottavo comma, della legge 26 luglio 1975 n. 354 (c.d. ordinamento penitenziario) — che richiama in proposito l’applicazione dell’art. 385 c.p. — essere letta in correlazione e integrazione con quelle di cui all’art. 51, secondo e terzo comma, della stessa legge, che prevedono sanzioni differenziate, in rapporto alla durata, per l’assenza arbitraria del semilibero dall’istituto di pena, stante la specialità di queste ultime che non ne consente un’interpretazione estensiva neanche in bonam partem.

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Cass. pen. n. 9960/2003

Per integrare la circostanza attenuante speciale del delitto di evasione, prevista dall’art. 385, quarto comma, c.p., è sufficiente che il rientro in carcere sia volontario e non conseguente alla coazione fisica delle forze dell’ordine, senza la necessità di verificare la spontaneità del comportamento, o l’eventuale influenza di sollecitazioni, consigli o diffide, atteso che lo scopo della previsione è il ripristino tempestivo dello stato di detenzione, ottenuto senza dispendio di energie da parte delle forze dell’ordine.

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Cass. pen. n. 4186/2003

L’attenuante di cui all’art. 385, comma 4, c.p., che ha carattere di specialità rispetto a quella prevista dall’art. 62 n. 6 c.p., è applicabile all’imputato evaso dagli arresti domiciliari nelle sole ipotesi in cui questi, prima della condanna, si adoperi spontaneamente ed efficacemente — costituendosi in carcere o, comunque, tenendo una condotta assimilabile, quale la consegna spontanea ad un’Autorità che abbia l’obbligo di tradurvelo — per eliminare le conseguenze negative del reato, rappresentate dal dispendio di tempo e di energie da parte della polizia giudiziaria per effettuare le ricerche e pervenire al suo arresto.

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Cass. pen. n. 1777/2003

L’attenuante della costituzione in carcere prima della condanna (art. 385, comma 4, c.p.) è applicabile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 385 c.p. e 47 ter L. 26 luglio 1975 n. 354 (introdotto con l’art. 13 della L. 10 ottobre 1986 n. 663), anche nell’ipotesi di evasione dagli arresti domiciliari a condizione che avvenga la costituzione in carcere — o la consegna ad un’Autorità che abbia l’obbligo di provvedere alla traduzione in carcere del reo — quale espressione di ammissione dell’infrazione e di volontà di elidere le conseguenze del reato.

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Cass. pen. n. 1752/2003

Integra il reato di evasione la condotta della persona ristretta agli arresti domiciliari che, autorizzata dal giudice a svolgere attività lavorativa, rientri nella propria abitazione con trenta minuti di ritardo, rispetto all’orario stabilito nell’ordinanza.

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Cass. pen. n. 21211/2001

Non integra il reato di evasione l’allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari del soggetto nei cui confronti sia già intervenuta sentenza di condanna a pena non detentiva, ancorché non sia ancora stato adottato un formale provvedimento di scarcerazione, stante la natura meramente dichiarativa di quest’ultimo.

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Cass. pen. n. 10282/2001

È da escludere la configurabilità del reato di evasione, mancando il presupposto della legalità della detenzione, qualora il fatto sia stato commesso dopo la scadenza del termine di durata massima della custodia cautelare, cui non abbia fatto seguito il provvedimento di scarcerazione.

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Cass. pen. n. 10270/2001

La violazione delle prescrizioni previste per il regime della detenzione domiciliare a norma dell’art. 47 ter, ottavo comma, dell’ordinamento penitenziario integra automaticamente il reato di evasione di cui all’art. 385 c.p., in quanto alla detenzione domiciliare non è applicabile il regime previsto per la semilibertà dall’art. 51 dello stesso ord. pen. che prevede un periodo di «assenza tollerata», quantificato in dodici ore, entro il quale la sanzione prevista in caso di ritardato rientro in istituto non è di natura penale ma solo disciplinare. (Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che non si potesse applicare il regime più favorevole previsto per i semiliberi ad un soggetto che si trovava in stato di detenzione domiciliare e che aveva ritardato di un quarto d’ora il suo rientro al termine dell’attività lavorativa cui era autorizzato).

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Cass. pen. n. 12301/2000

Qualora il provvedimento di arresti domiciliari faccia generico riferimento, quale luogo in cui deve essere osservato, ad un campo nomadi, può sorgere da parte del destinatario la possibilità di equivoco circa l’ambito applicativo con la conseguente esclusione dell’elemento soggettivo del reato allorché l’interessato, pur non venendo rintracciato nella propria roulotte o nelle immediate vicinanze, sia tuttavia rimasto all’interno del campo. (Nell’affermare il principio anzidetto la Corte ha ribadito che negli arresti domiciliari è preso in considerazione il luogo di privata dimora, con esclusione di ogni altra appartenenza che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione, ritenendo tuttavia che l’imprecisione della formula usata poteva giustificare l’errore interpretativo specie da parte di un soggetto di cultura e di lingua diversa).

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Cass. pen. n. 11940/2000

L’allontanamento del detenuto, agli arresti domiciliari e autorizzato al lavoro esterno, dal luogo in cui è previsto che egli svolga la propria attività costituisce reato di evasione, (senza che sia invocabile l’inevitabilità dell’ignoranza della legge da parte del soggetto che sia stato autorizzato ad allontanarsi dal datore di lavoro, atteso che il regime detentivo, anche nella forma attenuata, prevede comunque una serie di minuziosi e specifici obblighi che non possono essere ignoti a chi nel sistema carcerario è inserito, onde, anche alla luce della sentenza n. 364/1988 della Corte costituzionale, non sono riscontrabili nella fattispecie né l’impossibilità di riconoscibilità del precetto, né l’apparenza di legittimità del comportamento incriminato in forza della quale qualunque consociato sarebbe caduto in una falsa rappresentazione del contesto normativo.

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Cass. pen. n. 8721/2000

In tema di evasione degli arresti domiciliari, il rientro dell’evaso, dopo qualche ora, presso la propria abitazione, non è fatto che integri l’attenuante di cui all’art. 385, comma quarto, c.p., la quale ricorre solo nella ipotesi di costituzione in carcere o di consegna a una autorità che abbia l’obbligo di provvedere alla successiva traduzione dell’evaso, e non quando il rientro nella propria abitazione avvenga clam et furtiviter, nel tentativo di non rilevare la pregressa evasione.

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Cass. pen. n. 7842/2000

Il dolo del reato di evasione per abbandono del luogo degli arresti domiciliari è generico, essendo necessaria e sufficiente — in assenza di autorizzazione — la volontà di allontanamento nella consapevolezza del provvedimento restrittivo a proprio carico, non rivestendo alcuna importanza lo scopo che l’agente si propone con la sua azione. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretto il provvedimento dei giudici di merito che avevano ritenuto la sussistenza del reato a carico dell’evaso, tossicodipendente, che si era allontanato dalla abitazione, ove era ristretto, per recarsi presso la caserma dei carabinieri per chiedere — secondo quanto asserito — di essere tradotto in carcere per paura che potesse commettere qualche reato, sostenendo che sarebbe mancata nel suo comportamento la finalità di sottrarsi ai controlli dell’autorità).

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Cass. pen. n. 7685/2000

Integra il reato di evasione la condotta di colui che si allontani ingiustificatamente dal luogo degli arresti domiciliari dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna a una pena detentiva di durata superiore al periodo di custodia cautelare sofferto, atteso che in tale situazione l’agente non può considerarsi formalmente libero sino alla notificazione dell’ordine di esecuzione della pena definitiva, dovendosi considerare l’imputato agli arresti domiciliari in stato di custodia cautelare e non potendosi equiparare detto regime, attese le rilevanti restrizioni che pur comporta alla libertà del soggetto che vi è sottoposto, equiparato allo stato di libertà; né, il passaggio in giudicato della sentenza è previsto fra le cause di estinzione delle misure cautelari di cui agli artt. 300 e 303 c.p.p. (Fattispecie relativa a sentenza passata in giudicato anteriormente alla entrata in vigore della legge 27 maggio 1998, n. 165).

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Cass. pen. n. 7847/1999

Nel delitto di evasione per allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari, oggetto della tutela penale è il rispetto dovuto all’autorità delle decisioni giudiziarie sul presupposto di un legittimo stato di arresto o di detenzione del soggetto attivo che va rigorosamente provato mediante la produzione a opera del pubblico ministero o l’acquisizione da parte del giudice del relativo titolo, ove l’esistenza dello stesso sia contestata. (La Corte ha precisato che non è prova idonea a dimostrare il legittimo stato di arresto o di detenzione dell’evaso la mera deposizione degli agenti di pubblica sicurezza incaricati del controllo, i quali non possono essere chiamati a deporre sull’esistenza e sul contenuto del titolo custodiale e sulle eventuali vicende successive alla sua emissione).

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Cass. pen. n. 3948/1999

Il reato di cui all’art. 385 c.p. si consuma con il semplice volontario allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari, indipendentemente dall’asserita intenzione di farvi ritorno. (Nella specie, peraltro, l’intenzione di rientrare nel luogo ove l’imputato era detenuto venne manifestata solo al momento dell’arresto).

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Cass. pen. n. 2217/1997

Il delitto di evasione, in tutte le ipotesi delineate dall’art. 385 c.p., ha natura di reato istantaneo con effetti permanenti. Nella fattispecie prevista dal comma terzo di tale articolo, il reato si consuma nel momento stesso in cui il soggetto agente si allontana dal luogo degli arresti domiciliari, non diversamente da ciò che si verifica per il caso di evasione dal luogo di detenzione, di cui al primo comma.

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Cass. pen. n. 781/1997

La condotta di colui che, colpito dalla misura cautelare degli arresti domiciliari ed autorizzato ad assentarsi ai sensi dell’art. 284 comma terzo c.p.p., si assenta per ragioni diverse da quelle per le quali è stata concessa l’autorizzazione non rappresenta una trasgressione delle prescrizioni inerenti alla misura cautelare, sanzionabile ai sensi dell’art. 276 c.p.p. con la sostituzione o con il cumulo con altra più grave misura cautelare, ovvero una trasgressione delle prescrizioni dell’autorizzazione, ma integra gli estremi del reato di evasione dagli arresti domiciliari. Invero l’autorizzazione ad assentarsi non attiene alle modalità di esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari, già definita in tutti i suoi aspetti con le eventuali prescrizioni del caso, ma attiene alla operatività della misura, che viene momentaneamente sospesa «per il tempo strettamente necessario» per consentire lo svolgimento delle attività autorizzate e che, secondo l’art. 284 comma terzo c.p.p., possono consistere nel provvedere alle indispensabili esigenze di vita ovvero nell’esercizio di una attività lavorativa. Lo svolgimento di una attività (nella specie il conversare tranquillamente con amici pregiudicati in pubblica piazza) diversa da quella autorizzata è inidonea, ovviamente, a determinare la momentanea sospensione della misura, che, pertanto, con tutte le sue prescrizioni, è pienamente operante; in questo caso, conseguentemente, l’assentarsi dal luogo degli arresti domiciliari integra gli estremi del reato di cui all’art. 385 c.p.

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Cass. pen. n. 475/1997

In tema di configurabilità del reato continuato, mentre l’unicità del disegno criminoso, pur in assenza di una incompatibilità ontologica, mal si concilia in linea di principio con il reato di evasione dal carcere, essa può invece ben ricorrere rispetto a una pluralità di evasioni dagli arresti domiciliari, di cui all’art. 385, comma terzo, c.p., potendo in questa ipotesi ricorrere il disegno criminoso di disattendere più volte la prescrizione di non allontanarsi dal luogo stabilito per gli arresti domiciliari, tanto più quando manchino del tutto tra un allontanamento e l’altro quegli eventi, quali la denunzia e l’arresto, che almeno potenzialmente potrebbero interrompere tale disegno e richiedere un nuovo atteggiamento antidoveroso.

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Cass. pen. n. 3712/1996

Il delitto di evasione ha natura di reato istantaneo ad effetti permanenti. L’art. 385 prevede, infatti, come circostanza attenuante la costituzione in carcere dell’evaso prima della condanna. Il comportamento de quo coincide con il venire meno dell’effetto permanente. L’art. 3 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 convertito con modifiche in legge 12 luglio 1991, n. 203, inoltre, stabilendo la possibilità dell’arresto fuori flagranza, indica che il delitto si perfeziona al momento dell’allontanamento dal luogo di detenzione (sia pure il domicilio domestico) o del mancato rientro per l’ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale (diversamente si sarebbe sempre nella flagranza).

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Cass. pen. n. 4406/1996

Deve escludersi la configurabilità del reato di evasione con riguardo all’allontanamento del minore dalla casa in violazione della prescrizione dell’obbligo della permanenza in essa, impostogli ai sensi dell’art. 21 del processo minorile. Invero quando il legislatore ha voluto equiparare al reato di evasione un fatto analogo, ma diverso, lo ha espressamente sancito così come per gli arresti domiciliari.

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Cass. pen. n. 1458/1995

In tema di evasione dagli arresti domiciliari (art. 385, comma 3, c.p.) l’attenuante della costituzione prima della condanna è applicabile solo ove l’evaso si sia costituito in carcere o abbia posto in essere una condotta a questa assimilabile, consegnandosi ad un’autorità che abbia l’obbligo di tradurvelo; l’attenuante de qua, infatti, che si trova in rapporto di specialità con quella generica di cui all’art. 62, n. 6, c.p., ha il suo presupposto in un’attività spontanea ed efficace, cioè produttiva di risultati effettivamente idonei ad eliminare le conseguenze negative del reato, quali, per il delitto in esame, il dispendio di tempo e di energie da parte della polizia giudiziaria per effettuare le ricerche dell’evaso e la di lui cattura. (Alla stregua di detto principio la Corte ha escluso che possa integrare l’attenuante in parola il semplice rientro volontario nel luogo dell’arresto).

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Cass. pen. n. 8646/1995

In tema di evasione, per chi è agli arresti domiciliari, il termine «abitazione» di cui all’art. 385 comma 3 c.p., va riferito solo al luogo in cui la persona conduce vita domestica e non alle appartenenze (come cortili e giardini); la norma, infatti, vuole che l’interessato resti nel luogo indicato ai fini dei suddetti arresti, quale idoneo ad impedire che fuori di esso il predetto possa esprimere la sua pericolosità, consentendo in pari tempo un agevole controllo all’autorità di polizia.

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Cass. pen. n. 8150/1995

È configurabile il reato di evasione nel fatto del soggetto agli arresti domiciliari che venga sorpreso dai carabinieri nel cortile condominiale, a pochi metri dalla sua abitazione.

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Cass. pen. n. 5770/1995

L’abitazione, dalla quale la persona sottoposta alla misura degli arresti domiciliari non deve allontanarsi, va intesa soltanto come il luogo in cui il soggetto conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza del tipo di aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili, che non siano di stretta pertinenza dell’abitazione stessa. Ciò al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità del sottoposto ed altresì per evitare contatti e frequentazioni di quest’ultimo con altri soggetti che egli non è autorizzato ad incontrare. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse ravvisato la sussistenza del reato di evasione nel comportamento di soggetto sottoposto agli arresti domiciliari che si era intrattenuto a conversare con altra persona sulla soglia dell’edificio condominiale).

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Cass. pen. n. 11395/1994

Al condannato per il delitto di evasione dagli arresti domiciliari non possono essere applicate le sanzioni sostitutive della semidentenzione e della libertà controllata stante il divieto sancito dall’art. 60 della L. 24 novembre 1981, n. 689.

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Cass. pen. n. 11000/1994

A norma dell’art. 385, comma 3, c.p., risponde del reato di evasione l’imputato che, essendo agli arresti nella propria abitazione — intesa come il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza, come aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non siano di stretta pertinenza dell’abitazione — se ne allontana. Quando, però, nell’ordinanza applicativa degli arresti domiciliari sia inserito uno specifico divieto, la violazione di esso non vale ad integrare il delitto di evasione, ma può produrre soltanto l’effetto della sostituzione, ex art. 296 c.p.p., ad opera del giudice che ha adottato la misura, degli arresti domiciliari con la più gravosa misura della custodia in carcere. (Nella specie, l’ordinanza che aveva disposto gli arresti domiciliari aveva espressamente previsto il divieto di sostare nel cortile ove l’imputato era stato, appunto, sorpreso. La corte ha ritenuto che trattandosi di «prescrizione», la violazione di essa avrebbe potuto dar luogo solo all’operatività del precetto di cui all’art. 296 c.p.p.).

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Cass. pen. n. 7508/1994

Il condannato ammesso al lavoro esterno ed autorizzato a recarvisi senza scorta qualora non si presenti al lavoro è punibile ai sensi dell’art. 385 c.p. (evasione) solo se non rientri in istituto entro dodici ore.

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Cass. pen. n. 6617/1994

All’imputato agli arresti domiciliari con modalità esecutive che gli consentono di allontanarsi dalla propria abitazione per adempiere le finalità per cui l’allontanamento è stato autorizzato che faccia ritorno con ritardo nella sua abitazione senza tenere alcun comportamento assimilabile alla costituzione in carcere, quale il consegnarsi all’autorità che ha il compito di provvedere alla sua successiva traduzione, non è applicabile la circostanza attenuante prevista dall’art. 385, comma 4, c.p.
All’imputato agli arresti domiciliari con modalità esecutive che gli consentono di allontanarsi dalla propria abitazione per il tempo necessario ad adempiere la finalità per cui l’allontanamento è stato autorizzato, non è applicabile analogicamente l’art. 30, comma 3, della L. n. 354 del 1975 che, per il condannato con sentenza definitiva, titolare di un permesso, che non rientri in istituto, rende operante la disposizione dell’art. 385 c.p. solo se l’assenza si protragga oltre le dodici ore. E ciò in quanto, mentre il condannato in permesso fruisce solo episodicamente del beneficio, l’imputato agli arresti domiciliari (da considerare a tutti gli effetti in stato di custodia cautelare: v. art. 284, comma 5, c.p.p.) lo utilizza sistematicamente, come modalità esecutiva della misura ma strettamente connaturata alla misura stessa; cosicché è sufficiente che il ritardo si protragga in modo apprezzabile, da valutare caso per caso, perché resti integrato il delitto di evasione.

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Cass. pen. n. 6223/1994

Poiché il minorenne obbligato alla permanenza in casa ovvero collocato in comunità viene considerato in stato di custodia cautelare ai soli fini del computo della durata massima della misura e del calcolo della pena da scontare, mentre per il resto viene considerato libero, anche se sottoposto all’osservanza di obblighi e di prescrizioni, si deve escludere, in base al principio di legalità formale di cui all’art. 1 c.p., che a suo carico, qualora si allontani ingiustificatamente dall’abitazione o dalla comunità, possa ipotizzarsi il reato di evasione previsto dall’art. 385, terzo comma, c.p., il cui campo di applicazione deve intendersi ristretto ai soli maggiorenni detenuti agli arresti domiciliari.

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Cass. pen. n. 11343/1993

L’attenuante della costituzione dell’evaso in carcere prima della condanna è applicabile anche all’ipotesi, prevista dal terzo comma dell’art. 385 c.p., dell’imputato che, essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento che dispone la misura, se ne allontani. (La Cassazione ha altresì ritenuto che nella suddetta ipotesi, ai fini della concessione dell’attenuante de qua, rileva anche un comportamento assimilabile alla costituzione in carcere, quale il consegnarsi ad un’autorità che abbia l’obbligo di provvedere alla successiva traduzione del reo).

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Cass. pen. n. 8245/1993

Integra gli estremi del delitto di evasione il solo fatto che l’imputato agli arresti domiciliari esca dalla casa, nella quale si trovi ristretto – non importa per quanto tempo e con quale destinazione – perché la
ratio dell’incriminazione risiede nella necessità che egli non si sottragga alla costante possibilità di controllo da parte della polizia giudiziaria.

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Cass. pen. n. 3024/1993

L’autorizzazione data a chi si trovi costretto agli arresti domiciliari di allontanarsi dal luogo ove è tenuto a rimanere per recarsi al lavoro, fissa il limite invalicabile entro il quale la condotta stessa non è punibile. Ne consegue che l’imputato, nell’ipotesi in cui violi l’autorizzazione stessa e si rechi in località diversa dal luogo di lavoro indicato, pone in essere un comportamento che, eccedendo dal permesso accordatogli, rientra nella previsione dell’art. 385 c.p.

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Cass. pen. n. 9809/1992

Commette il delitto di evasione l’imputato agli arresti domiciliari che si allontani dalla propria abitazione per trattenersi al di fuori di essa, sia pure per breve periodo e in appartamenti contigui o in luoghi condominiali. (Nella specie l’imputato si era allontanato dalla propria dimora privata, dove era agli arresti domiciliari, per recarsi ad assistere a una festa in altro appartamento posto sullo stesso piano del fabbricato).

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Cass. pen. n. 9390/1992

Nell’ipotesi in cui l’imputato si allontani arbitrariamente dal luogo ove egli è tenuto a rimanere, perché sottoposto agli arresti domiciliari, l’attenuante del ravvedimento attuoso può essere applicata solo se, prima della condanna, egli si costituisca in carcere o tenga un comportamento a questo assimilabile, quale il consegnarsi ad un’autorità che abbia l’obbligo di tradurlo nel luogo assegnatogli per la detenzione. Non è sufficiente, invero, per l’applicazione dell’attenuante in questione, atteso il tenore dell’art. 385, ultimo comma, c.p., il semplice rientro nel luogo di arresto, dovendo l’evaso far constatare all’autorità la sua volontà di interrompere lo stato di latitanza. (Fattispecie relativa a rigetto di ricorso di imputato il quale era rientrato in maniera furtiva nel luogo ove trovavasi in stato di arresto).

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Cass. pen. n. 9388/1992

Integra gli estremi del delitto di evasione, di cui all’art. 385 comma terzo c.p., la condotta di colui il quale, trovandosi agli arresti domiciliari, se ne allontani, anche se per breve tempo, recandosi nella via antistante l’abitazione propria, senza il permesso o l’autorizzazione dell’autorità preposta alla sorveglianza.

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Cass. pen. n. 8145/1992

Il reato di allontanamento dagli arresti domiciliari, previsto dall’art. 385, terzo comma, c.p., non richiede, per la sua integrazione, un allontanamento definitivo o la mancanza dell’animus revertendi.

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Cass. pen. n. 1837/1992

La condotta di chi, essendo agli arresti domiciliari, si allontani dal domicilio assegnatogli, è equiparabile all’evasione solo quoad poenam, cosicché non è applicabile l’attenuante di cui al quarto comma dell’art. 385. Il terzo comma di questo articolo, infatti, richiama soltanto i due precedenti commi e non anche il quarto, che prevede la diminuente della costituzione in carcere prima della condanna.

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Cass. pen. n. 7470/1992

In tema di evasione, il presupposto dell’attenuante, di cui agli artt. 385, quarto comma, c.p. e 47 ter, ottavo comma, u.p. L. 26 luglio 1975, n. 354, è esclusivamente la costituzione in carcere, che non può, in alcun modo, realizzarsi nello stato di arresto presso il proprio domicilio. (Nella specie, relativa a ritenuta non ipotizzabilità dell’attenuante, il ricorrente ne aveva chiesto la concessione, avendo egli fatto ritorno spontaneamente al luogo di restrizione).

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Cass. pen. n. 13113/1990

L’art. 385 terzo comma c.p. nel punire l’allontanamento dell’imputato, sottoposto agli arresti domiciliari, dalla propria abitazione configura un’autonoma fattispecie delittuosa equiparata al delitto di evasione di cui ai precedenti commi soltanto quoad poenam.
L’incriminazione della condotta dell’imputato allontanatosi dalla propria abitazione, ove sia astretto per gli arresti domiciliari, trova la sua ratio nell’esigenza di garantire il rispetto dei provvedimenti adottati dall’autorità giudiziaria in tema di libertà personale. L’autorizzazione di allontanarsi dal domicilio per recarsi al lavoro fissa il limite invalicabile entro il quale la condotta stessa non è punibile. Ne consegue che l’imputato, nell’ipotesi in cui violi l’autorizzazione stessa e si rechi in località diversa dal luogo di lavoro indicato, pone in essere un comportamento che, eccedendo dal permesso accordatogli, rientra nella previsione dell’art. 385 c.p.

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Cass. pen. n. 2160/1990

Il termine «allontanarsi», impiegato dall’art. 385 c.p. per chi è agli arresti domiciliari, va letto con riferimento a quest’ultima espressione e nel più ampio contesto dell’economia cui la norma corrisponde, nel senso cioè che l’interessato resti nel luogo, indicato appunto ai fini degli arresti domiciliari come idoneo ad impedire che fuori di esso esprima la propria pericolosità, consentendo in pari tempo un agevole controllo all’autorità di polizia. Il legislatore invece ha riservato il termine «evadere» a quanti escano dal luogo istituzionalmente destinato alla custodia delle persone e in cui invece avrebbero dovuto rimanere per tale esigenza. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso avverso sentenza di condanna di imputato sorpreso dagli agenti della polizia a 50 metri dall’abitazione in cui si trovava agli arresti domiciliari, si era sostenuto che se il legislatore avesse voluto sanzionare anche il comportamento di chi avesse varcato unicamente la soglia di casa, senza andare lontano, non avrebbe impiegato, in luogo dell’espressione «evadere», il termine «allontanarsi», che sta a significare andare lontano, cioè il contrario di quanto era avvenuto nel caso dell’imputato che fu fermato vicino all’abitazione).

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Cass. pen. n. 609/1990

Il fermo in flagranza del reato di evasione esclude di per sé la ricorrenza dell’ipotesi dell’ultimo comma dell’art. 385 c.p., che prevede la costituzione spontanea dell’evaso in carcere prima della condanna e, quindi, l’applicabilità della diminuente. (Nella specie l’imputato era stato fermato dagli agenti mentre faceva ritorno da Caorle nella propria abitazione di Eraclea, ove si trovava agli arresti domiciliari).

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Cass. pen. n. 13678/1989

Non integra gli estremi del delitto di evasione la condotta dell’imputato che, trovandosi agli arresti domiciliari con autorizzazione ad uscire dalla propria abitazione per recarsi al lavoro, arbitrariamente si allontani, per qualche istante, dal luogo di lavoro. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che tale comportamento dell’imputato integra un’ipotesi di inosservanza delle prescrizioni imposte con l’ordine di concessione degli arresti domiciliari e ne legittima, pertanto, la revoca).

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Cass. pen. n. 12763/1988

Al fine della sussistenza del dolo nel delitto di evasione commesso dal detenuto inottemperante all’obbligo di rientro dal permesso concessogli ai sensi dell’art. 30, L. 26 luglio 1975, n. 354 (cosiddetto ordinamento penitenziario), è sufficiente la consapevole omissione del rientro nei termini prefissati.

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Cass. pen. n. 10313/1988

Ai fini della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 6, c.p., non si giustifica la contrapposizione fra la posizione dell’evaso e quella del latitante, e pertanto, essa è applicabile anche al primo giacché non è dubbio che anche chi è arrestato e poi evade, dandosi alla latitanza, si sottrae alla esecuzione dell’originario titolo detentivo, posto che questo può cessare soltanto per quelle stesse cause per le quali diventa irrilevante la latitanza ai sensi dell’art. 268 terzo comma c.p.p. e non per il fatto che l’esecuzione iniziata venga interrotta dalla evasione.

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Cass. pen. n. 7597/1988

Il concetto di evasione non postula necessariamente la fuga o l’allontanamento definitivo, essendo sufficiente ad integrarlo anche la sottrazione temporanea del detenuto allo stato di costrizione personale cui è sottoposto. (Nella specie l’imputato in quanto era comandante degli agenti di custodia, aveva fatto uscire più volte dalla prigione un detenuto accompagnandolo con la sua auto, per questo era stato condannato tra l’altro, in concorso, del reato di procurata evasione).

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Cass. pen. n. 4982/1987

Sussiste l’estremo oggettivo del delitto di evasione nel comportamento di chi, dopo che gli è stato notificato, in un ambiente vigilato dalla forza pubblica, un provvedimento restrittivo della libertà personale, fugga, eludendo il controllo degli agenti, posto che dal momento della predetta legale comunicazione egli non poteva più allontanarsi liberamente e senza essere ostacolato.

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Cass. pen. n. 657/1987

Commette furto, e non appropriazione indebita, il detenuto che evade indossando indumenti dell’amministrazione penitenziaria, poiché egli ha la mera detenzione, e non il possesso, degli indumenti che indossa e di cui gli è consentito l’uso nell’ambito dell’istituto carcerario, o anche altrove in caso di ammissione al regime di semilibertà, sotto il controllo degli organi preposti alla sua vigilanza.
Nell’ipotesi del detenuto che evada indossando indumenti dell’amministrazione penitenziaria non può ravvisarsi, tra le disposizioni di cui agli artt. 385 e 624 del codice penale, un concorso apparente di norme, con conseguente assorbimento del furto nel reato di evasione, ostandovi sia la differente materialità dei diversi episodi delittuosi, sia la diversa obiettività giuridica dei due reati, consistente per il furto nell’inviolabilità del patrimonio e per l’evasione nell’autorità delle decisioni giudiziarie.

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Cass. pen. n. 716/1986

Si configura il tentativo di evasione nella condotta di colui che, detenuto, agisca per svincolarsi dai militari di scorta e per allontanarsi, correndo — anche se riesce a percorrere solo pochi metri, prima di essere ripreso — non riuscendo a sottrarsi completamente alla sfera di vigilanza degli agenti.

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Cass. pen. n. 5498/1985

Il reato previsto dall’art. 51, L. 26 luglio 1975, n. 354 sull’ordinamento penitenziario, deve essere considerato assimilabile a quelli di carattere permanente non solo per il rinvio quoad poenam al delitto di evasione di cui all’art. 385 c.p., ma anche e soprattutto perché il condannato ammesso al regime di semilibertà è in condizioni di ridurre o aumentare volontariamente la durata dell’assenza entro oppure oltre le 12 ore.

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Cass. pen. n. 2369/1985

In ipotesi di concorso del reato di evasione, circostanziato ai sensi del primo capoverso dell’art. 385 c.p., con il reato di resistenza e con quello di violenza a pubblico ufficiale, la violenza e la minaccia considerate nella norma citata rispondono alle previsioni generiche di cui agli artt. 581 e 612 c.p. e non anche alle previsioni specifiche contenute in altre disposizioni di legge o perché il grado della violenza o della minaccia è più elevato — come, tra gli altri casi, nelle lesioni personali — oppure perché la condotta violenta e intimidatrice producono l’aggressione di altro bene giuridico tutelato.
Quando la violenza venga adoperata sia per conseguire il possesso della cosa sia come mezzo per evadere, sussiste il concorso formale tra il reato di rapina e quello di evasione aggravato dall’uso della violenza, a nulla rilevando l’unicità del motivo a delinquere, che induce l’agente a fare ricorso alla violenza per conseguire entrambi i risultati.

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Cass. pen. n. 755/1984

Nell’ipotesi di evasione con uso di violenza o minaccia alle persone, l’eventuale delitto di sequestro di persona concorre e non è assorbito nel reato predetto, poiché la violenza e la minaccia medesime rispondono solo alle previsioni dei reati di percosse e di minaccia e non anche a quelle contemplate da altre figure criminose.

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Cass. pen. n. 9832/1983

Il reato di tentata evasione aggravata e quello di resistenza a pubblico ufficiale ben possono concorrere tra loro, attesa la diversità di beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici. Ne consegue che il delitto di resistenza non può ritenersi assorbito da quello di tentata evasione aggravata. La minaccia con arma, dispiegata nei confronti di carabinieri, configura di per sé il reato di resistenza. Ne consegue che qualora si contesti all’agente anche il delitto di evasione tentata aggravata dall’arma non è la circostanza dell’arma ad operare l’assorbimento del reato di resistenza, ma è questo ultimo delitto ad assorbire la circostanza caratterizzante il tentativo di evasione.

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Cass. pen. n. 9560/1983

Il reato di evasione non è configurabile nell’ipotesi di un internato per esecuzione di una misura di sicurezza e ammesso al regime di semilibertà, il quale non rispetti l’orario di rientro nella casa circondariale. La figura dell’internato infatti, non è assimilabile a quella del condannato.

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Cass. pen. n. 3052/1983

Il reato di evasione, anche nell’ipotesi del tentativo, non può assorbire come aggravante quello di resistenza a pubblico ufficiale, che tutela un differente bene giuridico.

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Cass. pen. n. 11041/1982

Risponde di evasione semplice e non aggravata il detenuto il quale evada profittando dell’apertura dei cancelli o della rottura delle sbarre dei locali di detenzione ad opera di altri detenuti.

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Cass. pen. n. 10255/1982

Il delitto di evasione è regolato nel capo dei delitti contro l’amministrazione della giustizia, perché mira a ripristinare l’ordine stabilito, con la pronuncia giudiziaria. Benché l’aggravante specifica, di cui al capoverso dell’art. 385 c.p., preveda accanto alla ipotesi di violenza alle persone anche quella di effrazione di cose, il delitto di evasione non cessa di essere un delitto contro l’amministrazione della giustizia per divenire un reato contro il patrimonio. Di conseguenza, nel caso di evasione aggravata dalla effrazione di cose con danno modesto non può essere invocata la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p.

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Cass. pen. n. 5986/1982

Non è configurabile il delitto di evasione quando l’internando per misura di sicurezza detentiva, consegnato all’autorità e non ancora introdotto nello stabilimento di destinazione, si dia alla fuga.

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Cass. pen. n. 5823/1982

Il reato di evasione, anche quando consiste nel mancato rientro alla scadenza di un permesso, non costituisce reato permanente, bensì istantaneo con effetti permanenti, che si consuma nel momento e nel luogo del mancato rientro.

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Cass. pen. n. 3378/1982

Per realizzarsi l’ipotesi di effrazione nel delitto di evasione, non è necessaria la trasformazione o il mutamento di destinazione della cosa, ma è sufficiente un’alterazione violenta su qualsiasi cosa che serva alla ritenzione e custodia del detenuto.

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Cass. pen. n. 3232/1982

La violenza o la minaccia, prevedute come circostanze aggravanti del reato di evasione, hanno il loro ambito nelle generiche previsioni di cui agli artt. 581 e 612 c.p. Solo nel caso in cui le concrete modalità dell’azione del reato di evasione rimangono in tale ambito, la violenza e la minaccia anziché configurare, di per sé, reati autonomi devono essere considerati aggravanti dell’unica figura criminosa di evasione aggravata. Se la violenza o la minaccia eccedano le previsioni indicate, il delitto di evasione aggravata concorre con le altre eventuali figure criminose concretatesi. (Nella specie è stato ritenuto il concorso del delitto di evasione e di quello di sequestro di persona, poiché l’imputato al fine di evadere aveva rinchiuso alcuni agenti di custodia in una cella per un tempo apprezzabile, privandoli della loro libertà personale).

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Cass. pen. n. 10605/1981

Il reato di evasione è delitto di danno, a carattere commissivo e permanente e, mentre il suo momento consumativo coincide con l’illegittima conquista della libertà da parte di chi se ne trovi legalmente privato, lo stato di consumazione perdura fino a quando non viene meno la condizione di evaso.

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Cass. pen. n. 3504/1981

Il reato di evasione si consuma con la completa sottrazione alla vigilanza degli agenti, senza che sia necessaria la fuoriuscita del detenuto dal recinto dello stabilimento penitenziario.

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Cass. pen. n. 841/1981

La violenza e la minaccia considerata nel primo cpv. dell’art. 385 c.p. sono quelle di cui alle previsioni generiche degli artt. 581 e 612 c.p. e, pertanto, non giungono ad integrare una condotta specifica, diversa e più grave, come quella estrinsecantesi nella privazione dell’altrui libertà personale. È quindi da escludere che il reato di sequestro di persona possa ritenersi assorbito, in funzione di aggravante, nella complessa figura del rito circostanziato previsto nel comma secondo dell’art. 385 c.p.

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Cass. pen. n. 1008/1980

Attesa la diversità degli interessi tutelati con le disposizioni degli artt. 336 e 385 c.p., il reato di violenza o minaccia al pubblico ufficiale concorre con quello d’evasione e non viene assorbito, in funzione di aggravante, nella complessa figura del reato circostanziato di cui all’art. 385 comma secondo c.p. (Nella specie gli imputati avevano aggredito una guardia carceraria per farsi consegnare le chiavi del cancello del carcere dal quale riuscivano ad evadere).

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