Art. 310 – Codice di procedura civile – Effetti dell’estinzione del processo
L'estinzione del processo non estingue l'azione [2945 c.c.].
L'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza.
Le prove raccolte sono valutate dal giudice a norma dell'articolo 116 secondo comma.
Le spese del processo estinto stanno a carico delle parti che le hanno anticipate.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 132/2025
Qualora, proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello che abbia riformato una pronuncia non definitiva, il procedimento di primo grado sia stato sospeso ex art. 129-bis disp. att. c.p.c., la mancata riassunzione di esso, nel prescritto termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza che accoglie il ricorso, non spiega effetti estintivi sul giudizio di rinvio, che sia stato tempestivamente instaurato a norma dell'art. 392 c.p.c..
Cass. civ. n. 22874/2024
In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, l'estinzione del giudizio di rinvio, conseguente alla cassazione della sentenza di accoglimento dell'opposizione, comporta, ai sensi dell'art. 393 c.p.c., l'estinzione dell'intero procedimento e l'inefficacia del decreto ingiuntivo opposto, anche ove esso sia stato erroneamente dichiarato esecutivo, trattandosi di un provvedimento meramente dichiarativo privo di carattere decisorio, che, seppur non impugnabile, neanche con il ricorso ex art. 111 Cost., non è sottratto al sindacato del giudice, che può verificarne la legittimità, sia in sede di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., ove l'esecutorietà sia dichiarata per mancata proposizione dell'opposizione o mancata costituzione dell'opponente, sia in sede di opposizione all'esecuzione, ove il decreto ingiuntivo costituisca il titolo dell'azione esecutiva, sia infine in altro giudizio, nel quale se ne faccia valere l'efficacia.
Cass. civ. n. 10337/2024
In caso di cassazione con rinvio, per erronea applicazione del criterio legale di determinazione del "quantum" del diritto accertato dalla sentenza impugnata, e di successiva estinzione del giudizio per mancata riassunzione, ai sensi dell'art. 310, comma 2, c.p.c. resta efficace il giudicato di merito formatosi non solo sull'"an" del diritto, ma anche sulla parte del "quantum" non travolta dall'annullamento della sentenza di merito. (Nella specie, in relazione ad una opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per la restituzione di somme corrisposte in esecuzione di una sentenza di condanna al risarcimento del danno per tardiva attuazione delle direttive comunitarie in tema di retribuzione dei medici specializzandi, pronunciata in un giudizio estintosi in ragione della mancata riassunzione a seguito della cassazione con rinvio di tale pronuncia, la S.C. ha riconosciuto il giudicato nell'accertamento della spettanza del diritto nei limiti quantitativi di cui all'art. 11 della l. n. 370 del 1999, residuati alla intervenuta cassazione della pronuncia d'appello).
Cass. civ. n. 34670/2023
Quando l'ordinanza dichiarativa dell'incompetenza non contenga, come sarebbe doveroso, la pronuncia sulle spese, l'estinzione del giudizio per mancata riassunzione della causa dinanzi al giudice dichiarato competente rende improcedibile l'appello autonomamente proposto ai soli fini della pronuncia sulle spese.
Cass. civ. n. 26970/2023
La mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell'art. 393 c.p.c., l'estinzione dell'intero processo, con conseguente caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle già passate in giudicato in quanto non impugnate, non essendo applicabile al giudizio di rinvio l'art. 338 dello stesso codice, che regola gli effetti dell'estinzione del procedimento di impugnazione.
Cass. civ. n. 12183/2023
In tema di esecuzione forzata, ove il titolo esecutivo di formazione giudiziale sia stato oggetto di cassazione parziale, la mancata riassunzione del giudizio di rinvio comporta, ai sensi dell'art. 393 c.p.c., l'estinzione non solo di quest'ultimo ma dell'intero processo, con conseguente caducazione dello stesso titolo esecutivo giudiziale, ad eccezione di quelle statuizioni di esso già coperte dal giudicato, in quanto non impugnate o non cassate; ne deriva che è nullo sia il precetto intimato sulla base delle statuizioni direttamente formanti oggetto di cassazione parziale, che avrebbero dovuto essere "sub iudice" nel processo di rinvio, poi estinto, sia quello intimato sulla base delle statuizioni da esse dipendenti le quali, in forza dell'effetto espansivo "interno" di cui all'art. 336, comma 1, c.p.c., sono anch'esse travolte e caducate dalla cassazione parziale.
Cass. civ. n. 20073/2021
Il principio fissato dall'art. 310, u.c., c.p.c. (secondo cui le spese del processo sono a carico delle parti che le hanno anticipate) non trova applicazione quando insorga controversia in ordine alla estinzione del processo stesso e tale controversia venga decisa con sentenza. In quest'ultima ipotesi riprendono vigore i principi posti dagli artt. 91 e 92 c.p.c., e, quindi, innanzitutto il criterio della soccombenza, limitatamente, però, alle spese causate dalla trattazione della questione relativa all'estinzione, non potendo detti principi estendersi anche alle spese della fase processuale precedente al verificarsi della estinzione, rispetto alla quale non può configurarsi la soccombenza. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 16/02/2016).
Cass. civ. n. 20308/2018
L'effetto interruttivo permanente della prescrizione si determina anche nel caso di proposizione di un giudizio successivamente estinto nel corso del quale sia stata pronunciata sentenza non definitiva di merito, dovendosi ritenere tale ogni decisione che abbia risolto talune questioni sollevate dalle parti in ordine all'oggetto della domanda. (Nella specie, la S.C., in un giudizio avente ad oggetto l'opposizione alla stima di indennità dovute per occupazione ed espropriazione immobiliare, ha ritenuto interrotto il termine di prescrizione dalla proposizione di una precedente domanda fino al passaggio in giudicato della sentenza non definitiva con la quale, in un giudizio in seguito estinto, era stata accertata la mancata emissione del decreto di espropriazione, afferendo tale presupposto non già alla mera proponibilità dell'azione, bensì al suo accoglimento e, quindi, alla sussistenza del diritto).
Cass. civ. n. 6230/2018
La domanda giudiziale è un evento idoneo ad impedire la decadenza di un diritto non in quanto costituisce la manifestazione di una volontà sostanziale, ma perché instaura un rapporto processuale diretto ad ottenere l'effettivo intervento del giudice, sicché l'esercizio dell'azione giudiziaria non vale a sottrarre il diritto alla decadenza, qualora il giudizio si estingua, facendo venire meno il rapporto processuale; infatti, l'inefficacia degli atti compiuti nel giudizio estinto, prevista dall'art. 310, comma 2, c.p.c., non può essere arbitrariamente limitata ai soli aspetti processuali, dovendo estendersi anche a quelli sostanziali, fatte salve le specifiche deroghe normative. La non estensione alla decadenza dell'effetto interruttivo della domanda giudiziale previsto dalle norme sulla prescrizione, ai sensi dell'art. 2964 c.c., è giustificata dalla non omogeneità della natura e della funzione dei due istituti, trovando la prescrizione fondamento nell'inerzia del titolare del diritto sintomatica, per il protrarsi del tempo, del venir meno di un concreto interesse alla tutela, e la decadenza nel fatto oggettivo del mancato esercizio del diritto entro un termine stabilito, nell'interesse generale o individuale, a garanzia della certezza di una determinata situazione giuridica. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CAMPOBASSO, 31/03/2016).
Cass. civ. n. 26309/2017
La domanda giudiziale è un evento idoneo ad impedire la decadenza di un diritto, non in quanto costituisca la manifestazione di una volontà sostanziale, ma perché instaura un rapporto processuale diretto ad ottenere l'effettivo intervento del giudice, sicché l'esercizio dell'azione giudiziaria non vale a sottrarre il diritto alla decadenza, qualora il giudizio si estingua, facendo venire meno il rapporto processuale; infatti, l'inefficacia degli atti compiuti nel giudizio estinto, prevista dall'art. 310, comma 2, c.p.c., non può essere arbitrariamente limitata ai soli aspetti processuali, dovendo estendersi anche a quelli sostanziali, fatte salve le specifiche deroghe normative. La non estensione alla decadenza dell'effetto interruttivo della domanda giudiziale previsto dalle norme sulla prescrizione, secondo quanto stabilito dall'art. 2964 c.c., è giustificata dalla non omogeneità della natura e della funzione dei due istituti, trovando la prescrizione fondamento nell'inerzia del titolare del diritto, sintomatica per il protrarsi del tempo, del venir meno di un concreto interesse alla tutela, e, la decadenza nel fatto oggettivo del mancato esercizio del diritto entro un termine stabilito, nell'interesse generale o individuale, alla certezza di una determinata situazione giuridica.
Cass. civ. n. 13975/2013
In base al disposto dell'art. 310, secondo comma, cod. proc. civ., la pronuncia della Corte della cassazione che regola la competenza continua a spiegare i suoi effetti per il futuro, nonostante l'estinzione per mancata riassunzione del processo nel corso del quale la medesima statuizione sulla competenza sia stata emessa.
Cass. civ. n. 8720/2010
L'estinzione del processo (sia o meno dichiarata dal giudice) elimina l'effetto permanente dell'interruzione della prescrizione prodotto dalla domanda giudiziale ai sensi dell'art. 2945, comma 2, c.c., ma non incide sull'effetto interruttivo istantaneo della medesima, con la conseguenza che la prescrizione ricomincia a decorrere dalla data di detta domanda.
Cass. civ. n. 23408/2007
In conformità alla regola generale dettata dall'art. 310, ultimo comma, c.p.c., nel processo di esecuzione e, quindi, anche in quello di espropriazione forzata presso terzi, in mancanza di diverso accordo tra le parti, qualora il processo si estingue, le spese restano a carico delle parti che le hanno anticipate; pertanto quelle sostenute dal creditore procedente restano a suo carico se, a seguito della dichiarazione negativa del terzo e in assenza di contestazioni, il processo è dichiarato estinto e, conseguentemente, l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione, dichiarata l'estinzione del processo, provvede alla liquidazione ponendole a carico del debitore esecutato, avendo contenuto decisorio su diritti e non essendo altrimenti impugnabile, è ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost.
Cass. civ. n. 17172/2007
In tema di risarcimento del danno conseguente a reato, fermo restando che l'azione legittimamente esercitata in sede civile può essere proseguita e decisa in tale sede, l'estinzione del giudizio, derivante dal trasferimento dell'azione civile nel processo penale ex art. 75 c.p.p., non si produce automaticamente, ma intanto opera in quanto l'effetto estintivo sia eccepito ai sensi dell'art. 307 c.p.c.
Cass. civ. n. 17156/2007
Nel sistema delineato dall'art. 2945 c.c., l'instaurazione del giudizio interrompe la prescrizione e ne sospende il decorso fino al passaggio in giudicato della sentenza (anche di rito) che definisce il giudizio. Quando il processo si estingue, invece, la prescrizione decorre dalla data dell'atto interruttivo. Non può, pertanto, prodursi l'effetto interruttivo sospensivo enunciato nel citato art. 2945, comma secondo, quando un processo, all'esito di una pronuncia declinatoria della competenza, non sia tempestivamente riassunto, non potendo più ravvisarsi l'unicità del processo. Tuttavia, nel diverso caso in cui prima della declaratoria d'incompetenza la stessa domanda con le stesse parti venga proposta davanti al giudice competente (e non venga dichiarata la litispendenza), l'assoluta identità del secondo giudizio consente di ritenere unico il processo e, conseguentemente, prodotto l'effetto interruttivo permanente dalla data dell'atto introduttivo del primo giudizio.
Cass. civ. n. 10760/1999
Le sentenze che, ai sensi dell'art. 310 c.p.c., non vengono travolte dalla pronuncia di estinzione del giudizio sono soltanto le sentenze non definitive (oltre che quelle sulla competenza) pronunziate prima che si perfezionasse la fattispecie estintiva. Tra queste non rientra pertanto la sentenza di appello, successivamente cassata, con la quale sia stata riformata la sentenza di estinzione pronunciata in primo grado. Ne consegue che qualora l'estinzione del processo sia affermata in primo grado, negata in grado di appello, e confermata nel giudizio di cassazione, la sentenza di appello non ha alcuna efficacia interruttiva della prescrizione, la quale ricomincia a decorrere dalla data della notifica dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, ai sensi dell'art. 2945, comma terzo, c.c.
Cass. civ. n. 11845/1993
La sentenza con la quale il giudice abbia dichiarato la propria incompetenza (chiudendo perciò il processo innanzi a sé) ed abbia rimesso la regolamentazione delle spese, in violazione dell'art. 91 comma primo c.p.c., al giudice dichiarato competente, può essere impugnata dalla parte che intenda dolersi della mancata pronuncia sulle spese esclusivamente con l'appello. Tuttavia, intervenuta l'estinzione del processo per mancata costituzione di entrambe le parti nel termine loro rispettivamente assegnato nella causa riassunta davanti al giudice dichiarato competente e divenuta, pertanto, inefficace la sentenza pronunciata in prime cure (art. 310 c.p.c.), l'appello deve essere dichiarato improcedibile, restando le spese del processo estinto a carico delle parti che le hanno anticipate (art. 310 cit., comma quarto).
Cass. civ. n. 10173/1993
Il principio fissato dall'art. 310, ultimo comma, c.p.c. (secondo cui le spese del processo stanno a carico delle parti che le hanno anticipate) non trova applicazione quando insorga controversia in ordine alla estinzione del processo e tale controversia venga decisa con sentenza. In quest'ultima ipotesi riprendono vigore i principi posti dagli artt. 91 e 92 c.p.c., e quindi innanzitutto il criterio della soccombenza, limitatamente però alle spese causate dalla trattazione della questione relativa alla estinzione, non potendo detti principi estendersi anche alle spese della fase processuale precedente al verificarsi dell'estinzione.
Cass. civ. n. 5063/1993
L'estinzione del processo dopo la sentenza non definitiva di accertamento del diritto al risarcimento del danno non preclude la proposizione di una nuova azione per la liquidazione di tale danno, atteso che, a meno che si siano verificate ipotesi di decadenza o di prescrizione, essa, ai sensi dell'art. 310 c.p.c., non estingue il diritto o l'azione, né quest'ultima si esaurisce solo perché è stata esercitata in un processo ove non abbia condotto ad un provvedimento sul merito.
Cass. civ. n. 4113/1985
L'estinzione del processo non rende inefficaci, a norma dell'art. 310, secondo comma, c.p.c., le sentenze che siano state in precedenza rese su questioni di merito, e che siano quindi idonee ad acquistare autorità di giudicato. Pertanto, qualora il giudice di secondo grado, con sentenza non definitiva, pronunci la separazione personale dei coniugi, e disponga ulteriore istruttoria in ordine al riconoscimento ed alla quantificazione dell'assegno di mantenimento, il successivo verificarsi dell'estinzione del processo non travolge tale sentenza, la quale resta impugnabile con ricorso per cassazione, indipendentemente dal fatto che sia stata oggetto di riserva di impugnazione differita unitamente alla sentenza definitiva (che non può più essere pronunciata).
Cass. civ. n. 5021/1977
L'art. 310 c.p.c., secondo cui l'estinzione del processo rende inefficace gli atti compiuti, si riferisce agli atti del giudizio di cognizione ordinaria, ma non estende la sua efficacia al decreto ingiuntivo opposto. Quest'ultimo, infatti, acquista efficacia esecutiva, a norma dell'art. 653 c.p.c., qualora con ordinanza sia dichiarata l'estinzione del giudizio di opposizione.
Cass. civ. n. 766/1960
Mentre per la disposizione, contenuta nell'art. 310 c.p.c., relativa ad una fase del procedimento, l'estinzione del processo rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo, per l'art. 393 c.p.c., relativo al giudizio di rinvio, per effetto della mancata riassunzione nel termine di legge, tutta l'attività processuale svolta è travolta, onde cadono nel nulla anche le sentenze emesse nel corso del giudizio. Peraltro, il travolgimento di tutta l'attività processuale svolta trova un limite invalicabile nell'autorità di cosa giudicata che sia stata acquistata dalle pronunce emanate nel corso del giudizio. Su queste, siano esse definitive o non definitive e non impugnate, la estinzione non può avere alcun effetto, per la efficacia irrevocabile del giudicato. Inoltre, poiché la pronuncia di annullamento produce i suoi effetti soltanto sulle parti della sentenza impugnata in relazione alle quali essa è operante ossia soltanto sulle parti cassate, i capi di pronuncia non cassati non sono travolti ed acquistano autorità di cosa giudicata, tranne che siano dipendenti dai capi cassati. I capi della sentenza impugnata, non cassati e indipendenti dai capi cassati, non sono travolti, quindi, dalla estinzione del giudizio di rinvio. L'estinzione copre, cioè, tutta l'attività processuale relativa ai capi cassati della pronuncia impugnati ed a quelli da essa dipendenti, con la particolarità, connessa alla funzione istituzionale regolatrice della Corte di cassazione, che in caso di riproposizione della domanda (l'estinzione non impedisce la riproposizione, perché opera sul processo e non sull'azione) il principio di diritto, enunciato nella sentenza di annullamento, conserva la sua efficacia vincolante.
Cass. civ. n. 1867/1949
Benché l'art. 310, terzo comma, c.p.c. autorizzi il giudice a valutare le prove raccolte in un altro processo solo in caso di estinzione del processo in cui le prove vennero raccolte, non può tuttavia equipararsi ad una estensione dell'efficacia degli atti istruttori e non è pertanto vietato l'esame da parte del collegio di un semplice documento prodotto in un altro contemporaneo giudizio, che verta tra le stesse parti davanti al medesimo collegio nella stessa composizione, e per di più quando ciò sia avvenuto quasi nello stesso contestato, essendo le due cause deliberate nella stessa data.