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Art. 180 — Amministrazione dei beni della comunione

Art. 180 — Amministrazione dei beni della comunione

L’amministrazione dei beni della comunione [ 177, 1105 ] e la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi.

Il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, nonché la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi [ 182; 102 c.p.c. ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 18123/2013

La rappresentanza in giudizio per gli atti relativi all’amministrazione dei beni facenti parte della comunione legale spetta, a norma dell’art. 180 c.c., ad entrambi i coniugi e, quindi, ciascuno di essi è legittimato ad esperire qualsiasi azione, non solo le azioni di carattere reale o con effetti reali, dirette alla tutela della proprietà o del godimento della cosa comune, ma anche, e a maggior ragione, le azioni relative ai diritti di obbligazione, senza che sia necessaria la partecipazione al giudizio dell’altro coniuge.

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Cass. civ. n. 7271/2008

Nell’ipotesi di comunione legale dei coniugi ex art. 177 c.c. non può ravvisarsi alcun potere di rappresentanza reciproca in capo ai coniugi stessi, non prevedendo nessuna norma tale potere ed anzi, mentre, ai sensi dell’art. 177, primo comma lett. a), c.c., gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio costituiscono ipso iure oggetto della comunione, l’art. 180, secondo comma, c.c. stabilisce che il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione nonché la stipula dei contratti con cui si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni spettano congiuntamente ai coniugi. Ne consegue che la tempestività della domanda di riscatto proposta ai sensi dell’art. 39 della legge n. 392 del 1978 va verificata anche nei confronti del coniuge dell’acquirente in comunione legale che non ha partecipato all’atto di trasferimento.

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Cass. civ. n. 22891/2007

La rappresentanza in giudizio per atti relativi alla amministrazione dei beni facenti parte della comunione legale dei coniugi spetta, a norma dell’articolo 180 c.c., ad entrambi i coniugi, e quindi ciascuno di essi è legittimato ad esperire qualsiasi azione, non solo quelle di carattere reale o con effetti reali, diretta alla tutela della proprietà e del godimento della cosa comune, ma anche, e a maggior ragione, quelle relative ai diritti di obbligazione — come nella specie, discutendosi dell’inadempimento dell’impresa commissionata alla realizzazione dell’impianto di riscaldamento e rifiniture nell’appartamento di proprietà coniugale —, senza che sia necessaria la partecipazione al giudizio dell’altro coniuge.

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Cass. civ. n. 19167/2005

Nella comunione legale tra coniugi, l’agire disgiunto dei medesimi per gli atti che non eccedono l’ordinaria amministrazione è comprensivo della facoltà di agire in giudizio a tutela del bene comune (nella specie, proponendo azione giudiziale a tutela del diritto comune al risarcimento del danno).

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Cass. civ. n. 5526/2005

Nell’ambito dell’ordinaria amministrazione dei beni della comunione tra i coniugi, in relazione alla quale può agire in giudizio anche uno solo dei coniugi comproprietari del bene medesimo, è compreso il corrispettivo per il godimento del bene, cui può essere equiparata, a tale limitato profilo, l’indennità per la requisizione, comprensiva delle voci di cui essa sì compone in base al criterio di determinazione in concreto adottato dal giudice.

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Cass. civ. n. 17216/2003

In tema di regime patrimoniale della famiglia, la disciplina dell’amministrazione dei beni oggetto della comunione legale, di cui agli artt. 180 e ss. c.c., presuppone, per la sua operatività, che il bene sia già oggetto della comunione, e pertanto non è applicabile alla fase dinamica pregressa dell’acquisto del bene alla comunione legale; ne consegue che la regola dell’operatore congiunto dei coniugi, la cui osservanza è necessaria ai fini della validità degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione (artt. 180, secondo comma, e 184 c.c.), non vale per la stipulazione di un contratto preliminare di acquisto di un bene immobile (ancorché questo sia poi destinato a cadere in comunione, una volta completatosi l’effetto reale con la conclusione del definitivo o con la sentenza ex art. 2932 c.c.), stipulazione alla quale può bene quindi partecipare, in veste di promissario acquirente, un solo coniuge, senza il (ed a prescindere dal) consenso dell’altro coniuge. Tale disciplina manifestamente non si pone in contrasto con gli artt. 3 e 29 Cost., in relazione all’espressa inclusione (art. 180, secondo comma, c.c.), nell’ambito di operatività dell’amministrazione dei beni della comunione legale, degli atti di acquisto di diritti personali di godimento, e ciò attesa, per un verso, la natura eccezionale della norma, assunta a tertium comparationsis, di equiparazione degli atti di acquisto di diritti personali di godimento agli atti di straordinaria amministrazione di beni della comunione, e considerato, per l’altro verso, che la tutela della famiglia non viene meno per effetto della acquisizione ope legis alla comunione del bene acquistato da uno soltanto dei coniugi.

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Cass. civ. n. 16177/2001

In regime di comunione legale tra i coniugi, il contratto prelimiare di vendita di bene immobile (che, ai sensi dell’art. 180, secondo comma, c.c., è atto di una sequenza obbligatoria e successiva il cui esito necessitato è il trasferimento della proprietà del bene) stipulato da un coniuge senza la partecipazione o il consenso dell’altro, è soggetto alla disciplina dell’art. 184, primo comma, c.c. (la cui applicazione non va restrittivamente intesa come limitata agli atti dispositivi con effetto reale e non anche quelli con effetto meramente obbligatorio, non trovando tale interpretazione fondamento alla stregua né della lettera né dell’interpretazione sistematica della norma) e non è pertanto inefficace nei confronti della comunione, ma solamente esposto all’azione di annullamento da parte del coniuge non consenziente, nel breve termine prescrizionale entro cui è ristretto l’esercizio di tale azione, decorrente dalla conoscenza effettiva dell’atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scoglimento della comunione; ne consegue che, finché l’azione di annullamento non venga proposta, l’atto è produttivo di effetti nei confronti dei terzi.

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Cass. civ. n. 15177/2000

Nella comunione legale dei beni, ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni stessi, ed il consenso dell’altro (richiesto dal modulo dell’amministrazione congiuntiva adottato dall’art. 180, comma secondo, c.c. per gli atti di straordinaria amministrazione) non è un negozio (unilaterale) autorizzativo, nel senso di atto attributivo di un potere, ma è piuttosto un atto che rimuove un limite all’esercizio di un potere; sicché, esso è un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto dispositivo, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio (cfr. Corte cost. 10 marzo 1988, n. 311). Da tale premessa consegue che l’atto di disposizione del bene in comunione, posto in essere da uno solo dei coniugi, esplica i suoi effetti anche in relazione alla «quota» di comunione spettante al coniuge che sia eventualmente fallito, successivamente al compimento del menzionato atto, senza avere proposto l’azione d’annullamento prevista dal comma secondo dell’art. 184 c.c.; con l’ulteriore conseguenza che è ammissibile l’azione revocatoria fallimentare, quale unico rimedio esperibile dalla curatela per ottenere la declaratoria d’inefficacia dell’atto in relazione alla quota di bene spettante al fallito. All’ammissibilità di tale azione non osta, infatti, la circostanza che il coniuge fallito non abbia partecipato all’atto, in quanto egli, non avendo proposto la menzionata azione d’annullamento, ha assunto, attraverso l’implicita convalida, la posizione di contraente occulto in relazione alla propria quota.

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Cass. civ. n. 648/2000

La divisione di un bene comune va annoverata tra gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. Pertanto, ai sensi dell’art. 180, secondo comma, c.c., come sostituito dalla legge n. 151 del 1975 sulla riforma del diritto di famiglia, qualora del bene da dividere siano comproprietari, assieme ad altri, due coniugi in regime di comunione legale, la rappresentanza spetta congiuntamente ad entrambi, con la conseguenza che entrambi sono litisconsorti necessari, ex art. 784 c.p.c., nel giudizio divisionale da chiunque promosso.

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Cass. civ. n. 11278/1997

Anche in materia di accertamento di maggior valore ai fini Invim e di imposta di registro, in relazione ad un atto di compravendita posto in essere, da coniugi, in relazione a beni facenti parte della comunione legale, trova applicazione la disciplina di cui al secondo comma dell’art. 180 c.c., che prevede una legittimazione congiunta di entrambi i coniugi, sia per gli atti di straordinaria amministrazione che per le relative azioni. Ne consegue che anche l’eventuale proposizione della contestazione nei confronti dell’applicazione dell’imposta debba avvenire congiuntamente, con la necessità, in caso contrario, di integrazione dei contraddittorio, e con l’ulteriore conseguenza per cui, in difetto, l’eventuale acquiescenza di uno dei coniugi alla decisione intervenuta non sia idonea a formare, nei suoi confronti, il giudicato.

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Cass. civ. n. 1321/1995

Nel regime patrimoniale fondamentale disciplinato dall’art. 143 c.c. per i coniugi, a questi non è precluso – come è dato desumere dai limiti di cui all’art. 177, lett. b e c, c.c. con riguardo all’oggetto della comunione legale – di disporre liberamente dei propri redditi e delle proprie sostanze una volta soddisfatte adeguatamente le esigenze familiari, con la conseguenza che la titolarità sostanziale dei rapporti nascenti da tali atti di disposizione appartiene al solo coniuge che, anche avvalendosi dell’attività dell’altro coniuge, li ha posti in essere. Pertanto qualora uno dei coniugi agisca in giudizio per la restituzione di un mutuo ed il convenuto deduca che la somma richiesta in restituzione gli è stata versata dall’attore per conto dell’altro coniuge, incorre in difetto di motivazione la sentenza che, in considerazione della rappresentanza processuale attribuita disgiutamente ad entrambi i coniugi dall’art. 180 c.c., neghi ingresso alla prova del fatto dedotto dal convenuto, che in quanto modificativo della pretesa azionata, ha natura di fatto decisivo della controversia.

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Cass. civ. n. 1038/1995

L’art. 186, lettera b) c.c., nel testo introdotto dalla L. 19 maggio 1975, n. 151, prevedendo una responsabilità patrimoniale dei beni della comunione per i carichi dell’amministrazione e, cioè, peri debiti di qualsiasi natura contratti per la manutenzione ordinaria dei singoli beni (come le spese necessarie per la conservazione ed il godimento della cosa comune, i contributi condominiali, le spese per le innovazioni e per i miglioramenti purché non eccessivamente gravose per il bilancio familiare) non ha escluso che di esse ciascun coniuge debba rispondere per l’intero, spettando l’amministrazione dei beni della comunione e lo stesso potere di rappresentanza in giudizio, a norma dell’art. 180 c.c., disgiuntamente ad entrambi. Ne consegue che il pagamento dei contributi condominiali relativi alla cosa comune ben può essere chiesto ad uno solo dei contitolari del bene.

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Cass. civ. n. 8469/1994

L’art. 180, comma 2, c.c. attribuisce ad entrambi i coniugi esclusivamente il diritto a stipulare i contratti di locazione e, al pretermesso, le azioni di cui al successivo art. 184. Ne consegue che legittimato passivo nella controversia diretta ad ottenere la cessazione della proroga legale del contratto di locazione e, comunque, il rilascio dell’immobile condotto in locazione è unicamente il coniuge che ha stipulato il contratto, sia anteriormente che posteriormente all’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia (L. n. 151 del 1975). Infatti, nella prima di queste ultime ipotesi, il rapporto contrattuale, validamente stipulato secondo la legge del tempo, verrebbe alterato con l’aggiunta di un nuovo soggetto giuridico ad esso estraneo — in contrasto con il principio dell’irretroattività della legge — mentre, nella seconda ipotesi, l’art. 184 c.c. (nella nuova formulazione) prevede solo l’annullabilità per mancanza del consenso o della convalida del coniuge, nel termine di un anno, di cui al comma 2 della suddetta norma.

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Cass. civ. n. 8379/1990

Nel caso di comunione legale del bene locato il recesso dal relativo contratto di locazione è atto di ordinaria amministrazione che può essere esercitato anche da uno solo dei coniugi comproprietari dell’immobile locato; l’altro coniuge, tuttavia, riveste la qualità di litisconsorte necessario nel giudizio di rilascio ed è l’unico legittimato a far valere l’eventuale difetto di integrità del contraddittorio con intervento in causa o proponendo opposizione di terzo.

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