Art. 479 – Codice civile – Trasmissione del diritto di accettazione
Se il chiamato all'eredità muore senza averla accettata, il diritto di accettarla si trasmette agli eredi [459 c.c.].
Se questi non sono d'accordo per accettare o rinunziare, colui che accetta l'eredità acquista tutti i diritti e soggiace a tutti i pesi ereditari, mentre vi rimane estraneo chi ha rinunziato.
La rinunzia all'eredità propria del trasmittente include rinunzia all'eredità che al medesimo è devoluta [468, 519 ss. c.c.].
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 14164/2025
La volontà della società di dare una determinata destinazione ad un credito litigioso ancora sub iudice si forma, prima dell'estinzione per cancellazione dal registro delle imprese, mediante una delibera assembleare adottata con il quorum ordinario e non richiede una manifestazione di volontà di tutti i soci che, a seguito dell'estinzione, diverranno successori del patrimonio residuo, del quale non fanno parte le aspettative validamente dismesse e trasferite.
Cass. civ. n. 14063/2025
In tema di imposta di successione, se la delazione avviene per testamento, la revoca di quest'ultimo determina la perdita retroattiva della qualità di chiamato all'eredità in capo al soggetto revocato e il venir meno della sua legittimazione passiva in ordine a detto tributo.
Cass. civ. n. 10889/2024
In tema di società di capitali, la delibera di quantificazione del compenso all'amministratore non è invalida per conflitto di interessi, ancorché adottata con il voto determinante dell'amministratore stesso, che abbia partecipato all'assemblea in veste di socio, poiché essa, pur consentendogli di conseguire un suo interesse personale, non comporta, di per sé, un pregiudizio all'interesse sociale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, nonostante il voto determinante del socio-amministratore, non aveva ravvisato alcuna incompatibilità tra l'interesse personale e quello della società, trattandosi di delibera che aveva ridotto il suo compenso a causa delle difficoltà economiche della società).
Cass. civ. n. 4034/2024
In materia societaria, sussiste abuso di maggioranza, con conseguente annullabilità della delibera assembleare che ne costituisca applicazione, qualora il voto espresso non trovi alcuna giustificazione nel perseguimento dell'interesse della società - in quanto volto a perseguire un interesse personale antitetico a quello sociale - oppure ove sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza, diretta a ledere i diritti partecipativi o gli altri diritti patrimoniali dei soci di minoranza, in violazione del canone della buona fede oggettiva nell'esecuzione del contratto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che non aveva valorizzato, quale forma di abuso della maggioranza assembleare, la circostanza che quest'ultima avesse disposto la soppressione della clausola statutaria contenente il diritto di prelazione interna, appena diciotto giorni prima della cessione di quote intercorsa fra altri due soci).
Cass. civ. n. 17461/2023
In tema di delibere assembleari societarie, l'interesse alla loro impugnazione sorge, in relazione a quanto previsto dall'art. 2479-ter, comma 2, c.c., per il mero fatto dell'adozione con la partecipazione determinante di un socio in conflitto di interessi e per la loro idoneità ad arrecare un danno alla società, dovendosi invece prescindere dalla possibilità o meno per l'assemblea di approvare una delibera di diverso contenuto, corrispondente alla volontà del socio impugnante, laddove per mancanza del "quorum" costitutivo il socio in conflitto si fosse astenuto.
Cass. civ. n. 14469/2023
In tema di società, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2479-ter, comma 4, e 2379-ter, comma 1, c.c., il termine per l'impugnativa dell'aumento di capitale sociale decorre, per le s.r.l., dall'iscrizione della relativa deliberazione nel registro delle imprese e non già dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci.
Cass. civ. n. 11928/2023
L'aggiudicatario di un bene oggetto di vendita fallimentare, che ne subisca l'evizione parziale, è legittimato a far valere nella medesima sede, mediante insinuazione al passivo, il credito risarcitorio correlato al pregiudizio subito; per converso il terzo che abbia acquistato dall'aggiudicatario il medesimo bene su cui ricade l'evizione in parola è tutelato attraverso l'istituto della ripetizione del prezzo previsto dall'art. 2921 c.c., applicato in via analogica.
Cass. civ. n. 9066/2023
OGGETTO - IN GENERE Collazione - Obbligo - In capo all’erede del soggetto tenuto a collazione - Sussistenza. L'obbligo di collazione sussiste anche a carico di colui che subentra come erede all'originario coerede tenuto a collazione, anche in assenza dei presupposti della rappresentazione ovvero della "transmissio delationis".
Cass. civ. n. 787/2020
L'art. 1479, comma 1, c.c. non è applicabile al contratto preliminare di vendita perché, indipendentemente dalla conoscenza da parte del promissario compratore dell'altruità del bene, fino alla scadenza del termine per stipulare il contratto definitivo il promittente venditore può adempiere all'obbligo di procurargliene l'acquisto; seppure ignaro dell'altruità della cosa, il promissario acquirente, quindi, non può chiedere la risoluzione del contratto prima della scadenza del termine, ma, per converso, lo stesso non è inadempiente se, nonostante la maturazione del termine previsto per la stipula del contratto, il promittente venditore non sia ancora proprietario del bene. Ne discende che quest'ultimo non può in tale situazione avvalersi della clausola risolutiva espressa eventualmente pattuita per il caso di inutile decorso del termine, mancando l'essenziale condizione dell'inadempimento del promissario.
Cass. civ. n. 22175/2020
Ai fini dell'imposta di successione, il presupposto dell'imposizione tributaria è costituito dalla chiamata all'eredità, non già dall'accettazione, così che, allorché la successione riguardi anche l'eredità devoluta al dante causa e da costui non ancora accettata, l'erede è tenuto al pagamento dell'imposta anche relativamente alla successione apertasi in precedenza a favore del suo autore, la cui delazione sia stata a lui trasmessa ai sensi dell'art. 479 c.c.
Cass. civ. n. 22987/2019
In tema di società a responsabilità limitata, la deliberazione dell'assemblea assunta senza la convocazione di uno dei soci è da ritenersi nulla, poiché il disposto dell'art. 2479 ter, comma 3, c.c., nella parte in cui considera le decisioni prese "in assenza assoluta di informazioni" non si riferisce soltanto alla mancanza di informazioni sugli argomenti da trattare ma anche alla mancanza di informazioni sull'avvio del procedimento deliberativo.
Cass. civ. n. 19303/2017
In caso di trasmissione del diritto di accettare l'eredità, il trasmissario deve compiere due distinti atti di accettazione, essendo chiamato a succedere in due eredità, quella originaria e quella del trasmittente, sicché l'acquisto della qualità di erede del trasmittente non implica automaticamente anche l'acquisto dell'eredità alla quale quest'ultimo era chiamato.
Cass. civ. n. 603/2017
L’indicazione nominativa dei partecipanti e dei votanti ad un’assemblea di società per azioni consente di verificare se i voti siano stati validamente espressi dai soggetti a ciò legittimati ed è, quindi, necessaria per ricostruire la genesi del processo deliberativo ed accertare la validità delle determinazioni assunte. Ne consegue che, ove manchi la relativa documentazione (anche in foglio separato, purché “allegato” al verbale, in modo da farne parte integrante, e cioè richiamato ovvero allo stesso materialmente unito), la delibera è annullabile.
Cass. civ. n. 10821/2016
In tema di società a responsabilità limitata, il potere di convocare l'assemblea (nella specie, per decidere sulla revoca dell'amministratore), in caso di inerzia dell'organo di gestione, deve riconoscersi, nel silenzio della legge e dell'atto costitutivo, ai soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale, stante, da un lato, il mancato richiamo, nella disciplina di tali società, dell'art. 2367 c.c., dettato per le società per azioni e non applicabile in via analogica, attesa la forte differenza tra i due tipi societari, e, dall'altro, l'inutilizzabilità dell'art. 2487 c.c., in quanto relativo alla nomina e revoca non degli amministratori ma dei liquidatori. (Principio di diritto pronunciato ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c.).
Cass. civ. n. 1095/2016
La partecipazione di una società a responsabilità limitata in una società di persone, anche di fatto, non esige il rispetto dell'art. 2361, comma 2, c.c., dettato per le società per azioni, e costituisce un atto gestorio proprio dell'organo amministrativo, il quale non richiede - almeno allorché l'assunzione della partecipazione non comporti un significativo mutamento dell'oggetto sociale (fattispecie estranea al caso di specie) - la previa decisione autorizzativa dei soci, ai sensi dell'art. 2479, comma 2, n. 5, c.c.. Pertanto, accertata l'esistenza di una società di fatto insolvente della quale uno o più soci illimitatamente responsabili siano costituiti da società a responsabilità limitata, il fallimento in estensione di queste ultime costituisce una conseguenza "ex lege" prevista dall'art. 147, comma 1, l. fall., senza necessità dell'accertamento della loro specifica insolvenza.
Cass. civ. n. 4164/2015
In tema di contratto preliminare di vendita, il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell'altra parte, può adempiere la propria obbligazione procurando l'acquisto del promissario direttamente dall'effettivo proprietario. Pertanto, il promissario acquirente, il quale ignori che il bene, all'atto della stipula del preliminare, appartenga in tutto od in parte ad altri, non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, può adempiere all'obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest'ultimo a trasferirgliela. (Cassa con rinvio, App. Brescia, 19/01/2009).
Cass. civ. n. 12370/2014
L'art. 2479 cod. civ., nel testo anteriore al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, non prevede un diritto di prelazione ma consente il relativo patto, così esprimendo il principio di libera trasferibilità delle quote sociali, per cui l'eventuale previsione di una prelazione ha fonte non legale, ma negoziale e solo in tale ambito trova la sua disciplina. Ne deriva che la violazione della clausola statutaria contenente un patto di prelazione comporta l'inopponibilità, nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione, della cessione della partecipazione sociale, nonché l'obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto, alla stregua delle norme generali sull'inadempimento delle obbligazioni, e non anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell'acquirente, che non integra un rimedio generale in caso di violazioni di obbligazioni contrattuali, ma solo una forma di tutela specificamente apprestata dalla legge e conformativa dei diritti di prelazione, previsti per legge, spettante ai relativi titolari.
Cass. civ. n. 23218/2013
Salvo che l'atto costitutivo della società a responsabilità limitata non contenga una disciplina diversa, deve presumersi che l'assemblea dei soci sia validamente costituita ogni qual volta i relativi avvisi di convocazione siano stati spediti agli aventi diritto almeno otto giorni prima dell'adunanza (o nel diverso termine eventualmente in proposito indicato dall'atto costitutivo), ma tale presunzione può essere vinta nel caso in cui il destinatario dimostri che, per causa a lui non imputabile, egli non abbia affatto ricevuto l'avviso di convocazione o lo abbia ricevuto così tardi da non consentirgli di prendere parte all'adunanza, in base a circostanze di fatto il cui accertamento e la cui valutazione in concreto sono riservati alla cognizione del giudice di merito.
Cass. civ. n. 16265/2013
Attengono a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri ex art. 806 c.p.c., soltanto le controversie relative all'impugnazione di deliberazioni assembleari di società aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabile anche di ufficio dal giudice, cui sono equiparate, ai sensi dell'art. 2479 ter c.c., quelle prese in assoluta mancanza di informazione, sicché la controversia che abbia ad oggetto l'interpretazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea di una società a responsabilità limitata, in cui si discuta esclusivamente se concerna le dimissioni del ricorrente dalla carica di amministratore delegato o anche da quella di componente del consiglio di amministrazione, in quanto suscettibile di transazione, può essere deferita ad arbitri.
Cass. civ. n. 20265/2013
Qualora la determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell'art. 2389, primo comma cod. civ., (nel testo, applicabile "ratione temporis", anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 6 del 2003), non sia stabilita nell'atto costitutivo, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, atteso: la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall'essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea (art. 2630, secondo comma cod. civ., abrogato dall'art. 1 del d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61); la distinta previsione della delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 n. 1 e 3 cod. civ); la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 cod. civ.); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, secondo comma, cod. civ.). Conseguentemente, l'approvazione in sé del bilancio, pur se contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori, non è idonea ai predetti fini, salvo che un'assemblea convocata solo per l'approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Torino, 09/02/2006).
Cass. civ. n. 21933/2008
Con riferimento alla determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell'art. 2389, primo comma c.c., (nel testo vigente prima delle modifiche, non decisive sul punto, di cui al D.L.vo n. 6 del 2003), qualora non sia stabilita nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa: la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall'essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea (art. 2630, secondo comma c.c., abrogato dall'art. 1 del D.L.vo n. 61 del 2002); la distinta previsione delle delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 n. 1 e 3 c.c.); la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 c.c.); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, secondo comma, c.c.). Conseguentemente, l'approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall'art. 2389 cit., salvo che un'assemblea convocata solo per l'approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.
Cass. civ. n. 19161/2007
In tema di riconoscimento del diritto di voto nelle assemblee delle società a responsabilità limitata, la legittimazione al relativo esercizio si connette, ai sensi dell'art. 2479 c.c. nel testo previgente al D.L.vo n. 6 del 2003, al fatto in sé dell'iscrizione dell'avente diritto al libro soci, mentre già il trasferimento di quota è valido ed efficace inter partes indipendentemente dalla predetta formalità, necessaria unicamente ai fini dell'efficacia verso la società ed i terzi. (Nella fattispecie la S.C., confermando la sentenza del giudice d'appello, ha negato che la società potesse distinguere la legittimazione, quale discendente dall'iscrizione nel libro soci, dalla reale titolarità della partecipazione, non potendosi in materia fare applicazione, al fine di disconoscere i diritti sociali, della disciplina del pagamento al creditore apparente (art. 1189 c.c.) o al possessore di un titolo di credito legittimato nei modi previsti in base al regime di circolazione del titolo (art. 1992 c.c.), poiché essendo la partecipazione nella predetta società diversa dall'azione non ricorre la regola sull'adempimento della prestazione nei confronti del possessore di un titolo di credito, così che la società non può rifiutare al socio iscritto il diritto di intervento e di voto in assemblea).
Cass. civ. n. 14751/2006
Nel caso di vendita di cosa altrui, l'obbligo posto a carico del venditore di procurare al compratore l'acquisto della proprietà della cosa può essere adempiuto sia mediante l'acquisto della proprietà della cosa da parte sua, con l'automatico trapasso al compratore, sia mediante vendita diretta della cosa stessa dal terzo al compratore, purché tale trasferimento abbia luogo in conseguenza di una attività svolta dallo stesso venditore nell'ambito dei suoi rapporti con il proprietario e che quest'ultimo manifesti, in modo chiaro e inequivoco, la volontà di vendere il bene al compratore; e l'eventuale diritto alla risoluzione del contratto e all'eventuale risarcimento del danno spetta sia al compratore che ignori l'altruità della cosa secondo la previsione dell'art. 1479 c.c., sia al compratore che ne sia consapevole (art. 1478 c.c.). Peraltro, mentre in quest'ultima ipotesi il compratore deve attendere la scadenza del termine convenzionalmente stabilito o fissato dal giudice per l'adempimento del venditore, nell'ipotesi considerata dall'art. 1479 c.c. l'acquirente può agire illico et immediate per la risoluzione, salvo che, prima della domanda di risoluzione, la situazione sia stata sanata con l'acquisto del diritto da parte del venditore o con la vendita direttamente effettuata dal terzo a favore del compratore. (Nella specie, la sentenza impugnata, nel pronunciare la risoluzione della vendita di cosa di cui l'acquirente ignorava l'altruità, aveva ritenuto l'impossibilità dell'esecuzione del contratto, a nessuno dei contraenti essendo imputabile l'inadempimento; la S.C., nel cassare la decisione, ha statuito che il giudizio sull'inadempimento era stato formulato con riferimento esclusivamente al momento della conclusione del negozio mentre sarebbe stato necessario prendere in esame la successiva condotta tenuta dal venditore che, prima della domanda di risoluzione, aveva invitato il compratore alla stipula del rogito di acquisto con il terzo proprietario senza peraltro ottenerne la partecipazione all'atto che avrebbe perfezionato la vendita in questione).
Cass. civ. n. 11624/2006
In tema di contratto preliminare di vendita, il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell'altra parte, può adempiere la propria obbligazione procurando l'acquisto del promissario direttamente dall'effettivo proprietario. Pertanto, il promissario acquirente, il quale ignori che il bene, all'atto della stipula del preliminare, appartenga in tutto od in parte ad altri, non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, può adempiere all'obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest'ultimo a trasferirgliela.
Cass. civ. n. 925/1997
L'art. 1479 primo comma c.c. non è applicabile al contratto preliminare di vendita perché, indipendentemente dalla conoscenza del promissario compratore dell'altruità del bene, fino alla scadenza del termine per stipulare il contratto definitivo, il promittente venditore può adempiere all'obbligo di procurargliene l'acquisto; invece, nel contratto di vendita, se il compratore ignora l'altruità del bene, già al momento della stipula di detto contratto il venditore è inadempiente all'obbligo di trasferirgli la proprietà del bene.
Cass. civ. n. 7614/1996
Il diritto di voto nell'assemblea della società a responsabilità limitata, per le quote che siano state date in usufrutto, compete unicamente all'usufruttuario, il quale esercita al riguardo un diritto suo proprio e perciò non è obbligato ad attenersi alle eventuali istruzioni di voto che gli abbia impartito il nudo proprietario. Nell'esercitare tale diritto, però, l'usufruttuario deve astenersi da comportamenti che possano arrecare ingiusto danno al nudo proprietario ed in particolare da modi di esercizio del predetto diritto che possano compromettere la conservazione del valore economico della partecipazione in società; l'eventuale violazione di tale obbligo, tuttavia, espone il responsabile al rischio di estinzione dell'usufrutto, nonché all'azione risarcitoria del proprietario danneggiato, ma non può riflettersi sulla validità del voto espresso in assemblea, né, di conseguenza, sulla validità della deliberazione che l'assemblea abbia adottato, anche se quel voto sia risultato determinante.
Cass. civ. n. 8434/1995
In tema di contratto preliminare di vendita, il promissario acquirente, il quale ignorava che, al momento della stipula del contratto preliminare, la cosa promessa non apparteneva al promittente venditore, bensì ad un terzo, può sia proporre l'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c., sia chiedere, ai sensi dell'art. 1479 c.c., la risoluzione del contratto per inadempimento del promittente (nella specie, il giudice di merito aveva rigettato l'eccezione di inadempimento proposta dal promissario, sul presupposto che, potendo il preliminare di vendita aveva ad oggetto anche la cosa altrui, a nulla rilevava che egli fosse o meno a conoscenza dell'altruità della cosa al momento della stipula. La S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha cassato l'impugnata sentenza, affermando che il giudice avrebbe prima dovuto svolgere la rilevante e pregiudiziale indagine circa la buona o mala fede del promissario, e poi, all'esito, decidere sulla fondatezza dell'eccezione di inadempimento del medesimo proposta).
Cass. civ. n. 1600/1993
Il compratore che al momento della conclusione del contratto ignorava che la cosa compravenduta non era di proprietà del venditore può restringere la sua pretesa, ove il venditore non gli abbia fatto acquistare nel frattempo la proprietà. della cosa, al solo risarcimento dei danni, in tal senso dovendo essere intesa la salvezza del disposto dell'art. 1223 c.c. contenuta nel secondo comma dell'art. 1479 c.c.
Cass. civ. n. 9112/1987
L'art. 1479 c.c. — che prevede espressamente che l'azione di risoluzione e di risarcimento sia proposta dal compratore in buona fede, ossia che al momento della conclusione del contratto ignorasse l'appartenenza ad altri della cosa venduta — non comporta che al compratore in mala fede siano precluse le predette azioni, dovendosi ritenere soltanto che, in tale ipotesi, il compratore non possa chiedere subito la risoluzione del contratto e non possa sospendere il pagamento del prezzo, poiché occorre dar tempo e modo al venditore, salvo che sia stabilito un termine, di procurarsi la cosa venduta. Quando il contratto non sia stato stipulato a rischio e pericolo del compratore e non vi sia stata esplicita rinunzia convenzionale alla garanzia, l'azione ordinaria di responsabilità per l'inadempimento, da parte del venditore di cosa altrui, dell'obbligo di procurare la cosa stessa al compratore, può essere esperita dallo stesso promittente compratore (anche se consapevole dell'alienità della cosa).
Cass. civ. n. 2827/1987
Allorquando la vendita di cosa altrui non sia stata convenuta come tale, ignorando il compratore che la cosa non era di proprietà del venditore (art. 1479 c.c.), si realizza un'ipotesi di inadempimento di quest'ultimo all'obbligo di trasferire la proprietà, il cui rimedio per il compratore è quello della risoluzione del contratto, per evitare la quale il venditore ha l'onere di far acquistare all'altro contraente la proprietà della cosa, senza che il compratore abbia diritto ad ottenere, anche coercitivamente, questo risultato.
Cass. civ. n. 1676/1982
Nella vendita di cosa altrui, la quale non integra una promessa del fatto del terzo, in quanto con essa il venditore assume in proprio l'obbligazione del trasferimento del bene, il diritto alla risoluzione del contratto ed all'eventuale risarcimento del danno spetta non soltanto al compratore che ignori l'altruità del bene, secondo la previsione dell'art. 1479 cod. civ., ma anche al compratore che sia consapevole di tale altruità, in applicazione dei principi generali fissati dagli artt. 1218, 1223 e 1453 cod. civ., in relazione all'art. 1476 n. 2 cod. civ., qualora, scaduto il termine (fissato dal contratto o dal giudice) entro il quale il venditore deve procurarsi la titolarità del bene venduto, il venditore medesimo non superi la presunzione di colpa nell'inadempimento, fornendo la prova che lo stesso sia determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.